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Autore: Sandie    18/02/2019    4 recensioni
Genzo torna in Giappone lasciandosi alle spalle Amburgo e tutte le sue certezze crollate in pochi mesi.
Ritrovati la sua famiglia e gli amici di sempre, nel suo futuro ci sono le Olimpiadi di Madrid e decisioni importanti che apriranno un nuovo capitolo della sua vita. Un destino che condivide con Taro.
I loro percorsi si intrecciano con quelli di Kumi ed Elena: due ragazze che, come loro, dovranno costruire una
nuova vita, diversa da quella immaginata.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Taro Misaki/Tom
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XV

 

Tra passato e futuro

 

 

Taro terminò di vestirsi, prese una giacca, il portafoglio e un borsone, e uscì dalla sua stanza.

«Papà, io vado.» disse, affacciandosi al vano della porta della cucina, dove Ichiro era intento a prepararsi del riso al curry.

«Va bene, Taro. Ci vediamo domani, divertiti!»

 

D'accordo con Urabe e Ishizaki, sarebbe andato a prenderli davanti al piccolo supermercato dell'ex capitano della Ootomo, che da negozio in cui si vendeva prevalentemente tofu aveva allargato la sua attività, proponendo un vasto assortimento di prodotti alimentari.

Avevano deciso di andare a vedere la partita tra lo Jubilo Iwata e il Vissel Kobe.

La loro squadra seguiva a due punti di distanza l'Urawa Red Diamonds e una vittoria era fondamentale per rimanere nella scia.

 

«Così ti diverti a fare lo spaccone con la macchina nuova, eh?» lo punzecchiò Hanji.

«No, è solo che me la voglio godere il più possibile.» sorrise, invitando i due amici a salire con un gesto della mano.

Dei flash, dei frammenti dei mesi vissuti a Iwata si susseguirono nella sua mente.

Come in una rassegna, gli tornò alla mente il suo primo giorno da giocatore dello Jubilo, in cui aveva ritrovato i suoi amici dai tempi della Nankatsu e aveva conosciuto Gon Nakayama.

 

Era da poco arrivato allo Yamaha Stadium, dove lo Jubilo Iwata stava ultimando la preparazione alla partita d'esordio nel secondo stage di J League.

Ishizaki e Urabe stavano correndo alle spalle dell'attaccante e colonna della squadra, Gon Nakayama, che si stava rapidamente dirigendo verso il pallone da lui appena calciato.

«Se raggiungete il pallone prima di me, vi offrirò un gigantesco yakiniku per cena!»

«Yakiniku?!» gridarono all'unisono i due difensori, increduli.

«Proprio così! E ora provate a impedirmi di segnare, se ci riuscite!» gridò, correndo nel contempo velocissimo verso la porta.

Non capivano dove Nakayama trovasse tutto quel fiato, per correre e per parlare contemporaneamente.

L'attaccante arrivò per primo sul pallone e calciò. La sfera tuttavia, non finì dentro la rete, perché un piede fermò la sua corsa.

Taro Misaki si chinò per raccoglierla con una mano e stringerla al petto, guardando i tre calciatori con un sorriso accennato e un lampo determinato negli occhi nocciola.

«Misaki … sei proprio tu?» disse Ryo, incredulo, correndo verso di lui, seguito da Hanji.

«Significa che giocherai nello Jubilo Iwata?»

Taro annuì con un cenno del capo, incontrando lo sguardo compiaciuto di Gon Nakayama.

 

«Perché non stasera?» protestò Hanji.

«Perché stasera ho già un impegno.» rispose prontamente Gon, come se si trattasse della cosa più ovvia del mondo.

Avevano appena terminato di vestirsi e l'attaccante aveva messo la mano sulla maniglia dello spogliatoio.

«Ma avevi detto che ci offrivi lo stesso la cena!» intervenne Ryo, in supporto all'amico.

Gon sogghignò «Sì, ma non ho detto che ve l'avrei offerta questa sera. Quindi dovrete pazientare un paio di giorni.» disse voltandosi e salutandoli con un gesto della mano, prima di uscire e avviarsi verso il garage dov'era parcheggiata la sua macchina.

«Comincio a odiarlo.» sibilò Ishizaki, con Urabe che annuiva, altrettanto contrariato.

 

«Signor Mizuno, la sua cucina è semplicemente superlativa!» Ryo diede ulteriore eloquenza al suo elogio riempiendosi per la terza volta il piatto di carne.

Alla fine, dopo due giorni Gon, prima di lasciare il centro sportivo dopo un altro estenuante allenamento, aveva dato appuntamento ai tre nuovi acquisti all'izakaya gestito da Danjuro Mizuno, un uomo segaligno dalla statura poco superiore alla media, e soprattutto un vero mago ai fornelli. Mizuno-san.

«Grazie ragazzi, ma il merito va diviso con la mia splendida aiutante, Kinuyo Harada.» disse, indicando con un gesto della mano la giovane donna che stava raggiungendo il loro tavolo.

I ragazzi si voltarono verso di lei, e quando la sua figura sottile si fermò accanto a Danjuro, i loro volti si illuminarono per l'ammirazione.

«Ero curiosa di conoscere i tre nuovi calciatori del nostro amato Jubilo. Molto piacere, ragazzi.» esordì. Aveva i capelli neri raccolti in una coda, a far risaltare il bellissimo viso dalla pelle candida e liscia. Due brillanti occhi neri spiccavano in quell'incarnato di porcellana.

Taro la guardò come incantato, al punto che anche i suoi compagni se ne accorsero.

«Hai già conquistato il nostro nuovo campione, Kinuyo.» sghignazzò Gon, seguito dalle risate di Hanji e Ryo, che davano di gomito al povero Taro, che arrossì come un pomodoro ma si guadagnò l'interesse della donna, che ne fece il principale destinatario delle sue domande.

 

Kinuyo partecipò alla conversazione tra i giocatori della squadra, rispondendo con puntuta ironia alle battute di Nakayama e intervenendo con considerazioni pertinenti sulle partite dello Jubilo e sulla J League.

Taro si ritrovò spesso a guardare verso di lei, e i suoi sguardi furono altrettanto spesso ricambiati.

Quella scena si ripeté altre volte, nelle settimane successive.

Finché una sera, il centrocampista decise che non era più capace di accontentarsi di quegli sguardi e di brevi dialoghi scambiati sempre nell'ambito di una conversazione generale.

Voleva vederla da solo … si vestì con cura nella sua camera da letto, arrivando persino a spruzzarsi del profumo di muschio bianco.

«Io esco.» annunciò, infilandosi una leggera giacca di jeans.

«D'accordo, Misaki.» gli rispose Urabe, spaparanzato sul divano con le braccia allungate sullo schienale.

Come immaginava e sperava, né Ryo né Hanji lo avrebbero seguito. Quando c'era il loro programma preferito in tv, nulla poteva smuoverli.

Uscì dal palazzo e diresse i suoi passi verso l'izakaya, sulla strada illuminata dalle luci dei lampioni. Ogni tanto transitava qualche auto, incrociò poche persone, perlopiù impiegati di ritorno dal lavoro o coppie e gruppi di amici che rientravano a casa.

