Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Azaliv87    18/02/2019    4 recensioni
E se Jon avesse la possibilità di riportare in vita una persona importante? E scoprisse di non essere ciò che era? E se anche Dany avesse questa possibilità? Questa è la domanda che mi sono posta, e da quest'idea mi è venuta in mente la storia che vi narrerò. Parto a raccontare le vicende dalla fine della sesta serie televisiva, grosso modo, quindi (avviso chi non ha visto questa stagione) potete trovare degli spoiler. Per il resto è tutta una mia invenzione. Dopo essermi immersa nel mondo di Martin ed essermi affezionata ai suoi personaggi con Tales of Wolf and Dragon, ho deciso di cimentarmi in questo What if e vedere fino a che punto può spingersi la mia fantasia.
Per chi avesse già letto l'altra mia ff, ritroverà conseguenze, personaggi e riferimenti alla prima storia.
Buona lettura e non vi preoccupate se ogni tanto rallento la pubblicazione, non sono mai bloccata, ma ho periodi in cui devo riordinare le idee e correggere ciò che ho già scritto prima di aggiornare!!
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La neve cadeva e si abbandonava all’abbraccio dell’inverno, tra i sospiri di venti gelidi e perenni. Lyanna conosceva quel luogo. Lo aveva già visto in sogno, era l’incubo che ultimamente la perseguitava con maggior insistenza.
Non scorgeva null’altro. Solo lui, disteso tra il candore del ghiaccio intriso di un liquido sinistro. Il sangue si mescolava alle sfumature del suo mantello. Scarlatto era il colore del tessuto e non se ne riusciva a distinguere l’orlo, celato dalla neve intrisa del suo stesso fluido vitale. La sua armatura spiccava come le piume di un corvo tra le pagine di un libro. Era nera, pareva ossidiana scolpita. Un colore che a lui inspiegabilmente piaceva fin dalla nascita e ci era ormai affezionato da tempo. Glielo avevano detto le sue nipoti. Jon, anche prima di divenire un Guardiano della Notte, vestiva spesso di quella tonalità scura… eredità che il suo subconscio pareva aver carpito e reso sua.
Lyanna si era avvicinata a lui silenziosa come un fantasma. Si era presa tempo per mirarlo, quelle sfumature negli abiti che indossava erano una concretezza di fronte ai suoi occhi, reale, vera, definitiva. “I colori pacchiani di tuo padre… Sarebbe stato fiero di te, vedendo che come li hai indossati con orgoglio…” Ma di soddisfazione in quello spettacolo, ce n’era davvero poco.
Il suo petto non dava alcun segno di vita. Sotto al suo naso non vi era alcuna nuvola di vapore. Gli arti erano piegati in angolazioni inusuali. Ci fu un attimo in cui non vide altro che un fiume d’acqua, poi impetuoso inondò i suoi occhi e superò le palpebre.
Notò brillare qualcosa di lato; la spada di suo figlio. Lungo Artiglio giaceva poco distante; l’impugnatura era per metà confusa nella neve, l’altra metà invece era macchiata di sangue. L’acciaio di Valyria risaltava nella coltre bianca come venature del vetro di drago messe di fronte alla fiamma di una candela. Le tre profonde scanalature sull’acciaio erano intrise di croste di sangue e ghiaccio. Sul pomo la testa di un lupo inciso nella pietra pallida, gli occhi granati scintillanti.
Si accucciò e la raccolse, sentendo un brivido lungo la schiena per l’accostamento bizzarro di quei colori, che si rispecchiavano in quelli del suo metalupo. “Bianco e rosso… erano i colori miei e di Rhaegar.”
Prese coscienza del suo peso, non era pesante come Ghiaccio, ma nemmeno come si era immaginata. Era decisamente molto più leggera di qualsiasi altra spada avesse mai impugnato e ben bilanciata. Accarezzò con pochi passi la distanza che la separava da suo figlio. La sottana del leggero abito che indossava era zuppa di sangue e di neve. Una fiacca brezza le mosse i capelli completamente sciolti che le ricadevano lungo la schiena. Lanciò solo uno sguardo veloce al tessuto che la ricopriva. Ricordava bene il momento in cui l’aveva già vista. Era la stessa veste di quel giorno lontano dove, alla Torre della Gioia, la sua vita l’aveva abbandonata per farne dono a suo figlio. Le braccia erano completamente scoperte, ma non sentiva freddo. Le spalline erano sottilissime e mostravano interamente le sue spalle, il bordo superiore era rifinito con sottili nastri argentati e azzurri, delineando le forme del suo petto rigoglioso e scendevano come la parte sottostante di un ventaglio fino al centro dei suoi seni. Sotto ad essi un comodo elastico stringeva appena i veli che poi cadevano liberi fino a terra, ondeggiando ad ogni suo movimento…
Quello era un chiaro segnale. Era tutto finito. Per lei e per suo figlio. Erano di nuovo assieme, ma questa volta lui l’aveva preceduta, lui se n’era andato lontano da lei.
Istintivamente si portò una mano al petto. Le sue dita incontrarono la pietra magica che aveva al collo.
Lo guardò ancora una volta. Il suo volto era bellissimo. Gli ripulì una guancia dal sangue incrostato e scostò alcuni capelli dalla fronte con delicatezza, “lui e la sua maledetta fissazione per i capelli, proprio come suo padre”. Sorrise triste e prese la sua decisione definitiva. Impugnò Lungo Artiglio e gliela mise sopra al corpo. Afferrò una delle sue mani e serrò le dita forti del ragazzo attorno all’elsa. Era morto, ma era morto da eroe e lei, sua madre, lo avrebbe onorato come si confà ad un uomo di valore. Era il principe promesso, ma era anche un re. Era il suo sangue, era la sua vita. Era la loro ultima speranza… ed ora non ce ne sarebbe più stata per nessuno.
Udì il rumore alle sue spalle di zoccoli e grida agghiaccianti. “Fermati! Aspetta!” Sembravano urlare. “Non è ancora finita!”
Non si voltò nemmeno. Non le interessava, non sentiva più nulla. Avvertiva solo il richiamo dolce della morte, e di suo figlio che l’aspettava.
