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Autore: lady lina 77    17/02/2019    5 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La varicella era arrivata dopo dieci giorni in casa Boscawen, colpendo tre dei quattro bimbi che vi vivevano. Solo Demian era stato esentato e miracolosamente, in quei giorni di malattia e serve col mal di schiena, era più visto e chiacchierone del solito.

E arrabbiato...

Perché i suoi fratelli avevano quei bellissimi puntini rossi su tutto il corpo e lui no e li voleva! Lui voleva sempre essere uguale ai suoi fratelli e soprattutto, non accettava che Daisy avesse la varicella e lui no! E Demelza aveva ovviato alla cosa dipingendogli sul faccino, ogni mattina, dei puntini rossi usando i pastelli a cera con cui il bimbo amava disegnare, a patto che la sera si facesse fare il bagno senza storie. E dopo questa operazione, eccitato e contento, Demian correva in camera dai fratelli per farsi vedere, pieno di orgoglio nell'essere come loro!

Per fortuna la varicella non fu presa in maniera violenta e la febbre, a parte una sera in cui divenne piuttosto alta per Daisy, non diede mai particolari preoccupazioni. La cosa più difficile era tenere però impegnati i bambini in quei giorni di immobilità in cui erano costretti a letto.

Demian era stato affidato alle cure di tata-Mary visto che Prudie era ancora convalescente per il problema alla schiena e Lord Falmouth aveva ceduto alle richiesta di farlo disegnare pure fuori dalla sua stanza da letto anche se poi se n'era pentito subito, visto che aveva scoperto il bambino che disegnava sulle pareti del salone da ballo principale, rischiando di finire in castigo a scrivere il suo nome come la sua gemella pochi giorni prima.

Il tempo divenne freddo e piovoso in quei giorni, era ormai autunno e Demelza trascorse le sue giornate cercando di intrattenere i bambini che si ritrovavano tutti in camera di Jeremy per trascorrere il tempo, lui da solo nel suo letto e le bambine insieme nel letto che avrebbe dovuto essere di Demian, se mai avesse deciso di dormire da solo.

Il figlio più grande si contava con orgoglio, ogni giorno, i puntini che aveva su pancia, gambe e braccia, annotando su un quaderno ogni variazione al tema, Clowance piangeva disperata pensando di rimanere sfigurata e maledicendo Gustav ogni due per tre mentre Daisy era come una bestiolina in gabbia che, appena cessata la febbre da cavallo, era difficile tener ferma.

"Mamma... ora che si fa?" - chiese Jeremy mentre lei riponeva un libro che aveva appena letto loro.

"Volete dormire un pò?".

"No, vogliamo fare l'albero di Natale!" - insistette Jeremy, di nuovo, mentre il suo cagnolino Fox gli faceva da eco, abbaiando allegramente mentre saltellava sul letto. "Dai, ti prego! E' autunno per davvero adesso, piove pure e fra poco avremo tanta nebbia! E papà sarebbe contento, amava gli alberi di Natale!".

"Sì dai mamma!" - insistette Clowance mentre accarezzava il pelo bianco di Queen, stesa accanto a lei sulle coperte. "Se vai a comprare gli addobbi nuovi, poi facciamo l'albero insieme. E mentre ti aspettiamo, riposiamo! Giuro!".

Daisy, seduta sulle sue gambe, la tirò la stoffa della manica. "Ce lo hai promesso. Mi hai promesso anche che in autunno andavamo allo zoo a comprare il mio orso!".

Demelza rise, baciandola sulla fronte. Nonostante la varicella, era e rimaneva una piccola e furba canaglia. "Piccola orsetta, non ti ho mai promesso nulla del genere! Ti ho promesso solo che saremmo andati allo zoo a VEDERE gli orsi! Ci andremo, appena sarai guarita".

"E gli addobbi?" - insistette di nuovo Jeremy.

Demelza sorrise, in fondo perché no? Ci tenevano tanto e quel rito che ormai si ripeteva ogni anno, rendeva lei e i bambini uniti nella costruzione di una favola e l'idea di passare le serate successive con loro accanto all'abete addobbato, sorseggiando cioccolata calda e raccontandosi storie davanti al camino, metteva di buon umore anche lei. "Dormirete, mentre esco a comprare gli addobbi?".

I tre bimbi annuirono, eccitati e contenti. "SIIIIIII!!!".

Demelza mise Daisy sul letto, rimboccandole le coperte. "E allora, aspettatemi quì e dormite un pò! Esco, compro una montagna di addobbi bellissimi e poi quando torno, tiriamo fuori dalla soffitta le sfere di vetro colorato e rendiamo questa casa, una vera casa di Natale".

Gli occhi dei bimbi brillarono dalla contentezza. E lei sentì il cuore gonfiarsi di gioia...

