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Autore: Mary P_Stark    18/02/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Érebos – 1

 

 

 

 

Alekos stava saltellando allegramente per il prato, mentre alcune farfalle danzavano attorno a lui, gli uccellini cinguettavano lieti e le fontane zampillavano, gorgogliando.

Atena osservava l’intera scena con aria persa, godendosi il fresco perenne dei Campi Elisi e l’aria di assoluta serenità di quei luoghi.

Sapeva che non era come il mondo terreno, dove brillava il sole, un vento reale ti schiaffeggiava il viso e la neve poteva ammantare ogni luogo, rendendo tutto ovattato e romantico.

Il solo fatto di poter passare del tempo con Alekos, comunque, era di per sé già un dono, e Atena era abbastanza onesta da essere contenta di poter avere almeno questo.

Nessun essere umano poteva contare su simili grazie.

Dei passi leggeri alle sue spalle la portarono a volgere lo sguardo e, non senza sorpresa, vide comparire la figura leggiadra e di nero vestita di Nyx.

La dea della Notte, divinità Ctonia figlia di Caos, era stata la più reticente tra tutte, a presentarsi al suo cospetto, da quando aveva avuto la possibilità di vedere Alekos nell’Oltretomba.

Forse, o almeno Atena così pensava, perché ad aver reciso il filo della vita di Miguel e Alekos era stata una delle sue figlie. Atropo.

Quando finalmente Nyx si era decisa a presentarsi al suo cospetto, lo aveva fatto con il capo velato, penitente e con lo sguardo basso.

Atena, però, aveva passato da tempo il periodo in cui aveva ingiuriato le Moire e il loro destino beffardo e crudele e, quando l’aveva vista, si era limitata a liberarle il volto dal velo scuro per baciarle le guance.

Ne aveva accettato le scuse – persino Thanatos aveva tentato di farle capire il perché non avesse potuto evitare di fare ciò che aveva fatto – e Atena l’aveva infine spinta a tornare a trovare Alekos.

Desiderava che il figlio conoscesse tutta la sua immensa famiglia immortale, perché non fosse mai solo e si sentisse amato e protetto da tutti coloro che lo circondavano.

L’unico, a ben vedere, a non farsi mai vivo al suo cospetto, era stato Érebos, il compagno di Nyx e, a sua volta, padre di Atropo. Del vecchio amico, non aveva notizie da anni.

“Buongiorno, Nyx. Qual buon vento ti porta qui?” esordì Atena, invitandola a sedersi accanto a lei sul prato.

Nyx le sorrise timida e annuì, accogliendo l’invito e, dopo aver sistemato la lunga veste scura – su cui Atena poteva scorgere il cielo stellato che vedevano gli umani ogni notte – disse: “Per la verità, volevo sapere se potevi farmi un favore.”

Sorpresa, Atena domandò: “Dimmi pure. Cosa potrei fare per te?”

“In realtà, non è niente di così terribile o complicato. Solo, non so se vorrai farlo” tentennò Nyx, giocherellando nervosamente con le mani.

Sempre più confusa, la dea della guerra e delle arti inclinò il capo fulvo – quel giorno, le morbide chiome erano rilasciate sulle spalle in onde dorate e che le giungevano fino alla vita – e domandò ancora: “Cosa stai cercando di non dirmi, Nyx?”

Sospirando, la dea della Notte allora mormorò: “Si tratta di Érebos. Credo sia molto depresso. O meglio, è oltre la depressione già da tempo, e credo che mediterebbe anche al suicidio, se non fosse che è una divinità Ctonia.”

Atena fece tanto d’occhi, a quella notizia, ed esalò: “Sono anni che non lo vedo, Nyx. Come pensi che, il mio contributo, possa servire a strapparlo all’inedia e al dolore?”

“Beh, ecco… si duole per ciò che è successo ad Alekos e Miguel. Non ha mai superato il fatto che Atropo abbia fatto ciò che ha fatto, e… insomma…”

Atena sorrise tristemente e replicò: “Per questo è l’unico dio che non è mai venuto qui? Persino Thanatos mi ha avvicinato per scusarsi, pur sapendo bene che sono cose che avvengono indipendentemente da tutto. Se riceve l’impulso, lui deve farlo, come qualsiasi altro dio.”

