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Autore: _Lightning_    16/02/2019    4 recensioni
I Vendicatori hanno sconfitto Thanos, salvato la Terra e riportato l'universo alla normalità. Ma, almeno per Peter, il lieto fine non è ancora arrivato.
Tony si ritrova a sospirare di nuovo, in un moto spossato. [...] Riporta gli occhi a Peter e la sua espressione diventa seria, quasi austera, come quando è dietro la sua maschera in missione – e in realtà lo è. Non può permettere che Peter si trovi a passare un’altra notte insonne: ha accettato il compito di guidarlo, e ciò include arginare i demoni che non è ancora in grado di respingere da solo. E, soprattutto, non può permettere che le sue ultime parole siano quello straziante “mi dispiace” perso nella cenere che continua a perseguitarlo negli incubi.
[post-Infinity War non canonico // Tony&Peter // What If? // PoV Multiplo]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
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Ogni eroe ha la sua storia
 
 
 
“Reach, it’s not as bad as it seems
I cleanse in the river for somebody else
For anyone but myself
Hold my place
Don't you give up on me
Hold on, hold on”
 
[The River – Imagine Dragons]
 
 
 
          Non appena Tony vede il ragazzino in piedi davanti a lui, il suo cervello smette semplicemente di funzionare, investito da un’ondata di puro sollievo.
Sollievo, e un dolore lancinante che gli attraversa la spina dorsale, frantumandogli la vista, spezzandogli le corde vocali; il braccio sinistro fa male, pulsa come lava, sembra andare a fuoco e le fiamme si propagano rapide avvolgendo il suo intero corpo in un turbine incandescente che lo consuma. Grida e pensa che potrebbe morire qui ed ora e non gli importerebbe, e allo stesso tempo pensa di non voler ancora morire. Sarebbe l’ennesimo scherzo beffardo del destino, dover lasciare questo mondo proprio adesso che le persone che ama vi sono tornate, senza poter strappare qualche minuto in più dalle grinfie della morte per poterle rivedere.

La realizzazione lo colpisce senza preavviso, rintronandolo: il ragazzino, Peter, è . Scosso, in evidente shock e a occhi sbarrati, ma è di fronte a lui. La sua parte più ingenua si aspetta di vederlo saltare qua e là preso dall’entusiasmo, di sentire un allegro e squillante “Signor Stark!” e, forse, di ricevere un rapido abbraccio prima di trovarsi costretto ad ascoltarlo mentre parla a raffica di tutto ciò che è successo.
Invece Peter se ne sta immobile, in piedi, con le braccia strette attorno al corpo come se temesse di sentirlo sfaldarsi di nuovo al primo passo. Lo fissa stralunato, in un silenzio che alle sue orecchie risuona come una richiesta d’aiuto.

Tony non riesce a muoversi. Vorrebbe solo alzarsi e andargli incontro, ma le sue ginocchia spingono e affondano inutilmente nella sabbia rosso sangue di Titano, spostando i resti semifusi e contorti del guanto dorato ormai irriconoscibile, e il dolore gli pugnala le ferite ad ogni contrazione, facendogli girare la testa. Stringe la mano e sobbalza nel sentirla umida, viscosa e in fiamme come se avesse tentato di afferrare un carbone ardente; abbassa lo sguardo e la vede rossa, nera, ustionata e scarnificata da dargli il voltastomaco. La nasconde sotto la sabbia, che sfrega come carta vetrata sulle ferite, e distoglie lo sguardo velato appuntandolo di nuovo sul ragazzo.

Riesce a malapena a sollevare il braccio sano nella sua direzione, quasi in una supplica, e Peter barcolla subito in avanti come se non avesse aspettato altro che quel segnale.
Crolla in ginocchio accanto a lui e collassa di peso tra le sue braccia, inerte. Il corpo di Tony si inclina, oscilla per un momento tra il dolore accecante e la felicità più profonda e le sue terminazioni nervose non riescono a decidere quale sensazione debba prevalere. I due segnali si sovrappongono e si annullano, lasciandolo sospeso in un limbo insensibile, beatamente stordito e scosso da brividi di sollievo.