Gli mise una mano sopra la sua stringendo appena quelle dita impotenti sul pomo dell’elsa. Gli diede un dolce bacio sulla fronte. Alcune lacrime si adagiarono sulla sua cute olivastra, priva di essenza vitale. Non le dava alcun fastidio sporcarsi del suo sangue, né sentiva l’attanagliante gelo della neve sotto le piante dei piedi nudi o nell’aria attorno. Ogni estremità del suo corpo era rossa per il freddo pungente, ma non percepiva alcun fastidio al riguardo, né avvertiva dolore… quello era tutto concentrato nel petto… e ora sarebbe finalmente cessato. “Afferra la mia mano!” Ancora quella voce, ancora le sue suppliche… “Sto arrivando, amore mio” gli rispose, ma non era certa che questo lo avrebbe reso felice…
Non proseguire oltre” fu certa di sentire la sua voce contraria, ma la sua debole coscienza le impedì di eseguire quel comando.
Si accovacciò accanto a suo figlio, tra la neve ed il sangue. Rosso e bianco, uniti assieme, come le piume di due frecce… un ricordo lontano… un amore mai dimenticato…
Fermati, ti supplico!” Lasciò la sua mano spaventata, il corpo del ragazzo si mosse inerme, fece fatica a rimetterlo a fuoco; le lacrime erano scomparse, ma la vista continuava ad essere annebbiata “Sono qui con te, tesoro, ora ti raggiungo.” Gli rispose in un ultimo sussurro disperato. Diede uno strattone alla collana e le tenebre avvolsero ogni suo pensiero.
Lyannaaaaa!!!!!” Un urlo agghiacciante e tremendamente vicino accompagnò quel suo viaggio conclusivo.
 
 
 
 
 
Le tenebre avevano invaso ogni dove. Coltri di nubi cariche di tempesta sembrava aver riempito il cielo in maniera definitiva. Cercava con lo sguardo qualcuno, o qualcosa… Un minimo segnale di vita in quella vasta terra ghiacciata. Non c’era nessuno. Alcun uomo, alcun corvo, alcun lupo, alcun drago. Era solo, completamente solo, eppure qualcosa gli diceva che doveva proseguire.
Camminò dapprima adagio, indugiando su piccole montagnole di neve. Gli stivali affondavano e il suolo sotto di sé scricchiolava rivelando la sua presenza. Era buio pesto non riusciva a distinguere nulla di ciò che lo circondava, il rumore ovattato dei suoi passi come unica compagnia. Qualcosa però non gli era famigliare… una strana convinzione che quel luogo non fosse il nord, non quello che conosceva almeno. Percepiva l’aria gelida, probabilmente si trovava oltre la Barriera e pure oltre il Pugno dei Primi Uomini. Non era nemmeno Aspra Dimora, ma aveva la sensazione di essere comunque in un luogo attiguo.
Molto più avanti scorse una flebile luce. Qualcosa lo attirava verso quella direzione. Un richiamo lo stava richiamando a sé, usando delle assonanze e dei vocalizzi melodici che non comprendeva “Aaaeee… eeeeg … goooo… oooon…” come quando un uomo chiama qualcuno e quel nome viene distorto dall’eco del vento. Anche se non riconosceva quel rumore con un vero invito a procedere, continuò la sua marcia inesorabile, curioso di conoscere la fonte di quella convocazione. Improvvisamente una voce profonda, roca e intensa, di un vero maschio dalla forte virilità. “Aegon.” lo sentì limpido nella mente questa volta. Non c’era nessun altro in quel luogo se non lui e quella presenza, per cui chi diamine stava chiamando? Possibile che si riferisse a lui? Ma chi era costui davvero? Ebbe la sgradevole impressione di possedere qualcosa che non gli apparteneva e mai avrebbe potuto diventare suo.
Aegon Targaryen.” Insistette quella voce. Ancora quel nome; provò quasi rabbia questa volta e quasi gli venne la voglia di urlare che non era la persona che cercava, ma quella luce continuava a richiamarlo a sé con una tale insistenza che si trovò a seguire quell’invocazione.
Raggiunse lo sperone di roccia sull’altura collinare e notò che quel globo di luce bianchissima era piccolo come una noce e pulsava. Jon si prese un lungo tempo per osservarlo attentamente, sembrava una sfera indefinita luminescente che fluttuava nel nulla, come une stella nel cielo scesa sulla terra.
Ne era fatalmente sedotto. Voleva toccarla, ma il timore che si potesse trattare di qualcosa di pericoloso, lo fece demordere, ma poi pensò anche che doveva farlo, prima che sparisse del tutto. Prese coraggio e allungò una mano. Le sue dita sfiorarono appena la stilla chiara e luminosa e un’esplosione di luce irradiò da essa scacciando lontano ogni cosa. L’onda d’urto costrinse Jon a portare un braccio a ripararsi gli occhi. Il mantello sulle spalle venne sollevato e lo sentì sventolare come uno stendardo. Una sottile polvere simile a talco venne alzata al cielo e con estrema lentezza ridiscese, scendendo come cristalli di neve pigri, ma talmente luminosi che a Jon parvero lacrime degli angeli, o polvere di stelle, la stessa che la Vecchia Nan si divertiva ad associare allo svolazzare delle fate dei boschi.
La luminosità improvvisa lo aveva accecato completamente, ma i suoi occhi a poco a poco ripresero a vedere. Quel bagliore aveva spazzato via ogni tenebra e con essa anche tutta la coltre di neve che ricopriva le terre circostanti. Jon stordito non poté vedere nel dettaglio la distesa che ora lo circondava, ma riusciva a percepirne il cambiamento.
Un sole caldo riscaldava ora la pelle del suo viso, impreziosendola di baci sensuali come quelli di una amante che lo vezzeggiava dolcemente. I profumi erano del tutto nuovi, l’aria era arida e salata, ma arricchita di spezie sconosciute e forti, oltre che di fragranze floreali che gli ricordavano le serre di Winterfell.
