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Autore: fefi97    16/02/2019    8 recensioni
[sterek; sai tenere un segreto AU; altamente demenziale; tutti umani]
Derek ha dei segreti. Ma sono segreti piccoli, che non fanno male a nessuno. E se non dice al suo fidanzato che certi aspetti della loro relazione proprio non vanno, è solo perché non vuole ferirlo. Per questo ha dei segreti, per non ferire le persone, ed è più che legittimo.
Ma quando conosce Stiles Stilinski, improvvisamente non sembra esserci più spazio per i segreti.
Quando poi scopre che Stiles non è esattamente chi si aspettava che fosse, le cose non faranno altro che complicarsi.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Deputy Parrish, Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: prima di lasciarvi alla lettura di questa cosa discutibile, devo precisare delle cose. Intanto questa storia è una AU del bellissimo libro di Sophie Kinsella “sai tenere un segreto?”, quindi ci saranno scene e situazioni simili, anche se ovviamente la mia storia è molto più trash e meno bella, ma spero comunque vi strappi una risata. Derek in questa storia è volutamente ooc, spero non ci saranno fraintendimenti su questo. Accetto qualsiasi critica, ma per favore non venitemi a dire che Derek è ooc perché uomo avvisato mezzo salvato! La storia, almeno inizialmente, verrà pubblicata regolarmente (magari ogni sabato), visto che ho diversi capitoli pronti. Chi mi conosce sa che ho il vizio di pubblicare storie quando ho progetti in sospeso (ciao, odi et amo), ma sa anche che tendenzialmente cerco di portare tutto a termine, sebbene con tempi lunghissimi. Su questa storia sono abbastanza fiduciosa, spero solo di non deludervi. Ci si vede in fondo, un bacio a tutti <3

 

ps: il Derek di questa storia ha una biologia tutta sua, ve lo dico.

 

 

 

 

 

Segreti e Dalie

 

 

Primo Capitolo

 

 

 

Va bene.

Può darsi che io abbia qualche segreto.

Ma sono segreti piccoli, di quelli che abbiamo tutti.

Non devo sentirmi in colpa per questo, vero?

Voglio dire, sono segreti che non fanno male a nessuno. Cosa cambia al mondo se peso settantun chili o settantotto e mezzo? Cambia solo un numero in fondo.

E quando ho detto a Jordan che pesavo settantun chili e mezzo, era perché stavo pensando di mettermi a dieta. Quindi è una piccola bugia in buona fede. Non è nemmeno una bugia, solo una piccola anticipazione. Un giorno peserò settantun chili e mezzo.

Ciò causa un altro piccolo segreto.

Il perizoma che mi ha regalato Jordan. Questo fantastico perizoma nero da uomo che dovrebbe farmi sembrare super sexy.

E' maledettamente scomodo.

Mi sembra mi tagli in due ogni volta che mi siedo. Non so se faccia bene al mio sedere, vista già la situazione delle mie natiche.

Ah già. Altro piccolo segreto. Sono fermamente convinto che la natica destra sia leggermente più grande di quella sinistra. Non l'ho mai detto a nessuno anche se a volte quando sono dal medico faccio casualmente “mi trova proporzionato?”, con tanto di sorrisetto pieno di sottintesi. Ma ovviamente quello non capisce e comincia a blaterare su quanto la mia massa muscolare, la mia altezza e il mio peso siano perfettamente nella norma e via dicendo.

Lo so che la mia natica sinistra non è stata più la stessa da quando Malia mi ha spinto a sei anni e io sono caduto tutto storto. Maledetta.

Jordan sembra piuttosto soddisfatto del mio sedere e visto che è il mio fidanzato presumo vada bene così.

Insomma ho segreti di questo tipo. Niente di speciale.

Un altro piccolo segreto potrebbe essere che oggi ho mandato in fumo un affare di milioni di dollari per cui sono stato espressamente inviato in Scozia dall'azienda per cui lavoro da due anni, come banco di prova.

Potrei aver reagito male al jet leg. Potrei aver vomitato sulle scarpe più lucide e nere che abbia mai visto.

A mia difesa, credo che le cose stessero andando male anche prima.

Però, dai, penso che potesse andare peggio.

Greg ha dovuto condurre il resto della riunione in calzini mentre la sua segretaria gli smacchiava le scarpe, ma mi ha assicurato che ci avrebbero pensato. E che non avrebbe detto a Chris, il mio capo, che ho vomitato i miei cereali sulle sue scarpe.

Ammetto di essere leggermente depresso.

Come se non bastasse, devo prendere un aereo e affrontare un altro maledetto volo di undici ore per tornare in America.

Okay. Può darsi che io abbia paura di volare. Non lo sa nessuno, perché sono già abbastanza imbarazzante senza metterci la paura dell'aereo.

Paura del tutto irrazionale visto che l'aereo è un mezzo assolutamente sicuro.

