Videogiochi > Dragon Age
Segui la storia  |       
Autore: MorganaMF    18/02/2019    1 recensioni
«Quando Duncan è arrivato al nostro accampamento, non avrei mai potuto immaginare tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Voleva reclutare un solo elfo Dalish, e invece se ne è ritrovati due: i gemelli Mahariel, fratello e sorella. Gli ultimi rimasti della nostra famiglia, dopo che nostro fratello Tamlen era sparito nelle rovine.
Il Quinto Flagello mi ha portato via quasi tutto: ho dovuto abbandonare il mio clan, ho perso la mia famiglia... ho perso perfino una parte della mia vita, strappatami via dall'Unione. Ma, per assurdo, questo Flagello mi ha portato alcune delle cose più belle: ho trovato l'amore, ho incontrato le persone più strane... ho stretto rapporti profondi con molti umani, cosa che un tempo non avrei mai creduto possibile. Una di loro, in particolare, mi resterà sempre nel cuore: sarebbe diventata parte della mia famiglia, se le cose fossero andate diversamente. La cara, indimenticabile Hawke. È stata con noi fino alla fine, ci ha aiutati a sconfiggere il Flagello e sarebbe dovuta diventare un Custode Grigio; ma alla fine è andata per la sua strada, come tutti gli altri.
Non dimenticherò mai questo Flagello: nel bene e nel male, ha cambiato per sempre la mia vita.»
[M. Mahariel]
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alistair Therin, Altri, Custode, Hawke
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La colonna di luce finalmente si ritirò, lasciando soltanto il corpo senza vita dell’arcidemone e Merevar, ancora a cavalcioni sul suo collo, con i pugni stretti attorno alle due else intarsiate. D’improvviso, la prole oscura iniziò a fuggire da tutte le parti: i soldati esultarono, esausti e pazzi di gioia. Il Flagello era stato fermato.
In piedi accanto a Melinor, ancora intenta a curare Hawke, Morrigan ansimava con il volto distorto da un’espressione stravolta.
«Morrigan… stai bene?» le chiese Melinor. La strega annuì.
«Sì, io… ho sentito il potere dell’arcidemone passare attraverso di me. Ora la sua vita pulsa appena nel mio grembo…» disse, portandosi le mani al ventre.
«Non posso crederci… ce l’abbiamo fatta» mormorò l’elfa, incredula, guardando gli orrendi mostri che battevano in ritirata.
Morrigan si avvicinò all’elfa. «Una brutta ferita» disse inginocchiandosi accanto a Hawke. Il viso della ragazza era stato colpito in pieno, probabilmente da una delle spine sulla coda del drago: era gonfio e tumefatto, coperto di sangue viscido che sgorgava dal grosso taglio che le attraversava orizzontalmente il viso all’altezza degli zigomi. Il naso era stato rotto, e se non aveva perso la vista era stato solo per un vero e proprio miracolo.
«Se non fossi intervenuta subito non ce l’avrebbe fatta» sospirò l’elfa, le mani ancora imposte sulla ragazza per inibire l’emorragia.
«Tuo fratello sarà contento» sollevò un angolo della bocca Morrigan. Entrambe le ragazze si voltarono verso l’elfo giusto in tempo per vederlo saltare giù dalla testa dell’arcidemone. Ma osservando bene capirono che era in realtà caduto giù, e non lo videro rialzarsi. Alistair corse verso di lui, buttandosi sulle ginocchia; in mezzo a tutto quel caos di prole oscura in fuga, Melinor non riusciva a vedere nulla. Sentì le gambe diventare molli come gelatina.
«Morrigan, occupati tu di Hawke» disse alla strega, e senza attendere una risposta corse, facendosi strada fra i mostri in fuga. «Merevar!»
Quando li raggiunse, Alistair si voltò a guardarla. Era pallido come un fantasma. Subito si alzò in piedi, mettendosi fra lei e l’elfo. «Melinor…»
«Fammi passare!» lo aggirò lei, seccata.
Rimase di sasso. Merevar giaceva a terra in una pozza di sangue accanto alla testa dell’arcidemone: una picca attraversava il suo petto da una parte all’altra.
Melinor non riuscì a muoversi né a parlare per qualche minuto. Rimase con gli occhi sbarrati fissi sul corpo immobile del suo gemello, incapace di provare alcunché. Poteva sentire la sua resistenza lottare contro ciò che spingeva da dentro, un disperato tentativo di bandire il dolore nel vuoto.
«Melinor…» Alistair fece per toccarla, ma lei alzò una mano e si allontanò di qualche passo. Un rantolo poco distante la fece voltare: il Generale hurlock che aveva lanciato la picca era ancora lì, zoppo e incapace di fuggire, intento a emettere quella che sembrava una gutturale, crudele risata.
Alistair non poté vedere Melinor in viso, ma vide il fumo che iniziava a salire dalla punta delle sue dita. Presto le dita gentili che tanto spesso s’erano intrecciate con le sue iniziarono a emettere fiamme violente; grazie al suo addestramento da templare, il ragazzo riuscì a percepire il Velo assottigliarsi attorno all’elfa. Ma non fece in tempo a fare nulla.
Con un grido rabbioso, l’intero corpo di Melinor venne avvolto dalle fiamme: sprigionò un potere tale da spaventare tutti gli alleati rimasti in vita, che si allontanarono subito da lei. Le fiamme iniziarono a divampare ovunque: la porta che consentiva alla prole oscura di battere in ritirata venne sigillata da un muro di fuoco, intrappolandoli sul tetto. Melinor evocò una spaventosa tempesta di fuoco, iniziando a colpire tutti gli hurlock e genlock rimasti. Gli alleati dovettero ripararsi come potevano per non essere colpiti.
L’elfa gridava, ormai dimentica di sé stessa, posseduta dall’ira e dal dolore della perdita: era irriconoscibile. Stava ancora scatenando tutta la sua furia quando sentì che i canali della sua energia venivano strozzati. Le fiamme si smorzarono piano piano e il suo corpo riapparve alla vista: furibonda, si voltò verso Alistair.
«Cosa stai facendo? Levati di mezzo!»
«Melinor, non sei in te!»
«Ho detto togliti di mezzo! Smettila di bloccarmi con la tua aura antimagia da templare!»
«No!» si oppose lui, alzando la voce. «Ti manca tanto così per perdere il controllo ed essere posseduta da un demone dell’ira!»
«Non mi interessa!» gli si buttò addosso, iniziando a prendere a pugni la sua armatura. Ma senza la magia del guerriero arcano a sostenerla, non poteva fargli niente. Impotente e frustrata, tornò a guardarsi attorno. Strabuzzò gli occhi vedendo che la prole oscura stava fuggendo dalla porta, giù per la torre. «Stanno scappando! Ridammi la mia magia, io devo fermarli!»
«Ormai è finita, Melinor! Si stanno ritirando, lasciali andare!»
«No!» la sua voce era talmente stridula da far quasi male ai timpani. Si mise a correre dietro agli ultimi genlock, ma Alistair fu più veloce e l’acchiappò alle spalle per la vita, tenendola ferma.
«Lasciami! Lasciami andare!» si dibatté come una forsennata. «Devo ucciderli, devono morire tutti!»
«Melinor, cerca di calmarti!» le disse Alistair, sopprimendo il suo dolore nel vederla così.
«No! Loro devono morire tutti, fino all’ultimo! Sono una piaga, hanno ucciso Merevar!»
Furono le sue stesse parole a riportarla alla realtà. A quella durissima, orrenda realtà. Suo fratello era morto. La rabbia si tramutò in un soverchiante dolore mentre lo realizzava. «Lo hanno ucciso!» gridò, singhiozzando.
Chiunque stesse guardando rimase a testa bassa di fronte a quella scena così straziante. I dalish presenti erano particolarmente partecipi di quel dolore; Lanaya raggiunse Mithra, che piangeva in silenzio per la perdita del suo caro amico. Morrigan abbassò lo sguardo su Hawke, che dormiva ignara dell’accaduto, e si chiese cosa sarebbe successo al suo risveglio.
Alistair si lasciò cadere sulle ginocchia insieme a Melinor quando le gambe non la ressero più. Si lasciò andare in un pianto dilaniante, urlando il nome del fratello, come se quel gesto potesse farlo tornare indietro. Alistair la fece voltare, ormai una marionetta senza alcun desiderio di resistere a nulla, nemmeno al dolore. La tenne fra le braccia e pianse con lei mentre continuava a gridare il suo nome. Merevar.
 