Li mise a letto e poi, dopo aver indossato un caldo mantello di lana verde, chiese a un domestico di procurare un grosso abete da mettere nel salone, predispose la servitù affinché preparasse l'occorrente e infine uscì di casa, decisa a fare una passeggiata fino al vicino negozio di addobbi dove si riforniva ogni anno.

Pioveva, ma trovò la passeggiata piacevole e quando giunse alla sua meta, comprò ogni cosa attirasse la sua attenzione e tutto ciò che ai bambini sarebbe piaciuto. Poi, dopo aver pagato e chiesto di recapitare a casa sua gli oggetti più pesanti, con due grosse borse piene di decorazioni, uscì per fare due passi e vedere se trovava qualcos'altro in giro.

E fu allora che, di nuovo, il destino la fece quasi scontrare con Ross. Letteralmente, all'angolo fra due vie, per poco non rischiarono di darsi una sonora testata.

Doveva essere una maledizione quella, pensò sconsolata.

Demelza lo guardò spalancando gli occhi, lui fece altrettanto, evidentemente sorpreso quanto lei di trovarsi in giro in un pomeriggio di pioggia. Il mondo era davvero un posto piccolo... E ancor più lo era il centro di Londra, evidentemente...

"Demelza?".

"Ross?". Demelza lo osservò, accorgendosi subito che era pallido e preoccupato. "Che ci fai quì? Stai venendo a casa mia per vedere Lord Falmouth?". Non era usuale vederlo da quelle parti e di solito l'aveva incontrato lì solo quando si era recato a casa sua per delle visite di lavoro. Ma quel pomeriggio Falmouth era fuori Londra per degli affari e quindi...?

"No... No, sono stato a cercare il dottor Wilson ma purtroppo il suo studio è già chiuso e sto tornando a casa".

Demelza sentì una strana ansia attanagliarle lo stomaco. Ansia che non voleva provare, accidenti! "Stai male?".

Lui sembrò in imbarazzo, davanti a quella domanda. "No, non io" – rispose, frettolosamente, come a voler tagliare quel discorso.

"Un tuo servo?".

Ross sospirò. "No, mio figlio. Ha la febbre e dolori forti alle gambe e continua a piangere. Scusa, non voglio annoiarti con queste cose".

Demelza avvertì in lui una sorta di ritrosia a parlare di Valentine e apprezzò che volesse in un certo senso proteggerla dalla presenza di quel bambino che tanto aveva influito sulla sua vita. Ma si sentì di tranquillizzarlo, almeno su questo. "Mi dispiace. Purtroppo il dottor Wilson fa orari di visita risicati e anche io in questi giorni son stata costretta a rivolgermi a lui per necessità visto che il mio medico di fiducia è fuori città, e ho fatto fatica a trovarlo".

A questo punto anche Ross parve preoccupato. "Sei stata malata?".

Lei sospirò, alzando gli occhi al cielo. "Gustav... E la varicella...".

Ross spalancò gli occhi. "Ha contagiato qualcuno?".

"Jeremy, Clowance e Daisy".

Lui parve andare in ansia a quella notizia. "Jeremy e Clowance?! Come stanno adesso?".

Demelza si irrigidì, non voleva che lui chiedesse di loro. Non era necessario, non ci era abituata e non desiderava che sapesse più del necessario delle loro vite. "Stanno bene, sono in via di guarigione" – disse, frettolosamente. "Scusa, ma non sono abituata a parlare dei bambini con...".

"Con?".

"Con qualcuno che non fa parte della famiglia" – rispose. Sapeva di fargli male ma Ross non aveva mai fatto parte della vita dei bambini e anche a Nampara non si era mai preoccupato per Jeremy, quindi era assolutamente inutile che fingesse di farlo ora per farle piacere.

Ross assunse un'aria colpevole e fu come se percepisse i suoi pensieri. "Scusa, non volevo essere invadente ma loro sono...".

"Sono a casa, accuditi e tranquilli! Va tutto bene" – decise infine di dire, per rassicurarlo ma soprattutto per chiudere il discorso.

Ross cercò di sforzarsi di apparire sereno e di assecondarla. "Pure Daisy? Pure quella piccola peste è ammalata?" - chiese, per smorzare la tensione.

Demelza sorrise dolcemente a quella domanda. "Daisy è tremenda ma, assieme a Jeremy, è per ora la più delicata di salute. Clowance e Demian invece sono due rocce, difficilmente si ammalano e se lo fanno, guariscono prima degli altri".

Ross rispose al sorriso, anche se sul suo viso comparve una smorfia di dolore. "Jeremy ha problemi di salute?".

"No, certo che no! Ma è quello che, semplicemente, si becca più facilmente raffreddori e mal di gola! Niente di grave, crescendo si rinforzerà. Era così anche a Nampara".