A meno che un'ala non si stacchi ad alta quota, l'aereo precipiti schiantandosi nell'oceano e affondi stile Titanic uccidendoci tutti.

L' hostess deve aver capito che ho qualcosa che non va, perché stringo la carta d'imbarco talmente forte che non riesce prendermela dalle mani.

-Signore, lasci che...-

Con uno strattone violento riesce a impadronirsi del foglio.

Non voglio volare. Non voglio.

Mi accorgo di averlo detto ad alta voce solo quando lei mi rivolge uno sguardo comprensivo.

-Non deve temere, signore. La nostra compagnia è totalmente sicura. Abbiamo una percentuale di incidenti quasi nulla. -

Quasi. Che vuol dire quasi? Quasi non significa nulla. Non puoi essere quasi una brava persona. Non puoi aver quasi ucciso il pesce rosso dei tuoi (non lo sa nessuno e poi il nuovo pesce è quasi identico a Miles). Non puoi avere una compagnia aerea quasi sicura.

-Non posso morire – mi ritrovo a dire, fissando terrorizzato la giovane donna davanti a me – Ho mandato all'aria un grosso affare per la compagnia per cui lavoro e non avrò mai la mia promozione, resterò assistente marketing per sempre. Non posso perdere anche la vita. -

Lei sbatte le palpebre, presa di contropiede. D'un tratto prende un'aria cospiratoria e si sporge verso di me.

-Lei ha bisogno di rilassarsi. Sa che facciamo? Visto che c'è posto la metto in prima classe. -

La guardo, sorpreso.

-Lo può fare? -

Lei si tamburella il lato del naso con aria furba.

-Ci può scommettere. -

E così circa dieci minuti dopo sono seduto nella poltroncina più comoda della mia vita, con un bicchiere di champagne tra le mani e tutta la prima classe per me.

Bel colpo, Derek.

Beh, in realtà ci sono un paio di uomini in giacca e cravatta, sicuro pezzi grossi. E una donna con un tailleur che scrive al computer con ferocia. Mi ricorda Isaac e sorrido pensando al mio migliore amico. Non vedo l'ora di essere a casa nostra e raccontargli questa giornata orrenda.

Potremmo farci una cioccolata calda. Mi ricordo di Jackson e mi invade il senso di colpa per non aver pensato al mio secondo coinquilino. Okay, due cioccolate e un the rassodante.

Insomma, ho quasi tutta la prima classe per me.

Ho un vicino di posto, ma è tutto occupato a guardare cupo fuori dal finestrino, non fa praticamente caso a me a parte una veloce occhiata.

Indossa un maglione scolorito e un paio di jeans che sembra abbiano visto tempi migliori e ha la barba incolta. Poverino, probabilmente pure a lui hanno regalato la prima classe.

Mi stringo con allegria nelle spalle, mi sistemo comodo ed estraggo dalla mia valigetta professionale (Jackson è uno stronzo, ma fa bei regali di compleanno) la mia copia spiegazzata di People.

Mi sembra che il mio vicino di posto mi stia osservando con la coda dell'occhio.

Oddio. Ho un completo, sono in prima classe, ho una valigetta ultra professionale e leggo People. Non va bene.

Ripongo People con dignità ed estraggo la copia del Times di ieri che ho rubato ad Isaac per poter leggere l'oroscopo mentre andavo in aeroporto.

-Vediamo i tassi di mercato! - esclamo ad alta voce, dicendo la prima cosa che mi viene in mente. Tassi di mercato. Ci sta no?

Sbircio con la coda dell'occhio il mio vicino, ma quello è di nuovo sprofondato nel suo sedile a guardare fuori dal finestrino, apparentemente disinteressato a me.

Meglio così. Nascondo People dietro il Times e comincio a leggere, felice.

Sono completamente rilassato, per le prime sette ore di viaggio.

Poi cominciano ad esserci turbolenze.

Poi, semplicemente il caos, con gente che urla e l'areo che traballa in modo terribile.

Sto per morire, lo so.

Il capitano dice di stare calmi e al proprio posto, ma è ovvio che debba dirlo.

Non cambia nulla, comunque.

Sto per morire.

-Non sta per morire. - sbotta il mio vicino di posto e mi rendo conto, con un po' di imbarazzo, di aver parlato ad alta voce.

-Deve solo non farsi prendere dal panico. Lei, e le altre persone su questo maledetto aereo. -

Lo guardo. Non sembra particolarmente turbato, ha ancora il suo broncio e sembra più infastidito che spaventato.

D'un tratto mi rendo conto che sarà questo l'ultimo essere umano con cui interagirò prima di morire e mi prende uno slancio irrefrenabile di contatto umano.

Gli afferro la mano e la stringo talmente forte che la pelle diventa ancora più bianca, ma l'uomo non dice nulla, limitandosi a guardarmi con gli occhi spalancati, a metà tra l'irritato e lo stupito.

Mi sporgo verso di lui, che sbatte le palpebre ma non si allontana. Mi studia come se fossi un pazzo squilibrato. Probabilmente lo sono.