 
Passò una settimana. Leliana raggiunse Alistair davanti alla porta della stanza di Melinor. Una porta che non si apriva da sette giorni.
«Ancora niente?» chiese con voce triste la ragazza. Alistair scosse il capo, distrutto; Leliana sospirò. «Aspetta qui. Forse abbiamo finalmente il modo di farla uscire da lì.»
Seguita dagli occhi segnati di Alistair, sparì lungo il corridoio. Tornò dopo una decina di minuti, in compagnia di un’elfa dai capelli argentati: portava un bastone, indice che era una maga, e il vallaslin tatuato sul suo viso tradiva le sue origini. Una dalish, una Guardiana.
«Alistair, questa è Marethari, la mentore di Melinor. È venuta insieme ad alcuni membri del clan per il funerale di Merevar.»
«Oh, siete voi! Vi ringrazio per essere venuta» Alistair si prostrò davanti a lei, lasciandola alquanto basita. «So quanto Melinor vi rispetta, Guardiana. Mi ha parlato tanto di voi. È rinchiusa lì dentro da una settimana, non so nemmeno se abbia mangiato quello che le è stato portato… non ha lasciato entrare nessuno, nemmeno me. La prego, faccia qualcosa!»
Marethari alzò un sopracciglio, un’espressione curiosa sul viso. «E tu saresti…?»
«Oh, sì… chiedo scusa. Io sono Alistair, un Custode Grigio come Melinor. E… sono il suo compagno.»
L’anziana lo squadrò per bene. «Melinor ha scelto… te?»
«Sì», annuì il giovane, lievemente a disagio. «E io ho scelto lei.»
La Guardiana comprese al volo il significato celato dietro a quelle parole; il ragazzo conosceva e rispettava le tradizioni dalish. Annuì compiaciuta, e si avvicinò alla porta. I due umani restarono speranzosi a guardare mentre bussava.
«Apri la porta, dah’len.»
Dapprima non si udì nulla; poi un leggero tramestio. La maniglia scattò, e il cuore di Alistair perse un battito. Si aprì uno spiraglio, una sottile fessura nera; non riuscì a vedere niente mentre la Guardiana apriva la porta per entrare.
Le narici dell’anziana vennero invase dall’odore acre di cibo lasciato all’aria. Il ronzio delle mosche era l’unico rumore ad animare quella stanza in penombra. Il letto aveva le coperte logore e ammucchiate, le tende erano chiuse; solo un sottile raggio di sole penetrava per illuminare a malapena la stanza.
Udì la porta richiudersi alle sue spalle. Si voltò, trovando il riflesso di due iridi verdi nel buio: individuò la sagoma di Melinor nella penombra.
«Guardiana…»
«Melinor, figliola… come ti sei ridotta» disse, mortificata nel constatare le condizioni di quella che era stata la sua protetta per tanto tempo. Le andò incontro.
«Siete… siete qui…» balbettò Melinor, incredula.
«Abbiamo ricevuto il messaggio di Lanaya, dah’len. Avremmo voluto rispondere alla chiamata alle armi, ma eravamo già nei Liberi Confini, accampati sul Monte Spezzato… i nostri halla si sono ammalati durante il viaggio fin là, ne erano rimasti pochi in grado di cavalcare. Ho lasciato Merril a badare al clan e sono venuta con qualche cacciatore. Volevamo darvi comunque una mano, pur sapendo che probabilmente saremmo arrivati tardi… infatti lungo la strada ci è giunta la notizia di com’è finita» concluse, gli occhi che si colmavano di dolore.
«Guardiana… Merevar è… lui…» iniziò a singhiozzare Melinor, la voce stridula come quella di una bambina.
«Lo so, dah’len. Sono qui per questo.»
La prese fra le braccia, e trovò una creaturina indifesa, distrutta e sottile. La lasciò piangere qualche minuto senza dire niente. Quando ritenne di averle lasciato abbastanza tempo, prese il suo viso fra le mani.
«Credimi, Melinor… nessuno può comprendere il tuo dolore meglio di me. Tu hai perso un fratello, e io un figlio» sussurrò, un velo lucido sulle iridi chiare. «Ma non è da te tutto questo. Non è questo che io ti ho insegnato. Melinor, tu sei più forte di così… stanno tutti aspettando te là fuori. Non vogliono celebrare il funerale senza di te.»
Melinor abbassò lo sguardo, ma Marethari le risollevò delicatamente il viso.
«Rimandare il funerale non cambierà questa triste realtà, figliola. Devi essere forte adesso… lo devi a tuo fratello. Merita una degna sepoltura, e merita che tu sia lì per lui quando avverrà.»
«Forse sono stata troppo forte fino alla fine, e ora ho esaurito la mia forza… io non ce la faccio» mormorò la ragazza. «Non avete idea di quello che abbiamo passato per arrivare alla battaglia finale, abbiamo dato tutto…» ricominciò a piangere, un pianto rassegnato e consapevole. «Non era sufficiente? Perché Merevar ha dovuto dare anche la sua vita?»
Marethari la prese sottobraccio e la condusse al letto. La fece sedere sul materasso e andò a tirare le tende e ad aprire le finestre, per far entrare luce e aria pulita. Poi si accomodò accanto a Melinor.
«Raccontami tutto, dah’len.»
 
