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Autore: _Lisbeth_    16/02/2019    7 recensioni
Maylor (Brian May/Roger Taylor)
1969/1988
Dal primo capitolo:
- Roger, ti sei mai preoccupato per i sentimenti di qualcuno che non sia Tim? – lo interruppe Brian, calmo. Tranquillo, anche troppo, ma il suo cuore era sprofondato. Non riusciva più ad ascoltare le sue parole, le sue urla, i suoi attacchi e le autocommiserazioni. Per lui importava solo Tim. Era solo, lo aveva appena detto. Solo, senza Tim. E lui cos’era, allora?
Il ragazzo dagli occhi azzurri socchiuse la bocca, fermandosi. Deglutì. – Io… sì. Che razza di…
Brian gli si avvicinò, guardandolo negli occhi, toccandogli leggermente il petto con un dito magro. – Io invece penso proprio di no.
Lo scansò prendendolo per le spalle, facendosi spazio dietro di lui, uscendo dalla camera e chiudendo delicatamente la porta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 11 - You now desert me
 
Roger si portò la sigaretta alle labbra, accendendola e aspirando, lasciando che l’estremità si illuminasse. Sentì la gola bruciare leggermente e la sensazione del fumo che gli riempiva i polmoni. Si grattò la tempia, allontanando la sigaretta sul posacenere e buttando fuori l’aria mista al tabacco. Roger amava fumare. Lo faceva in ogni momento e situazione. Quando era nervoso fumava, quando era emozionato fumava, quando era arrabbiato o giù fumava. Era la quinta sigaretta in un’ora. Il ragazzo di fronte a lui ghignò appena. – Vuoi mandarti a puttane i polmoni?
- Non sono cazzi tuoi e sicuramente non dovrebbero interessarti. – Roger aspirò ancora, puntando gli occhi azzurri in quelli del suo interlocutore. Tim Staffell, dopo due anni, non era cambiato di una virgola. E lui, ogni volta che lo guardava, sentiva la sensazione di una ferita che si apriva, che veniva lacerata e strappata da lunghe unghie affilate come coltelli. Espirò da un lato, schiudendo di poco le labbra. Tim fece un verso di scherno. – E dai, su. Voglio solo parlare.
- Dimmi che cazzo vuoi e falla finita. – disse Roger, secco. Tim sistemò meglio gli occhiali da sole e sorrise. – Come va con… I Queen?
Il biondo sollevò lo sguardo che aveva puntato sul posacenere, guardando il fumo della sua stessa sigaretta ancora accesa levarsi in aria. – Alla grande. Invece, per quarto riguarda te e la tua piccola band del cazzo, mi pare che non ve la stiate cavando bene.
Staffell strinse le labbra, sistemandosi meglio sulla sedia. – Quanto sei cambiato, Roger Meddows Taylor. Non sembri proprio il ragazzino rompicoglioni con la scodella in testa che eri. Devo dire che questi capelli ti rendono più adatto ad una rock band.
- Sono sempre stato molto più adatto di te ad una rock band. Infatti, come vedi, i Queen stanno facendo già parecchia strada anche senza un bassista fisso.
- Merito di Freddie Bulsara. – Tim incrociò le braccia, mentre Roger chiudeva gli occhi, respirando profondamente e cercando di non saltargli al collo e strangolarlo. – Ripeto, che cazzo vuoi?
- Solo parlare con un vecchio amico.
- Non sono tuo amico.
- Sai, conosco un bassista che non è per niente male, qui.
- Non me ne frega niente di chi cazzo conosci.
- Dimentichi che hai conosciuto Farrokh per merito mio.
Roger scosse la testa, alzando il dito indice e muovendolo a destra e a sinistra. – L’ho conosciuto perché una sera, in cui stavo di merda perché tu avevi fatto la testa di cazzo con me e Brian, sono andato a devastarmi in una discoteca e l’ho incontrato. Non me lo ha presentato nessuno.
- Oh, Brian. Brian May. Come sta, l’osservatore del Cosmo?
- Non ti riguarda. 