Ross abbassò lo sguardo. "Non lo ricordo... Non ricordo che si sia mai ammalato".

E a quel punto, per un attimo, il gelo calò su di loro. E a Demelza venne voglia di fargli del male, ricordando il passato che li aveva divisi. "Non lo ricordi perché non c'eri mai e se c'eri, non lo degnavi di uno sguardo. Non ti importava molto di lui e l'unico bambino che avevi a cuore, non viveva a Nampara".

Come punto sul vivo, Ross alzò lo sguardo su di lei, penetrando i suoi occhi azzurri coi suoi, scuri come la pece. "Non è così... Se solo mi lasciassi spiegare...".

"No, non voglio!" - lo stoppò lei, colpita dal tono doloroso e colpevole della sua voce. "Non ha più importanza ora, scusami per averne parlato". Non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe dovuto cedere alla tentazione di rinfacciargli quanto fosse stato anaffettivo e disinteressato verso Jeremy, non aveva più senso ormai ed erano discorsi pericolosi quelli, fra loro. Da evitare.

Ross annuì, ferito. Abbassò lo sguardo e fissò le borse che portava fra le mani. "Cosa sono? Vuoi una mano a portarle?".

"No, non sono pesanti, son solo addobbi di Natale per i bambini. Non so come tenerli tranquilli e quindi ho ceduto al loro desiderio di decorare la casa per le prossime festività, già adesso".

Ross annuì. "Beh, sono sicuro che vi divertirete e ne uscirà qualcosa di bello anche se, onestamente, non ho idea di cosa abbiate in mente".

Demelza, vedendolo così confuso, rise. Nonostante tutto, riuscì a trovarlo buffo... In effetti in pochi conoscevano le tradizioni natalizie dei regni di Germania che le aveva insegnato Hugh e che erano diventate una tradizione a casa sua ed era normale che Ross non sapesse di cosa stesse parlando. "Ah, ho in mente cose grandiose per questo Natale! Ormai sono diventata un'esperta di questa festa".

Ross le sorrise, capendo che non voleva parlare d'altro che del presente e che forse per ora era meglio così. Non era pronta... "Beh, ti lascio alle tue faccende. Torno a casa e vedo che posso fare per passare in maniera decente la notte".

Demelza lo guardò, pensierosa. Non avrebbe dovuto preoccuparsene, non erano affari suoi, non avrebbe dovuto immischiarsi nella vita di Ross, si era ripromessa di non farlo, non avrebbe dovuto farsi impetosire da un bambino, doveva ricordare a se stessa cosa quel bambino aveva fatto alla sua vita...

Ma il suo cuore di madre cedette, all'idea di un bambino lasciato a piangere dal dolore di notte e di un padre che non sapeva che fare, come pareva evidente. "Piange perché ha male? Cos'ha?".

Ross parve sorpreso da quella domanda e si trovò in difficoltà a rispondere. "Ecco... da piccolo soffriva di rachitismo e anche se ora è in via di miglioramento, ogni tanto ha delle ricadute. Si spaventa, piange soprattutto per quello più che per il dolore a cui comunque è abituato e che è sempre più raro e meno intenso ad ogni attacco, man mano che cresce".

Demelza sospirò, era ancora presto dopo tutto e forse... Dannazione, non voleva farlo ma d'istinto sentì che doveva aiutarlo. Aveva quattro figli e sapeva come i bambini avessero bisogno di essere rassicurati quando stavano male, sapeva quanto questo influisse positivamente sulle loro condizioni e sapeva anche che Ross in queste cose era poco portato... "Vuoi una mano? Vuoi che venga a dare un'occhio al bambino?".

"Cosa?".

Lei alzò le spalle, come giustificandosi innanzitutto verso se stessa. "So come trattare coi bambini, quando sono malati... Magari posso tranquillizzarlo, credo di essere abbastanza brava in questa cosa".

Ross spalancò gli occhi. "Davvero lo faresti?".

"Davvero... Non lo faccio per te, lo faccio per il bambino, sia chiaro".

Ross guardò le borse che teneva fra le mani. "E gli addobbi?".

"Li farò coi bambini, appena arriverò a casa. Ora riposano e mi va bene che lo facciano il più a lungo possibile". E così dicendo gli si affiancò, maledicendosi e allo stesso tempo giustificandosi. Non poteva far finta di nulla, non poteva davvero e dopo tutto, pochi giorni prima, Ross era stato davvero carino e gentile a prendere le difese di Daisy. Doveva restituirgli il favore, DOVEVA. "Su, portami a casa tua".


...


Quando arrivò a casa di Ross ed entrò nel suo appartamento, si sentì spaventata come la prima volta che, tanti anni prima, aveva varcato le porte di Nampara. Ed era così stupido sentirsi così. Non era venuta per restare, sarebbe stata lì pochi minuti e basta, non era per sempre, non era come allora...