 
Quando Melinor ebbe finito di raccontarle tutta la loro storia, Marethari era sopraffatta.
«Avete incontrato Asha’bellanar in persona… e Merevar ha concepito un bambino con sua figlia…» mormorò, incredula. Scosse il capo. «Quale infausto destino… povero Merevar. Ha seguito il volere di Asha’bellanar, ha fatto il suo dovere fino all’ultimo, eppure…»
Melinor rimase in silenzio a fissare il vuoto. Lo stesso vuoto che sentiva dentro.
«Ho incontrato… come si chiama… Alistair, qui fuori» cambiò discorso Marethari. Vide Melinor sobbalzare appena, e seppe d’aver colto nel segno. «Mi ha detto che vi siete scelti.»
«Sì.»
«Quel ragazzo sta impazzendo per la preoccupazione. A giudicare da quant’erano cerchiati i suoi occhi, temo che non abbia dormito per giorni. E non è il solo a preoccuparsi per te: tutti gli amici che hai incontrato in questi mesi sono ansiosi di rivederti.»
Melinor si strinse nelle spalle con aria colpevole. «Lo so.»
Marethari la costrinse ancora una volta a guardarla, prendendole delicatamente il mento e girandole la testa. «Ti conosco, dah’len. So perché hai allontanato quel povero ragazzo. Ma così non fai altro che fare del male a entrambi.»
Melinor sapeva che la Guardiana aveva ragione. Lo sapeva sin dall’inizio. Sospirò, rassegnandosi all’evidenza: non poteva più continuare a nascondersi in quella stanza.
 
 
Marethari uscì un’ora dopo essere entrata. Leliana e Alistair, seduti a terra, scattarono in piedi.
«Vuole parlare con te» disse Marethari ad Alistair.
Il ragazzo s’illuminò, affrettandosi a raggiungere la porta, ma prima s’inchinò rispettosamente davanti all’anziana. «Non so davvero come ringraziarvi».
L’elfa rispose con un cenno del capo e un mite sorriso, restando a guardarlo mentre entrava nella stanza e si richiudeva la porta alle spalle.
«Guardiana Marethari…» La voce di Leliana fece voltare l’anziana. «Se non vi arreca disturbo, ci sarebbe un’altra persona che potrebbe aver bisogno di voi.»
«Di me? Qui a corte?» si sorprese Marethari.
«Sì. Se poteste seguirmi…»
Leliana condusse Marethari fino al giardino interno del palazzo reale. Restarono alcuni istanti sotto al porticato che circondava il chiostro; Leliana puntò il dito su una figura rannicchiata ai piedi di un albero, dall’altra parte del giardinetto.
«Quella ragazza è Hawke. Lei e Merevar stavano insieme.»
«Impossibile» la Guardiana sgranò gli occhi voltandosi verso Leliana. «Posso capire che Melinor abbia accettato un umano, ma Merevar?»
«Sì, è stata una sorpresa per tutti… persino per lui» sorrise, anche se il ricordo faceva male. «Hawke era molto innamorata di lui, e ora è distrutta… sono certa che voi potreste farla sentire meglio. Eravate la Guardiana di Merevar, dopotutto. Dopo Melinor, eravate voi a conoscerlo meglio di chiunque altro.»
Marethari osservò la ragazza da lontano: la sua testa era fasciata, un bel giro di bende le copriva la zona centrale del viso. I rossi capelli scarmigliati uscivano a ciocche spettinate dalla fasciatura.
«Le parlerò» decise la Guardiana. Leliana la ringraziò, e rimase a guardare Marethari mentre raggiungeva Hawke sotto l’albero.
 