 

C'erano poche luci accese e nessuna voce proveniva dall'interno, segno che l'orario di apertura era terminato.

Entrò e si sedette. Sentì dei rumori provenire dalla cucina.

Acqua che scorreva, acciottolio di piatti, bicchieri, recipienti e utensili vari.

Poco dopo, il rumore cessò e venne sostituito da quello dei passi leggeri di Kinuyo.

«Ehi, ciao!» esordì lei con vivacità, comparendo sul vano della porta, asciugandosi le mani con uno strofinaccio.

«Ciao.» replicò lui, con il suo sorriso gentile.

«Kirin Ichiban, come al solito?»

Taro annuì.

Kinuyo sparì per pochi istanti in cucina, per poi ricomparire con due bottiglie di birra. 

Le appoggiò sul bancone e tolse il tappo a entrambe con uno sturabottiglie.

Ne afferrò una, nello stesso momento in cui Taro prendeva in mano l'altra.

Fecero cozzare le due bottiglie, prima di bere parte del contenuto, guardandosi negli occhi.

«Scusami se ti sembrerò indiscreto, ma per caso Nakayama è innamorato di te?» chiese lui, all'improvviso, con una curiosità che suonava insolita perfino a sé stesso.

Kinuyo sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere, mettendosi una mano davanti alla bocca.

«Innamorato di me, Gon? Figurati, siamo come un fratellone con la sua sorellina. E poi lui è felicemente sposato con una cugina di Danjuro.»

«Sul serio? Non credevo. Ecco perché è così legato a questo posto.» rispose Taro, un po' stupito.

Passarono almeno un'ora a chiacchierare, al punto che le birre erano diventate più che tiepide e si erano nuovamente messi a ridere.

Kinuyo sfilò dai suoi capelli il fermaglio che li tratteneva e si passò una mano sul viso per ravviare alcune ciocche.

«Avevo proprio bisogno di una pausa. Ora sarà meglio che torni a casa.»

«Posso accompagnarti?»

«Certo.»

 

Lei aprì la porta, entrò e mantenne la mano sulla maniglia, ricambiando il suo sguardo.

Rimase fermo ad aspettare sulla soglia, senza staccarle gli occhi di dosso.

Al suo cenno, Taro avanzò, entrando in casa.

Kinuyo gli chiuse la porta alle spalle.

Il centrocampista fu sicuro di aver avvertito una scossa elettrica, quando la giovane donna gli si avvicinò, accarezzandogli il viso glabro e posando le labbra sulle sue.

Fece scivolare la giacca dalle sue spalle e gli passò le braccia attorno al collo, mentre dischiudeva le labbra, invitandolo ad approfondire il contatto.

Gli prese le mani e le posò sui suoi fianchi, affinché le facesse scorrere sul suo corpo.

Taro non aveva mai provato un simile grado di eccitazione. Si rese conto che fino ad allora non aveva saputo cosa significasse toccare una donna con ardore, baciarla con passione.

Dopo alcuni momenti di iniziale impaccio, il desiderio e l'istinto presero il sopravvento, e presto si ritrovarono nudi e avvolti nelle lenzuola del letto di lei, a riempire la stanza dei loro gemiti e sospiri.

 

«Sei un ragazzo speciale, Taro. Mi sei piaciuto subito, fin dal primo momento.» mormorò, adagiando la testa sul suo petto nudo e sfiorandogli l'addome con delle lievi carezze.

Lui, troppo inebriato per poterle rispondere, le passò le dita tra i capelli di seta e sulla schiena.

 

Erano stati mesi favolosi.

Lui, sempre presente in campo con lo Jubilo Iwata, stava trascinando la squadra verso la conquista del secondo stage, e si stava imponendo e facendo notare anche all'estero per la bellezza dei suoi gol e per la precisione dei suoi passaggi. Prestazioni che confermava anche nelle amichevoli con la Nazionale Under 23, contro due selezioni più collaudate a livello internazionale come la Danimarca e la Nigeria.

Kinuyo assisteva sempre alle partite giocate nello Yamaha o nell'Ecopa Stadium, e seguiva in tv tutte le trasferte, facendo un'eccezione se queste erano previste nella prefettura di Shizuoka.

Taro disertava sempre più spesso l'appartamento preso in affitto con Ishizaki e Urabe, per passare le notti e a volte anche le giornate a casa di Kinuyo.

Lei gli insegnò a cucinare alcune pietanze tipiche della cucina giapponese, e finivano sempre per punzecchiarsi e ridere, tra un'effusione e l'altra.

Era troppo bello … sembrava una favola. Di più, un sogno.

E infatti, si era interrotto bruscamente.

  

Pochi giorni dopo l'amichevole vittoriosa contro il Paraguay, Kinuyo gli aveva sbattuto in faccia quella rivelazione, e nel momento peggiore: dopo aver fatto l'amore.

«Ho incontrato un uomo, Taro. Ha ventotto anni, lavora da cinque come assicuratore per la Nomura, ha una carriera ben avviata. È serio e gentile. Ci ha presentati mio zio e …»

«Un omiai?» chiese Taro, un'espressione indecifrabile sul volto.

«Taro, io ho già ventisei anni. Tutto quello che desidero è un matrimonio stabile e costruire una famiglia. Con te ora è tutto meraviglioso, ma chi ci dice che durerà? Hai solo vent'anni, dei sogni che ti porteranno lontano dal Giappone e io non voglio chiederti cose che non puoi o non ti senti di darmi.»

«Puoi sempre venire con me.» replicò, con un'espressione che sembrava chiederle quale fosse il problema.

«Io qui ho un lavoro, i miei genitori, la mia vita. Non potrei mai lasciarli.»

«Ma tu non ami quell'uomo.»

«Lo stimo e lo rispetto. So che mi renderà felice, che mi darà un futuro sereno e senza problemi.»

«Io invece non sono in grado di darti garanzie, non è così?» aveva alzato la voce, al colmo dell'incredulità e della delusione.

Kinuyo lo guardò con un sorriso triste «Rimarrai uno splendido ricordo, che porterò sempre con me. Certe storie sono belle e intense ma non sono fatte per durare. E tu hai bisogno di una ragazza disposta a condividere con te il tuo sogno. Io non ci riesco.»

Taro non rispose nulla. Chiuse gli occhi, si alzò dal letto e si rivestì, senza neppure andare in bagno. Prese i suoi pochi effetti personali e uscì dall'appartamento, per non tornarci più.

 

Arrivarono allo Yamaha Stadium e presero posto in zona centrale.

Alcuni tifosi li riconobbero e li circondarono, alla ricerca di autografi, strette di mano e fotografie.

La loro presenza venne salutata dall’entusiasmo dei supporter e sottolineata dai cronisti.

Lo Jubilo Iwata batté il Vissel Kobe per 2-0, con una doppietta di Nakayama.