Sotto di lui una bruciante sensazione di morbidezza, alcune piccole insenature sotto la pianta dei piedi nudi davano come l’idea di camminare tra le onde del mare solidificate. Appena mosse le dita dei piedi una sottile rena gliele ricoprì. Non capiva cosa fosse, sembrava… la sabbia, come quella nel suolo dei luoghi esterni d’allenamenti. “Un deserto quindi?” faticò a realizzare quel pensiero. Non ne aveva la certezza, perché i suoi occhi non potevano più vedere, ma riprese a camminare scalzo. Avvertì meno peso anche addosso: i suoi abiti pesanti si erano alleggeriti notevolmente. Provò a chiudere e riaprire le palpebre, ma anche dopo numerosi sforzi, il risultato non cambiò. Si portò le mani sul volto e una sensazione di panico e smarrimento lo colsero impreparato. Era diventato cieco. “Tu non sai niente, Jon Snow.” Ancora quella maledetta frase gli tornò alla mente. Odiò Ygrette, odiò lady Melisandre… e infine odiò sé stesso.
Si muoveva in cerca di un appiglio, non sapeva come mettere i piedi in quella distesa densa come miele. Le sue gambe vacillarono e cadde carponi. Con le mani cercò di tastare il terreno, le sue dita affondarono in quei granelli sottilissimi e cocenti: questo gli bastò per constatare che quella doveva essere proprio sabbia, proprio come quella presente nel cortile d’allenamento di Wintefell. Ma non si trovava certamente nell’antica residenza degli Stark; doveva trattarsi del vero deserto. “Possibile che quella fosse Dorne?” Almeno era quanto di più simile a ciò che rammentava nei racconti letti, durante la sua infanzia, su Daeron Targaryen. Si domandò il perché si trovasse lì, in una terra lontana da casa, completamente solo… ma qualcosa lo destò da quei pensieri.
Una mano calda sulla spalla. Non ebbe paura. Affetto e sicurezza furono le sensazioni che gli trasmetteva quel tocco inaspettato. Spostò lo sguardo di lato sbigottito, per capire chi fosse lì con lui.
-Non temere. – una voce maschile calda, forte e roca. Non riusciva ad identificarlo con nessuna delle persone che conosceva; il sole nascente alle sue spalle ne camuffava i tratti del volto. I capelli sembravano raggi stessi del sole. Fatti d’oro e rame fuso, una criniera di fuoco e la sua pelle non aveva alcuna colorazione precisa, ma notò la mascella volitiva e l’espressione bonaria che aveva. Sentì che gli stava mettendo una mano sotto un’ascella e con un solo braccio lo sollevò, come se non avesse alcun peso. In un baleno era di nuovo in piedi, ma ancora i suoi occhi accecati non riuscivano ad inquadrare alcun particolare distinto: né del panorama attorno, né tanto meno dell’uomo che lo aveva aiutato a rialzarsi.
Lo vide che vestiva una raffinata armatura tutta bianca, nel petto delle gemme di un colore freddo che parevano brillare però come le stelle. La corazza e l’elmo riflettevano il riverbero del sole come se avesse una luce propria. Era magnifico e dava l’impressione di essere un valoroso guerriero, un eroe delle leggende.
Poi nel suo campo visivo apparve una nuova luce. Dapprima appannata e a stento percettibile, tuttavia man mano che si concentrava su di essa, prendeva sempre più consistenza e forma. Affusolata, lunga e incredibilmente realistica. Era una spada dalla fattura indescrivibile. Non riusciva a formulare parole adatte per esprimere la bellezza che emanava: dalla lama traslucida e luminosa, al pomo di acciaio satinato. Sulla guardia crociata era raffigurata una stella stilizzata che spuntava dall’orizzonte, ma osservando più attentamente si accorse che poteva sembrare anche il risveglio del giorno.
Un ricordo gli balenò nella mente. Aveva sentito Ned Stark descrivere una spada simile a Bran, quando il ragazzo gli aveva chiesto di parlare della Spada dell’Alba. “Non è possibile… non può davvero essere quell’arma. Se così però fosse, significa che l’uomo che ho di fronte deve trattarsi di…” Come se l’incantesimo fosse svanito, i suoi occhi improvvisamente tornarono a vedere, cogliendolo di sorpresa. Il velo di cecità era stato tolto. La luce aveva cacciato le tenebre. Ser Arthur Dayne era ora di fronte a lui. Le iridi attorno alle pupille erano di un viola brillante che mai aveva veduto prima d’ora, lo stesso colore delle pietre sulla sua pettorina che ora vedeva chiaramente e rispecchiava il simbolo della sua antica casata. I capelli erano composti da fili dorati e argentati assieme ed erano legati sulla nuca da tre trecce, una grossa centrale e due più piccole laterali, raccogliendo i ciuffi e ricreando un’accurata lavorazione del tutto inusuale ai suoi occhi.
La pelle leggermente dorata dal sole rendeva il suo volto adeguato a quel corpo statuario. Le sue labbra serie, gli zigomi marcati, i lineamenti pronunciati del mento, la fronte alta, l’espressione austera. Le sue braccia erano forti e possenti. L’armatura d’acciaio placcata di bianco, ne ingraziava le forme. Un fazzoletto viola sul collo, con arabeschi bianchi e neri. Il candido mantello oltre le sue spalle che sventolava alla tiepida brezza proveniente dalle montagne.
Era impossibile non provare immediata soggezione e rispetto di fronte a lui. Jon si sentì in clamoroso imbarazzo a stare alla sua stessa altezza. Era davvero alto, maestoso e imponente. Lui invece provava un senso di inadeguatezza e venerazione assoluta. Abbassò lo sguardo e si inginocchiò ai suoi piedi, dedito alle sue prodezze. Sentiva di trovarsi come davanti ad un dio, ed il rimorso per quanto avvenuto nel passato lo atterriva ancora di più. Era stato suo zio Ned a togliergli la vita; lo aveva fatto per raggiungere lui, un infante all’epoca, ma già investito di un titolo considerevole. Se ne sentiva responsabile.
Il cavaliere piegò la testa di lato e lo guardò sorridendo. Una fossetta gli apparve su una guancia, ma Jon abbassò nuovamente il capo. Aveva un aspetto nobile anche quando semplicemente rideva.
-Alzati. – disse con tono greve. La sua era la voce di un uomo maturo che ne aveva passate tante – Tu sei il re. Ed io sono al tuo servizio. – Jon sollevò il volto fissandolo basito, gli si aprì la bocca per lo stupore. “Ma che diamine sta dicendo?” Non ebbe nemmeno il tempo per finire quel pensiero che nuovamente si ritrovò in piedi, sospinto da una delle sue potenti mani.