-Morirò senza che il mio fidanzato mi abbia mai trovato la prostata. - gli comunico in tono basso e quasi commosso, stringendogli la mano.

-Mi scusi? -

Mr. Broncio è scioccato, ma io ormai ho deciso. Non morirò nella solitudine e nel silenzio. Morirò stringendo la mano di quest'uomo imbronciato, ripercorrendo la ridente via dei ricordi. E sarà una morte bellissima e poetica e io e lo sconosciuto alla fine ci abbracceremo commossi, mentre l'aereo precipita nell'oceano e l'orchestra suona fino alla fine...

Devo smetterla di guardare Titanic ogni giovedì sera.

-Non l'ha mai trovata. Neanche una volta – faccio una pausa angosciata, guardando dritto negli occhi nocciola dello sconosciuto – Credo di non avere una prostata. -

C'è un momento di silenzio, poi vedo la bocca dell'imbronciato contrarsi in una smorfia strana, mentre gli occhi perdono quel lampo irritato e diventano morbidi, semplicemente divertiti. Ride forte e io stranamente non mi sento offeso. Stiamo per morire, se lo merita anche lui di morire con il sorriso.

-Io credo che lei ce l'abbia una prostata. - mi fa notare con un sorriso gentile e un luccichio divertito negli occhi.

Sembra avere cambiato completamente atteggiamento. Prima era così antipatico e scontroso, ora è semplicemente rilassato e divertito e i suoi occhi ambrati splendono curiosi e attenti nei miei. Ci teniamo ancora la mano e in qualsiasi altra situazione lo troverei tremendamente imbarazzante, ma adesso mi da solo forza.

-Non saprei. Jordan, il mio fidanzato, ci ha provato in tutti i modi. Abbiamo passato ore a fare sesso e niente. Ed era pure giovedì. Ho dovuto fingere un orgasmo sconvolgente perché mi lasciasse andare. Mi sono sentito un po' in colpa, ma era pur sempre giovedì. -

Mr Broncio pare confuso.

-Che ha di speciale il giovedì? -

Lo guardo con serietà.

-Giovedì è la serata Titanic. Lo guardo ogni giovedì sera. -

Mi sta fissando in modo strano, ma, ancora, non mi sento affatto a disagio.

-Lei ha finto un orgasmo, cosa che francamente non pensavo fosse possibile, perché doveva andare a vedere Titanic. - ripete in tono lento.

Inarco le sopracciglia, come se fosse una cosa ovvia.

-Beh, era giovedì! -

Ride di nuovo e io continuo a parlare, implacabile.

-Capisce perché sono così sconvolto? Sto per morire senza che il mio fidanzato sia mai riuscito a farmi venire trovandomi la prostata e in più non mi sono mai innamorato. Ma se fosse solo questo potrei ancora accettarlo. Ma io non ho concluso proprio niente, non solo in amore. Sono un totale fallimento.-

L'uomo mi fissa. Il suo sguardo sembra quasi dolce, è sicuramente molto intenso. Sento le sue dita stringere lievemente le mie di rimando.

-Sono sicuro che non sia affatto così. -

-Sì invece. Non sarò mai all'altezza di Malia per la mia famiglia. Lei è la star e io sono Derek, il disastro umano. -

E a quel punto capisco che Mr. Broncio non potrebbe fermarmi neppure volendo. Malia è un argomento troppo presente – troppo opprimente – nella mia vita perché io riesca a fare a meno di parlarne. Come al solito, comincio a lamentarmi. La mia bocca si apre e ne escono fiumi e fiumi di parole. Gli racconto tutto, della morte di mia zia, dell'inaffidabilità di mio zio Peter, di come Malia sia venuta ad abitare con noi quando avevo dieci anni.

Gli racconto di come d'un tratto Laura e Cora preferissero lei a me. Di come mamma preferisse lei a me. Di come tutti preferissero Malia a me. Perché Malia era più grande, più bella, più intelligente. Malia aveva questa agenzia di viaggi tutta sua e io invece vagavo da un lavoro all'altro.

Gli racconto del fatto che speravo davvero che il meeting andasse bene, perché era il primo incarico importante che l'azienda per cui lavoravo mi aveva affidato e speravo in una promozione, perché tra poco sarebbe stato il compleanno di mamma e io avevo bisogno di entrare urlando “indovinate chi è responsabile marketing!”. Avevo bisogno di essere io la star, per solo qualche istante. Avevo bisogno che mamma e papà fossero orgogliosi di me quanto lo erano di Malia. Avevo bisogno che mi volessero bene quanto ne volevano a lei.

Dico di aver vomitato sulle scarpe di Greg, dico che ho sempre avuto paura di volare.

Parlo persino delle mie mutandine e di come mi seghino in due. Ammetto di non pesare esattamente settantun chili e mezzo, ma che presto sarà così. Gli confido che la camicia che sto indossando non è mia ma di Jackson e che infatti mi sta stretta. Preciso che è Jackson a essere più magro di me e non io a essere grasso. Anche se, davvero, ho intenzione di mettermi a dieta.