“Érebos non si dà pace per le azioni di nostra figlia e, anche se io gli ho detto che tu hai perdonato Atropo, non riesce a farsene una ragione” le spiegò lei, sospirando e scuotendo il capo per la sofferenza.

Atena, allora, le sfiorò una spalla con la mano, sorrise e disse: “Proverò a parlarci io, a costo di tirarlo fuori dal buco in cui si è infilato per farlo rinsavire a suon di pugni. Sono pur sempre la dea della guerra, no? Uno stratagemma saprò pur idearlo.”

Nyx la abbracciò con calore e mormorò: “Ti ringrazio, Atena. So di chiederti molto, ma non saprei a chi altro chiedere, se non a te. Lui ti vuole tanto bene!”

“E io a lui, per questo ti aiuterò” la rincuorò Atena, sollevandosi e chiamando a sé Alekos.

Il bambino, di ormai sette anni, trottò da lei agilmente, i bei capelli scuri che ricadevano in riccioli morbidi sulle sue spalle.

Con un certo divertimento da parte di Atena, il corto spadino che Ares gli aveva regalato era ben legato in vita grazie a una cinta di pelle dono di Artemide, e Alekos non lo abbandonava mai.

Tra tutti gli dèi, Ares era quello che maggiormente lo aveva preso sotto la sua ala, addestrandolo e istruendolo nelle arti della guerra, ma senza sconfinare nel macabro.

Atena si era sorpresa di questo lato tenero nel fratello, ma Afrodite gli aveva confidato quanto, la morte di Alekos, lo avesse a suo modo sconvolto.

Pur se avevano sempre litigato come cane e gatto, contrapponendosi in ogni guerra che veniva combattuta in loro nome, Ares le aveva sempre voluto bene, e quella disgrazia lo aveva toccato nel profondo.

Proprio per questo, si era preso l’impegno di essere come un padre, per Alekos, e il bambino gli si era davvero affezionato molto.

“Mamma si deve assentare per un po’, ma Nyx rimarrà qui a farti compagnia, va bene?”

Alekos assentì obbediente e, scrutando la bella dea della Notte, le domandò: “Puoi insegnarmi le costellazioni? Zio Ares dice che è importante conoscerle, perché ci indicano la via, durante la notte, senza avere bisogno dello smartphone.”

Atena rise a quell’accenno – purtroppo, nell’Oltretomba non c’era campo, ma Ares gli aveva comunque mostrato il suo cellulare – e Nyx, annuendo divertita, asserì: “Sarò onorata di spiegarti i flussi delle stelle e le costellazioni nel cielo, Alekos. Se prendi carta e penna, possiamo fare delle riproduzioni, così sarà più semplice.”

Il bambino assentì felice e corse verso il gazebo dove teneva le sue cose scolastiche – per essere un ragazzino di sette anni, conosceva più cose di qualsiasi umano adulto – e Atena, con un sorriso, si allontanò.

***

L’accesso al centro della Terra, dove si trovava lo studio di Érebos, era raggiungibile tramite una lunga scala a chiocciola circondata perennemente dalle nebbie.

Atena la imboccò senza alcun problema, essendovi stata diverse volte, in gioventù.

Non la infastidiva la sensazione di umidore sulla pelle, visto che la nebbia era tiepida e piacevolmente profumata.

Si discostava di molto dalle esalazioni metifiche e dal fetore sulfureo del Tartaro. Quello sì che era un luogo da cui stare ben lontani!

Continuando a discendere in quel luogo senza dimensioni – le nebbie erano abbastanza fitte da non far percepire il baratro in cui ci si stava inoltrando – Atena cominciò a contare i gradini uno a uno.

Sapeva bene o male di doverne conteggiare tremila, gradino più, gradino meno. Così facendo non si sarebbe persa, evitando di finire al centro della Terra invece che nello studio dove lavorava Érebos.

Questo le diede il tempo di ripensare alle parole di Nyx e al suo disperato tentativo di salvare il fratello dall’autodistruzione – impossibile, per un dio, ma comunque assai dolorosa da sopportare, se protratta in eterno.

Come spiegare a Érebos che non aveva animosità nei suoi confronti, e che aveva parlato anche con Atropo, venendo a patti con ciò che aveva fatto?