- Certo che hai proprio bisogno di scopare, eh? – Tim si avvicinò a lui, abbozzando un ghigno di sfida. – Calmati, biondino. Mi sto solo interessando della noiosa vita di un figlio di puttana montato e pieno di sé. “Io studio astrofisica, suono tre strumenti e sono l’uomo più riflessivo e intelligente del cazzo di mondo. Macché mondo, Universo!” – sputò sul pavimento.
Roger rimase immobile. Fissò la saliva che si era appiattita sul pavimento, con il cuore che bolliva di rabbia, ira smisurata che gli avrebbe permesso di dar fuoco a una casa. Strinse i pugni. Brian. Brian era l’unica cosa che nessuno poteva toccargli.
Alzò gli occhi azzurri, puntandoli in quelli dell’altro ragazzo, gelidi e affilati come fredde lame. Gli afferrò il colletto della camicia, fissandolo e stringendo forte la stoffa bianca. Vide Staffell fissarlo, a occhi spalancati sotto gli occhiali da sole.
- Ripeti quello che hai detto. Immediatamente.
- Che te ne frega? Dopotutto, May ti ha spezzato il cuore, una volta.
Roger sentì il cuore fermarsi. Tirò più forte il colletto, facendo gemere il ragazzo. – Queste sono cose di cui tu non devi e non dovresti sapere un cazzo.
- E’ un figlio di puttana. Lo sai anche tu.
Il biondo sollevò il braccio, caricando il pugno e facendo sussultare Tim. Respirò profondamente. Chiuse gli occhi, abbassando la mano e fissando il ragazzo più grande. – Prova, solo un’altra volta, a dire una cosa del genere nei confronti di Brian davanti a me, e io ti giuro che ti uccido.
 

 
- Porca puttana!
Brian si massaggiò le tempie, sospirando e sperando che quel momento terminasse prima possibile. – Buongiorno anche a te, Fred.
- No, tesoro, buongiorno un cazzo! – esclamò il cantante, buttando all’aria una padella che Brian vide schiantarsi al suolo prima di poterla salvare. Il chitarrista sospirò, prendendosi la testa tra le mani. – Dio, perché?
- Qualcuno mi ha fottuto le sigarette!
- Che fortuna.
Freddie si girò verso Brian, arricciando le labbra e mettendo le mani sui fianchi. – Sì, certo. Fai come se niente fosse. Non aiutarmi, per carità!
- Fred, sono le sette del mattino.
- Appunto! Una delle persone che mi ha soffiato il pacco di sigarette sta dormendo! Tu non fumi, Deaky e Roger sì. Quindi, se si svegliano, è una mia vendetta.
Brian sospirò, coprendosi gli occhi con una mano cercando di non perdere la pazienza. – Freddie, Cristo. Non urlare. Ho mal di testa.
- Preso qualche pasticca?
- No.
- Bevuto troppo?
- Mi spieghi come faccio a bere, se gli alcolici ve li scolate tu e Roger?
- Magari sei andato a qualche festino gay.
Brian si stropicciò un occhio, scuotendo la testa. – Ti sembro uno che va ai festini gay? Di mercoledì sera?
- Senti, che cazzo ne so? Hai ventisei anni, puoi concederti qualunque cosa. E poi, dopo averti visto fare la laringoscopia a Roger nel ’69, su quel divanetto, non mi sembri tanto casto.
Quella era l’ultima cosa che Brian, dopo quattro anni, si sarebbe aspettato di sentire. Puntò gli occhi sulla tazza che aveva davanti a sé, spalancandoli. Il suo viso sembrava esser diventato una caldaia. – Tu… Tu come diavolo…
- Era pur sempre la mia festa!
Il giovane chitarrista voleva scomparire. Certo, di quella serata non ricordava assolutamente niente, perciò sapeva appena cosa, realmente, lui e il suo attuale ragazzo avessero fatto, su quel divano. Stava arrivando all’apice della follia. Stava letteralmente impazzendo.
Chiuse gli occhi, giungendo le mani davanti al naso e sospirando appena. – Io… Ma perché cazzo non me lo hai mai detto?
- Non si viola la privacy degli amici. – Freddie aprì il frigorifero, ci guardò all’interno e lo richiuse.
- Che cavolo fai? – gli fece il minore. Il cantante scosse la testa. – Niente. Nemmeno qui.
- Ora mi spieghi quale genere di idiota metterebbe delle sigarette in un frigorifero.