Ross le disse che aveva assunto una coppia di domestici, due brave persone che si prendevano cura di lui, del bambino e della casa e Demelza lo ascoltò in silenzio per essere preparata a cosa avrebbe trovato, ma quando la porta si aprì e la serva di Ross li fece entrare, fu colta da un brivido.

Era nella casa di Ross e dopo tanto tempo stava toccando con mano la sua vita...

La signora è un dottore?”.

Demelza guardò di sbieco i due domestici di Ross e poi l'appartamento. Era pulito, ordinato, dal mobilio decoroso anche se meno elegante rispetto a casa sua e della grandezza giusta per un uomo solo con suo figlio e due servitori al seguito. C'erano un salottino, una cucina, una sala da pranzo e tre stanze da letto lungo il corridoio. Nient'altro, a parte un minuscolo giardinetto sul retro.

Non era una casa piccola ma le sembrava tale, da quando si era sposata con Hugh. Tutte le case le sembravano piccole, da allora... E per un attimo si chiese se, in quegli anni, fosse diventata viziata e troppo pretenziosa.

Ross, con lo sguardo cupo, le sfiorò la spalla. “No, ma credo che potrebbe aiutarci. Lei è...”.

Demelza lo fermò, non voleva che lui dicesse il suo nome e nemmeno quale fosse il loro legame! Era lì – e ne era già pentita – per cause di forza maggiore ma non sarebbe successo di nuovo e la sua visita doveva rimanere un segreto. “Sono una sua vecchia conoscenza e la parente di uno degli uomini che lavorano in Parlamento con il signor Poldark. E sono madre di quattro bambini piccoli, ho una certa esperienza in malanni infantili e siccome è pomeriggio tardi e il medico ha già terminato il suo servizio, sono passata per vedere se posso dare una mano”.

La domestica, non molto convinta, li lasciò passare. “Il signorino Valentine è in camera, a letto. Continua a piagnucolare, senza un vero medico sarà una notte difficile”.

Demelza prese un profondo respiro. Un bambino, stava per incontrare un semplice bambino, Valentine era solo questo. Non avrebbe mai voluto incontrarlo, non avrebbe mai voluto vedere il volto di colui che, indirettamente, anni prima aveva distrutto la sua vita ma era una donna e una madre che non sarebbe mai stata capace di rimanere indifferente a un bimbo in difficoltà e dopo tutto Valentine non aveva colpe per quanto successo. Ed era malato per giunta... Su questo doveva concentrarsi ed evitare di pensare che fosse figlio di Ross ed Elizabeth... Lui era un bambino innocente, come i suoi. E non meritava alcun sentimento negativo da parte sua.

Vieni” - le intimò Ross, piuttosto a disagio.

Lei lo seguì in silenzio, chiedendosi perché si fosse proposta di andare in quella casa. Non era un medico, Dwight lo era ed era fuori città con Caroline e la piccola Sophie! Che diavolo ci faceva in casa di Ross, cosa avrebbe potuto fare di utile, lì? Un conto era curare i suoi figli che conosceva ma Valentine...? Era una estranea per lui, come avrebbe potuto tranquillizzarlo e distrarlo? Perché il caso e il destino le avevano fatto incontrare Ross quel pomeriggio? Perché non aveva proseguito per la sua strada, alla ricerca degli addobbi da mettere sull'albero di Natale? Aveva un sacco di pacchi con le decorazioni da portare a casa, avrebbe ritardato e i bambini si sarebbero arrabbiati! E avrebbero avuto ragione!

Stava per dire che non aveva molto tempo e che forse era meglio che se ne andasse, quando Ross le spalancò la porta della camera.

E lei non ebbe scelta se non quella di restare...

Era una bella stanzetta per un bambino, con un letto, una scrivania, un armadio bianco, un tappeto con dei giocattoli e una finestra che dava sul giardinetto. Era tutto ordinato, era molto diverso dal caos che facevano i suoi bambini nella loro stanza dei giochi.

Deglutì, quando lo vide, prendendo poi un profondo respiro per non essere vinta dalla fitta al cuore che la colpì appena lo ebbe davanti. Quel bambino era identico a Ross, il figlio che più gli somigliava. Con una enorme massa di riccioli neri, gli occhi penetranti e profondi, le guance piene e un visino che poteva attirare chiunque. Ispirava simpatia, gliene avrebbe fatta se non fosse che in un certo senso si sentì di aver fallito. Elizabeth aveva dato a Ross un figlio che gli somigliava tantissimo mentre i suoi erano un miscuglio fra loro due. E Ross doveva davvero essere fiero del figlio che gli aveva dato la donna che aveva amato, un figlio tanto uguale a lui...