E una notizia splendida arrivò da Saitama, dove grazie ai brasiliani Pepe e Leo, il Kashima Antlers a sorpresa aveva battuto in casa la capolista Urawa Red Diamonds.

Risultato fondamentale perché valse il sorpasso dello Jubilo, che ora si trovava in vetta.

«Fantastico!» Ryo era in visibilio «Speriamo succeda qualcosa di simile anche a noi tra qualche giorno!»

 

«E ora, tutti a festeggiare da Mizuno-san!» gridò Gon, da poco uscito dallo stadio, nel piazzale dove, insieme ad altri giocatori, lo avevano atteso i suoi tre giovani compagni di squadra.

«Volentieri!» esultò Ishizaki «Ho proprio voglia di mangiare la famosa grigliata di Danjuro!»

«Misaki, te la senti di venirci?» chiese poi, guardando attentamente l'amico.

«Certo, perché non dovrei?» rispose con aria affabile, anche se dentro di sé provava una leggera apprensione … l'avrebbe rivista dopo cinque mesi. Come avrebbe reagito?

Era curioso e inquieto allo stesso momento.

Il primo sentimento prevalse, così come i ricordi felici delle serate passate in quel locale con gli amici e i compagni di squadra.

 

All'interno dell'izakaya, Danjuro accolse tutti con l'entusiasmo di sempre e si illuminò quando si accorse della presenza della nuova stella dello Jubilo.

«Ehi, guarda chi si rivede! Misaki! Da quanto tempo non venivi qui?»

«Da gennaio, poco dopo i festeggiamenti per la vittoria del secondo stage.»

«Certo, e come dimenticare? Una festa per i nostri campioni … ora sono tutti impegnati con il campionato e dopo aver superato l'Urawa Red Diamonds in classifica, speriamo di poterci confermare in questo stage.»

«Lo spero anch'io. Tiferò sempre per lo Jubilo!»

Il gestore aggrottò le sopracciglia «Che significa? Non mi starai dicendo che ci lasci?»

Taro sorrise «Per ora no, ma se dovessi disputare una buona Olimpiade, non disdegnerò l'interessamento delle squadre europee.»

Danjuro alzò le spalle «Beh, del resto tu sei un grande giocatore. Non ho mai visto fare ad altri giocatori qui in Giappone quello che hai fatto tu.»

 

Stavano mangiando, chiacchierando e ridendo da mezz'ora quando Danjuro raggiunse nuovamente il loro tavolo.

«Ragazzi, siete venuti appena in tempo per salutare Kinuyo. Tra un mese si sposerà e andrà a vivere a Osaka.» annunciò.

Urabe e Ishizaki si girarono istintivamente verso Taro, che mantenne un'espressione impassibile. Entrambi sapevano che non significava nulla in sé … Misaki era sempre stato bravo a nascondere i suoi sentimenti, quando non voleva lasciarli trasparire.

Dopo pochi minuti, la donna comparve nella sala da pranzo con altri piatti pieni di carne da arrostire, salutata dagli applausi e dalle grida dei clienti.

«Ehilà, ragazzi! Sono felice di rivedervi, mi siete mancati!» esclamò entusiasta, non appena riconobbe i tre giocatori ex Nankatsu.

«Ciao, Kinuyo! Allora è vero che ti sposi e te ne vai?» le chiese subito Urabe.

La ragazza annuì.

Incrociò gli occhi di Taro, che la guardava con un leggero sorriso, senza parlare.

«Ciao Taro. Ti ho visto alle qualificazioni, sei sempre più bravo.»

«Grazie, Kinuyo.» rispose il centrocampista, afferrando il suo boccale di birra e bevendone alcuni sorsi.

La serata passò in goliardia, tra battute, scherzi, risate, aneddoti dei mesi passati tutti insieme a Iwata e racconti del periodo più recente, il primo stage della nuova stagione per chi stava ancora giocando in J League, le partite delle qualificazioni per i tre nazionali.

 

All'uscita del locale, ignorando lo sguardo di rimprovero di Gon, Kinuyo si avvicinò a Taro, quasi furtiva e gli sfiorò una spalla.

«Ti va di accompagnarmi a casa?» sussurrò.

Il suo respiro gli sfiorò il lobo dell'orecchio provocandogli un brivido, suo malgrado.

Qualche nuvola rischiarava il blu oltremare del cielo, velando di tanto in tanto la luna e le stelle.

«Sono in auto con Ishizaki e Urabe.» obiettò.

«Non ti preoccupare, Misaki.» intervenne Hanji, addirittura prima che potesse terminare la frase. «Possiamo anche tornare a piedi, vero Ishizaki?» disse, dando di gomito al compagno.

«Sì, certo. Dopo questa mangiata, fare quattro passi e prendere una boccata d'aria fresca è quello che ci vuole.»

«Va bene, ti accompagno.» rispose allora Taro, incontrando l'espressione lieta di lei.

 

Lasciò l'auto a pochi passi dal palazzo in cui abitava Kinuyo.

Dopo aver percorso pochi gradini di scale, la seguì nel suo piccolo appartamento, che si trovava al primo piano.

Quell'abitazione adatta a una donna single, sarebbe presto rimasta vuota e data in affitto ad altri inquilini.

«Ti rimane poco tempo per vivere qui.» disse, tanto per rompere il silenzio caduto tra loro quando erano entrati.

«Già. Sai, un po' mi dispiace. Mi ero affezionata a questa casetta. La prima in cui ho vissuto da donna indipendente.»

Taro sorrise, con lieve ironia.

«La tua relazione con l'assicuratore della Nomura va bene, allora.»

La ragazza gli si avvicinò. Giunse a pochi centimetri da lui e gli diede un lieve bacio sulle labbra «Lui non è come te, Taro …» mormorò, guardandolo con un mesto sorriso.

«Hai fatto la tua scelta, Kinuyo …» rispose lui.

«Lo so.» disse, guardandolo con occhi malinconici «Prima era diverso. Quando lo frequentavo, sapevo che poi qui c'eri tu. Ma ora …» continuò languida, posando le mani sul suo petto.

Per un momento, Taro fremette a quel contatto. Non aveva dimenticato la sua relazione con lei, quello che c'era stato fra loro.

Conosceva bene il suo corpo. Lo aveva esplorato tante volte, senza stancarsi, nei mesi in cui aveva vissuto e giocato a Iwata.

Ricordava ogni momento del loro primo incontro, della loro prima notte insieme.

Era stata la prima donna con cui si era lasciato andare completamente, con cui aveva fatto l'amore, mettendo da parte ogni inibizione. L'aveva amata, in modo totale e forse ingenuo da ventenne, ma si era sentito pronto a costruire un futuro, con lei.

Taro chiuse gli occhi ed espirò, con un mezzo sorriso.

«Cosa vorresti dirmi, ora? Che sei pentita, che non lo ami veramente, che ti sono mancato?» chiese, in tono beffardo.

Lei trasalì, non aspettandosi di udire tanta durezza nella sua voce. Così tanta da sembrare, in lui, innaturale.