Parlo di Isaac e di come una volta ho sognato che facevamo sesso ed era tutto così imbarazzante perché Isaac era super impacciato e continuava a tirarmi calci e io cominciavo a inveire in spagnolo e allora anche Isaac parlava in spagnolo e questo è strano perché sono sicuro che Isaac non conosca lo spagnolo ed era tutto un “ay ay que dolor!”.

Gli dico che sono da sempre convinto di avere una natica più grande dell'altra. Gli dico che secondo me è colpa di Malia – parlo ancora di Malia e di come abbia rifiutato di assumermi nella sua stupida agenzia quando avevo disperatamente bisogno di un lavoro.

Ammetto di aver ucciso accidentalmente il pesce rosso dei miei.

Ammetto di non avere idea di cosa significhi “tassi di mercato”.

Ammetto di non avere affatto un biglietto per la prima classe.

Gli parlo della mia prima volta, di come abbia perso la verginità con questa ragazza più grande che mi ha solo usato. Gli dico di come probabilmente mi sarei chiuso in me stesso se non avessi avuto Isaac.

Gli parlo anche di Jordan. E sono conscio di non star dicendo cose propriamente belle, ma è come se il mio cervello fosse scollegato e la mia bocca articolasse parole autonomamente, come un fiume in piena.

-E' un poliziotto e ne va così assolutamente fiero! Sinceramente non ho mai sopportato la fottuta polizia. Credo che mio zio Peter mi abbia passato la sua avversione per l'ordine costituito. O forse è perché odio i western, quelli con lo sceriffo che va in giro a cavallo con la stella puntata al petto. Non sopporto quel cavolo di sceriffo, mi irrita e non so perché! Gli fanno sempre portare i baffi, in ogni film! Odio gli uomini con i baffi. E ovviamente Jordan cosa si sta facendo crescere? Ma certo, i baffi! Mi irritano la faccia e mi fanno venire da ridere quando mi bacia, ma non posso dirglielo, ferirei i suoi sentimenti. E' lo stesso motivo per cui ancora non gli ho detto che odio i rally, lui li ama. Dio, se c'è una macchina che odio più di quelle da corsa, è la jeep. E Jordan che macchina ha? Una jeep. -

A mia difesa, dico anche cose belle.

-E' molto dolce e... beh, è proprio bello. Ci siamo conosciuti tre anni fa. Ero andato alla stazione di polizia perché avevo smarrito la borsa con il pc sulla metro e dovevo fare la denuncia. -

Confesso velocemente che il computer non era esattamente mio e che potrei aver detto ad Isaac che ero stato derubato sulla metro da una gang armata fino ai denti. Continuo a raccontare.

-Jordan era lì ed era così bello... l'ho già detto che è molto bello? Mi ha aiutato a fare la denuncia e poi mi ha chiesto se volevo prendere un caffè con lui. Jordan... beh, tutti dicono che è perfetto. Voglio dire, è perfetto davvero. Solo che a volte... non so come spiegarlo... mi estranio un po' quando mi parla? Non sto dicendo che mi annoia. Solo che a volte lui parla di questo nuovo tipo di pistola e io cerco di ricordarmi quali stati comprenda la Foresta Amazzonica. Un giorno voglio assolutamente visitarla. Ma Jordan continua a portarmi a sciare perché è convinto che io ami sciare, ma lo faccio solo perché piace a lui e voglio farlo felice. -

-La Foresta Amazzonica... - ripete Mr. Broncio, con lo sguardo che brilla. Con la mano che non stringe la mia si sorregge una guancia e sembra molto interessato a quello che dico.

Probabilmente gli faccio pena, ma adesso non mi importa.

Continuo a parlare e a parlare. Gli racconto del mio capo e dei miei colleghi. Gli dico di come abbia rotto accidentalmente la foto della figlia che Chris, il mio capo, tiene in ufficio e di come abbia nascosto ciò che rimaneva della cornice nel cassetto della mia scrivania. Gli confesso che non sopporto la mia collega Erica e gli parlo di come io stia continuando ad avvelenare la sua piantina versandoci il toner della stampante. Gli confesso che in ufficio c'è questa fotocopia di un sedere in perizoma appesa al muro e che tutti credono sia stata Lydia a farla mentre era ubriaca alla festa per la promozione di Mark. Anche Lydia per un periodo ha pensato che fosse il suo sedere. In realtà sono le mie natiche, è il mio perizoma. Ed ero io a essere ubriaco marcio alla festa di Mark, Dio.

Gli racconto che Lydia è la collega che preferisco, anche se non lavora nel mio reparto, e che amiamo andare a prenderci un caffè da Starbucks in orario d'ufficio. Di solito lei entra nella zona marketing e chiede “Derek, posso chiederti un aiuto per trovare quel documento in archivio?” e quello è il segnale per la nostra pausa.