 
Nel frattempo, Alistair era finalmente riuscito a farsi ricevere da Melinor. Appena entrò la vide, ancora seduta di spalle sul letto dove Marethari l’aveva lasciata. Sentì stringersi il groppo alla gola mentre aggirava il letto per portarsi di fronte a lei.
Appena le fu davanti, non poté nascondere quanto fosse addolorato nel vederla così: era visibilmente dimagrita, i capelli sporchi e arruffati, il volto scavato e gli occhi gonfi e arrossati. Era persino più pallida di un comune Custode Grigio afflitto dalla corruzione. Dal canto suo, Melinor si aspettava quella reazione; si strinse nelle spalle, a disagio.
«Non volevo che mi vedessi così» bisbigliò appena, evitando il suo sguardo.
Lui si buttò sulle ginocchia davanti a lei, e la cinse forte alla vita, facendole sentire tutta la disperazione del suo amore.
«Ma cosa dici?» le disse, senza riuscire a trattenere il pianto. «Melinor, mi hai fatto preoccupare a morte! So di non poter fare molto, so di non poter nemmeno immaginare quanto male tu stia… ma permettimi di starti vicino, ti prego!»
Melinor strinse le braccia attorno a lui, ricominciando a piangere. «Mi dispiace.»
«Non farlo mai più!» le disse lui, travolto da quell’inarrestabile treno di emozioni. Allentò appena il loro abbraccio per guardarla bene. «Perché? Perché non hai lasciato che ti stessi vicino? Non avevamo deciso di non escluderci più a vicenda?»
«Hai ragione… ma vedi, è proprio questo che temevo» incredibilmente sorrise, seppur fra le lacrime. «Quando ti vedo, quando realizzo che sei ancora vivo, accanto a me… sono così felice, Alistair. Ma appena mi sento felice, mi sento subito in colpa. Perché lui è morto, Alistair… lui è morto e io non ho alcun diritto di provare felicità» le tremolò la voce. Alistair rimase a guardarla impotente, un altro rigo bagnato sulla guancia. «Ma se mi sento triste per Merevar, allo stesso tempo mi sento un’ingrata… perché ho la fortuna di averti ancora con me, e non riesco a esserne felice» si coprì il volto con le mani, le spalle che salivano su e giù. «Mi sento strappare in due ogni volta, mi sembra d’impazzire e io… io non so come fare…»
«Melinor.»
La presa delicata di lui le fece abbassare le mani. Costretta a guardarlo, scoprì un’insolita fermezza in quegli occhi ambrati.
«Melinor… avrai tempo di essere felice per noi. So che sei felice di avermi ancora con te, davvero… non serve che me lo dimostri. Nessuno penserà che sei un’ingrata se piangi per tuo fratello. Credimi, mi costa davvero un’enormità dirtelo, perché odio vederti così e vorrei poter cancellare tutto il tuo dolore… ma adesso è giusto che tu ti prenda del tempo per elaborare il lutto. Quindi piangi, sentiti libera di star male per Merevar, perché è giusto così. Ma non farlo da sola, ti prego… lascia che stia al tuo fianco.»
Melinor non sentiva nemmeno più lo scorrere delle lacrime ormai, tante ne aveva versate in quella settimana. Lasciò cadere la testa sulla spalla di lui, lasciandosi trascinare via dal fiume del dolore.
 