Tu non sei un dottore, tu sei una donna!” - disse il bimbo, osservandola.

Ross si avvicinò al letto, guardandolo con severità. “Quando parli con una persona che non conosci, devi essere educato”.

Valentine abbassò lo sguardo, mortificato. “Scusate signora, mi sono dimenticato di darvi del voi. Sono capace, ma a volte mi dimentico”.

Demelza sorrise a lui e guardò storto Ross per il tono usato, mentre per Valentine sentì solo una grande tenerezza. Soprattutto perché rapportato a quei terremoti dei suoi figli, Valentine era decisamente più posato ed educato di loro. “Non devi darmi del voi, sei un bambino. Il modo in cui mi hai parlato prima va bene”.

Valentine guardò suo padre in cerca di un cenno di assenso, poi di nuovo lei. “Io ho bisogno di un dottore. Mi fanno male le gambe” - disse, piagnucolando.

Demelza osservò lo sguardo di Ross incupirsi e decise che non andava bene che Valentine lo vedesse così turbato. “Io non sono un dottore ma ho quattro bambini piccoli che a volte si ammalano e quindi un po' me ne intendo di mal di pancia, gambe, testa o di graffi e taglietti. E di raffreddori e febbre. Il dottore a quest'ora non c'è ma conosco tuo padre da molto e mi ha chiesto un aiuto”.

Hai quattro bambini?” - chiese Valentine, stupito.

Sì, due maschi e due femmine”.

Valentine smise di piagnucolare e si sedette, incuriosito. “Come si chiamano?”.

Demelza sorrise. Ci aveva visto giusto, in fondo. Valentine era sicuramente debole a causa del rachitismo ma molti dei sintomi che avvertiva erano dovuti a solitudine e paura. Era lasciato troppo spesso solo con se stesso e benché Ross e i due servi non gli facessero mancare nulla di materiale, era il contatto umano che a lui mancava. Ed era evidente perché era bastato farlo parlare e distrarlo per fargli dimenticare i dolori alle gambe. “Jeremy e Demian i maschi. E le bambine Clowance e Daisy. Demian e Daisy son gemelli”.

Valentine spalancò gli occhi. “Ohhh., forte! Non ho mai visto i gemelli! Come sono?”.

Come gli altri bambini. Anzi, peggio, sono vivaci, disubbidienti e finiscono sempre in castigo”.

Valentine rise, completamente catturato da lei. “Io non vado mai in castigo! Papà dice che non gli somiglio, che lui da piccolo ci si trovava spesso in punizione”.

Demelza guardò Ross di sbieco. “Non ne dubito”.

E poi ho un cane di nome Garrick. E il mio bambino più grande, Jeremy, ne ha uno di nome Fox. Mentre la mia figlia maggiore Clowance ha una lupa bianca di nome Queen”.

Ohhh, quattro bambini, due cani e un lupo. Deve essere bello abitare in casa tua, signora. Qui non abbiamo neanche un animaletto, solo ogni tanto gli scarafaggi che entrano dalla finestra e fanno urlare la signore Gimlet che ha paura. A casa invece nella stalla abbiamo le galline, i polli, una capra e dei maiali. Ma nemmeno un cane”.

Lei gli sorrise, quasi percependo quanto fosse diversa e solitaria la vita di quel bambino rispetto ai suoi. “Sì, lo è. Con quattro bambini, due cani e una lupa, sono sempre stanca e di corsa, c'è sempre rumore in casa e tanta confusione ma a me piace tanto”.

Ross si allontanò, poggiando le mani contro il davanzale della finestra. Demelza leggeva in lui sofferenza e impotenza davanti a quella loro conversazione, ai ricordi, al dolore che provava nel sentire delle vite di persone che una volta erano state la sua famiglia mentre ora non aveva che un figlio a cui non mancava nulla di materiale ma che era affamato di calore famigliare e affetto che non sapeva dargli nel modo giusto. Ma lei non poteva farci nulla, lui aveva scelto e quella era la vita che Ross aveva voluto e doveva imparare a viverla al meglio, come aveva fatto lei quando aveva incontrato Hugh. Allungò una mano a massaggiare il ginocchio di Valentine, piano. “Va meglio?”.

Valentine osservò le sue gambe. “Oh, sì! Mi ero dimenticato che stavo male. Signora, sei magica! Basta parlare con te e tutto passa!”.

No, non sono magica ma grazie ai miei bambini ho imparato che chiacchierare e non pensare al fatto di essere malati, aiuta a stare meglio. E quindi, quando starai male ancora, trovati qualcosa da fare che ti piace e vedrai che ti sentirai più in forma. Puoi farti leggere una storia, puoi giocare a qualcosa, fare un disegno o tante altre cose che ti fanno sentire sereno. E tutto passa!”.