Lo guardò come un cretino, barcollando su quel suolo instabile. Solo in quel momento si ritrovò a constatare quello che stava indossando. Alzò le braccia osservando le proprie maniche avvolte in una tunica argentata con piccole rifiniture amaranto scuro e oro, proprio come i pantaloni. Si portò una mano in testa, sentiva che i suoi capelli erano tirati in una qualche strana acconciatura esotica.
-Immagino sia opera di tuo fratello. – disse il cavaliere. “Robb? Cosa c’entra?” Jon non capiva.
Le sue dita percepirono degli intrecci, finemente lavorati, giungere fino alla nuca e fermarsi dietro, chiudendosi in una treccia sottile. Ad occhio e croce gli sembrava qualcosa di molto simile alla pettinatura del cavaliere di fronte a sé.
-Perché hai detto questo? – provò a chiedergli, ma notò che era lui ora quello che stava ai suoi piedi; un ginocchio a terra, l’altro a 90 gradi rispetto il suolo. Lo fissò sconnesso. L’uomo aveva sollevato la sua spada in orizzontale fra loro. Una mano sotto l’elsa, una sotto la lama affilata. Ser Dayne stava lì, fermo, i secondi passavano e lui non accennava alcun movimento, quasi in attesa di un suo ordine, tenendo lo sguardo abbassato sulla sabbia dorata.
Non sentendo alcuna sua controproposta rialzò il volto su di lui e con aria irrequieta gli chiese.
-Il lupo ti ha mangiato la lingua, o il tuo uccello è tra le sue fauci? – rise, un ghigno irriverente e malizioso. Jon era sempre più sconcertato da quel suo modo di fare, ma non riusciva a spiccicare mezza parola. Non comprendeva il suo comportamento così reverente nei suoi confronti, quando le sue parole era molto più simili a quelle di un bruto oltre la barriera.
Un rumore alla loro destra giunse alle loro orecchie. Entrambi allarmati, voltarono lo sguardo in quella direzione. Ser Arthur Dayne serio in volto si alzò in piedi ed impugnò la spada con la mano sinistra, mettendo l’altro braccio a protezione del giovane.
-Fatti da parte, cucciolotto. – “Cucciolotto? Ma con chi crede di avere a che fare?” Jon stava per ribadire ciò che i suoi pensieri avevano appena formulato, quando intravvide da oltre la sua spalla ciò che lo aveva fatto mettere in allerta. Sette uomini a cavallo stavano avanzando verso di loro. Considerò che, a differenza di loro che si trovavano in piena luce del sole, quei cavalieri erranti erano invece all’ombra. Jon ripercorse all’indietro i bordi di quella imponente zona buia che ricopriva gran parte del suolo alla loro destra. Si dovette voltare completamente e quando lo fece finalmente la vide.
Una torre massiccia e dalla base tondeggiante. Una struttura di mattoni di sabbia non propriamente ben rifinita, abbastanza grezza e senza una minima linea raffinata o particolarmente elegante. Sembrava più un rudere abbandonato e non allietava nemmeno il più arduo mendicante a fermarvisi. “Non è possibile… allora non mi sbagliavo, quando prima ho pensato che questa fosse Dorne. Quella dunque è la… Torre della Gioia?” Ser Arthur si voltò a guardarlo.
-Hai intenzione di andarci davvero? – gli chiese l’uomo dai biondi capelli – Non lasciarmi qui, non lasciarmi indietro. – sembrava stesse parlando ad un'altra persona, come se i suoi occhi vedessero in lui un altro uomo. Un velo ocra apparve davanti ai suoi occhi, come fosse un ricordo lontano nella mente.
-Non so dove potrei andare… - rispose senza comprendere quel suo allarmismo. L’altro apparve tornare nuovamente nella luce del giorno, ogni ombra giallognola era sparita.
-Non voglio che tu stia qui. Dovresti salire e confortare tua madre. – gli rivelò con serietà. Accanto a loro apparvero altre due figure bianche, ma che Jon non riconobbe e non distinse nei tratti – Se hai preso da tuo padre compiacerai le femmine coi tuoi canti melodrammatici e chissà che l’aria calda di Dorne non ti aiuti a deliziare anche i tuoi sensi. – rise ancora e puntò gli occhi verso l’alto – Ma se hai preso da tua madre combatterai in prima linea. – nel suo sguardo la tristezza apparve – Non rendere vano ogni loro sforzo. –
In un primo momento Jon pensò che avesse semplicemente alzato il capo verso il cielo, ma vide chiaramente i suoi occhi individuare qualcosa in alto. Si accorse che stava facendo una lieve riverenza col mento. Seguì la direzione dei suoi occhi e incrociò lo sguardo con due figure apparse solo in quel momento alla finestra di un piano centrale. Il primo era in abiti scarlatti, l’altro in un velo azzurro e bianco. Erano un uomo ed una donna, in un abbraccio armonioso, nelle loro espressioni dapprima serene, si intravvedeva una forte angoscia. L’uomo abbracciava la lady da dietro, come per infonderle coraggio, aveva abbassato il mento su una delle sue spalle. Lei appoggiò una mano su quella di lui, stringendogliela. Avevano qualcosa di vagamente famigliare e quando la donna abbassò il capo e incrociò il suo sguardo, Jon riconobbe il suo volto. “È mia madre…” non ci voleva un maestro della Cittadella quindi per capire chi fosse colui che le stava affianco.
Ser Dayne fece loro un ultimo saluto affettuoso. Nella sua mente percepì tutti i suoi pensieri. Valonquar. Haedus. Yn aderī, mōrī, aōt māzīli se hēnkirī īlvi biarvī manaerili. Come se fosse stata la sua lingua Jon riuscì a tradurre ogni parola. Fratellino… Sorellina… Presto, quando sarà finita, verrà a voi e celebrerete insieme.
Osservò ancora le due persone sopra la torre. Lo stavano ammirando e gli sorridevano, ma i loro volti sembravano comunque tesi di apprensione.