Gli dico che il caffè delle macchinette in ufficio è disgustoso, che è una vergogna che non possa neanche avere un cappuccino d'orzo decente senza scendere da Starbucks. Gli dico che vorrei avere una sedia girevole, di quelle comode e con le ruote, non quella roba di metallo. Gli dico che vorrei prendere una creme brulee in un ristorante di classe, di quelle che il cameriere accende proprio davanti a te, ma nei ristoranti dove mi porta Jordan non è mai sul menù. Gli dico che un appuntamento che sia un appuntamento dovrebbe iniziare con una citazione di Titanic.

Parlo, parlo e parlo.

Parlo finché la voce metallica del comandante ci ringrazia per la pazienza e ci informa che stiamo atterrando e di rimanere seduti al nostro posto.

Sbatto le palpebre, frastornato.

-Ma come, non moriremo? - chiedo, un po' urtato e confuso.

Lo sconosciuto accenna un sorriso, cominciando gentilmente a sfilare la mano dalla mia.

-Credo che il pericolo di morte sia stato scongiurato almeno due ore fa. - ironizza, ma la sua voce è gentile, i suoi occhi sono caldi.

Ha ancora quell'alone malinconico ad avvolgerlo e l'aria un po' sbattuta di chi è abituato a non sbarcare il lunario. Ma non ha più l'aria apatica di quando mi sono seduto accanto a lui.

-Oh. - dico, cominciando a sentirmi imbarazzato.

Oddio, non riesco a ricordarmi cosa gli ho detto. Non gli ho detto cose troppo personali vero? Oh mio Dio. Gli ho parlato delle mie mutandine. Gli ho parlato della mia prostata!

Lui però non pare per nulla turbato mentre recupera il suo bagaglio a mano. Si volta e mi sorride.

-Vuole che le stringa la mano durante l'atterraggio? L'aereo traballa un po', può essere fastidioso. -

Abbasso gli occhi, pieno di vergogna. Ci manca solo farmi tenere la mano dall'uomo con cui mi sono lamentato per mezz'ora sulla mancanza di orgasmi nella mia vita.

-No, grazie. - sussurro, giocherellando con il bordo spiegazzato della mia rivista.

Mi pare di cogliere un barlume deluso nei suoi occhi. Lo guardo per essere sicuro e noto che i suoi occhi hanno perso lo scintillio giocoso e spensierato di poco prima. Mi mordo il labbro.

-Come vuole. - mormora e si volta di nuovo verso il finestrino, esattamente come all'inizio, quando lui era uno sconosciuto con il broncio e io non gli aveva ancora spiattellato tutti i miei segreti.

Non so esattamente perché, ma scatto e gli afferro forte la mano che adesso tiene sul suo ginocchio, forse perché questo atterraggio mi terrorizza, forse solo perché non sopporto che questo perfetto sconosciuto sia triste per colpa mia, forse sono pazzo e basta.

Ma lo faccio, stringo la mano di Mr. Broncio e lui si volta e mi sorride e stringe di rimando e mi sembra che l'atterraggio non sia poi così terrorizzante.

Potrei piangere dalla gioia quando le hostess dicono che possiamo slacciarci la cintura e avviarci verso l'uscita.

Mr. Broncio mi lascia andare la mano, mi sorride.

-E' stato un piacere fare questo viaggio con lei. Sta meglio? Ha bisogno d'aiuto per andare a casa? -

-Oh no. No, no grazie. Sicuramente è venuto il mio fidanzato a prendermi. - dico subito, maledicendomi per l'immagine di me che gli ho dato. Ora pensa che sono un tipo strano che parla della propria vita sessuale e ha persino paura di volare.

Ancora una volta, sembra deluso, ma non replica. Si limita a sorridermi, poi si alza e si avvia lungo il corridoio. Aspetto due minuti, poi vado anche io. Ripenso a tute le cose imbarazzanti che gli ho raccontato di me e vorrei morire.

Fortunatamente, non dovrò vederlo mai più.

Proprio come avevo detto, Jordan è all'ingresso dell'aeroporto ad aspettarmi.

Mi sorride, mi bacia, mi dice che era così in pensiero per me, perché alla centrale aveva sentito di questa terribile turbolenza che interessava il mio volo.

Oh, caro, dolce bellissimo Jordan.

Poi comincia a parlare e io penso alla foresta Amazzonica. Non lo faccio di proposito, è più forte di me.

-... e quindi pensavo che dovresti venire a vivere con me, Derek. -

Mi riscuoto con prepotenza dai miei sogni verdi ed esotici. Cosa? Cosa ha appena detto?

-Cosa? -

Ho la voce stridula e sono sicuro mi stia per venire un infarto, ma Jordan continua a sorridermi come se avesse avuto l'idea del secolo.