Valentine annuì. “Sì, ma...”. Guardò suo padre, come in una richiesta silenziosa di attenzioni ma Ross voltò il capo e si appoggiò nuovamente al davanzale della finestra. E il bimbo sospirò, abbassando il capo. “Signora, come ti chiami? Non me lo hai ancora detto”.

Demelza”.

Demelza, stai qui con noi a cena?”.

Ross sussultò a quell'invito inaspettato uscito dalla bocca di Valentine, solitamente molto chiuso e timido, mentre Demelza spalancò gli occhi. “Mi dispiace, non posso fermarmi, devo tornare a casa dai miei bambini. Ma sono felice che tu stia meglio, davvero”.

Dai resta” - piagnucolò il bambino, aggrappandosi al suo braccio.

Demelza scosse il capo. Non poteva, non avrebbe mai potuto nemmeno volendolo... E lei non lo voleva, si sentiva orribile ma non se la sentiva di prolungare più del necessario quella visita! Valentine era un bimbo dolce e adorabile ma lei si sentiva come se stesse facendo una violenza su se stessa a stare in quella casa... Ci sarebbe voluto tempo per superare quei sentimenti, forse molto. O forse non ci sarebbe riuscita mai, non sapeva dirlo. “Devo andare via, sono uscita per comprare degli addobbi per i miei bambini per fare l'albero di Natale e ora sono a casa che mi aspettano. Sono già in ritardo”.

Valentine spalancò gli occhi. “Ohhh, l'albero di Natale? Forte, non lo abbiamo mai fatto. Anzi, neanche so cos'è. Cos'è papà?”.

Non ne ho idea...” - rispose Ross, con sincerità disarmante, guardandola in cerca di una spiegazione.

Demelza sorrise, ricordando quando Hugh le aveva parlato di quella tradizione così bella e radicata in Germania, che aveva scoperto alcuni anni prima che loro si conoscessero, durante un suo viaggio nel centro Europa. “Ecco, qui da noi ancora non c'è questa tradizione, che invece è molto famosa in Germania. A Natale, ogni casa si riempie di addobbi e festoni, si mette il vischio sulle porte e si prepara un albero di Natale per accogliere la nascita di Gesù Bambino. Si prende un grande abete, lo si mette nel salone principale della casa e lo si addobba con tanti nastri colorati rossi e dorati, con le candele e con delle piccole palline di vetro soffiato di mille colori. E' un albero magico e i bambini, la mattina di Natale, ci trovano sotto i doni che nella notte ha portato Babbo Natale per loro. Mio marito era un navigatore e un viaggiatore prima che ci conoscessimo e mi ha parlato di questa tradizione e abbiamo deciso di farla diventare una tradizione anche nostra. E l'abbiamo insegnata ai nostri bambini che ogni anno non vedono l'ora che arrivi l'autunno per fare il loro albero di Natale nel salone. In Germania lo chiamano 'Tannenbaum' e quando diverrà tradizione anche qui in Inghilterra, anche noi gli troveremo un nome adatto”.

Valentine l'aveva ascoltata con gli occhi lucidi ed emozionati, come se gli avesse appena raccontato la più magica delle fiabe. “Bello... Papà, noi non facciamo mai niente a Natale. Neanche un nastrino alla porta... Ci proviamo anche noi quest'anno? Così Gesù Bambino nasce più contento e Babbo Natale trova la strada per portarmi i doni”.

A quelle parole, sorpresa dal fatto che per Natale in quella casa non si facesse nulla di speciale anche se c'era un bimbo, Demelza si voltò verso Ross fulminandolo con lo sguardo. Che razza di padre era? Qual'era il suo concetto di famiglia? E di padre? Cosa faceva con Valentine, con quel bambino per cui aveva gettato via il loro matrimonio? Era il bambino che gli aveva donato la donna che più amava e con lui stava ripetendo gli stessi sbagli commessi a suo tempo con lei e Jeremy! Lo sguardo di Ross parve ferito e punto sul vivo davanti alla sua espressione delusa che doveva aver ben interpretato e Demelza si morse il labbro per non urlargli contro cosa pensasse di lui. Sorrise, si sforzò di farlo per Valentine. “Beh, dovresti proprio provare ad addobbare un abete, sai?”.

Sì, dovrei” - rispose il bimbo.

Lei gli strizzò l'occhio. “Beh, quando avrai di nuovo male alle gambe e vorrai distrarti, allora dì al tuo papà di prendere un abete e di addobbarlo insieme. Vedrai che starai meglio”.

Lo sguardo del bimbo si accese di speranza e contentezza. “Sìììì! Allora spero di avere mal di gambe ancora e presto”.