- Dovevo pur tentare. – sbuffò. - Deacy non mi ruberebbe mai le sigarette, ne sono convinto. E’ stato quella locomotiva del tuo ragazzo.
- Si può sapere che vi prende? Io volevo dormire, ma non ho potuto perché state urlando come delle galline! – esclamò un bassista evidentemente contrariato appoggiato sulla posta, mentre si stropicciava un occhio. Brian fece un sonoro sospiro. – Scusa, John.
Freddie, dal suo canto, si alzò dallo sgabello su cui si era seduto, dirigendosi verso il più piccolo nella stanza e iniziando a tastargli i fianchi e le gambe. John aggrottò la fronte, confuso e leggermente inquietato dall’atteggiamento dell’amico. – Che stai facendo, Fred?
- Ti perquisisco.
- I pigiami non hanno nemmeno le tasche!
- Ora ti metti anche tu a fare il pignolo come Brian May?
Brian sbuffò.
John alzò gli occhi al cielo, tirando uno schiaffo sulla mano di Freddie. – Non serve una laurea per sapere che non mi servono tasche quando dormo!
 - Vaffanculo, vi odio! Odio te, odio quello là –, indicò il povero chitarrista chino sulle sue stesse braccia incrociate. – e odio anche quell’ameba che sta dormendo come se non avesse commesso un furto!
- No! – sbottò Brian, saltando in piedi e sbattendo entrambe le mani violentemente sul tavolo su cui stava mangiando, facendo tremare le tazze e i bicchieri che ci erano appoggiati. – Io! Sono io che vi odio! Cristo, ho mal di testa, non ho dormito per un cazzo perché quel deficiente russa come una lavastoviglie e voi, a prima mattina, vi mettete a giocare a guardie e ladri come dei bambini di cinque anni!
John sbatté le ciglia, restando immobile mentre il più grande tra i tre fissava il riccio come se fosse pazzo.
- Tesoro, se continui così ti verrà un infarto. – osservò, mentre Brian spalancava gli occhi, incredulo davanti a quella situazione che gli stava dando non poco fastidio. – Questo è tutto quello che hai fottutamente da dirmi?!
I tre videro la porta sbattere violentemente contro il muro, notando che chi in quel momento la teneva era il ragazzo biondo che, occhi spalancati e capelli ritti sopra la testa, stava poco prima dormendo in santa pace. John sorrise. – Rog!
- Ma che cazzo di problemi affliggono le vostre teste di merda? – sbottò il batterista, stringendo i pugni e allargando le braccia.
- Tira fuori le mie sigarette! - si intromise Freddie.
- Vedi di non rompermi il cazzo e stai zitto.
- Certo che scopare ti rincoglionisce seriamente!
- E’ quello che ho detto anche io ieri. – disse John, sedendosi affianco a Brian, che ormai stava ansimando e sembrava essere intenzionato a far esplodere la cucina.
- Ma tu che cazzo ne sai? – ribatté Roger.
- Ho vinto una scommessa, tesoro, ci arrivi alle cose?
- Ma vaffanculo. – il biondo sbuffò, buttandosi sulla poltroncina in vimini accanto al frigorifero.
- Ridammi le sigarette.
- Le ho finite.
Freddie assottigliò lo sguardo. – Brutto figlio di…
La frase del cantante fu interrotta dal rumore dei piccoli cristalli che s’infrangevano sul pavimento di legno. Il batterista si voltò di scatto, vedendo il suo ragazzo con una mano sospesa per aria, mentre ai suoi piedi una povera boccia di vetro si era frantumata in mille piccoli pezzi. John portò le mani alle labbra, scuotendo la testa. – Le mie proprietà!
Brian fissava entrambi con gli occhi strabuzzati, la bocca contratta in un’espressione omicida e il petto che si alzava e si abbassava velocemente, mentre il fiato filtrava veloce dalle narici dilatate.
- Dovresti fare un corso per la gestione della rabbia. – osservò Roger, portandosi una mano al cuore.
L’urlo esasperato del chitarrista lo sentì tutto il quartiere.