-Sei frastornato dal jet-leg, eh? Ho detto che questa esperienza mi ha fatto capire quanto facilmente posso perderti. Voglio proteggerti sempre, Derek. Ti amo con tutto il cuore, e tu ami me. Vieni a vivere con me. -

Vado nel panico, anche se cerco di non farglielo vedere, mentre mi specchio negli occhi fiduciosi di Jordan.

Oh, è così fiducioso.

E mi ama così tanto. Ed è così bello. E' perfetto.

Ripenso a tutte le cattiverie che ho detto sull'aereo e mi sento una persona orribile.

Ma ero solo agitato, pensavo stessimo per morire tutti. Io amo Jordan.

Giusto?

Certo che lo amo.

Jordan è bello, è perfetto. E' qui, pieno di fiducia. Mi ama.

Mi ama.

Mi sembra di vedere la scena dall'alto, di essere fuori dal mio corpo, quando le labbra si separano e un – sì – esce dalla mia bocca.

Non sembra nemmeno la mia voce.

Ma Jordan non se ne accorge.

Mi bacia.

E io penso allo sconosciuto.

Mi chiedo se sia ancora triste.

Spero di no.

 

 

 

 

 

 

Jackson mi fissa. Mi fissa male.

Lancio un'occhiata ad Isaac, che è accoccolato sulla sua poltrona con una tazza di cioccolata tra le mani. Si stringe nelle spalle e insieme guardiamo perplessi Jackson.

-Che cosa hai fatto. - riesce poi a dire dopo parecchi istanti, staccando con fatica le parole le une dalle altre.

-Non è una tragedia, Jacks. - si arrischia Isaac, prendendo un piccolo sorso di cioccolata.

Jackson si gira a guardarlo con gli occhi fuori dalle orbite e io, dalla mia postazione sul bracciolo della poltrona di Isaac, mi rannicchio contro di lui, intimorito.

-Non è una tragedia? Non è una tragedia?! Ha detto a un uomo tutti i suoi segreti! Quanto si può essere stupidi? -

-Ero in un momento particolare! - mi difendo, offeso – E poi era un perfetto sconosciuto! Non lo rivedrò mai più. -

Jackson scuote la testa, disgustato.

-Mio Dio. Non ti ho insegnato proprio niente. -

Isaac alza gli occhi al cielo, emettendo un verso annoiato.

-Non ricominciare con quella stupida regola, ti prego. -

Jackson si considera un esperto di relazioni. In effetti, ha avuto il doppio di relazioni rispetto a me e a Isaac, non che ci voglia molto, visto che Jordan può considerarsi la mia prima storia seria e Isaac è stato sei anni con un totale idiota. E adesso... beh, adesso gli piace un totale idiota che pensa che la monogamia sia una gomma da masticare.

Lancio un'occhiata a Isaac, che sta fissando Jackson da dietro la sua tazza di cioccolata, gli occhi azzurri che brillano.

Sospiro. E' un caso perso.

-Non bisogna mai essere sinceri con un uomo. Non se si punta a un matrimonio vantaggioso con un uomo ricco. -

-Jackson, è una cazzata. - dico io, alzando gli occhi al cielo.

Jackson mi fulmina.

-Come pensi che abbia fatto mia madre a sposare mio padre?! -

Isaac e io ci scambiamo un'occhiata.

-Mh, amore? - azzarda il mio amico con fare ironico, mentre io soffoco una risatina nella mia cioccolata.

Jackson gli lancia uno sguardo di sufficienza.

-Ermetismo totale, ovviamente. Mio padre non sa ancora che mia madre è bionda tinta dopo più di trent'anni, e il loro matrimonio va a gonfie vele! -

Isaac e io lanciamo un'occhiata ai suoi capelli e Jackson chiude gli occhi con aria seccata.

-Io sono biondo naturale, idioti! -

Ci ritiriamo leggermente sulla poltrona di Isaac.

-Certo. -

-Ovvio, mai messo in dubbio. -

Jackson ci fulmina, poi rotea gli occhi rassegnato e si siede sull'altro bracciolo della poltrona di Isaac, rubandogli la tazza dalle mani. Isaac lo lascia fare come sempre, limitandosi a sospirare e ad allungarsi per prendere dal tavolino il suo pc.

Io rimango in silenzio e mi rendo conto che da quando sono tornato ho raccontato ad Isaac e Jackson dello sconosciuto a cui ho spiattellato la mia vita e i miei segreti più oscuri e imbarazzanti, che ovviamente mi sono rifiutato di rivelare a mente lucida.

Ma non ho minimamente accennato al fatto che Jordan mi ha chiesto di andare a vivere con lui.

Quando Jackson si alza per andare a fare il suo trattamento di bellezza in bagno, Isaac e io rimaniamo soli.

Mi guarda intensamente e io inarco le sopracciglia, vagamente sulla difensiva.

-Cosa? -

-Niente. E' che... - esita, fissando una mail su cui stava lavorando da almeno un'ora, prima che io piombassi a raccontargli dei miei problemi. Sospira – Non credevo che avessi così tanti segreti. -

Aggrotto la fronte, sentendomi vagamente a disagio.