Lo disse con leggerezza ma Ross parve ferito da quelle parole. Esprimevano un grande bisogno e desiderio di averlo vicino e lui sembrava incapace di accontentarlo. Sembrava bloccato e lei non ne capiva il motivo e non si riusciva a capacitare del comportamento scostante di Ross... Demelza non sapeva nulla di loro due, di quali fossero i loro rapporti, di cosa fosse successo in quegli anni ma era abbastanza sicura che lui amasse suo figlio anche se, per qualche motivo, non era capace di esprimerlo. Certo, non era mai stato molto espansivo nei sentimenti e di carattere era chiuso, però... Doveva amarlo, non poteva non amare Valentine! Glielo aveva lasciato Elizabeth, la donna che amava! Quel bambino era nato dall'amore, non come Jeremy e Clowance che lui aveva avuto da una donna che considerava di poco conto e che non aveva voluto né amare né avere accanto.

Avrebbe voluto fargli mille domande ma si impose di stare zitta. Non erano affari suoi e si era intrattenuta anche troppo. Accarezzò i ricciolini neri del bambino, gli sorrise e poi si alzò dal letto su cui era seduta. “Ora devo andare”.

Valentine annuì, un po' corrucciato. “Dai tuoi bambini?”.

Sì”.

Tornerai a trovarmi, Demelza?”.

Lei volse il capo, non era mai stata brava a dire bugie ma non aveva scelta. Valentine ora sembrava sereno e tranquillo e farlo agitare non gli sarebbe stato di nessun supporto. “Certo, quando riuscirò a trovare tempo, verrò a trovarti”. Era una bugia, la più palese delle bugie. Non voleva tornare in quella casa e non voleva avere rapporti con Ross che andassero oltre alla sua conoscenza con lord Falmouth e il suo ingresso in Parlamento e doveva mantenere questo proposito, a tutti i costi.

Ma fu convincente e il bimbo sembrò crederle. “Buon albero di Natale, Demelza”.

Grazie, faremo del nostro meglio per farne uno bellissimo”. Lo salutò con un cenno del capo e Valentine rispose da ometto, stringendole la mano. Dopo di che, Ross la riaccompagnò nel corridoio, verso l'uscita.

Come ci sei riuscita? A farlo calmare intendo”.

Lei lo fulminò con lo sguardo. “Gli ho parlato, l'ho ascoltato, l'ho fatto giocare. Non sono stata lì a guardarlo impalata come fai tu, con quella faccia da funerale. E' un bambino Ross, vuole giocare, vuole essere ascoltato, vuole suo padre vicino. Un padre che ogni tanto gioca e ride con lui... Sembri di ghiaccio, quando hai a che fare con lui e mi auguro che tu non sia così tutto il tempo”.

Ross fece per ribattere ma poi abbassò il capo come se sulle spalle portasse un peso immenso. “Lo so, Valentine è sempre stato... complicato... per me”.

E allora, visto che lo sai, vedi di migliorarti! Ha solo te ed è debole e malato. Fai almeno l'albero di Natale con lui, dannazione!”.

Non sapevo nemmeno che esistessero, questi alberi di Natale!” - rispose, a tono. “Io non sono come il tuo Hugh, non sono capace a trovare e rendere mie delle tradizioni di famiglia... Anche se trovo davvero bello quello che avete ideato per Natale”.

Demelza sospirò. “Ross, non è l'albero di Natale. E' fare qualcosa insieme, qualcosa che sia solo vostro. Anche dei semplici addobbi da mettere alla porta, andrebbero bene. Purché li facciate tu e lui. Io e Hugh non amavamo i grandi balli natalizi londinesi, a noi piacevano le feste in famiglia e abbiamo trovato il nostro modo per renderle speciali e nostre... Con la nostra impronta. E i bambini si sentono parte di un progetto comune nato da noi e che loro portano avanti, di una famiglia e nell'albero hanno il loro punto di riferimento e simbolo per questo periodo dell'anno”.

Lui sospirò. “Capisco cosa vuoi dire e... e lo so, sono stupido a non aver mai dato tanta importanza a cose del genere, cose che fanno di un gruppo di persone una famiglia. Nessuno mi ha mai insegnato nulla del genere, a casa mia ognuno viveva la sua vita quasi zingara, dopo la morte di mia madre. Ma hai ragione, se per me è stato così, non necessariamente deve esserlo per Valentine. Credo di non avere scelta ormai, visto cosa gli hai detto. Probabilmente se lo inventerà il mal di gambe, ora, per avere il suo albero!” - concluse, sorridendo.