 

 
John Deacon non sembrava sentirsi esattamente a suo agio, in quel momento. Sembrava… Confuso? Semplicemente, sul suo viso e nei suoi occhi era dipinta un’espressione di puro disagio. C’era un ragazzo strano, biondo, che sembrava essere di uno o un paio d’anni più vecchio di lui. Un amico in comune gli aveva detto che i Queen cercavano un bassista, perciò aveva pensato che, forse, valeva la pena tentare.
Solo che Roger Taylor non gli sembrava esattamente una persona con tutte le rotelle a posto. Su questo non ci pioveva.
Era arrivato da lui tenendo una birra nella mano destra, sorridendo a trentadue denti.
I vestiti che indossava erano assurdi. Aveva un camicione lungo e bianco, con le maniche ampie e i polsi colorati che, al contrario, sembravano essere talmente stretti da potergli far esplodere entrambe le mani e la bottiglia di birra.
I pantaloni che gli avvolgevano quegli stecchini che aveva come gambe erano talmente colorati e luccicanti che risaltavano persino nel buio della stanza.
Il ragazzo era più basso di lui, i capelli biondi erano disordinati in cima alla testa e gli occhi erano talmente grandi che a John non parevano quasi reali.
- Sono Roger! – esclamò il ragazzo, allungando la mano libera nella sua direzione. – Roger Meddows Taylor! Il batterista dei Queen. Tu devi essere John!
Il bassista annuì, stringendogli la mano con la sua, non restando affatto sorpreso dalla forza e dalla decisione che ci mise Roger nel ricambiare. Gli avevano parlato, di Roger Taylor. Dicevano tutti fosse un tipo un po’ strano e, a volte, forse anche un po’… Ambiguo. Una ragazza gli aveva parlato di una volta in cui, alle superiori, che lei frequentava assieme al batterista, quest’ultimo l’aveva per sbaglio urtata con il braccio e subito dopo, girandosi verso di lei senza nemmeno scusarsi, le aveva detto “Ehi, la nostra pelle ha appena fatto sesso”. Poi aveva roteato gli occhi dietro alle palpebre, picchiettandosi il braccio con le dita e restando lì, fermo. Questo la diceva abbastanza lunga.
- Sì, sono io. Molto pia…
- Piacere mio! – lo precedette Roger, lasciando cadere la birra per terra senza nemmeno farlo apposta. John sussultò appena. Il biondo scosse la testa, battendosi la fronte con la mano. – Certo che sono proprio un coglione.
John sorrise appena, divertito. – Non ci sono, il chitarrista e il solista?
Roger fece una smorfia. – Ah, Freddie è rimasto a casa. – sollevò le spalle. – Ha fatto indigestione dopo aver mangiato, per sbaglio, cibo per gatti. – poi cambiò espressione. Sembrava leggermente infastidito, anche leggermente nervoso. – E io e Brian non andiamo esattamente d’accordo.
Il più piccolo alzò le sopracciglia. Aveva sempre creduto che, in una band, dovessero regnare la comprensione reciproca e una grande intesa, tra i membri. Eppure, l’affermazione del batterista aveva fatto intendere l’esatto contrario. Non volle intromettersi, tutta via.
– Ma è qui, Brian? – chiese soltanto, interessato a conoscere il giovane chitarrista. Gli avevano parlato di lui descrivendolo come una specie di genio. Studiava fisica e astrofisica, era un polistrumentista, secondo le voci che aveva sentito. Roger sollevò le spalle. – Sì. Forse si starà già scopando qualcuno che nemmeno gli piace.
Il bassista aggrottò la fronte. – Eh?
- No, niente. – il biondo si grattò una tempia. – Vuoi che te lo chiami?
Il tono era acido e leggermente infastidito, non più allegro ed entusiasta. John annuì comunque. Vide Roger muovere un po’ la testa, per poi allontanarsi e sparire, piano piano, tra la folla.
Roger cercò Brian ovunque, anche nei bagni. Sbuffò quando, dopo svariati tentativi, non trovò nessuno. Si avvicinò ad un ragazzo che stava prendendo della vodka al bancone. – Scusa, hai visto un coglione?
Il poveretto interpellato aggrottò la fronte. – Hai sbagliato persona, credo.
- No, non sono così fatto. Sto parlando con te. Hai visto un coglione?
- Non so di chi tu stia parlando.