Peter si aggrappa alla sua armatura semidistrutta con tutte le proprie forze, esattamente come ha fatto non troppo tempo fa, e Tony ricaccia indietro l’angosciante sensazione delle ceneri che si sgretolano sotto le sue dita. Ma stavolta l’abbraccio rimane saldo e il Peter è lì, è reale. E sta piangendo così piano che se ne accorge solo quando fa scivolare la mano a cingergli la nuca, sfiorandogli inavvertitamente la guancia umida.
Ha l’impressione che il mondo stesso ricominci a sgretolarsi. Peter è fatto di risate, battute leggere, di pura gioia e spensieratezza. Il suo pianto è opprimente, profondamente sbagliato, e gli sferra una stoccata nel petto ad ogni singhiozzo smorzato. È qualcosa che dovrebbe essere vietato da una qualche legge universale e vorrebbe solo smettere di sentirselo risuonare addosso, nel cuore e nelle ossa attraverso il guscio fragile dell’armatura, ma sa che ne ha bisogno. Ha bisogno di piangere, di lasciar scorrere via tutti quei ricordi prima che si annidino nel suo animo facendolo avvizzire. Ha bisogno di quella liberazione, di lasciarsi proteggere e di rivendicare il diritto di essere solo un ragazzino e non un supereroe.

«Va tutto bene, Pete. Sei qui. Sei qui,» continua a mormorargli, sperando di suonare rassicurante anche se non percepisce quasi la propria voce roca, distrutta dalle urla e dal fumo, e i singhiozzi di Peter si fanno sempre più fievoli, lasciando man mano il posto a lacrime quiete e respiri spezzati. «Va tutto bene, ti riporto a casa. Andiamo a casa,» ripete in una nenia, e la sua voce si incrina del tutto quando realizza che anche Pepper è di nuovo lì, a casa, e lo sta aspettando con un anello al dito.

Chiude placidamente gli occhi e le lacrime che hanno continuato a farglieli bruciare per mesi superano infine la barriera delle sue palpebre. Non tenta di fermarle, le lascia scorrere e basta. Non sa neanche cosa siano: se dolore, o sollievo, o gioia, o spossatezza. Ma Peter è tornato, Pepper è tornata, hanno salvato il mondo; Thanos è morto e hanno vinto. È finita, anche grazie a lui. Oggi può concedersi di piangere e smettere di essere Iron Man: per quel singolo minuto può togliersi la sua maschera di ferro ed essere semplicemente Tony.
Si lascia andare e rimane lì, vincitore e in ginocchio sul campo di battaglia, sorreggendo quel ragazzino in lacrime che è appena tornato in vita.

 
§
 

La stanza di Peter è decisamente sovraffollata, rispetto all’ultima volta che ci è entrato. Cumuli di cianfrusaglie tecnologiche sono sparse in ogni dove, tra modellini di astronavi, manuali scientifici e ogni sorta di gingillo nerd. Un computer ultimo modello troneggia sulla scrivania, tra uno completamente smontato e un antiquato Commodore recuperato chissà dove. Sul muro è attaccato un vecchio poster della Star Expo 2010 ormai scolorito, e Tony non può evitare di sorridere appena al ricordo del loro primo, inconsapevole incontro.
Il sorriso si affievolisce non appena i suoi occhi si posano sul ragazzino, sdraiato sul fianco con le coperte tirate fino alle orecchie a farsi scudo dal mondo intero. Non dà segno di essersi accorto della sua presenza e rimane immobile, se non per il respiro leggero. Tony sa che probabilmente si è reso conto di lui nel momento stesso in cui ha varcato la porta dell’appartamento: ha il netto presentimento che quel suo cosiddetto "senso di ragno" sia ancora attivo e funzionante.

Il fatto che Peter lo stia ignorando volontariamente rende tutto più difficile da sopportare – non è abituato ad essere ignorato e, soprattutto, sente un principio di malessere nel rendersi conto che riesce a capire perché lo stia facendo. E allo stesso tempo non ci riesce, perché dopotutto lui non è mai morto. Ci è andato vicino e ha pensato di esserlo più volte, ma non ha mai oltrepassato quella soglia. Riesce comunque a capire il bisogno di isolarsi da tutto e tutti, e sa anche che è esattamente ciò che non dovrebbe fare.