 
Quando la porta della stanza si aprì, non c’era più solo Leliana fuori dalla porta. Era andata a informare i compagni che Alistair era finalmente riuscito a farsi ricevere da Melinor, e ora tutti si erano radunati fuori dalla camera, in attesa. Appena l’elfa uscì, si trovò davanti una serie di facce mortificate; persino Sten, sempre stoico e impenetrabile, e Oghren, goliardico e scanzonato, tradirono la loro tristezza nel vederla così sciupata e smagrita.
«Oh, Melinor… eravamo così preoccupati!» l’abbracciò per prima Leliana, le lacrime agli occhi. Poi fu il turno di Wynne, e di Zevran; Sten e Oghren non l’abbracciarono perché erano troppo fieri e virili per un simile gesto, ma chinarono il capo in segno di profondo rispetto, da veri guerrieri.
«Sono contenta che stiate tutti bene» riuscì a parlare Melinor. Tutti loro erano sopravvissuti.
«Un po’ ammaccati, ma sempre pronti a ronzarti intorno, mia bellissima amica» disse Zevran, un braccio fasciato e il suo bellissimo sorriso incrinato dalla tristezza. Melinor si rese conto che non solo lei aveva perso Merevar: lo avevano perso tutti. Zevran aveva perso l’unico vero amico che avesse mai avuto, a suo dire. Quel pensiero le fece ricordare che qualcuno stava soffrendo anche più di Zevran. L’elfa si guardò attorno alla ricerca dell’unica persona che mancava all’appello.
«Dov’è Hawke?»
Leliana sorrise, malinconica. «Vieni, ti portiamo da lei.»
La condussero al giardino interno, dove Hawke stava ancora parlando con Marethari sotto al grande albero. Si fermarono sotto al porticato a guardarle: Hawke era in lacrime, Marethari che le dava sostegno accarezzandole le spalle. Melinor comprese che, se c’era qualcuno che poteva realmente capire il suo dolore, quella era proprio Hawke: aveva perso l’uomo che amava, l’uomo il cui amore aveva tanto faticato per ottenere.
Come se avesse percepito il fruscio dei suoi pensieri, Hawke si voltò e la vide: ci fu un minuto di sguardi da lontano, e poi le due si corsero incontro. Si abbracciarono, unite in un silenzioso pianto, cuore contro cuore. Non c’era bisogno di parlare; solo loro sapevano quanto facesse male. L’avevano perso insieme.
 
 
I funerali di Merevar, proclamato Eroe del Ferelden, si tennero qualche giorno più tardi. Il rito fu dalish, per onorare la memoria del defunto: parteciparono tutti i dalish sopravvissuti, disposti in prima linea, seguiti dai cittadini che avevano già fatto ritorno a Denerim per aiutare a ricostruire la città. Partecipò anche ciò che era rimasto del grande esercito: elfi, nani e umani riuniti per onorare colui che era caduto per tutti loro. La regina Anora fece un bellissimo discorso, sorprendendo persino i dalish più ostili e facendoli sentire, per una volta, tutti uniti come un unico popolo. Un albero maestoso venne piantato sul luogo di sepoltura, posto in un boschetto riparato lontano dalla città, così che i dalish potessero andare a rendere onore a Merevar durante i loro viaggi senza doversi avvicinare troppo al centro abitato. Dopo che l’albero fu trapiantato, Hawke lo ricoprì con un sottile strato del suo speciale ghiaccio perenne. Mano nella mano con Melinor, rimase a guardare il bellissimo monumento a Merevar brillare nel sole.
«Così sarò sempre con te» mormorò, i rossi capelli lasciati sciolti al vento. Perché a lui piacevano così.
Dopo il funerale, tutti si dileguarono: i nani erano pronti per tornare a Orzammar guidati da Sereda, e i clan dalish salutarono Melinor, pronti a sellare i loro halla e a tornare alla vita di sempre. Solo la compagnia dei Custodi rimase a lungo davanti alla tomba di Merevar, contemplando in silenzio.
Fu allora che Melinor notò una figura incappucciata in lontananza, dietro ai cespugli. «Torno subito», disse ad Alistair.
Raggiunse quella che riconobbe come Morrigan. La strega se n’era rimasta in disparte per chissà quanto tempo.
«Morrigan… che ci fai qui? Avevi detto che saresti partita dopo la battaglia e che non ti avremmo più rivista…»
«Infatti ero partita, ma…» fu strano vedere il suo viso attraversato dalla tristezza. «Dovevo tornare. Mi dispiace, Melinor. Nonostante tutto quello che abbiamo fatto, non è stato sufficiente… pensavo che con il rituale sareste stati al sicuro, invece…»
«Non è stata colpa tua. Tu hai fatto la tua parte, e purtroppo la prole oscura ha fatto la sua» replicò l’elfa a testa bassa. «Grazie di essere venuta.»
«Ma figurati» rispose la strega, a disagio. «Sono venuta anche per dirti una cosa. Avevo detto a Merevar che avrei cresciuto il bambino da sola, che non avreste dovuto cercarmi mai… ma ho cambiato idea. Melinor, se vorrai venire da me e conoscere tuo nipote, potrai farlo.»
«Davvero?» sgranò gli occhi l’altra. Morrigan annuì.
«Mi fido di te. Certo, dovrò stare attenta a mia madre… tornerà a prendermi, prima o poi. Ma tu sai come far perdere le tue tracce, non temo che ti segua.»
Il senso di colpa tornò a pungere Melinor come una zanzara ostinata. «Morrigan, devo dirti una cosa.»
La strega la guardò incuriosita, e l’elfa prese una gran boccata d’aria prima di continuare.
«Quando siamo andati da tua madre, nelle Selve Korcari… lei ha lasciato che la uccidessimo. Era d’accordo.»
Morrigan restò basita. «Come?»
«La mia gente rispetta profondamente tua madre, lo sai. Lei sapeva che tu mi avresti mandata a ucciderla, ci stava aspettando. Mi ha proposto di mentirti, di annunciarti la sua morte anche se non sarebbe stata la verità, e mi avrebbe dato il grimorio come falsa prova… però ha visto che ero a disagio e che non volevo mentirti, così ha accettato di lasciarsi uccidere. La morte non la spaventava affatto.»
«Questo è impossibile! Mia madre che si lascia uccidere? È troppo orgogliosa per farlo!» sbottò Morrigan. Poi assottigliò le fessure degli occhi. «Ma tu l’avresti uccisa comunque… vero?»
Melinor sospirò, in difficoltà. Quella risposta bastò e avanzò per la strega.
«Non posso crederci… io mi fidavo di te, e tu mi hai mentito!»
«Non ti ho mentito! Tua madre è davvero morta, solo che non è successo nel modo che pensavi!»
«Mentire, nascondere… è la stessa cosa! Tu eri in combutta con mia madre!»
«Quindi anche tu hai mentito per tutto il tempo, o sbaglio? Sapevi del sacrificio che devono compiere i Custodi per porre fine ai Flagelli, ma hai aspettato il momento opportuno per dirlo! Eppure io non te ne ho fatta una colpa, perché mi sono sforzata di capire le tue ragioni!»
Morrigan si zittì, punta sul vivo. Restarono ad affrontarsi in silenzio per qualche istante, prima che la strega si decidesse a parlare.
«Scordati quello che ho appena detto. Non so perché voi dalish siate tanto fissati con mia madre, ma adesso che so che le sei fedele non posso permetterti di rintracciarmi. Non venirmi a cercare, la porteresti sicuramente con te, in qualche modo». Si sistemò il cappuccio sulla testa e la tracolla sulla spalla. «Buona vita, Melinor.»
Mosse alcuni passi, decisa ad andarsene.
«Non mi dici addio?»
Le parole dell’elfa fecero arrestare Morrigan. Voltò la testa per guardarla un’ultima volta; ma non disse niente. Riprese ad allontanarsi senza più guardarsi indietro.
«Ehi, ma quella era Morrigan?» Alistair la raggiunse dopo qualche minuto. Melinor annuì. «Che ci fa qui, non era partita?»
«Ha deciso di tornare per il funerale.»
«Ah… strano, da parte sua» si stupì il ragazzo. «Suppongo che non la rivedremo più… che peccato!» ridacchiò allegro. Melinor sorrise enigmatica.
«Non ci giurerei. Non mi ha detto addio.»
 