- Oh, ma andiamo! – sbuffò il biondo. – E’ alto così – alzò una mano fin sopra la sua testa. – Ha la faccia da coglione, i capelli da coglione e degli zoccoli da coglione.
- Ti rendi conto che se me lo descrivi così io non sappia risponderti, no?
Il giovane batterista si morse la lingua. Scrollò le spalle. – Capelli ricci, occhi castani. Faccia da chi si crede Gesù Cristo. Magro, con un naso di merda.
- E…?
- Ma che cazzo, qua dentro sono tutti rincoglioniti!
- Com’era vestito?
- Come un coglione.
- Come si veste, un coglione?
- Camicia bianca, pantaloni neri a zampa d’elefante. Zoccoli, cazzo. Ci sarà una sola persona con dei cazzo di zoccoli, qua dentro.
- Oh. – il ragazzo con la vodka guardò alle spalle di Roger. – E’ dietro di te.
Il biondo si voltò. Vide Brian parlare con il ragazzo al bancone e deglutì. Le luci della discoteca facevano sembrare il suo sorriso ancora più luminoso. Lo vide girarsi verso di lui. – Rog.
- Ehi, coglione.
Il riccio sospirò. – Per quanto ancora dovrai…
- C’è John Deacon che vuole parlarti.
Brian socchiuse appena la bocca. Annuì, interessato dal discorso di Roger. – Dov’è?
- E’ lì, infondo. Non puoi sbagliarti. Ha la faccia di uno che qua c’è solo perché ce lo hanno trascinato. – il batterista alzò le spalle. – Però non saprei da chi, perché era da solo.  E’ alto e ha dei capelli di merda. Ma che comunque restano meno di merda dei tuoi. Lunghi, mossi, castani.
Brian assottigliò lo sguardo, cercando di distinguere qualcuno di almeno vagamente simile alla descrizione di Roger, per quanto fosse possibile. Vide un ragazzo appoggiato ad una parete, che sembrava cercare qualcuno con lo sguardo. Si guardò il polso, sul quale teneva un orologio. Sospirò, battendo piano il piede per terra e infilando le mani in tasca. Lo indicò a Roger. – E’ quello là?
Il batterista mise entrambe le mani ai lati degli occhi azzurri, stringendoli leggermente. – Boh, non vedo un cazzo.
- Quando ti deciderai a mettere degli occhiali?
- Senti, fammi la cortesia, non rompermi tanto le palle che sono già girate. Comunque sì, è lui.
Brian scese dallo sgabello su cui era seduto, dirigendosi verso il ragazzo in questione, mentre girandosi poteva distinguere Roger importunare un ragazzo con un bicchiere di vodka tra le mani. Sospirò. Sebbene fossero quasi sempre a contatto, era come se non si conoscessero nemmeno. Gli aveva anche chiesto un passaggio in macchina, quella sera, e stranamente il biondo non aveva rifiutato di accompagnarlo. Quella situazione stava iniziando a farlo star male anche a livello fisico. Era talmente stressato che non dormiva da giorni.
Vide il volto di John Deacon illuminarsi, una volta che gli fu davanti e gli sorrise. – Ciao, tu devi essere il bassista, giusto?
Vide il ragazzo annuire e lo salutò con una salda stretta di mano. – Scusami se ti abbiamo fatto aspettare. Sono Brian.
- Sì, lo so.
Il chitarrista mise le mani in tasca, drizzando la schiena. – Ci è davvero impossibile, trovare un bassista. Ci fa piacere che tu sia interessato.
- Eppure ci sono tanti bassisti molto bravi, qui a Londra. – osservò Deacon. Brian sollevò le spalle. – Sì, è vero. Il fatto è che nessuno ci ha mai convinti. Se suonavano bene, non avevano personalità. E se avevano personalità, erano un disastro a suonare.
John sorrise, timidamente. Lo turbò vedere Roger Taylor bere da una bottiglia di birra a testa in giù sul divano. – Ecco… Potrei fare un’audizione, o qualcosa così, credo.
Vide il chitarrista annuire. – Se sei interessato, senz’altro. Ora dobbiamo solo fissare l’appun… - il ragazzo guardò nella stessa direzione in cui era rivolto lo sguardo del bassista. – Credo che Roger sia appena svenuto.