Ciò che la dea dell’ineluttabilità le aveva confessato non avrebbe potuto portargli alcun conforto – anche perché aveva trovato oscure le sue parole. Inoltre, la segretezza era un vincolo, in quel caso.

Nessuno poteva conoscere il Fato di un altro, e ciò che le aveva detto Atropo avrebbe anche potuto costarle la divinità, o peggio. Destabilizzare gli equilibri del Cosmo.

Ben sapendo quanto fosse un pericolo reale, Atena si era attenuta al più stretto riserbo e, già da due anni, teneva dentro di sé quel segreto oscuro e incomprensibile.

La via è lunga e perigliosa, affrontata solo una volta e una volta fallita.

Che mai avrebbero potuto voler dire, quelle parole?

A distanza di tempo, non le aveva ancora comprese, ma era inutile rimuginarci sopra, poiché ciò che non sapeva non poteva essere di aiuto a Érebos per uscire da quell’antro senza fondo.

Quando infine raggiunse i tremila gradini, Atena allungò una mano nella diafana consistenza nebbiosa e, subito, un cancello dorato apparve dinanzi a lei, rischiarando l’ambiente.

Tutt’attorno a lei divenne visibile un piccolo tempio dagli alti colonnati e il simbolo di Érebos sulla parte centrale del frontone; una falce di luna in un cielo nero.

Atena varcò il cancello senza ulteriori indugi e, dietro di lei, la nebbia inghiottì le scale, che divennero subito invisibili al suo sguardo.

Ora, ai suoi occhi chiari era permesso di vedere unicamente il tempio e il cortile antistante.

Atena, però, non si fece distrarre da quell’insolito straniamento spazio-temporale e, avanzando a grandi passi, penetrò nel pronao e si diresse verso la biblioteca del dio.

I suoi passi rimbombarono nel tempio spoglio, rischiarato solo da rade torce.

La struttura in marmo bianco ricalcava in massima parte l’architettura greco-dorica, anche se alle pareti Atena poté notare delle stampe moderne e degli arazzi medievali.

Evidentemente, Érebos doveva essere salito in superficie diverse volte, nel corso dei millenni, per visitare librerie e antiche biblioteche, la sua vera passione.

Quel luogo trasudava cultura e amore per le arti in ogni suo più piccolo scorcio, e denotava altresì la cura e la passione con cui il padrone di casa se ne prendeva cura.

Quando Atena raggiunse infine lo studio del dio Ctonio, non fu perciò sorpresa di trovarlo sommerso di libri.

Quello che, piuttosto, la sorprese, fu la quantità di tomi presenti tutt’attorno alla divinità, un tantino più esagerata rispetto a quella che si sarebbe aspettata. Anche da uno studioso suo pari.

Le sembrava di scorgere Gandalf immerso nella biblioteca di Minas Tirith, nel famoso La Compagnia dell’Anello, uscito diversi anni prima al cinema, e che lei aveva visto con piacere.

Le colonne di libri, pergamene e appunti sparsi per l’ampio studio era assai ragguardevole, e l’odore delle candele ammorbava l’aria con i suoi aromi di cera d’api e olivo.

Dando due colpetti alla porta aperta, giusto per annunciarsi, Atena esordì dicendo: “Érebos, posso entrare?”

La sua voce parve raggiungerlo come al rallentatore. Il suo corpo ricurvo si mosse con lentezza anomala, come se fosse stato immerso interamente nella melassa e non fosse in grado di compiere movimenti coerenti o fluidi.

Atena sollevò un sopracciglio con evidente curiosità, di fronte a questa evidente anomalia e, quando vide finalmente il volto di Érebos nella sua interezza, comprese perché Nyx si fosse preoccupata.

Aveva sempre ritenuto il dio della notte uno degli uomini più belli che si fossero mai visti sul pianeta – così come nei vari pantheon –, perciò la dea della guerra trovò assolutamente sconvolgente quel volto smagrito, pallido e coperto da barba folta e ispida.

Sembrava come svuotato di ogni luce di vita. La sua pelle naturalmente eburnea appariva smunta e quasi grigia e gli occhi, che erano sempre stati blu come il cielo prima del sopraggiungere della notte, erano spenti e opachi.