 
Una settimana più tardi, tutti loro presero parte alla cerimonia d’incoronazione ufficiale di Anora come nuova regina del Ferelden. Un sontuoso banchetto venne indetto in suo onore, e la nuova regina spese alcune parole per onorare i Custodi Grigi. Concesse all’Ordine la vecchia tenuta di Howe, ad Amaranthine, come nuova base operativa per i Custodi Grigi del Ferelden; il comandante Freya, nella sua armatura dorata, sorrise compiaciuta.
Durante il banchetto che seguì, Melinor e Alistair notarono Sten e gli altri accanto alla porta.
«Che succede?» chiesero, raggiungendoli.
«Sten se ne va» la ragguagliò Hawke.
Melinor lo guardò, non troppo stupita. Sorrise triste. «Non resti ad aspettare il dolce? Potrebbero esserci dei biscotti…»
Il qunari ridacchiò, sorprendendo tutti, ma tornò subito serio. «Ho mantenuto la mia promessa, vi ho aiutati a sconfiggere l’arcidemone. È tempo per me di tornare in patria.»
Melinor annuì. «Grazie di tutto, Sten.»
«Grazie a voi, Custodi Grigi. Mi avete insegnato molto. La perdita di Merevar è…» scosse il capo, addolorato. «Lo stimavo molto. E per quanto la cosa mi sorprenda, stimo molto anche te. Una maga che diventa guerriera… mai avrei pensato di vedere una cosa simile.»
Melinor sorrise. «Grazie, Sten.»
Lo salutarono uno alla volta, vigorose strette di mano che valsero come abbracci. Restarono in silenzio a guardarlo mentre spariva per sempre.
«Bene… e così uno di noi è andato» disse Melinor. «Voi cosa farete?»
Gli altri si guardarono fra loro con degli strani sorrisetti. «Noi non andiamo da nessuna parte… per ora. Abbiamo un’ultima cosa da fare, qui» disse Zevran, dando una gomitata ad Alistair. Questi lo guardò malamente, in imbarazzo, mentre Melinor li fissava perplessa.
«Vieni con me» la prese da parte il ragazzo, rosso come un peperone. Si misero in disparte, accanto a una finestra. «Melinor… quello che ci è successo è da pazzi. Non posso credere che ce l’abbiamo fatta, e so che forse non è il momento migliore per te… ma non voglio aspettare». Prese dalla tasca un cordino dorato e prese delicatamente il polso di Melinor, iniziando ad avvolgerglielo attorno. Melinor guardava confusa, come se quello non fosse il suo polso.
«Ma… dove l’hai preso? Come?» balbettò.
«Me l’ha dato Merevar, qualche giorno dopo aver dato il suo a Hawke. Questo era di Tamlen, lo ha preso dal suo corpo prima di seppellirlo… pensava fosse giusto che, un giorno, lo avessi tu.»
Melinor venne sopraffatta dalle lacrime. Una costante, ormai, nelle sue giornate; ma stavolta era per un motivo molto diverso. Alistair attese che si riavesse, comprensivo, tenendo le due estremità del cordino strette fra le dita. Aspettava solo la sua parola.
«Chiudi il nodo.»
 