Andiamo.

Non ho tanti segreti. Scommetto che a confronto della famiglia reale inglese o della Casa Bianca sono praticamente un libro aperto.

E poi i miei sono piccoli, innocui segreti che non fanno male a nessuno.

-Beh, tutti hanno dei segreti, no? - domando, prendendo un sorso di cioccolata ormai fredda.

Isaac spalanca gli occhi azzurri, il ritratto dello sconvolgimento.

-Io no! Perché dovrei avere segreti? -

Okay, questo è troppo.

Sorrido perfidamente, appoggiando delicatamente la mia tazza sul tavolino e alzandomi lentamente in piedi.

-Ma davvero. Quindi se adesso io irrompessi in bagno e dicessi a Jackson che hai una cotta per lui da tipo sempre... -

-Non oseresti! - strilla subito Isaac, alzandosi in piedi e afferrandomi con urgenza per le braccia. Quando si rende conto che sto ghignando, sbuffa e mi spinge leggermente indietro, rosso in viso.

-Stronzo. -

-Visto? - replico io, in tono ovvio – Tutti abbiamo dei piccoli segreti. -

Isaac mi guarda dritto negli occhi e io provo ancora quella sensazione acuta di disagio.

-Hai dei segreti anche per me? -

-No, certo che no. - mento, vedendo i suoi occhi riempirsi di subitaneo sollievo.

Insomma, è solo una piccola bugia per non farlo rimanere male. Cosa c'è di sbagliato?

 

 

 

 

-E' incredibile! Più la annaffio, più questa pianta sembra a un passo dalla morte! -

Mi strozzo con il caffé sputacchiandolo dappertutto mentre Erica, la mia collega e vicina di scrivania, mi guarda irritata.

-Tutto bene, Hale? -

-Sì – tossisco con difficoltà e la pena di dover fingere di non essere io quello che avvelena la sua piantina da mesi mi viene risparmiata da Chris, il nostro capo, che entra a passo di marcia.

Ci sediamo tutti quanti un po' più dritti, perché Chris ha lo sguardo spiritato e quando ha quello sguardo è meglio non essere impreparati. Può significare due cose: o uno di noi lo ha fatto incazzare o è incazzato per qualche motivo e si sfogherà su di noi.

Quel giorno però, non si trattava di nessuna delle due cose.

-Ascoltatemi tutti! - sbraita guardandoci a turno in cagnesco – Sono appena stato avvisato che tra meno di due ore Stiles Stilinski verrà a farci visita! -

Immediatamente tutti cominciano a bisbigliare e anche io spalanco gli occhi, stupito e anche un po' eccitato.

Ovviamente so chi è Stiles Stilinski. Cioè, non l'ho mai visto, ma è praticamente una leggenda qui dove lavoro.

E' il fondatore dell'intera azienda e il bello è che ha ideato lo slogan “oh my God, that's great!” quando era giovanissimo e frequentava il liceo di Beacon Hills con Scott McCall, il suo migliore amico e cofondatore.

Le merendine che produciamo vanno fortissimo tra i giovani, come ogni prodotto ideato da lui.

E' un genio della pubblicità, un miliardario appena trentenne.

E sta venendo qui.

Qui, nella filiale di New York.

Mio. Dio.

Immediatamente si scatena il panico.

Chris urla istruzioni a destra e a manca, Erica si mette il lucidalabbra, io mi precipito a staccare la fotocopia del mio sedere dalla parete.

Non faccio in tempo a staccare la prima puntina che Chris mi chiama.

-Derek. Devo parlarti. Nel mio ufficio. -

Oh oh.

Il suo sguardo non promette niente di buono. Ora sì che ha lo sguardo di quando uno di noi lo fa incazzare. Lo seguo nervosamente nel suo ufficio, già consapevole di cosa debba dirmi.

E' il mio primo giorno di lavoro da quando sono tornato dalla Scozia.

E, ecco, non è andata benissimo laggiù.

Chris si siede davanti a me, intrecciando le mani sul tavolo e lanciandomi una lunga occhiata. Mi dimeno un po' sulla sedia, maledicendomi per avere messo di nuovo quelle mutandine scomodissime.

-Milioni di dollari, Derek. Ti avevo affidato un affare da milioni di dollari. -

La delusione nella sua voce fa più male di una coltellata, di un ferro incandescente dritto negli occhi, della visione di Jackson con i bigodini.

Abbasso un po' gli occhi, mortificato.

Beh, almeno non sa di Greg.

-E per l'amor di Dio. Hai davvero vomitato sulle scarpe di Gregory Walsh? -

Quello spione bugiardo!

-Mi dispiace, Chris – dico finalmente, alzando lo sguardo e guardandolo implorante – So che potrei aver perso l'occasione di avere una promozione, ma... -

Chris scoppia a ridere, guardandomi come se non fossi vero.