“Érebos… ma cosa ti sei fatto?” esalò lei, raggiungendolo in poche falcate mentre lui tentata a fatica di sollevarsi dalla sedia su cui, presumibilmente, era rimasto seduto per mesi interi.

“Atena…” mormorò lui, la voce roca e irruvidita dalla disabitudine a parlare. “…ce l’ho fatta.”

“A fare cosa?” replicò la dea, sorreggendone tutto il peso. Le dava l’impressione che un solo alito di vento avrebbe potuto spazzarlo via.

Lui si limitò a un mezzo sorriso e, senza dare nessun avviso ad Atena, svenne.

***

Érebos riaprì gli occhi molto tempo dopo e, nel fissare il soffitto a botte della sua stanza, si chiese confuso come vi fosse giunto.

Non ricordava molto di ciò che era avvenuto nell’ultimo periodo. Sapeva soltanto di aver passato mesi nel suo studio, senza mai muoversi per… per…

“Alekos” mormorò il dio, balzando a sedere.

Solo in quel momento si accorse di essere steso sul suo enorme letto, con un pigiama pulito addosso e – tastandosi il viso – senza la barba sempre più lunga che aveva invaso il suo volto in quel lungo periodo di isolamento forzato.

Atena entrò in quel momento in camera, un vassoio tra le mani e, vedendolo desto, sorrise e disse: “Bene… chi non muore si rivede.”

Lui la fissò stranito per alcuni attimi prima di rammentare il suo arrivo nello studio e il suo tentativo, a quanto pareva fallito, di parlarle della sua scoperta.

“Atena… sei stata tu a…”

Lei accentuò il suo sorriso e, nei suoi occhi chiari, comparve lo scintillio di un pensiero malizioso, cui Érebos rispose con una risatina.

“Immagino di sì, visto che Nyx non è qui a prendermi per i capelli, o a insultarmi in tutte le lingue del mondo.”

“Tua sorella è preoccupata per te. E, da quel che ho visto, aveva ragione. Ti sei ridotto uno straccio. Sono otto giorni che deliri” sottolineò Atena, sgomentandolo.

Otto… giorni?” gracchiò lui, incredulo. “Sono otto giorni che ti prendi cura di me? Non avresti dovuto!”

“E perché mai? Sei mio amico, Érebos, e non è stato affatto un problema prendermi cura di te” replicò la dea, fissandolo con tranquillità.

“Il tuo unico pensiero deve essere Alekos” sottolineò lui, accigliandosi.

Atena sorrise divertita per diretta conseguenza e, poggiato che ebbe il vassoio sul comodino di legno scuro, la dea si accomodò sul bordo del letto e mormorò: “Alekos ha capito la situazione, e mi ha pregato di prendermi cura di te.”

Quelle parole ebbero l’effetto di spezzare il fragile autocontrollo di Érebos che, senza poter impedire a se stesse di farlo, scoppiò in un pianto silenzioso che sorprese la dea.

Atena lo guardò senza comprendere quel cedimento improvviso, ma furono le parole del dio a sciogliere ogni dubbio.

“Non merito la sua bontà. La mia famiglia ti ha tolto così tanto, e ha tolto così tanto a lui… eppure è sempre così dolce con me. Nyx mi porta ogni volta le ghirlande che lui fa per me, oltre ai suoi inviti a giocare nel prato dei Campi Elisi… ma io non ne ho mai avuto il coraggio” singhiozzò dolente il dio, tergendosi il viso con gesti nervosi.

Atena comprese così il perché di alcune ghirlande rinsecchite presenti nello studio – ora nuovamente accessibile e più ordinato – e, sorridendogli comprensiva, gli carezzò il capo e disse: “Ho parlato con Atropo, Érebos. Va tutto bene. Né io né Alekos siamo adirati con lei, o con te. Sappiamo che certe cose vanno come vanno per un motivo, anche se al momento può risultarci oscuro.”

“Lei… vi siete parlate?” esalò il dio, sospirando pieno di sorpresa.

La dea assentì, ovviamente mantenendo il segreto sulle sue parole, e disse soltanto: “Lascia perdere questo esilio volontario. Non ne giova nessuno.”