I cavalieri erranti li stavano raggiungendo e man mano che si avvicinavano, Jon poté accertarsi che non si trattava di suo zio e del gruppo di valorosi uomini del nord volontari… in un primo momento aveva erroneamente pensato che quello fosse l’attimo in cui la morte avrebbe richiamato ser Arthur e le altre due guardie reali poste alla sua protezione. Ma attorno a loro tutto gelò, un vento improvviso raggiunse i loro piedi.
Ser Dayne si voltò e gli porse Alba con un gesto lesto. Jon rimase interdetto ad osservare quell’arma che non sentiva sua.
-Prendila, forza! – gli ordinò.
-E tu? Cosa userai? – si ritrovò a domandargli incredulo mentre prendeva la spada leggendaria in mano, sentendola pesante. Il cavaliere sorrise tristemente.
-La mia vita. – la sua voce era stranamente pacata, come se avesse sempre saputo che avrebbe dovuto offrire quel pegno e ne fosse quasi sollevato – Lei ha provato a dirmelo più volte… - “Lei?” si domandò il ragazzo “Mia madre…?” non comprendeva bene quelle sue parole, ma una forza gli scaturì dal petto.
-No! – si impose serio, riporgendogli la spada che non riconosceva. Lui però mise il palmo piatto di fronte a loro. Non pareva acconsentire un rifiuto. Jon sentì qualcosa di pesante al fianco muoversi, dondolando, in risposta al suo passo. Abbassò lo sguardo era Lungo Artiglio. Un lampo gli balenò nella testa e trovò la soluzione.
-Ho già la mia spada… - stava per dirgli che gli avrebbe ridato la sua, ma il cavaliere lo anticipò.
-Non basta con loro. – il suo tono era fermo e sicuro di sé, sapeva ciò che stava dicendo. Continuava a respingere Alba e questo obbligò il giovane del nord a cambiare strategia. Estrasse allora la propria spada e gliela propose come scambio.
-Usa la mia. – Ser Arthur lo fissò cercando di capire il significato delle sue parole. Poi sorrise e assottigliò lo sguardo. Ancora un pensiero gli attraversò la mente, era antico valyriano: “zaldritsos hēnka zoklītsos?” subitanea fu la sua traduzione “Draghetto o lupetto?” Jon non comprese il senso, ma lui continuava a sorridere felice di trasporto.
Prese, quindi, la spada, la soppesò un attimo, controllò la filatura della lama, se la passò da una mano all’altra facendola roteare in aria e quanto la riprese affondò il primo letale colpo contro un estraneo che era arrivato alle sue spalle. Lo colpì con un fendente e gli tranciò di netto il costato. Il cavallo continuava a procedere con la parte inferiore del colpo ancora in sella che si liquefaceva in una cascata d’acqua ghiacciata. Il resto del corpo esplose lì tra loro ricadendo sulla sabbia che fumò a quel contatto.
Era impressionante il modo in cui la propria arma era stata dannosa tra le sue mani. Aveva una tecnica eccezionale, nemmeno Ser Rodrick avrebbe potuto mai pensare di metterlo in difficoltà. Non lo aveva visto combattere con Alba, ma dato che già con la sua spada era stato così veloce e spietato, non osava neppure immaginare come avrebbe maneggiato la spada che gli era appartenuta per anni. Jon non si sentiva minimamente pari alla sua bravura. “Essere ai suoi livelli… Tsé, nemmeno se mi allenassi per mille anni raggiungerei la sua destrezza e la sua sicurezza.”
Ripensò alle parole che Ned Stark aveva usato per descriverlo e considerò che era tutto vero. Tutti coloro che ne parlavano avevano ragione a considerarlo forse il più forte cavaliere dei Sette Regni. Per poco non si accorse che un Estraneo gli era arrivato alle spalle, si abbassò in fretta, per evitare che lo ferisse, ma ser Arthur Dayne arrivò prontamente, calcolando mentalmente la giusta angolazione per bloccare la sua avanzata e metterlo fuori gioco con un colpo netto. Rapidamente un terzo avanzò da dietro e il cavaliere, quasi aspettandoselo, trafisse al petto portando indietro la spada da sotto l’ascella.
-Tutto bene, figliolo? – Jon si ridestò udendo la sua voce dall’accento morbido e rassicurante. Gli bastò solo un cenno del capo per fargli intendere che era a posto. “Figliolo… Nemmeno Ned Stark è mai stato così diretto con me.” Non era abituato a ricevere una così alta considerazione, né era avvezzo alle lusinghe o alla famigliarità che Arthur Dayne pareva avere con lui.
Lo vide chiudere le palpebre per un solo istante, schermo di quegli occhi viola brillante, ma non appena le riaprì, di nuovo quelle stelle si mostrarono di fronte a sé. La sua determinazione ed il suo volto marcato, lo aiutarono a riprendere il controllo della situazione. Strinse il pugno sull’impugnatura di Alba e si concentrò sul suo avversario. Il Re della Notte lo aspettava in sella al suo stallone di ghiaccio. Deglutì e si preparò allo scontro. Entrambi si avvicinavano l’un l’altro. Trenta passi… quindici… dieci… cinque… Improvvisamente, alla sua destra, Arthur cadde in ginocchio al colpo inferto da uno di loro. Il suo sangue sgorgò dalla ferita andando a macchiare il terreno. Alcune gocce sporcarono pure la lama di Alba che cominciò a reagire in un modo del tutto anormale. La sentì emanare una vibrazione sempre più importante, ed il sangue che le era caduto addosso avviò un processo di non ritorno che non sembrava avere alcun senso. Erano solo una piccola quantità all’inizio, ma queste isolate gocce si ingrandirono inspiegabilmente su tutta la lama e la luce emanata da essa divenne cremisi, poi rosso fiammante. Gli tornarono alla mente gli occhi di Spettro. Brillava lucente, come se bruciasse al suo interno una fiamma ed emetteva calore. Tanto calore.
Il re della Notte si bloccò, nel suo volto sgomento e terrore, come se avesse riconosciuto il suo vero avversario. Jon rimase stupito da quel cambiamento e cercò con lo sguardo ser Arthur Dayne. Stava in piedi ora, la punta della lama di Lungo Artiglio era appoggiata al suolo, lui si sorreggeva al pomo di essa. Sembrava provato dal combattimento. Degli avversari nessuna traccia, a parte qualche alone bagnato sulla sabbia attorno alla sua figura. Appena si accorse del suo sguardo, un ghigno divertito gli apparve sulle labbra.