-Potresti? Derek, l'unico modo in cui tu possa ottenere una promozione da me è uccidermi, e sperare che il tuo nuovo capo soffra di qualche malattia mentale. -

Boccheggio, guardandolo sconvolto.

Questa era davvero una cattiveria.

-Chris – mormoro sporgendomi verso di lui – Io ho bisogno di quella promozione. -

Chris spalanca le braccia, cominciando già a non prestarmi più attenzione.

-E io ho bisogno che tu non faccia cazzate quando ti affido un incarico importante, Derek. Ora puoi andare. E vedi di riordinare la tua scrivania per quando Stilinski sarà qui. E' sempre la più disordinata di tutte. -

Mi alzo, trattenendomi a malapena dal tirare un calcio alla sedia.

Sono furioso.

E ho voglia di piangere.

Sono furioso e ho voglia di piangere mentre mangio gelato e mando al diavolo il mondo.

Alla fine risolvo per prendere a calci solo la sedia della mia scrivania.

-Uh, qualcuno è stato sgridato da papà? - domanda Erica con un sorrisetto, mentre si guarda schifosamente compiaciuta nel suo specchietto.

La guardo, sorridendo fasullo.

-Erica, hai mai pensato che la tua pianta si stia suicidando pur di non stare con te? -

Erica mi getta un'occhiata al cianuro, che io ricambio senza alcun problema. Questa stronza.

In ogni caso, comincio di malavoglia a sistemare la mia scrivania, anche se penso in maniera ossessiva alla mia promozione mancata.

Ci tenevo. Ci tenevo ad entrare a casa per il compleanno di mamma gridando “indovinate chi ha la promozione, gente!”.

Invece anche quest'anno dovrò assistere inerte al Malia Hale Show.

Sto ancora cercando di far entrare tutti i miei numeri di people nel cassetto della mia scrivania, quando Francine si precipita nell'ufficio urlando “è qui! Stiles Stilinski è qui!”.

Il che non aiuta molto a tenere calmi gli animi.

Tutti corrono da una parte all'altra cercando di mettere a posto e mentre chiudo le pagine di “cucina dietetica per pigri che non vogliono stare veramente a dieta e amano il gelato” aperte sul pc, mi rendo conto che mi sono dimenticato di togliere la fotocopia del mio culo dalla parete.

Oh, pazienza.

In ogni caso non penserà mai che siano proprio le mie chiappe.

Indosso un perizoma. Penserà che sia il sedere di una ragazza, come tutti.

Sono in una botte di ferro.

-In posizione! - sibila Chris, sbucando dal suo ufficio.

Tutti quanti notiamo che si è cambiato e che indossa la cravatta invece che della solita polo sdrucita.

Mi siedo il più dritto possibile sulla mia scrivania, cercando di risultare professionale.

Forse è meglio se volto la tazza che mi ha regalato Isaac con scritto “il miglior migliore amico del mondo”.

Amo quella tazza, ma forse non è professionale.

Sentiamo la voce acuta di Nancy, il capo del mio capo, avvicinarsi dal corridoio e sappiamo che è questione di pochi attimi e ci ritroveremo faccia a faccia con Stiles Stilinski.

Mio Dio, spero solo di fargli una buona impressione.

Mi accontento anche solo di non fare figure di merda.

Ce la posso fare.

Nancy entra, fianco a fianco con un ragazzo vestito di tutto punto, gli occhi azzurri e i capelli castano chiaro.

Ha un sorriso leggermente da maniaco, ma penso tutto sommato che sia un bell'uomo. Deve essere Stiles Stilinski.

Ma poi succede una cosa che pensavo non sarebbe successa neanche nei miei incubi peggiori.

Il ragazzo in giacca e cravatta si sposta e dice “prego, signor Stilinski.”

E dietro di lui c'è un altro uomo.

Un uomo con un maglione sdrucito, i jeans larghi, l'aria tesa di chi non dorme da giorni e le occhiaie sotto gli occhi nocciola.

E mi sta fissando.

Tra tutti sta fissando proprio me.

Lo guardo, paralizzato.

E' lui.

E' Mr. Broncio.

Gesù santissimo.

E' il mio sconosciuto.

 

 

 

ANGOLINO

 

Spero che siate sopravvissuti a questo trash XD

Ce ne sarà molto, ma questa storia è stata scritta con l'intento di essere comica (anche se in alcuni punti mi è scappato un po' di angst, devo essere sincera), quindi spero che vi faccia ridere prima di tutto <3

E' dedicata alle mie cicce, a Giuls, che tra qualche giorno compie gli anni e che spero apprezzerà questa cosa come una sorta di regalo, e a Rach, che mi ha fatto scoprire il libro della Kinsella e che per questo ringrazio <3

Vi voglio tantissimo bene e se questa storia riesce a non fare schifo a voi, per me va bene così <3

Grazie a chiunque abbia letto <3

Un bacione grande,

Fede <3

  
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