«Fammi sognare un'ultima volta, Taro …» lo abbracciò, certa di ispirargli ancora quei sentimenti che li avevano legati mesi prima, e gli afferrò i polsi per fargli posare le mani sui suoi fianchi. Aveva fatto così la loro prima volta insieme … aveva guidato le sue mani lungo tutto il suo corpo, per poi lasciare che seguisse il suo istinto.

Taro strinse i denti dietro le labbra serrate, avvertendo l'eccitazione crescere, suo malgrado.

Fu tentato di stringerla, spogliarla, accarezzarla in tutti i modi possibili, su tutto il corpo, e possederla con tutta la passione e la veemenza con cui sempre lo aveva implorato di fare, per alimentare in lei i rimpianti, per renderla consapevole una volta di più quello che stava perdendo.

Per orgoglio personale. Perché era stato messo da parte, declassato a eccitante avventura in quanto senza laurea e senza un lavoro stabile, quindi incapace di offrirle garanzie per il futuro. Perché non lo amava al punto da condividere i suoi sogni, le sue aspirazioni, i suoi traguardi e le sue speranze.

Al contatto con le labbra della giovane donna, le separò con la lingua, esplorando la sua bocca. Poi percorse quei centimetri di pelle che lei gli aveva offerto, reclinando la testa all'indietro. Ascoltò i suoi ansiti, sentì la carotide pulsare convulsamente sotto la pelle serica e contro le sue labbra.

Con le mani aveva preso ad accarezzarle le spalle, i seni, i fianchi, strappandole altri sospiri.

«Taro ...»

Il gemito della donna ruppe quell'incantesimo.

Sollevò la testa e la fissò dritto negli occhi.

Lei lo guardò, stupita e delusa dall’interruzione di quel contatto prolungato che la stava mandando in estasi, come quando stavano insieme.

Taro sorrise.

No, non era più come prima.

L'aveva illusa, come lei aveva fatto con lui, trattandolo come un giocattolo e dando per scontato che le sarebbe bastato ricomparire sulla sua strada, per avere di nuovo il dominio sui suoi sentimenti.

E soprattutto, aveva scorto un barlume di chiarezza nel suo cuore.

Un sentimento nuovo, all'orizzonte. E il volto di una ragazza dai vivaci e brillanti occhi castani. Una per cui valeva la pena lasciarsi il passato alle spalle.

«Le cose cambiano, Kinuyo …» sibilò, scostandosi da lei e voltandosi verso l'uscio.

Aprì la porta e scese i pochi scalini che portavano all'atrio del palazzo.

Gli parve di sentire un pianto sommesso, provenire dall'interno dell'appartamento.

Uscì e dopo pochi passi fu di nuovo sulla strada.

 

Rientrato nel suo appartamento, trovò Urabe ancora seduto sul divano, con una bottiglia di birra vuota e l'altra piena per metà sul tavolino.

«Ehi Misaki! Come mai già qui? Eravamo convinti che ti avremmo rivisto domattina.» disse, strizzandogli un occhio.

«Non consolo le spose infelici.» replicò il giovane con sarcasmo, passando dietro il divano e dirigendosi verso la sua stanza.

Hanji alzò le spalle e bevve un altro sorso di birra. Poi sogghignò.

«Vuoi vedere che quei due pettegoli di Ishizaki e Nishimoto hanno ragione …»

   

Elena si guardò a lungo allo specchio, indecisa su come vestirsi. Genzo non era certo uno snob né un fanatico dell'etichetta, anzi non ostentava per nulla la sua ricchezza.

Ma viveva comunque in una villa enorme e lussuosa. Non poteva certo presentarsi in jeans e maglietta.

Indossò così un lupetto smanicato azzurro e una gonna nera. Infilò dei collant un po' più scuri per coprire i lividi sulle gambe e ai piedi un paio di sandali. Sul viso, mise un ombretto color oro e un gloss rosa perlato.

Le rimaneva da decidere come pettinarsi. Raccogliere i capelli nel consueto chignon, oppure lasciarli sciolti?

Alla fine, optò per una via di mezzo: afferrò due ciocche, le portò all'indietro e le fissò con un fermaglio.

Un look semplice ed elegante, con cui sperava di non far storcere il naso ai domestici della villa e agli ospiti di Genzo.

 

Arrivò davanti all'alto cancello di villa Wakabayashi quando il sole cominciava a tingere il cielo di sfumature rosse. Suonò il citofono e pronunciò il suo nome quando sentì una melodiosa e garbata voce femminile risponderle.

Il cancello iniziò ad aprirsi ed Elena attraversò il vialetto di ghiaia, osservando l'enorme giardino che si estendeva ai lati. Le file di alti sempreverdi, il prato all'inglese curatissimo, adornato da splendidi fiori.

E infine, la facciata della villa, che sembrava ancora più ampia e torreggiante, ora che la guardava dal basso, a pochi metri di distanza.

Un cane bianco sbucò dal retro della villa e le corse incontro, abbaiando.

Elena sussultò, ma continuò a camminare senza fretta e quando l'animale le si avvicinò, tese una mano, per permettergli di annusarla.

Iniziò poi ad accarezzargli prudentemente la testa e il cane la lasciò fare, continuando a fissarla guardingo.

«Vedo che stai cominciando a fare amicizia con John.»

Elena alzò la testa e vide Genzo, a pochi passi da lei e dal suo amico a quattro zampe.

Gli sorrise, con una delle sue tipiche smorfie da monella.

«E così sei tu il famoso John.» disse poi rivolta al cane, che si mostrò un po' più espansivo, come se aspettasse una sorta di "nulla osta" da parte del suo padrone.

«È con noi da quando avevo nove anni. È un vecchietto un po' diffidente, ma pare che tu gli stia andando a genio.» scherzò il portiere.

«Entriamo?» le domandò poi.

Elena annuì «Sono curiosa di vedere com'è l'interno di una villa giapponese.»

Aveva fatto bene a scegliere un abbigliamento più elegante. Genzo era vestito con dei pantaloni neri e una camicia bianca, i capelli leggermente arruffati.

Nell'ampio vestibolo, li aspettava una donna di mezza età di bassa statura e corporatura minuta, con il volto delicato e segnato da poche rughe incorniciato da corti capelli neri tagliati a caschetto.

«Buonasera, signorina Rulli. Cambi pure qui le sue calzature, queste devono essere della sua misura.»

«Lei è Hitomi Sakai, da vent'anni è la nostra governante.»

«Vent'anni?»

«Sì, fui assunta poco prima della sua nascita.» confermò Hitomi.

«L'ha visto crescere, quindi.» considerò, colpita subito dopo dal pensiero che avrebbe voluto farsi raccontare qualche aneddoto sull’infanzia del portiere … di certo quella donna ne conosceva moltissimi.

Hitomi annuì e a Elena parve che stesse per dirle qualcosa, quando Genzo si rivolse a lei.

«Sei la prima. Mikami non è ancora arrivato.»

«Sei solo?»

«Sì. Hiroji e Annie, come ogni finesettimana, sono andati a Tokyo dai miei genitori e hanno portato con sé i bambini.»