Aggira con circospezione il letto finché non scorge il volto di Peter. È sveglio, ovviamente, e i suoi occhi scuri e un tempo vivaci sono vacui, fissi su un punto in lontananza. Si avvicina a lui come farebbe con un animale ferito e spaventato, e in fin dei conti quell’immagine non si discosta poi molto dalla realtà. Sente una stretta al cuore, violenta e inaspettata. Non riesce a identificare il perché di quel comportamento, almeno non con assoluta certezza. Ricorda chiaramente il proprio stato confusionale dopo essere entrato in contatto con lo Scettro e la Gemma della Mente in Sokovia: l’insonnia, il panico, il percepire ogni sua paura e paranoia amplificata, spingendolo ad azioni sconsiderate e a tacere i suoi pensieri con tutti, persino con Pepper. La Gemma si era radicata in lui, traendo nutrimento dalle sue paure, dai suoi difetti, dai suoi segreti, velandogli lo sguardo con una visione terrificante che a volte continua ancora a spalancare il proprio occhio nei suoi incubi.

Peter però non ha così tanti lati oscuri – probabilmente non ne ha neanche uno – né qualcosa da nascondere. Su quello non potrebbe giurarci, però; gli è già capitato di fidarsi delle persone sbagliate, e il solo pensiero di potersi sbagliare su Peter gli dà la nausea, pur conscio della sua irrazionalità. Sospira scoraggiato. Vorrebbe aver inventato un qualche congegno in grado di leggere nella mente altrui: gli basterebbe dare un’occhiata in quella di Peter per sapere cosa fare, per carpire il nòcciolo del problema. Ma niente è mai così facile, ormai l’ha imparato a sue spese.

Si riscuote dai suoi pensieri e spegne la luce centrale, accendendo quella più soffusa sul comodino, poi si siede cautamente sul letto, ancora senza parlare. Fa una smorfia quando percepisce i punti di sutura sul fianco che si tendono fastidiosamente. Abbassa lo sguardo sulle sue mani, con la sinistra ancora strettamente fasciata che sbuca dal tutore e, di nuovo, il pensiero fuggevole ma ricorrente di quanto sia stato fortunato ad essersela cavarsela con così poco gli attraversa la testa. Scaccia dalla propria testa il paesaggio aspro e sanguigno di Titano, impedendosi di soffermarvisi e spostando invece gli occhi sul ragazzino.

Spera di cogliere una qualunque reazione da parte sua, ma è come se fossero entrambi nella stessa stanza, solo su piani astrali differenti. Non sa se ciò possa avere senso, ma non accantona del tutto l’idea e si appunta mentalmente di chiedere delucidazioni al riguardo al Dottor Portal, giusto per sicurezza. Sa che probabilmente si sta illudendo, ma sono passate più di quarantott’ore, contando dal momento in cui è tornato tra loro: Peter sta rasentando il suo limite fisico.

E come se non bastasse, non ha ancora parlato. Neanche mezza parola.
May ha provato in ogni modo possibile, persino con pizzicotti e solletico, ma non un singolo suono ha lasciato la bocca sigillata di Peter. Ormai è a corto di idee, stanca ed esaurita, e Tony è contento che abbia accettato la sua offerta di vegliare su Peter per stanotte mentre lei ricarica le batterie. In realtà si sente vagamente in colpa per aver lasciato Pepper a dormire da sola al Complesso, ma lei stessa ha insistito perché andasse senza preoccuparsi per lei. Tony sa che è al sicuro e protetta dagli eroi più potenti della Terra, se mai dovesse accadere qualcosa, ma ha comunque subìto la stessa, terrificante esperienza di Peter, e lui deve pur assicurarsi che stia metabolizzando il tutto nel giusto modo. E sa da sé che, detto da un paranoico che soffre ancora sporadicamente di attacchi di panico, suona abbastanza ipocrita.