-Nuho Darys. – gli fece un cenno di saluto con la mano portandosela alla fronte e facendola volteggiare un paio di volte, chinando appena il busto. Di nuovo una luca bianca avvolse tutto e Jon ancora non vide altro attorno a sé che tenebre.
 
Quando riaprì gli occhi si ritrovò in quell’angolo del salone principale del forte abbandonato, appena poco distante dal camino ormai spento, in quel giaciglio improvvisato che aveva preparato per distendersi con sua madre. Ma ovviamente di lei nessuna traccia.
 
 
 
 
 
Quell’angoscioso incubo l’aveva svegliata malamente. Era stanca di soffrire. Giorno o notte che fosse, i tormenti continuavano a perseguitarla e più il tempo passava, più il terrore che potessero diventare reali le stava dilaniando l’anima. Suo figlio stava dormendo ancora beato accanto a lei, assopito in qualche bel sogno appagante. “Quale fatina guerriera giova alla tua anima, mio cucciolo?” si domandò.
Non voleva svegliarlo. Pian piano si allontanò da lui, cercando di non compiere movimenti bruschi e di non far troppo rumore. Si alzò cautamente e si allontanò in punta dei piedi. Vide suo fratello Benjen appostato a guardia, seduto sul bordo della finestra di pietra, lo sguardo fisso all’esterno. Provò ancora un forte rancore per il suo comportamento da ipocrita voltagabbana nei confronti della sua stessa famiglia. Se Jon avesse scoperto che il suo zio prediletto ora passava informazioni al principe Viserys si sarebbe arrabbiato molto. Lei aveva già scoperto il tradimento di Elanon, e glielo aveva risparmiato, congedandola prima che Jon si rendesse conto di avere tra i suoi, gente che continuava a voltargli le spalle. Se, con la sua serva, però non le era importato il motivo, questa volta invece voleva assolutamente conoscerne la ragione, ma quello non era certo il momento adatto. Lei non era dell’umore giusto e senz'altro avrebbero alzato la voce, svegliando poi tutti. Era una cosa che preferiva evitare. Ovviamente una volta tornati a Winterfell sarebbe stato difficile contenere il vociare dei pettegolezzi su un ipotetico litigio fra i lupi.
Preferì quindi sottrarsi all’istinto di raggiungere suo fratello e si diresse invece verso l’ala opposta. Salì le scale di pietra e raggiunse una delle stanze sopraelevate. Quella che prediligeva, quando erano ancora dei ragazzini e soggiornavano lì, se una nevicata improvvisa li coglieva impreparati. Erano soliti andare a ripararsi in qualche edificio simile, ma quella struttura era la più gettonata. Lei e Benjen la raggiungevano spesso, e subito si andavano ad accertare che la loro stanza prediletta era rimasta intoccata. Si lasciavano baciare dai fiocchi di neve che imbrattavano le loro casacche, scendendo direttamente dal cielo, poiché la stanza a ovest al secondo piano era priva di tetto. Si diceva che fosse crollato negli anni addietro a causa di un tronco di pino che poi era stato usato per risistemare le stalle, ma il tetto della camera era rimasto aperto, non avendo più necessità di usare quella fortezza, se non come riparo per cacciatori o viandanti.
Le piaceva sempre andare lassù. I venti dell’inverno le solleticavano il volto, sembrava poter toccare le stelle con una mano, quando il cielo era limpido. Le venne in mente un altro luogo dove aveva provato una sensazione molto simile di libertà e di spensieratezza… ma lì vi era un’aria più calda e carica di affetto che profumava di lavande e la colonna sonora di ogni giorno era il leggero scrociare delle cascatelle di un fiume impensabilmente ghiacciato.
Aveva chiuso gli occhi solo per un istante, tornando in quel posto da favola, rimanendo ferma in piedi sul primo scalino dell’ultima rampa di scale. La mano appoggiata alla fredda pietra della parete. Sorrise mesta e proseguì. Quando raggiunse la meta prefissata, però la trovò già occupata.
Il principe Viserys stava seduto sul bordo della parete crollata, avvolto nel suo mantello, con una gamba ciondoloni nel vuoto e l’altra invece sollevata, un braccio sopra al ginocchio che teneva un pugnale con conficcato lo spicchio di una mela… Esattamente come avrebbe fatto Rhaegar. “E’ una delle innumerevoli cose che mi ha passato il mio Kepa” le aveva detto un sacco di volte. Una fitta al cuore la costrinse a cambiare il piede d’appoggio.
Lui si accorse della sua presenza a causa di quello spostamento dell’aria quando aveva aperto l’ingresso, o forse per il frusciare della gonna, o il grattare del legno della porta… Ciò nonostante lei aveva la vaga sensazione che lui probabilmente fosse lì per aspettarla. O era il suo cuore a volerlo sperare?
-Perdonatemi, non volevo disturbarvi. – gli disse, ma senza darsene una spiegazione non tornò indietro. Lui la osservò con quella sua maschera inespressiva. Non disse nulla, ma le fece appena un cenno con le dita della mano che teneva il frutto per invitarla a restare.
Come se l’invito fosse stato un ordine, lei obbedì. Si avvicinò a lui e si inginocchiò poco distante. Il principe tagliò un altro spicchio di mela e glielo passò, rimanendo ancora in silenzio.
-No, vi ringrazio. – disse lei alzando una mano – Temo di non avere altro spazio ancora nel mio stomaco. Questa volta potrei sentirmi male per il motivo opposto. – gli sorrise appena, ma quanto i loro sguardi si incrociano, lei abbassò il capo innervosita. Lui ancora non si espresse, sembrava non avesse alcuna voglia di intavolare un dialogo. Lyanna così si sentì costretta a prendere in mano ciò che gli stava offrendo per non risultare offensiva.