«Sai … ero curiosa di vedere la piccola Aiko.»

«Sta imparando a camminare, un po' alla volta.»

«Quella bambina è deliziosa.» disse Hitomi, intenerita, congedandosi dalla stanza per ultimare i preparativi della cena.

Pochi minuti dopo arrivò Tatsuo Mikami.

Elena l'aveva intravisto durante le partite al National Stadium, accanto al dirigente più giovane con lunghi capelli scuri, Munemasa Katagiri, ma non si erano mai incontrati.

Genzo li presentò ed Elena fu sorpresa quando le disse che aveva già sentito parlare di lei.

«Sono stato l'allenatore personale di Genzo qui in Giappone e, per un breve periodo, anche in Germania, prima che entrasse a far parte del settore giovanile dell'Amburgo. So che Genzo si allena nella palestra dove lavori.»

«È più corretto dire che mi allenavo …» precisò il portiere, incrociando le braccia.

«Quando il tuo occhio sarà guarito completamente, potrai tornare a farlo.» gli ricordò Tatsuo.

Mikami … l'uomo che per primo aveva intuito il talento di Genzo.

Anche lui lo conosceva benissimo e chissà quanti episodi poteva raccontarle, soprattutto sui suoi primi anni in Germania, costretto a confrontarsi con una lingua e una cultura così diverse da quelle del suo Paese d'origine.

 

Una voce stentorea e gutturale riecheggiò nel vestibolo, in un giapponese dalla pronuncia un po' stentata.

Genzo spalancò gli occhi, poi sbuffò, seccato.

Günther Hoffmann aveva deciso di comparire al momento più opportuno per sé stesso, ma meno adeguato per lui.

«Buonasera, signora Sakai. Le ho portato un mazzo di peonie, so che lei gradisce moltissimo questi fiori.» le disse in un tono talmente gentile da rasentare lo svenevole.

Hitomi lo avrebbe trovato imbarazzante se non fosse stato un uomo di mezza età, dal fisico da granatiere e gli occhi azzurri che creavano un attraente contrasto con i capelli castano scuro un po' ingrigiti sulle tempie.

«Signor Hoffmann, sono meravigliosi. Non sapevo fosse stato invitato anche lei.»

«Anche? Perché, ci sono altri ospiti?»

«Sì, il signor Mikami e la signorina Rulli.»

«Rulli? Ma non si chiamava Ujimori?» chiese, sorpreso.

«Asami non è qui. La signorina Elena Rulli è una mia amica, la nipote del mio maestro di kickboxing. Sarebbe dovuto essere anche lui qui stasera, ma è ancora convalescente dopo un intervento alla testa.» intervenne Genzo, entrando nel vestibolo togliendo così d'impaccio la governante, senza preoccuparsi di nascondere un'espressione contrariata.

«Buonasera Herr Hoffmann. Lieta di conoscerla.» si fece avanti la giovane.

«Buonasera signorina. Il suo nome è italiano, ma dal suo aspetto e dalla sua pronuncia perfetta si direbbe che scorre anche sangue teutonico nelle sue vene.»

«Non sbaglia. La famiglia di mia madre vive in Germania.»

«In quale zona?»

«La Baviera, non lontano da Monaco.»

«Bene … io vengo da Augsburg.»

Poi si rivolse al suo assistito.

«Che si tratti di fidanzate o amiche, caro Genzo, dimostri sempre un ottimo gusto.» si complimentò ammiccando, mentre Elena fece un blando sorriso all’udire quelle parole.

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e fece cenno a Hitomi di far servire la cena il più presto possibile.

 

Una volta seduti a tavola, il procuratore non perse tempo e riesumò subito l'argomento che in realtà più di tutti gli premeva trattare.

«Ti avevo detto che avremmo parlato del mio trasferimento soltanto dopo le qualificazioni, Günther.» gli disse Genzo, senza nascondere la sua irritazione.

«Certo, e se non ti fossi infortunato, avrei rispettato questa scadenza. Ma ora la tua prossima partita la giocherai alle Olimpiadi, se il Giappone si qualificherà, quindi preferisco portarmi avanti. Anche perché per l'appunto, ora come ora rischiate di non andarci, a Madrid.» disse, senza ironia.

Genzo sospirò. La sola idea gli faceva gelare il sangue nelle vene, ma Günther aveva ragione: l'esclusione del Giappone dai Giochi era una minaccia concreta.

«Il Bayern ti vuole, è disposto a sborsare qualsiasi cifra. Li hai letti i giornali? Sei il portiere più seguito, per te spasimano tutti i grandi club.»

«Lo faccio ogni giorno. Non mi hai detto nulla di nuovo.» ribatté, in tono annoiato.

«Quello che non sai, è che Zeeman molto probabilmente andrà via dall'Amburgo, a fine stagione. È richiesto dalla Dinamo Dresda, che sta per essere promossa in Bundesliga. Ed è stato contattato anche dal Rapid Vienna e dal Losanna.»

«No, non lo sapevo, ma non mi stupisce. I risultati delle ultime due stagioni sono stati mediocri e comunque al di sotto delle aspettative.»

«Ma tu torneresti ad Amburgo se Zeeman andasse via?» lo incalzò Günther.

Per lo spazio di un attimo, quella notizia colpì Genzo come se si fosse aperta, improvvisamente, una breccia. Ma preferì non sbilanciarsi.

«I miei rapporti si sono incrinati con lui, non ho avuto problemi né con i miei compagni, né con i dirigenti, né con gli altri membri dello staff tecnico.»

Günther sogghignò «Beh, non ti rivorranno comunque. Il club ha grossi problemi finanziari, fa fatica a mantenere i conti in pareggio e ha bisogno di fare cassa. E tu sei il pezzo più pregiato.»

Genzo lo guardò. Un lampo di disillusione passò nei suoi occhi. Günther gli sorrise con comprensione.

«Questa storia dell'esclusione dall'undici titolare per fare posto ad altri tre extracomunitari, tecnicamente non eccelsi per inciso, è stata tutta una pantomima, Genzo. Il direttore sportivo dell'Amburgo era convinto che avresti accettato il trasferimento al Bayern, invece sei rimasto e hai fatto saltare un affare che avrebbe rimpinguato le casse del club. E così hanno aspettato l'occasione giusta per portarti alla rottura. Senza saperlo, gliel'hai servita su un piatto d'argento.»

«Io mantengo il mio proposito. Ci penserò solo dopo le qualificazioni.» ribadì.

Günther annuì, ma non rinunciò al suo ennesimo tentativo di persuasione.

«Se rimani in Germania, hai il vantaggio di conoscere già la lingua, così come se dovessi andare in Inghilterra. L'unico inconveniente, chiamiamolo così, di un trasferimento al Bayern è che i tuoi attuali tifosi ti bollerebbero come un "traditore", specie dopo il tuo "assist" dell'andata.»

Genzo lo fulminò con lo sguardo, ma Hoffmann lo ignorò.