Si ritrova a sospirare, di nuovo, in un moto spossato. In quel momento dovrebbero festeggiare e brindare alla vittoria. Dovrebbe presentare Peter alla squadra, sanare vecchie ferite con Rogers e Barnes, discutere di location e ricevimenti con Pepper, organizzare una delle sue feste clamorose per spazzar via tutti quei ricordi tremendi…
Un pensiero infantile si affaccia nella sua testa, non richiesto: perché non può aggiustarsi tutto come si deve, per una volta? Invece si trova come sempre a doverlo aggiustare lui, da solo.

Riporta gli occhi a Peter e la sua espressione diventa seria, quasi austera, come quando è dietro la sua maschera in missione – e in realtà lo è. Non può permettere che Peter si trovi a passare un’altra notte insonne: ha accettato il compito di guidarlo, e ciò include arginare i demoni che non è ancora in grado di respingere da solo. E, soprattutto, non può permettere che le sue ultime parole siano quello straziante “mi dispiace” perso nella cenere che continua a perseguitarlo negli incubi.

«Ehi, ragazzino,» lo chiama a bassa voce e, come previsto, non ottiene alcuna reazione.

Ma non importa, e continua a parlare.

«Ti spiace se mi siedo qui? In effetti, l’ho già fatto, ma mi sembrava carino chiedere, visto che in teoria è la tua stanza,» tira lievemente su col naso, come sempre quando è nervoso, e si sforza di mantenere un tono leggero mentre si agita appena sul bordo del letto.

Nessuna reazione.

«May ha finito il turno, per oggi, nel caso te lo stessi chiedendo.»

Mentre parla lo osserva in cerca di un qualunque segno che lo stia ascoltando. Non lo trova.

«Quindi la sto coprendo io. In pratica sei bloccato per quasi cinque ore di fila con uno stronzo egocentrico che farà l’elogio di se stesso, quindi forse ti conviene farti un pisolino nel frattempo,» dice con nonchalance.

Vale la pena tentare, no?

«In alternativa, puoi sempre dirmi di chiudere il becco. Non è molto efficace, però, di solito parlo solo di più,» conclude, rivolgendogli un sogghigno appena accennato che s’impegna a non far traballare.

Non ci riesce, e si sfalda dopo pochi istanti.
Ha appena cominciato e già si sente sconfitto. E magari questa non è una missione, ma un test ideato appositamente per lui. Un test per verificare che è in grado di prendersi cura delle persone a cui tiene anche quando non è nella sua corazza. Un test che non può permettersi di fallire, che non può superare con l’intelligenza o il sarcasmo o la forza. Si tratta piuttosto del suo cuore, della sua umanità: fallire significherebbe che ha perso entrambi da qualche parte, lungo la strada che ha intrapreso per arrivare fin là. E ha bisogno di entrambi, per proteggere chi ama.
Se fallisce, è in un vicolo cieco, o meglio, in un circolo vizioso in cui rischia di tornare ad essere solo, odiando se stesso e ciò che non ha o che ha perso.
Non può fallire, non questa volta.

Posa delicatamente la sua mano illesa sulla spalla di Peter, inclinandosi appena verso di lui.

«Pete?» 

Ci riprova, anche se May ci ha provato per due giorni senza successo. Sente cedere qualcosa dentro di sé, perché non vuole fallire, non vuole perderlo di nuovo, e non vuole pensare a Pepper da sola, sveglia, preoccupata e in sua attesa, e a May nella stanza accanto che non sta davvero dormendo, e alle ore insonni e inutili che si stanno accumulando sulle spalle di tutti loro. Inspira profondamente e sente il cuore vacillare assieme al suo respiro.

«Pete, senti non-- non importa se non vuoi parlare, ok? Dovresti solo dormire un po’, se puoi. Sei al sicuro, adesso, e ci sono io qui a farti da soldato di latta personale,» dice, senza più cercare di nascondere l’urgenza nella sua voce. «E quello che ti ho detto prima… che non sarei stato zitto per ore? Non stavo scherzando. Quindi, finché ascolterai, io continuerò a parlare,» prosegue, costruendo sul momento quel discorso assolutamente non preventivato. «Potrei non seguire sempre il copione, quindi faresti meglio ad aprire le orecchie se non vuoi perderti qualche puntata inedita su di me per rovinare ancor di più la mia reputazione.»

Gli stringe leggermente la spalla e gli rivolge un debole sorriso che non raggiunge gli occhi.