 
Celebrarono le nozze pochi giorni dopo, con rito dalish. Marethari accettò di sposarli nonostante andasse contro le leggi dei dalish, che non permettevano matrimoni misti con umani. Trovò la scusante che Melinor non viveva più in un clan, e che in ogni caso si meritava quella piccola gioia. Nessuno dei pochi dalish rimasti osò contraddirla. I loro amici festeggiarono insieme a loro, insieme ai pochi cacciatori del clan che avevano accompagnato Marethari, e insieme al clan di Lanaya, l’unico a essersi trattenuto. Hawke si dimostrò forte, sorrise e danzò con loro; ma spesso fu vista in disparte, intenta a rimirare il suo cordino. La sua promessa infranta, il sogno che non avrebbe mai realizzato.
Pochi giorni dopo le nozze, lei e Melinor erano sole nella stanza dell’elfa.
«Sei sicura di volerlo fare, Hawke? Con la magia e gli unguenti dalish potremmo ridurre la cicatrice al minimo, quasi non si noterebbe…»
«No, Melinor. Voglio farlo.»
Il colpo che si era presa sul viso le aveva lasciato una grande cicatrice come ricordo, che andava da zigomo a zigomo. Wynne era riuscita a far riassorbire l’emorragia in un paio di settimane con i suoi trattamenti giornalieri, le aveva riaggiustato il naso, ma per la cicatrice ci sarebbe voluto più tempo. Hawke decise che non voleva farla sparire.
Melinor, guardando il segno sul suo viso lentigginoso, scosse appena il capo. «Che strano… se fossi diventata Guardiana avrei impresso decine di vallaslin, invece l’unico che realizzerò sarà su un’umana… se Marethari venisse a saperlo mi ammazzerebbe.»
«Melinor, non voglio metterti nei guai… se credi non sia il caso, per me va bene lo stesso…»
L’elfa scosse il capo, risoluta. «No. Ormai non vivo più fra i dalish. In ogni caso, non sarà un vallaslin tradizionale, con i simboli che rappresentano i nostri Dei… potrai spacciarlo per un comune tatuaggio. E poi… Merevar lo apprezzerebbe.»
Rimasero in silenzio alcuni istanti, ripensando alla loro perdita.
«Non vorresti lasciarti tutto questo alle spalle, Hawke? Ogni volta che ti guarderai allo specchio ricorderai…»
«È proprio per questo che voglio farlo, Melinor. Le persone tendono a dimenticare, persino i ricordi dolorosi come questo inevitabilmente sbiadiscono con gli anni, perdono d’intensità… io non voglio che accada. Voglio ricordare tutto questo ogni giorno della mia vita. Andrò avanti, ma ricordando. Sempre. Lo devo a lui.»
Melinor annuì e la fece stendere sul letto. Intinse l’ago nell’inchiostro rosso, che sembrava vero e proprio sangue, e iniziò a farlo penetrare sulla delicata pelle nuova e lucida della cicatrice di Hawke. La ragazza, desiderosa di seguire la tradizione dalish, non emise nemmeno un flebile lamento; strinse forte le lenzuola sotto di sé, pensando a Merevar. Le aveva raccontato, in una delle loro felici notti in tenda, di quanto fosse importante la cerimonia del vallaslin presso i dalish: le aveva detto che, per dimostrarsi davvero degni, i giovani dalish dovevano resistere per l’intera cerimonia senza lamentarsi. Lei volle fargli onore resistendo in silenzio a sua volta.
Dopo un’ora, Melinor la fece alzare e le diede uno specchio: una strisciata di sangue era ora impressa per sempre sul viso, un ricordo del sangue versato, un’indelebile memoria di quel dolore.
«Mi mancherai, Hawke.»
L’umana abbassò lo specchio per guardare l’elfa. «Mi mancherai anche tu.»
«Sei proprio sicura di non voler restare con noi? Non è necessario che tu ti unisca ai Custodi, ti faremmo restare come collaboratrice… non dovresti più preoccuparti della Chiesa e dei templari, con la nostra protezione…»
«Ti ringrazio, Melinor… ma devo andare. Voglio andare a Kirkwall a cercare la mia famiglia, devo sapere se ce l’hanno fatta. E poi…», sorrise tristemente, «non potrei farcela a vedere i tuoi occhi tutti i giorni. Sono identici ai suoi.»
Melinor trattenne a stento le lacrime, e l’abbracciò un’ultima volta. Le mise una mano sulla testa, e per un attimo entrambe brillarono d’una luce intensa: Hawke sussultò, staccandosi da lei.
«Cos’hai fatto?»
«Ti ho trasmesso la conoscenza dei guerrieri arcani» le sorrise l’elfa. «Merevar ti ha allenata, ora sai come usare i pugnali. A Kirkwall sono molto severi, da quel che ho sentito… i templari sono particolarmente spietati, ma non conoscono questo tipo di magia. Spacciarti per una guerriera ti tornerà utile.»
«Melinor… io non so come ringraziarti… davvero, non avresti dovuto! Questa era un’eredità del tuo popolo…»
«E tu sei di famiglia. Anche se non hai le orecchie a punta. Consideralo un regalo d’addio, Hawke… sarà il mio modo d’essere sempre con mia sorella.»
 