«Però, e questa è la cosa più importante, riempiresti l'ultimo tassello che manca al Bayern per poter prevalere sulle migliori d'Europa. E cominceresti finalmente a vincere, anche a livello di club, i titoli e i trofei che un portiere del tuo calibro merita di conquistare.» concluse serio.

«Non vogliono semplicemente un portiere forte, vogliono te.»

Elena aveva seguito con enorme interesse, al pari di Mikami, la conversazione tra Genzo e il suo procuratore.

Per un attimo le era balenata in testa l'idea che se il portiere si fosse trasferito al Bayern Monaco e lei fosse stata accettata alla Ludwig-Maximilian Universität, avrebbero potuto rivedersi ancora, anche in Germania. Non riuscì a negare di considerarla una prospettiva tutt'altro che spiacevole.

 

Al Mỹ Ðinh National Stadium di Hanoi, i giocatori giapponesi arrivarono quasi sempre al tiro, trasformando presto la partita in un assedio per i loro avversari.

La partita si mise sul binario giusto dopo dieci minuti, grazie a uno splendido destro di Jun Misugi, che univa tecnica e potenza.

Al venticinquesimo, Matsuyama segnò con uno dei suoi insidiosi tiri rasoterra.

Al trentesimo del secondo tempo, un potente tiro di sinistro di Misaki si infilò alle spalle del portiere vietnamita, senza che questi avesse mosso un muscolo.

«Avevo ragione a non essere preoccupato per la partita contro il Vietnam, la stiamo vincendo senza difficoltà. È il risultato di Arabia Saudita-Australia che temo … si può soltanto sperare che Al Owairan e Vulkan abbiano giocato la loro miglior partita, trascinando i loro compagni.»

«Certo, non hanno più grandi motivazioni visto che sono già eliminati.» obiettò Mikami.

«Ma giocano in casa. Vorranno congedarsi dal loro pubblico con una prestazione dignitosa.» insistette Genzo.

Ripensò a quello che Misaki gli aveva detto al telefono, quando si erano sentiti in mattinata.

«Ho parlato con Al Owairan al termine della partita contro l'Arabia Saudita … mi ha promesso che darà il massimo contro l'Australia. A noi, non resta che vincere e sperare in un risultato positivo per noi, a Riyad.»

 

Mancavano pochi minuti al termine della partita e l'Australia stava conducendo per 1-0.

Ma Mark Al Owairan ancora non si dava per vinto.

Era sempre stato convinto che nel calcio, con sufficiente tempo a disposizione, poteva accadere qualsiasi cosa e molte volte i fatti gli avevano dato ragione.

E in tre minuti l'Arabia Saudita avrebbe potuto pareggiare e forse anche vincere.

Aveva fatto una promessa a Misaki ed era determinato a onorarla fino in fondo. Avrebbe tentato, tentato fino al fischio finale dell'arbitro.

 

Ide Tamotsu raggiunse il campo in lacrime.

I giocatori in campo e in panchina, Kira e il suo staff si voltarono verso di lui.

L’assistente tecnico si fermò e si mise le mani sulle ginocchia, ansando e continuando a piangere.

«Ragazzi … a Riyad è finita … 1-1! Gol di Al Owairan al quarantaquattresimo!» gridò, alzando i pugni e liberando finalmente tutta la sua gioia.

Tutti i giapponesi, in campo, in panchina e sugli spalti dello stadio, esultarono.

Il boato si diffuse in metà stadio.

I giocatori levarono le braccia al cielo, si abbracciarono, saltellarono sul terreno in preda all'euforia.

Taro strinse i pugni e si deterse il sudore dalla fronte e le lacrime di felicità dagli occhi.

Mark aveva mantenuto la sua promessa.

 

Schizzarono tutti in piedi, saltando e alzando i pugni.

Elena gettò le braccia al collo di Genzo, gridando felice.

«Oh Genzo è meraviglioso! Abbiamo di nuovo la qualificazione nelle nostre mani!»

Sgranò gli occhi quando si accorse degli sguardi tra lo sconcertato e l'ironico di Mikami e Hoffmann, puntati su di lei. Genzo aveva un'aria sorpresa, mista a un luccichio di gioia.

Si slacciò dal ragazzo e si ricompose.

«Oh, scusami. Scusate. Ero … in preda all'entusiasmo.» si giustificò, rivolta prima al portiere e poi volgendosi verso l'allenatore e l'agente, i quali risero sotto i baffi nel vedere il suo volto in fiamme.

 

Approfittando della momentanea assenza di Genzo, che si era trattenuto sulla porta di casa a parlare con Mikami appena congedatosi, Elena salì le scale e percorse il corridoio, con la sola intenzione di dare un’occhiata ai quadri appesi alle pareti, alcuni dei quali erano ritratti di membri della famiglia Wakabayashi.

Giunse davanti a una porta semiaperta, da cui si intravedevano fotografie, trofei e gagliardetti.

Doveva essere la stanza di Genzo.

Si guardò intorno esitante, poi la curiosità ebbe la meglio ed entrò.

Günther Hoffmann se n'era andato da poco e nella villa, a eccezione dei domestici, erano rimasti soltanto loro.

Si trovava lì da pochi minuti, quando la voce del portiere la fece sobbalzare.

«Ah, eri qui.»

Lei si voltò e lo vide fermo accanto a uno stipite della porta, le braccia incrociate ma il suo tipico sorriso sghembo sul viso.

«Scusami … è che la porta era aperta e ho intravisto le foto sulla parete … e mi sono incuriosita. Non ho toccato nulla.»

Genzo scosse la testa «Non ti preoccupare. Sono legato a quelle immagini, più che a tutte le altre.» le confidò, entrando nella stanza e affiancandosi a lei.

Le mostrò le fotografie e le descrisse gli eventi cui si riferivano, le raccontò dei tornei di Yomiuri Land, soprattutto quello vinto con la Nankatsu.

«Questa è stata scattata nella nostra villa di Londra, dopo la vittoria al Mondiale Under 16 a Parigi.» continuò a elencare.

«E questo è il mio primo trofeo vinto nel campionato della prefettura, con la Shutetsu. L'uomo accanto a me è mio nonno.» le spiegò, indicandole l'alto signore dai capelli bianchi che gli teneva orgogliosamente una mano su una spalla. Occhi neri come l'ebano e sguardo fiero, lo stesso del nipote.

Elena sorrise, intenerita.

«So che solitamente glissi su questo argomento, ma posso fartela una domanda?»

«Dimmi.»

«Davvero non hai nessuna idea di dove ti piacerebbe andare a giocare? Una squadra preferita, una situazione più stimolante rispetto alle altre …»

Genzo fece un sorriso triste e diede un'alzata di spalle «È difficile lasciare una città in cui si è vissuto per tanti anni. Io credevo sarei rimasto ad Amburgo per tutta la carriera …» le confidò.