«Non sto scherzando, davvero. Sarà la storia della buonanotte più lunga della tua vita.»

Ecco, l’ha detto, come un idiota. Storia della buonanotte. Suona come una parola tabù, alle sue orecchie. Le storie della buonanotte sono un qualcosa riservato ai genitori per i loro figli – e un qualcosa che lui non ha mai avuto il lusso di poter ascoltare, né si è mai immaginato di poter raccontare nei secoli dei secoli.
Non si è mai pensato nelle vesti di padre, se non per un breve, fugace momento subito prima che eventi molto più grandi di lui decidessero di spazzar via quel ridicolo desiderio che gli era passato per la testa assieme a metà universo.
Il tempo di un sogno, confuso e annebbiato, di cui riusciva a rievocare solo un peso lieve tra le braccia e la stretta impercettibile di una mano minuscola attorno al suo indice. Non aveva memoria d’altro, ma si era trovato a riempire parte delle lacune con immagini che spesso si sovrapponevano involontariamente al volto di un Peter più giovane, bambino, alle sue parole, a momenti già vissuti con lui, magari senza la pantomima del “signor Stark” e “signore” – che in effetti ormai è diventata più uno scherzo tra loro che una vera e propria formalità.

Non riesce a fissare nel tempo quando, esattamente, si è risolto ad essere migliore di suo padre nel tenere d’occhio il ragazzino. Non sa neanche quando e come Peter sia passato dall’essere solo un ragazzino ad essere il ragazzino. Si era semplicemente trovato a tener fede a quel tacito proposito, così come aveva tenuto fede a quello di diventare un uomo migliore quando era uscito dalla grotta, e a quello di proteggere chi amava quando aveva scelto di rimanere al fianco di Pepper.

“E storia della buonanotte sia,” si trova a pensare, determinato, con le parole che iniziano a scorrergli in testa una dopo l’altra nel giusto ordine, come se fossero sempre state pronte ad essere pronunciate.

«Sai, sono un disastro con le persone.»

Quasi gli viene da sbuffare: bel modo per iniziare una storia... ma non sarà certo una fiaba per bambini, quindi è anche meglio che non cominci come tale.

«Un vero disastro. Faccio sempre casino nei modi più stupidi…» si stuzzica il tutore con un’unghia, scrollando poi le spalle. «Ho preso da mio padre, che non era… diciamo solo che anche lui non era molto bravo, con le persone. Non era neanche molto bravo come padre, ma ha avuto i suoi momenti di gloria, anche se troppo tardi per valere qualcosa. Ma meglio di niente.»

Fa una pausa e comprime le labbra, cercando con lo sguardo il poster della Stark Expo, solo per distoglierlo subito.

«Quello che voglio dire, se davvero sto dicendo qualcosa… è che sto cercando di essere migliore di lui. Mi piace pensare che ci stia riuscendo, ma lo sai che non ho un’opinione obbiettiva di me stesso.»

Fa una pausa, gli occhi fissi sulla coperta blu notte che avvolge Peter, intenti a seguirne il fitto motivo di stelle, pianeti e galassie che la decora. Si accorge di trattenere il respiro, e si affretta a riprendere:

«Il punto è che non ho sempre cercato di essere migliore.»

Lancia un’occhiata a Peter, immobile e silenzioso quanto lo era quando è entrato nella stanza. Non sentirà una parola di ciò che sta per dire. Ma forse quello è un incentivo, e ormai la storia è iniziata, quindi tanto vale continuare. Parte dall’inizio, dal “prima”. Prima che loro si incontrassero, prima di New York e della Expo, prima ancora di Iron Man, prima della bomba col suo nome sopra. Gli racconta tutto; attraversa le risate, la tristezza, l’entusiasmo, il senso di colpa e i fallimenti – ce ne sono così tanti anche prima che ne accettasse l’intero peso sulle proprie spalle. Gli racconta quella storia che ha sempre tenuto per sé e non omette alcun dettaglio. Aveva comunque avuto intenzione di parlargli già da tempo; avrebbe solo voluto scegliere un momento più sereno, uno in cui Peter sarebbe stato in grado di porgli domande scomode a cui lui non si sarebbe sottratto.