-È un ottimo posto questo, quando si cerca la solitudine… - cominciò lei, cercando di ignorare l’ansia che continuava a perseguitarla – C’è solo il vento a farti compagnia… I rumori della foresta scandiscono il tempo che passa e le stelle rischiarano i cieli cupi del nord. Quando la luna si mostra in tutta la sua grandezza, da qui è possibile vedere anche la cima della cascata ghiacciata. – illustrò ogni bellezza che lei vedeva con la mente. Viserys si mise più comodo, appoggiando la schiena contro il muro alle sue spalle. Piegò la testa di lato per osservare gli alberi, ma ancora non si espresse. Questo la irritò profondamente
-C’è una cosa che ancora non mi è chiara e vorrei che voi, una volta per tutte, siate sincero e mi togliate questa curiosità. – gli domandò indirettamente. Ancora silenzio da parte sua – Prima mi avvelenate, poi vi prodigate per rimettermi in piedi e riportarmi a casa. Indi mi togliete il saluto, evitate di parlarmi, rifiutate la mia presenza, ma siete in ansia, ogni qual volta mi accade qualcosa. E ora che ci siamo incontrati per puro caso, non volete che me ne vada, ma non vi degnate nemmeno di parlarmi. Perché tutto questo? O siete la persona più lunatica che io conosca, oppure siete in contraddizione coi vostri sentimenti e non volete darvene una ragione. – Viserys si concesse un tempo infinito per risponderle, tanto che lei temette di non ricevere ancora alcun responso.
-Ora ne ho abbastanza. – disse con tono acido, stava per rialzarsi e andarsene quando lui prese parola.
-Aōhon iksan, se ñuhon iksā- disse tranquillamente tornando a guardarla. Ultimamente aveva scoperto che amava parlare in valyriano, tanto quanto suo fratello maggiore. Lyanna però non era mai stata molto brava con quella lingua antica, alcune parole le rammentava ancora, tuttavia quella frase… aveva qualcosa di famigliare. Era certa di averla già sentita, ma non ritrovava nella mente alcun suono riconducibile alla lingua comune. Evidentemente Viserys intuì la sua difficoltà, perché tradusse all’istante – Appartengo a voi, quanto voi a me. –
-Io non appartengo a nessuno! – puntualizzò cocciuta – Non sono un cane e soprattutto non sono di vostra proprietà! –
-Ho urtato per caso la vostra sensibilità? Me ne dispiaccio molto. Non ho mai pensato che voi siate quel genere di quadrupede che collettivamente si crede possa essere l’animale più fedele dell’uomo. Ma se vogliamo trascendere nel gergo fantasioso, come la mia famiglia è legata ai draghi, la vostra è paragonata ad una forma di canide primitiva e mitologica: i metalupi. Per cui questo fa di voi una lupa – concesse lui – E per figlio avete invece un drago. – la sua voce era pacata.
-Jon non è… - le venne in automatico criticare quell’affermazione, ma si sentì una stupida. Corrucciò la fronte innervosita e pronta a dirgli altro, ma Viserys la interruppe, come se nemmeno l’avesse ascoltata.
-Oggi ha cavalcato Rhaegal con estremo coraggio e nobiltà, dovreste essere orgogliosa di lui. – il modo in cui si pronunciò denotava anche un proprio vanto.
-Lo sono, infatti. – rispose acida, abbassando lo sguardo a terra, prima di riposizionarlo sulla sua maschera. Non le piaceva che lui provasse dei sentimenti così forti per suo figlio. Era suo zio d’altronde e non poteva certo impedirgli di apprezzare il tempo che trascorreva con suo nipote, eppure…
-State mentendo. – quella frase la disarmò. Viserys riusciva sempre ad intuire, quando dissimulava un discorso, esattamente come Rhaegar – Ora vi pongo io un’interpellanza: per quale ragione non siete a favore dei suoi allenamenti coi draghi? – era serio, ma non pareva alterato, solo curioso di scoprirne il motivo.
-Perché dovrei rispondervi, dato che voi avete completamente ignorato il mio quesito? – gonfiò le guance in contrapposizione.
-Avete pienamente ragione… - le accordò sorridendo mestamente – Tuttalpiù traspare che per voi possa essere più importante un mediocre aspetto del mio carattere, piuttosto della salvezza di vostro figlio. –
-Non avete alcun diritto di insinuare una simile nefandezza. – ribatté a denti stretti, serrando i pugni – E comunque non sono affari che vi riguardano. Ciò che penso dei vostri insegnamenti o del tempo che vi vedo trascorrere con lui, è una mia opinione! – decretò acida, issando la solda barriera di ghiaccio. Non voleva dargli altra soddisfazione di annoverare ciò che nascondeva dentro di sé.
-Un’opinione che mi interessa conoscere. Comprendo appieno l’astio che provate nei miei confronti, e sono dell’idea che sia fin troppo modico, rispetto a quanto davvero siano state ignobili le mie colpe fino ad ora, ma vi chiedo una cortesia: non frenate la volontà e l’istinto di vostro figlio. Non impeditegli di aprire la sua anima al sangue di drago; la nostra famiglia per anni ha cercato di riportarli in vita non per una qualche malsana fissazione, ma per pura necessità. Nell’antica Valyria si sono svolti sacrifici indicibili e il sangue di quell’antico popolo che la fondò è mutato, diventando in poco tempo dei cavalieri di drago. La nostra discendenza ha ben poco di quel sangue nelle vene, ma la magia in esso si è risvegliata. Avvertiamo un richiamo verso queste creature leggendarie, non come un’ape in cerca del fiore migliore per nutrirsi del suo succulento polline, ma più come un naufrago che tenta di aggrapparsi ad uno scoglio per la propria salvezza. – spiegò – Se la grande battaglia avrà luogo a breve, domare un drago potrebbe essergli di enorme sostegno, se non anche fondamentale per la sua sopravvivenza. – lei lo guardò piegando il capo di lato e pensando intensamente a quello che aveva detto. Ricordava vagamente un vecchio discorso che Rhaegar le aveva fatto su Valyria e sulle origini della sua famiglia.