«Le bandiere nel calcio sono sempre più rare. Le ultime si stanno ammainando ed è difficile che ci sia qualcuno pronto a raccogliere il testimone.» replicò la giovane «I club oggi preferiscono vendere i loro pezzi migliori e incassare quanti più soldi possibile, per far quadrare i conti e acquistare altri giocatori. Lo stanno facendo anche con te: come ha detto Herr Hoffmann, la vicenda con Zeeman è stata strumentalizzata e in realtà cercavano soltanto una scusa per cederti.»

Genzo piegò le labbra da un lato «Forse ero soltanto presuntuoso. Pensavo che solo con le mie parate, l'Amburgo potesse vincere la Bundesliga. Ci siamo andati vicini tante volte, ma poi arriva sempre primo qualcun altro.»

«È qualche anno ormai, che arriva primo sempre il Bayern.» ribatté Elena, strizzandogli un occhio.

Genzo sorrise di rimando, poi replicò, serio in volto «Come ha detto Günther, se andassi a Monaco, specie dopo quanto accaduto a settembre, i tifosi amburghesi mi vedrebbero come un traditore, uno che è cresciuto nella loro squadra per poi andare a cercare vittorie e titoli con i loro rivali.»

Elena scosse la testa «Non sei un traditore, ma un professionista. Tra Amburgo e Bayern ci sarà una rivalità storica, ma da anni sono su due piani diversi, quanto a competitività e obiettivi da raggiungere. Credo tu sia abbastanza onesto da ammetterlo.»

Genzo la guardò, poi abbozzò un sorriso e assentì con il capo.

«Ho passato un periodo fondamentale della mia formazione umana e calcistica in Germania.» affermò «Non so se limitarmi a cambiare città, o se trasferirmi in un Paese diverso addirittura e fare un'esperienza in un altro campionato.»

«Come ti ho già detto, a me piacerebbe davvero vederti difendere la porta del Bayern Monaco.» ammise, con un leggero sorriso.

Genzo la guardò ancora. Un pensiero gli attraversò la mente: se lei avesse scelto di studiare a Monaco, lui avrebbe davvero potuto accettare l'offerta dei bavaresi … ma preferì non dire nulla. Era di nuovo vicina, ma ancora non poteva toccarla, e allora doveva evitare che si allontanasse.

«Ti va di bere qualcosa? Ho delle birre e altre bevande in frigo.»

«Una birra andrà benissimo.»

 

«Io sono giapponese fino al midollo, ma devo riconoscere che preferisco quella tedesca.» affermò, afferrando due bottiglie e posandole sul tavolo della cucina, cui lei si era seduta.

Hitomi si era già ritirata nella sua stanza.

Rimasero lì fino a tardi, a parlare delle loro vite, a ridere, a raccontarsi episodi della loro adolescenza.

Genzo non aveva mai parlato di sé stesso con tanta spontaneità a una ragazza.

Con Elena, sentiva di poter discorrere di qualsiasi argomento senza sentirselo liquidare con risposte banali. E alle sue battute, sapeva ribattere con altrettanto spirito.

Durante la partita, aveva sorpreso Mikami e Hoffmann con le sue osservazioni e commenti puntuali e appropriati sulle azioni e sulle caratteristiche dei giocatori.

Gli dispiacque e gli sembrò di risvegliarsi da un bel sogno, quando lei si scostò piano all'indietro, con la sedia.

«Si è fatto tardi. È meglio tornare a casa. Domani devo essere in palestra.»

«Ti accompagno.»

«Non ce n'è bisogno, non disturbarti a fare tutta la strada.» obiettò.

Genzo scosse la testa «Come hai detto tu, è tardi, e sei anche un po' brilla.» le fece notare.

«Brilla?» ripeté, corrugando le sopracciglia, con un buffo broncio.

Genzo ridacchiò e confermò la parola usata con un mezzo sorriso «Esatto.»

Effettivamente, non aveva certo perduto la lucidità, ma l'alcool e la spensieratezza di quella serata l'avevano un po' alterata. Si sentiva più leggera e rilassata.

Si affacciò alla finestra e osservò il cielo ormai scuro.

«Mi sono dimenticata di portare una giacca con me.»

«Aspetta.»

Uscì dalla cucina e salì le scale, per poi tornare poco dopo con una morbida giacca bianca di cotone.

«Puoi mettere questa. È di mia madre.» disse, aprendola e adagiandogliela sulle spalle, mantenendo per pochi attimi il contatto delle sue mani, divise dalla pelle nuda soltanto da quel leggero strato di stoffa.

Elena si voltò e incontrò il suo sguardo, premuroso come al solito.

Non poté fare altro che sorridergli, in un muto ringraziamento.

 

Kumi entrò nel locale seguita da Madoka, Ikuko e Saya, e individuò subito un tavolo situato proprio dirimpetto al grande televisore fissato al soffitto della stanza.

Yukari era a Hanoi insieme ai supporter, mentre lei era rimasta in Giappone, perché voleva passare il finesettimana con il suo gruppo di amiche, cosa che non accadeva da molti mesi.

Aveva invitato anche Elena, per dare la possibilità soprattutto a Ikuko e Saya di conoscerla meglio, ma l'insegnante aveva rifiutato, adducendo un impegno già preso in precedenza, senza specificare di cosa si trattasse.

Le quattro ragazze passarono così la serata in un famiresu, a seguire la partita sul grande schermo, tifando ed esultando ai gol della Nazionale giapponese.

Persino Ikuko e Saya si entusiasmarono, trascinate da Kumi e Madoka, e impazzirono letteralmente di gioia quando appresero del pareggio tra Arabia Saudita e Australia.

Al termine del match, le quattro ragazze lasciarono il locale tutte insieme e, dopo aver percorso un tratto di strada tra chiacchiere e risate, il gruppo si divise a metà.

Madoka e Kumi proseguirono verso l'abitazione dell'ex manager.

«Sai, Shun mi ha promesso che al termine delle qualificazioni andremo a Kyushu per una breve vacanza. Indipendentemente dal risultato.»

«È molto bello da parte sua … non vuole farti pesare un'eventuale eliminazione.»

«Già … è presto per dirlo, ma forse la nostra storia può davvero funzionare. Siamo ripartiti con il piede giusto e io, giorno dopo giorno, mi sento sempre più innamorata.» affermò, con aria sognante.

Kumi la guardò con tenerezza e anche con un po' di invidia.

«A proposito … che mi dici di Misaki? Vi siete rincontrati?» Madoka sembrava averle letto nel pensiero.

Lo sguardo di Kumi si illuminò «Sì.» e le raccontò del loro breve incontro a Fuji.

La sua amica, dopo aver ascoltato con attenzione, annuì con approvazione.

«Devi cominciare a farglielo capire, Kumi. I segnali favorevoli ci sono tutti.»

«Non so se li coglierebbe, ora come ora. Siamo nel momento della verità … sta pensando soltanto alle qualificazioni.»

Madoka strinse le labbra «Già … anche Shun ultimamente non parla d'altro. I Giochi Olimpici sono una vetrina internazionale, non parteciparvi sarebbe un'occasione persa e una possibilità in meno per la loro carriera.»