Vuole fargli capire chi sia realmente colui a cui guarda con così tanta ammirazione. Peter deve sapere che né Tony Stark né Iron Man sono perfetti, e che sia il suo corpo che l’armatura portano i segni di ogni errore. E soprattutto, ha bisogno di sentirsi dire che c’è sempre una via d’uscita, per quanto dolorosa e ardua possa essere; che la paura esiste ed è umana, ma può essere sconfitta; che la solitudine è spesso un’impressione e non si è mai davvero soli; che la disperazione non deve mai oscurare del tutto la speranza, anche nella grotta più buia – anche in faccia alla morte.

La prima volta che è costretto a fermarsi – la morte di Yinsen gli appesantisce ancora il cuore dopo tutti quegli anni – gli occhi di Peter scattano per un istante nella sua direzione, così rapidamente che potrebbe averlo solo immaginato. Sta ascoltando, e quello sembra un invito a continuare. E lui lo fa, senza più esitare.
Due ore dopo, ha praticamente inserito il pilota automatico mentre lascia che la sua bocca dia voce a pensieri ai quali in vita sua non ha mai osato rivolgere più di un’occhiata. E nel farlo cerca sempre di puntare il dito verso la luce in fondo al tunnel, e cerca sempre di disperdere le nubi più scure e dense anche quando sembrano impenetrabili.

Da qualche parte tra Ultron e la Siberia, Peter allunga timidamente e a scatti la mano verso la sua, per poi stringerla con dita deboli. Tony la avvolge saldamente in risposta, cercando di continuare a parlare e ricacciando indietro l’emozione che gli ha ostruito la voce. Vorrebbe balzare in piedi e chiamare May, o sbracciarsi e gridare a squarciagola dalla finestra per annunciare quell’evento a tutto il Queens alle quattro di mattina, ma non lo fa nel timore di distruggere il traguardo appena raggiunto. Invece continua semplicemente a narrare la sua storia, che a quel punto include anche il ragazzino.
Peter non si muove più, e neanche chiude gli occhi. Mantiene solo quel flebile contatto, come se fosse l’unica àncora che ha in questo mondo. Tony inizia a pensare che potrebbe essere davvero così, e si limita a ad offrirgli quell’appiglio sperando che basti, che sia sufficiente a tirarlo fuori dal limbo in cui è scivolato, che le sue parole servano davvero a qualcosa.

L’alba li sorprende con Peter ancora in quieto ascolto e la voce di Tony che si affievolisce nel raggiungere la fine, per ora, lasciando entrambi esausti e ancora svegli.



 


Note Dell'Autrice:

Pensavate che stessi scherzando, con la storia degli aggiornamenti regolari, eh? Invece, per una volta, sarò sempre puntuale :')
Come già accennato, non entrerò nei dettagli di come sia stato sconfitto Thanos: mi rifaccio parzialmente ai fumetti, in cui Tony è il primo essere umano (inteso come non potenziato) a brandire il Guanto dell'Infinito completo, quindi in questa versione è stato lui a compiere il "contro-schiocco", mentre Steve e Carol si occupavano del Titano. Detto ciò, è più probabile che in Endgame sarà Capitan Marvel a indossare il Guanto. 
Ogni altro "punto oscuro", come la volontà/nolontà di Peter rispetto al dormire e parlare verrà esplicato a tempo debito.
Per il resto, vorrei sottolineare che in questo mio headcanon, Tony non è cosciente che la sua visione avuta in Age of Ultron sia stata causata da Wanda: per questo ricollega i disturbi di Peter con le Gemme e la paranoia che lo ha portato a creare Ultron.

Ringrazio ancora una volta la mia beta, _Atlas_, che oltre a sorbirsi i miei scleri recensisce pure, e T612 <3 per aver commentato lo scorso capitolo. Grazie anche a Ghillyam, Blacklife589635 e Aiko_Miura per aver aggiunto la storia alle seguite (e non siate timidi, adoro lo scambio costruttivo d'opinioni <3)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi do appuntamento a sabato prossimo!

-Light-

P.S. Vi lascio il link al capitolo originale-> Ain't no hero without a story to tell


 
   
 
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