 

 
Le dolci note del pianoforte risuonavano delicate nella stanza, mentre il ragazzo seduto sullo sgabello si concentrava al massimo per farle risultare orecchiabili e assonanti. Appoggiò delicatamente il pollice, il medio e il mignolo della mano sinistra rispettivamente sul Do, poi sul Mi bemolle e sul Sol contemporaneamente mentre con la destra suonava un lento e leggero arpeggio. Respirò profondamente, spostando le mani, per poi farle rimanere sospese per aria sussultando.
- Certo che non esiste cosa che ti riesca male.
Brian si girò lentamente verso la fonte della voce che gli aveva fatto prendere un infarto, alzando le sopracciglia quando vide il suo ragazzo appoggiato allo stipite della porta alle sue spalle, con un sorrisetto soddisfatto sul volto. Vide Roger avvicinarsi a lui e sedersi sul divano che era sistemato accanto al pianoforte, prendendosi il mento tra le mani. – Hai calmato un po’ i tuoi bollenti spiriti, Ludwig?
- Siete due teste di cazzo. E poi starei cercando di concentrarmi.
Roger inclinò la testa da un lato. – Ti do fastidio? – chiese, fissandolo con gli occhi azzurri che gli fecero per un attimo fermare il cuore. Brian sospirò. – Sei veramente pesante.
Il biondo si puntò un dito contro il petto. – Io?
- Esatto.
Roger alzò gli occhi. – Ma senti tu da che cazzo di pulpito viene la predica.
Brian lo ignorò, continuando a concentrarsi sullo spartito. Non poté nemmeno leggere una nota che sentì delle calde labbra appoggiarsi sul proprio collo, mentre delle piccole mani gli accarezzavano i ricci. E mica si limitò a quello. Il ragazzo scese sulle sue clavicole, facendogli buttare la testa all’indietro mentre chiudeva gli occhi e schiudeva le labbra. Brian cercò di spingere via il ragazzo, ma quella testa di cazzo continuava, imperterrito, a mordicchiargli la pelle nivea e sensibile. Si odiò quando si fece sfuggire un gemito. – E che cazzo… - mormorò.
Roger si mosse repentinamente, finendo affianco a lui sullo sgabello e guardandolo con un sorriso stampato in volto e gli occhi azzurri che lo scrutavano come quelli di un bambino. Quando faceva così lo detestava. Roger sapeva che, con Brian, se avesse fatto quello sguardo, avrebbe potuto ottenere qualsiasi cosa. – Che cosa suoni?
- Sto provando a comporre qualcosa di decente.
- Per cosa?
- Per la base di White Queen.
Roger guardò i tasti bianchi e neri del pianoforte, inclinando la testa da un lato e appoggiando l’indice su uno di essi, facendo risuonare un Re minore nella stanza. – Sarei totalmente incapace.
- A fare che cosa?
- A suonare il piano.
Brian sorrise. – E cos’è, esattamente, che te lo fa pensare?
Il biondo alzò le spalle. – Spaccherei i tasti.
Il riccio rise appena. – E’ probabile. Ma ci sono tanti pezzi che potresti suonare, con la tua energia. Sicuramente pezzi in scala maggiore.
- E quelli in scala minore no?
- Se non gradisci i pezzi tristi e malinconici, non penso possa piacerti suonare in scala minore.
Il batterista aggrottò la fronte. – Scusa, e chi ti dice che non mi piacciano?
- Il fatto che quando suono tu dica sempre “Che palle”.
- No, quello lo dicevo quando mi stavi sul cazzo. Per farti sentire una merda noiosa.
- Mi spiace, hai fallito nell’intento.
Roger alzò un sopracciglio. – No, non credo proprio.
Brian gli lasciò un piccolo bacio sulla guancia, guardandolo. – Secondo me ci sono delle composizioni che si adattano molto ad ogni persona, in base al carattere e alla personalità che la contraddistinguono.
Il biondo guardò Brian con gli occhi curiosi di un bambino, appoggiando le dita sui tasti e suonando un La con un Re diesis, creando una dissonanza che fece storcere il naso a entrambi. Roger alzò gli occhi sul riccio. – A quale pezzo mi paragoneresti?