“Aveva uno scopo, anche se non ho potuto dirtelo subito, e hai dovuto occuparti di un relitto quale mi ero ridotto” replicò lui, afferrandole una mano per portarsela al petto con affetto.

Lei accennò un sorriso e lasciò la mano dov’era. Érebos e lei avevano un rapporto profondo e lungo millenni, e non le spiaceva che venisse rinsaldato.

Inoltre, da quello che Nyx non le aveva detto, era una cosa che anche a lei avrebbe fatto piacere, oltre che a Érebos stesso.

Da quando era morto Miguel, non aveva più pensato a nessun uomo – o dio – come a un potenziale partner di vita. La sua mancanza, semplicemente, le aveva riempito il cuore di ghiaccio.

Rivedere Poseidone e scoprire la sua triste realtà, oltre alla presenza nell’Oltretomba del suo Alekos, le aveva permesso di superare lo scoglio della morte di Miguel.

Da quel giorno, era tornata a sorridere e, poco per volta, era tornata la se stessa di un tempo.

Aveva ripreso i contatti con la famiglia di Miguel, e si era recata più volte a Sacramento, presso la loro abitazione, per festeggiare il Cinco de Majo piuttosto che il Dia de Muertos.

Anche questo l’aveva aiutata a ritrovare un equilibrio e, grazie a queste novità nella sua vita, era riuscita a fare visita alla tomba di Miguel con il cuore più sereno.

A volte, passava ore intere a raccontargli del loro Alekos, e di come fosse amato e benvoluto da tutti.

Sapeva bene che la sua voce si perdeva semplicemente nel vento senza mai raggiungere il suo Miguel, ma era confortante poterlo fare.

Quando, perciò, aveva parlato con Atropo e Nyx, era riuscita a essere coerente con se stessa e obiettiva riguardo a ciò che era avvenuto. Non v’era stata alcuna colpa, nessun desiderio di ferire, ma solo il dipanarsi del Fato nudo e crudo.

Sapere di Érebos l’aveva quindi intristita e, quando l’aveva trovato così provato e infiacchito dall’esilio, non aveva potuto che prendersi cura di lui.

Avere a che fare con un uomo dopo tanti anni era stato strano, per lei, ma l’affetto aveva ben presto preso il sopravvento sull’imbarazzo e la disabitudine.

In qualche modo, tra i frequenti stati di delirio, era anche riuscita a far mangiare Érebos e, dopo otto giorni di riposo, egli aveva ripreso il vigore di un tempo e la sua bellezza quasi imbarazzante.

I fluenti capelli neri, non più ingrigiti dalla debilitazione, erano nuovamente morbidi e arricciati sulle punte e i suoi occhi blu riflettevano le stelle del cielo anche in quell’antro profondo e buio.

“So cosa fare. Per Alekos” disse infine Érebos, sorprendendola e strappandola a quei pensieri errabondi.

“Come?” esalò la dea, irrigidendosi leggermente.

Lui assentì e, scivolando fuori dal letto dalla parte opposta rispetto ad Atena, rise e chiosò: “Ah… hai trovato i miei pigiami di Valentino?”

“In effetti, mi hai stupito. Non sapevo fossi così modaiolo” ironizzò lei, levandosi in piedi a sua volta.

“Sono morbidi sulla pelle” si limitò a dire lui, oltrepassando l’enorme letto per raggiungerla e afferrarle una mano. “Vieni con me. Ti mostrerò ciò che ho scoperto.”

Lei lo seguì senza protestare e, quando raggiunsero lo studio, Érebos ebbe nuovamente di che stupirsi e di che essere grato ad Atena.

Sorridendole pieno di gratitudine, mormorò: “Credo che non sia mai stato così in ordine, o pulito. Non dovevi. Davvero.”

“Ero qui. Comunque, ho solo messo le cose in ordine e le ho spolverate, ma non le ho spostate da come le avevi impilate, così sarebbe stato più semplice riprendere i tuoi studi” si limitò a dire lei, grata a Érebos della stretta alla sua mano.

Era piacevole sentire il suo calore.

Il dio allora entrò con lei nello studio e, indicandole una pergamena arrotolata sulla scrivania nuovamente linda, disse: “So come salvare Alekos da questo mondo.”