Demelza scosse il capo. “E' suo diritto averlo, come è suo diritto avere un padre che gli sta vicino e lo ama”. Aprì la porta, si mise la mantella sulle spalle e si calò il cappuccio in testa, ma poi la sua coscienza la costrinse a fermarsi perché in effetti c'era qualcosa di importante che poteva fare per Valentine, senza che lei venisse coinvolta direttamente. “Vorresti che Dwight lo visitasse? Ti farebbe stare tranquillo?”. Non sapeva quanto Ross sapesse di Dwight, né se fosse a conoscenza della sua vita a Londra e del fatto che l'aveva aiutata appena giunta in città dopo aver lasciato la Cornovaglia, ma lui era un medico, un BRAVO medico e di certo poteva fare per quel bambino molto più che tanti giovani dottorini del quartiere.

Ross spalancò gli occhi e poi divenne meditabondo, probabilmente a causa dei loro dissapori passati e per la sorpresa di sentir pronunciare quel nome. Sapeva o non sapeva che viveva a Londra? L'espressione di Ross non faceva trapelare alcuna risposta a questo quesito...

Lo... vedi?”.

Sì, certo, lui e Caroline. Sono stati la mia salvezza appena arrivata qui, si sono presi cura di me e dei bambini per un anno e ho vissuto da loro prima del matrimonio con Hugh. Gli parlerò di te e di Valentine, se ti fa piacere sentire un suo parere sui problemi del bambino”.

E credi che accetterebbe? Anche se si tratta di me?”.

Demelza sospirò, guardandolo con biasimo. “Ross, Dwight è un medico e mette al primo posto il benessere del paziente! Sai che è così, lo conosci! Sai che non si tirerebbe indietro davanti alla malattia di un paziente, nemmeno se tu ne sei il padre! Non mischia il lavoro... la sua missione... con semplici questioni personali. So che la vostra amicizia si è interrotta anni fa e so che in un certo senso ne sono responsabile, ma se gli chiedo di venire per visitare Valentine, lui verrà”.

Ross deglutì e le mani gli tremarono. “Ora?”.

E' fuori Londra con Caroline e Sophie per una breve vacanza di una settimana... Sophie è la loro seconda figlia, nata la scorsa primavera. La prima, Sarah, purtroppo è morta pochi mesi dopo la nascita, alcune ore prima che morisse Hugh. Fu un giorno terribile, quello...”.

Lui abbassò lo sguardo e gli occhi gli divennero lucidi ma Demelza non seppe dire se fosse per il dolore di sapere quanto era successo al suo vecchio amico o perché la morte di una bimba piccola, in un certo senso riportava entrambi al giorno in cui persero Julia.

Julia... Demelza deglutì, chiedendosi se Ross pensasse a lei ogni tanto, anche se non era la perfetta figlia avuta dal suo perfetto amore Elizabeth. E quel pensiero la ferì e le fece venire voglia di scappare perché chiedersi certe cose, la riportava a un passato che non voleva più affrontare e ricordare. “Devo andare, adesso. Che faccio, con Dwight?” - disse, improvvisamente con tono freddo.

Ross non capì il perché di quel cambiamento di voce ma i Gimlet che facevano avanti e indietro dalla stanza di Valentine, gli impedirono di chiedere. “Sì... Sì, mi faresti un favore”.

Lei annuì. “Glielo dirò appena torna in città, ti farò recapitare un biglietto per farti sapere data e orario di visita”.

Va bene”.

Demelza si voltò, aprì la porta di casa e fece per uscire, ma Ross la fermò, bloccandola per il polso. “Aspetta”.

Che c'è?”.

Volevo ringraziarti per quanto hai fatto per Valentine oggi. Non eri obbligata e so che per te non è facile... vederlo...”.

Lei scosse la testa. “Come non dev'essere facile per te vedere i miei due gemellini. Ma sono bambini, tutti loro. E non hanno colpe, vanno solo amati e aiutati a crescere. Dovresti farlo, anche se la vita con te ed Elizabeth non è stata generosa”.

Ma...”.

Ross fece per obiettare ma Demelza non gli diede tempo di dire o fare qualcosa che avesse attinenza col passato. “Credi che per me sia stato facile? Che dopo quanto successo con te o dopo la morte di Hugh, io avessi voglia di ridere o giocare o rotolarmi su un tappeto coi bambini? No, non lo è stato, mi sono costretta a scendere dal letto per non affogare nelle mie lacrime per tante, tante mattine, Ross! Ma i bambini c'erano, non avevano chiesto di venire al mondo e io avevo il dovere di prendermi cura di loro! Io pretendo che siano felici, che si sentano amati e che siano sereni! Dovresti pretenderlo anche tu, da te stesso”.

Ci proverò! Ma io non sono come te, non ho la tua forza di volontà e...”.

Vedi di trovarla, Ross! Non hai scelta!” - rispose lei, mortalmente seria.

E dopo aver detto ciò, prese le borse con gli addobbi in mano, chiuse la porta dietro di se e se ne andò, lasciando ancora una volta Ross con l'amaro in bocca per non essere riuscito a dirle la verità sui suoi sentimenti per lei.

  
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