Il chitarrista assottigliò lo sguardo e arricciò le labbra, alzando la testa pensieroso. Poi si girò verso di lui e gli accarezzò una guancia. – Alla marcia di Radetzky.  
Roger sorrise. – Ah sì?
Brian annuì. – Sì. E’ energica, veloce e ci sono un sacco di staccati.
- Lo staccato sarebbe questo? – il minore posizionò le dita sulla tastiera, appoggiandocele appena per poi sollevarle subito. Il riccio sorrise. – Sì.
- Presi lezioni di pianoforte, una volta. Però non mi piaceva. E l’insegnante diceva che sbattevo troppo forte le dita sui tasti.
Brian aggrottò la fronte. – Secondo me non saresti male. Si tratta solo di usare un po’ più di leggerezza e applicare meno pressione sui tasti. Certo, se ti accanisci sulla tastiera non risulterà un bel suono. Però io dico che tu saresti adatto esattamente come lo sono io.
Roger alzò le spalle. – Tu sei più pacato e più delicato di me. La leggerezza fa parte della tua indole. Tu… - il biondo guardò il suo ragazzo. – Tu saresti paragonabile a “Fantasie Impromptu” di Chopin.
Brian sorrise, lasciando un bacio delicato sulle labbra del batterista. Il biondo incurvò leggermente le spalle. – Mi insegni qualche regola?
- Be’, non sono un insegnante, però posso provare. Tanto, sono sicuro che in poche ore saresti capace di suonare meglio di me.
Roger alzò gli occhi al cielo. Il chitarrista gli prese delicatamente le mani tra le sue, appoggiandole sul pianoforte e sollevandole leggermente dal palmo. – Devi tenerle così, come se avessi tra le mani un’arancia. No, non così, non la stai spremendo, l’arancia. Più leggere. Ecco, esatto.
Il biondo guardò le dita di Brian appoggiate sulle sue, per poi rivolgere lo sguardo verso il riccio. Il ragazzo gli lasciò le mani. – Sai riconoscere le note?
- Ah, be’, credo di sì. – Roger appoggiò un dito sul Do centrale. Poi sul Re, sul Mi, sul Fa. Concluse la scala buttando giù il tasto del Si, pronunciando ogni volta la nota che suonava.
- Perfetto. Questa è la scala di Do Maggiore. E’ senza alterazioni e ha un carattere allegro e una tonalità vivace.
- Quella di Do Minore come sarebbe?
- Le uniche differenze si trovano nelle alterazioni. Il Mi è bemolle quando la scala sale, quando scende i bemolle sono anche il Si e il La.
Roger arricciò le labbra. – E il bemolle sarebbe il tasto nero a destra della nota?
- No. E’ quello a sinistra. Quello a destra è il diesis. – suonò il tasto corrispondente alla nota precedentemente citata. – Il bemolle e il diesis sono dei semitoni. Tra i tasti bianchi c’è un tono, tra i tasti bianchi e quelli neri c’è, appunto, il semitono. Per questo, il Mi bemolle corrisponde al Re diesis.
Il biondo annuì.
- Prova a suonare la scala di Do Minore. – fece Brian.
Roger azzeccò tutte le note al primo colpo. Il riccio sorrise, accarezzandogli le mani ancora posizionate sulla tastiera e baciandogli la fronte. – La tua insegnante non capiva assolutamente un cazzo.
- No, infatti. – il batterista si alzò dallo sgabello su cui era seduto, prendendo la mano di Brian e facendo scendere anche lui, attirandolo a sé. Brian si abbassò leggermente, afferrando i fianchi del biondo e lasciandogli un bacio sulle labbra. – Sono fiero di te. Della tua intelligenza e della tua curiosità. Però resta il fatto che sei fastidioso e non mi hai fatto finire la mia canzone.
- Così mi monto la testa.
- Per un paio di complimenti?
- No, perché sono riuscito a darti fastidio.
Brian sorrise, alzando gli occhi al cielo e stringendolo a sé, appoggiando il mento sulla testa bionda del ragazzo, mentre Roger canticchiava, leggermente, quasi sotto voce, la melodia di “Fantasie Impromptu” di Chopin.
 
   
 
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