«E le Olimpiadi capitano una volta sola nella vita. Perché per loro non è solo questione di essere notati da squadre europee e affermarsi in campionati prestigiosi, è anche il raggiungimento di una nuova tappa verso la realizzazione del sogno di portare il Giappone sul tetto del mondo.» spiegò Kumi.

Voltarono l'angolo e Madoka notò due figure conosciute camminare nella direzione opposta alla loro.

«Ehi Kumi! Guarda.» le sussurrò, dandole di gomito e attirandola dietro una cancellata.

La ragazza la guardò dapprima con aria interrogativa, poi diresse il suo sguardo verso le due persone e spalancò gli occhi.

Man mano che si avvicinarono, le due amiche distinsero anche le loro voci e parte di ciò che si stavano dicendo.

Wakabayashi stava accompagnando Elena a casa e si erano fermati davanti al cancello, uno di fronte all'altra.

 

«Ti restituisco la giacca.»

«Puoi tenerla. Me la ridarai un'altra volta.»

«Ma non è giusto … e se tua madre volesse metterla?»

«Non viene spesso a Nankatsu. Lei e papà passano più tempo nella loro casa di Tokyo, dove c'è la sede della nostra holding.»

Genzo riuscì, in tono divertito per quel buffo scambio di battute, a convincerla.

«E va bene.» disse infatti, alzando gli occhi al cielo.

Prima di aprire il cancello, si voltò verso il ragazzo.

«È stata una bella serata, Genzo. Grazie.»

«Lo è stata anche per me, Elena.» rispose con una voce bassa e calda, che le spedì l'ennesimo brivido lungo la schiena.

Si guardarono per un lungo attimo.

Lui si avvicinò e le sfiorò le braccia con le mani.

I suoi palpiti erano così frenetici che le sembrava di sentir pulsare anche la testa.

I loro visi erano distanti ormai pochi centimetri … poteva sentire il suo respiro.

Era sempre riuscita a distogliere in tempo lo sguardo dall'incredibile intensità dei suoi occhi.

Non quella volta.

Ipnotizzata da quelle due iridi nere come l'ossidiana, chiuse gli occhi …

 

I due ragazzi sobbalzarono e si guardarono con un'espressione interdetta.

Wilhelm abbaiava e saltava sulle sbarre del cancello, reclamando attenzione.

Elena emise uno sbuffo e si voltò.

«Buono, Wilhelm! Sveglierai tutti quanti!» lo rimproverò severa, e il cane si acquietò, emettendo un timido guaito.

«Ti presento Wilhelm, il cane dello zio.» disse poi con un tono più calmo, cercando di recuperare un po' di scioltezza.

Genzo assentì, con un mezzo sorriso.

«Beh … ci vediamo, allora.» proferì, incontrando il cenno d'assenso di Elena.

Si salutarono, e lui prese la strada di casa.

Nel suo animo si alternavano sentimenti di varia natura. Era contrariato perché quel cane aveva rovinato il loro momento, e lui desiderava ormai più di ogni altra cosa il contatto delle labbra di Elena, ma doveva ammettere che un osservatore esterno avrebbe trovato la cosa divertente. C'era però un'altra sensazione … ed era di speranza.

Perché Elena aveva chiuso gli occhi … non l'avrebbe respinto.

Era una conferma di ciò che aveva sempre pensato: anche lei era attratta, e i suoi tentativi di tenersi a distanza non erano dovuti a un rifiuto nei suoi confronti, ma ai sensi di colpa che nutriva nei confronti del suo ex fidanzato.

Ma prima di chiedere a lei di provare a guardare avanti, doveva essere lui a chiudere una storia che ormai non lo coinvolgeva più. Non sapeva come avrebbe fatto ad affrontare Asami e a dirle che non se la sentiva di continuare la loro relazione, ma non poteva nemmeno andare avanti così. Stare con lei e pensare a un'altra, era comunque una forma di tradimento. E lui provava rispetto per Asami e le voleva bene.

Doveva affrontare un probabile scontro con la sua famiglia, pur di evitare a lei e a sé stesso un futuro infelice.

 

«Hai visto, Kumi?» sussurrò Madoka, trattenendo a stento una risata.

«Sì …» rispose l'ex manager. Allora le sue impressioni erano corrette: stava nascendo qualcosa tra Elena e Wakabayashi … non c'erano più dubbi, almeno per quanto riguardava la giovane italiana. Si chiese se Misaki sapeva o immaginava quello che stava accadendo tra i suoi due amici, e come l'avrebbe presa.

Era l'unico dubbio che le rimaneva, prima di provare a fare il passo decisivo.

 

Elena sfilò il fermaglio dai capelli e si gettò a sedere sul divano, per poi reclinare la testa sullo schienale.

Stava per baciare Genzo …

Non aveva provato sollievo, ma disappunto quando Wilhelm aveva abbaiato, spaventandoli e interrompendo irrimediabilmente quel momento.

Dovette ammetterlo.

Genzo le piaceva, si sentiva felice quando era accanto a lui e avvertiva un senso di vuoto quando se ne andava, dopo aver trascorso del tempo insieme.

Ma nulla sarebbe stato possibile tra loro, finché non si fossero decisi a recidere i loro legami già esistenti. E lei ancora non era disposta a buttarsi alle spalle il suo, senza sentirsi colpevole.

Per tutta la notte fu incapace di prendere sonno. Si rigirò nel letto, alla ricerca della posizione più favorevole, ma quei pensieri e dubbi non la abbandonarono.

 

 

 

 

 ***Note***

 

 

Yakiniku: termine con cui in Giappone si indica una varietà di piatti a base di carne alla griglia. Prevede che gli ingredienti, diversi tagli di carne di manzo marinata (ma anche di maiale, cavallo o pollo) e verdure, vengano serviti crudi e poi cotti dai commensali su una griglia in comune posta in mezzo al tavolo. Carne e verdure vengono poi mangiati accompagnati da alcune salse tra le quali la più famosa, chiamata tare, è fatta con una base di salsa di soia, mirin, sake, zucchero, sesamo e aglio.

Fonte: Ohayo.it

 

La birra Kirin Ichiban è una delle preferite dai giapponesi. Viene prodotta seguendo il metodo Ichiban Shibori (tutti gli ingredienti vengono pressati una sola volta) e utilizzando solo malto della più alta qualità

Viene servita fredda, direttamente dal frigorifero.

Fonte: JapanCentre

 

Il miai o omiai (nella sua forma onorifica) è un'usanza tradizionale giapponese che consiste nel far incontrare due persone libere da legami sentimentali affinché prendano in considerazione la possibilità di sposarsi. Letteralmente significa "guardarsi reciprocamente" ma è traducibile come "colloquio formale a scopo matrimoniale", per questo non è corretto definirlo, come spesso avviene, "matrimonio combinato".

Una figura frequente, ma non indispensabile nell'organizzazione di un omiai è il nakodo ("sensale di matrimoni") che svolge il ruolo di intermediario tra le famiglie; solitamente viene scelto tra i componenti o gli amici di una delle famiglie oppure ci si affida a un professionista.

Fonte: Wikipedia

  
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