“Cosa?” ansimò lei, impallidendo leggermente. “Ma non può…”

Lui scosse il capo, le afferrò le spalle pieno di speranza e ripeté: “Possiamo riportare Alekos nel mondo dei vivi.”

Lacrime copiose riempirono gli occhi chiari di Atena che, con la voce spezzata dall’emozione, esalò: “Ma è… è morto. Non può più uscire da qui.”

“Euridice, pensa a Euridice” le rammentò il dio, facendole sgranare gli occhi.

“Ma lui non è mai vissuto, Érebos. E’ nato morto, perciò non ha vissuto una vita come Euridice” replicò lei, non volendo aggrapparsi a nessun tipo di speranza. Sarebbe stato troppo doloroso crederci, per poi scoprire che non era vero.

“Sì, lo so, … ma pensaci bene. Tuo figlio è vissuto per otto mesi nel tuo grembo, amato e coccolato. Respirava e viveva attraverso te perciò, in linea teorica, può essere considerato una creatura vivente a tutti gli effetti, anche se non ha mai camminato su questa Terra. Essendo figlio di una dea, inoltre, ha maggiori possibilità di riuscita rispetto a Euridice.”

Atena serrò gli occhi, scosse il capo e non riuscì a impedirsi di piangere così Érebos, stringendola in un abbraccio consolatorio, mormorò contro la sua chioma ramata: “Scusa se ho impiegato tanti anni a scoprire cosa cercare, e come cercare.”

“Sei sicuro che funzionerà?” singhiozzò la donna, scostandosi per scrutarlo con impazienza e dubbio insieme.

“Solo tu potrai scoprirlo, perché la parte più difficile spetterà a te” sospirò Érebos. “Dovrai percorrere il Sentiero di Orfeo.”

Atena sgranò gli occhi, atterrita, e ripensò alle tragiche vicende dei due amanti.

Euridice era morta per il morso di un serpente e Orfeo, pazzo di dolore per lei, era riuscito a commuovere i signori dell’Oltretomba e le stesse Erinni, con le sue melodie strazianti.

Gli era stato perciò concesso di raggiungere l’Oltretomba e di percorrere a ritroso il sentiero, conducendo con sé l’anima di Euridice. Gli era stato però ingiunto di non guardarla mai, e a ciò si era attenuto… fin quasi alla fine.

La foga di rivedere l’amata lo aveva tradito, però, e l’anima di Euridice era stata risucchiata nuovamente nell’Oltretomba, portando così all’inedia e infine alla morte il dolente Orfeo.

La via è lunga e perigliosa, affrontata solo una volta e una volta fallita.

Le parole di Atropo tornarono prepotenti nella sua mente e Atena, turbata, si domandò se ciò che le aveva prospettato la dea Ctonia fosse per l’appunto questo.

Ma come affrontare un simile sentiero?

Avrebbe dovuto attraversare lo Stige, il fiume dell’odio. A seguito il Cocito, o fiume dei pianti, e l’Acheronte, il fiume dei dolori.

Già questo, l’avrebbe messa a dura prova, e così il piccolo Alekos. Ma ancora non sarebbe bastato perché sarebbero rimasti loro da affrontare il Flegetonte, o fiume del fuoco e infine il più infido di tutti, il Lete.

Il fiume dell’oblio e della dimenticanza.

Il suo amore e quello di Alekos sarebbero sopravvissuti a quell’ultima, terribile prova? Davvero non lo sapeva.

 

 

 

 

N.d.A.: ripartiamo da un dio meno conosciuto, ma che mi incuriosisce per la sua natura “antica”, tra gli dèi. Érebos è latore di una notizia di per sé sconvolgente e, forse, dell’unica risorsa utile per poter salvare Alekos dalle braccia dell’Oltretomba, in cui è rinchiuso da più di sette anni.

Riusciranno però i due a superare il sentiero di Orfeo (l’ho inventato io) o anche Atena commetterà lo stesso errore dell’antico musico?

p.s.: Naturalmente, alcune parti del mito sono state storpiate a uso e consumo delle mie storie. Non a caso, tutti gli dèi possono andare e venire dall’Oltretomba quando invece, secondo i miti, ciò non era possibile. Non me ne vogliate… serviva solo a rendere più interessanti le storie.

  
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