 
E così tutto finì. La compagnia dei Custodi si disgregò: Hawke fu la prima a partire insieme a Marethari e ai suoi cacciatori di scorta. La Guardiana doveva tornare al più presto dal suo clan, che aveva lasciato alle cure della sua nuova apprendista Merril; la coincidenza volle che fossero stanziati proprio nei paraggi di Kirkwall, dove Hawke era diretta. Leliana fu convocata nientemeno che dalla Divina in persona, capo della Chiesa, per una missione speciale i cui dettagli restavano un mistero. Sten e Morrigan erano già andati per la loro strada, e Wynne si offrì di accompagnare il golem Shale alla ricerca del suo passato: la guerriera di pietra voleva scoprire chi era stata nella sua vita come nana, e magari cercare un modo per ritornare alla sua forma originaria. Oghren e Zevran decisero di restare a Denerim per un po’, incerti su cosa fare da quel punto in poi: passarono le loro serate fra locande e bordelli, facendo la bella vita perennemente ubriachi.
Alistair e Melinor restarono come ospiti a corte ancora per un po’: dovevano attendere l’arrivo dei comandanti dei Custodi Grigi dei paesi vicini, per decidere insieme a loro il da farsi. Era necessario riempire nuovamente i ranghi dell’Ordine in Ferelden.
Quando i Custodi Grigi arrivarono a corte, Alistair venne subito informato; andò a chiamare Melinor nella loro stanza. La trovò alla scrivania con la piuma in mano, china su un libricino di pelle.
«Melinor? I Custodi sono arrivati, e hanno richiesto la tua presenza. Pare che le voci fossero vere: vogliono nominarti Comandante di stanza in Ferelden!»
«E ti pareva» sospirò l’elfa, posando la piuma e alzandosi in piedi.
«È un onore grandissimo!» le corse incontro Alistair, sollevandola per la vita e facendola girare come una trottola.
«Se vuoi puoi prenderti tu quest’onore» ribatté l’elfa, una volta tornata coi piedi per terra.
«Pensavo che ormai sapessi che non sono bravo a comandare…»
L’elfa ridacchiò, avviandosi verso la porta. Alistair prese il suo libricino fra le mani. «Cosa stavi facendo?»
«Ho iniziato a tenere un diario. Leggilo pure, se ti va.»
Sparì oltre la porta, e il ragazzo non si fece pregare: aprì la prima pagina e iniziò a leggere.
 
“Quando Duncan è arrivato al nostro accampamento, non avrei mai potuto immaginare tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Voleva reclutare un solo elfo dalish, e invece se ne è ritrovati due: i gemelli Mahariel, fratello e sorella. Gli ultimi rimasti della nostra famiglia, dopo che nostro fratello Tamlen era sparito nelle rovine.
Il Quinto Flagello mi ha portato via quasi tutto: ho dovuto abbandonare il mio clan, ho perso la mia famiglia... ho perso perfino una parte della mia vita, strappatami via dall'Unione. Ma, per assurdo, questo Flagello mi ha anche portato alcune delle cose più belle: ho trovato l'amore, ho incontrato le persone più strane... ho stretto rapporti profondi con molti umani, cosa che un tempo non avrei creduto possibile. Una di loro, in particolare, mi resterà sempre nel cuore… sarebbe diventata parte della mia famiglia, se le cose fossero andate diversamente. La cara, indimenticabile Hawke. È stata con noi fino alla fine, ci ha aiutati a sconfiggere il Flagello e avrebbe dovuto unirsi a noi come Custode Grigio; ma alla fine è andata per la sua strada, come tutti gli altri.
Non so perché ho iniziato a tenere questo diario. Non credo che interesserà mai a qualcuno leggerlo. In fondo io sono solo la sorella dell’Eroe del Ferelden, e presto il mondo si dimenticherà di me e dei Custodi Grigi… lo ha fatto dopo ogni Flagello. Ma, se stai leggendo queste righe, allora voglio che tu sappia. Voglio trasmetterti le mie memorie, e forse tu le trasmetterai a qualcun altro. Perché troppo spesso si dimentica quanto sia facile, per il mondo, rischiare di cadere nel baratro: a noi è quasi successo. Ci siamo salvati per miracolo, e mio fratello, la metà della mia anima… ha dovuto pagare per tutti noi. Falon’Din enasal enaste, Merevar… una parte di me è morta con te.
Non dimenticherò mai questo Flagello: nel bene e nel male, ha cambiato per sempre la mia vita.»
 
 
 
 
The End
_________________________
 
 
Siamo finalmente giunti alla fine, dopo un anno e quarantotto lunghi capitoli. Lo so, sono una persona orribile: ho fatto morire Merevar. Non è stato facile fare questo al mio dalish preferito, ma era stato deciso fin dall’inizio. Il Custode, alla fine, doveva restare uno… e uno dei due doveva andare. Se avessi fatto morire Melinor, lui mi avrebbe odiata a morte… lo sappiamo com’era fatto, no? ;P 
Vorrei ringraziare prima di tutto le persone che hanno recensito ogni (o quasi) capitolo, in entrambe le piattaforme su cui ho pubblicato (EFP e Wattpad): LysandraBlack e XeniaLunaCrypt, recensori di fiducia. Grazie del supporto dimostrato, leggere le vostre recensioni mi ha fatto molto piacere ed è stato un grande aiuto!
Ma grazie anche a chi ha lasciato recensioni una tantum, a chi ha lasciato stelline, a chi ha seguito in silenzio la storia ma non ha mai fatto mancare il suo numerino nel contatore delle letture.
Prima di salutarvi, volevo avvisare che sì: ci saranno i sequel, quindi la storia non finisce qui. Mi prenderò un po’ di tempo per dedicarmi alla stesura del terzo romanzo della mia trilogia fantasy (sì, scrivo anche storie originali e le vendo su Amazon ;P ), ma avrete presto mie nuove… tutto il corso degli eventi è già stato deciso fino a Inquisition, quindi non temete: il sequel arriverà! Seguitemi per non perdervi gli aggiornamenti, quando arriveranno. ;)
Ancora GRAZIE di essere arrivati fin qui insieme a me. E per citare Gandalf il Grigio…
 
“Arrivederci… al prossimo incontro.”
 
 
Morgana
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Dragon Age / Vai alla pagina dell'autore: MorganaMF