-Perché vi dovreste preoccupare per la sua sorte? – gli domandò prudente – Dopotutto si antepone a voi nella linea di successione. La sua prematura morte potrebbe essere un grande sollievo, per una persona ambiziosa come voi. È facile recepire dal vostro comportamento quale abile stratega voi siate ed è assolutamente impossibile che non abbiate tenuto in considerazione questa eventualità. – Lyanna non poteva tollerare altre menzogne, voleva capire il suo ruolo in quella storia a tutti i costi. Viserys rimase ad osservarla senza parlare per un lungo tempo. Inspirò profondamente e le porse l’ultimo pezzo di mela, prima di manifestare sbuffando un concetto che per lui doveva essere anche fin troppo scontato.
-Perché in lui scorre il mio stesso sangue. –
Lyanna rimase colpita da quell’affermazione; non se l’aspettava. Si portò il pezzo di mela alla bocca e lo morse, pensierosa, senza neppure pensare a ciò che stava facendo. Viserys riportò la sua attenzione al panorama al di fuori. Quando proseguì nel suo discorso, però la lady del nord sentì il gelo pervaderla come durante una bufera.
-Avrei preferito che Lady Melisandre non avesse commesso quell’avventatezza… affrontare guerre, morire, tornare di nuovo alla vita… cambia drasticamente una persona. Muta la sua anima in modo inesorabile. I sentimenti non trovano pace e si perdono molteplici qualità… valori che un tempo erano insegnamenti svaniscono… gli amici più cari muoiono… la propria famiglia si dissolve nell’oblio…  – prese il fiasco che stava alla sua destra e se lo portò alla bocca. Ne bevve un sorso con eleganza. Anche se le sue prime parole l’aveva scioccata, Lyanna non poté ignorare quanto i suoi modi continuassero a ricordargli Rhaegar.
-Osate… forse dire… che doveva… lasciarlo morire? – rimase sulla sua linea di pensiero, anche se il fiato le era divenuto corto per l’angoscia che cominciava a solleticarle l’anima – Siete spregevole! Non avete un briciolo di umanità! In voi non posso che continuare a vedere la pazzia di… - ma non fece in tempo a finire la frase che lui le afferrò un polso con una presa salda e l’avvicinò a sé con un gesto deciso, mettendole un dito sulle labbra.
-Voi volevate sapere cosa stavo pensando! – si rivolse iroso – E non vi azzardate più a paragonarmi ancora a quell’uomo! – pronunciò quelle ultime parole con tono basso, ma furioso.
I loro volti erano vicinissimi, Lyanna poteva sentire l’intimidazione della minaccia anche dal soffio caldo sulla pelle nel suo viso. Non ebbe alcuna reazione visiva a quella diffida, forse per la prima volta, sentì il tormento del panico pizzicarle la schiena, non tanto dovuto dal timore per le sorti di suo figlio, ma più per la vicinanza con Viserys. Da quella notte a Deepwood Motte in cui aveva appoggiato le labbra su quelle del principe, qualcosa in lei era mutato. Aveva cercato di disinteressarsene con tutta sé stessa, di tergiversare, di nascondere e ignorare ciò che stava crescendo nel suo intimo, ma era stato tutto inutile, perché lui era costantemente presente in ogni momento delle sue giornate, anche quando lei aveva cercato di evitarlo o perfino nell’istante in cui l’avversava… ne sentiva la presenza quasi soffocante addosso, eppure anche tanto desiderata.
Rimase lì, ferma, senza nemmeno comprendere il motivo che le impediva di reagire. Lui la lasciò andare, come se fosse ritornato in sé. Lyanna si ritrovò a buttar fuori l’aria nel petto in un lungo estenuante respiro. Una nuvoletta di vapore le circondò il volto. Aveva trattenuto involontariamente il fiato fino a quel frangente e si dannò l’anima per l’insano pensiero che le era appena balenato nella mente. Un’afflizione straziante la stava dilaniando da dentro solo per quell’allontanamento.
-Perdonate la mia scellerata condotta. – le disse, rivolgendo lo sguardo verso il vuoto sotto di sé. Lyanna si sistemò un po’ meglio, ma non tentò in alcun modo di spostarsi da lui. Qualcosa le diceva di non farlo. E pur odiandosi per questo, volle ascoltare quel suo istinto. Titubante, osservò il fiasco che poco prima il principe aveva appoggiato di fronte a lei.
-È birra? – gli chiese. Lo sentì annuire, si prese coraggio e ne bevve un sorso per mandare giù il boccone. “Almeno la birra non mi crea lo stesso effetto del vino…” rifletté. Continuava a sentirsi ancora troppo piena, eppure quelle fette di mela, che lui le aveva tagliato, erano state come un toccasana per la pesantezza che sentiva nello stomaco. Per ciò che invece provava nel suo cuore, non pareva esserci rimedio.
Il principe la osservò con attenzione, mentre trangugiava il liquido con la migliore compostezza che riusciva ad avere. Gli insegnamenti della septa li rammentava ancora, seppur in lei non avessero trovato basi solide su cui attecchire. Riabbassò le braccia con la bottiglia in mano, si mise a carponi per posizionarla accanto al muro cosicché nessuno dei due avesse modo di urtarla e rovesciarne quindi il contenuto. Nel frattempo si ripulì la bocca con il lembo della manica, piegando leggermente il collo di lato, e imprudentemente la matassa di capelli sciolti le ricadde davanti. Lyanna si accorse di aver attirato senza volerlo l’attenzione dell’uomo, dal momento che percepì una lieve tensione sul cuoio capelluto dalla parte sinistra. Spostò il volto in quella direzione, pensando di aver accidentalmente imbrigliato i capelli in qualche cinturino del mantello, ma si rese presto conto che non era affatto così. Viserys aveva afferrato una ciocca della sua chioma con una mano e se l’era portata alle narici. Ne stava annusando la fragranza, con fare estasiato e paradisiaco, quasi si fosse immerso in un luogo distante e etereo. Lo udì, inspirare a pieni polmoni, come una bestia feroce annusa la sua preda e si convince ad attaccarla. Lei lo guardò stupita e quasi ammaliata. “Perché… perché continua a comportarsi come lui?” Si ritrovò a non sapere più che fare, il cuore le martellava nel petto, come volesse uscirle. Rimbombava nei suoi timpani come tamburi. Temeva che Viserys si potesse accorgere da un momento all’altro quale direzione avevano preso i suoi pensieri, ma non riuscì a trovare alcun modo per sviarlo.
Quello era un altro degli atteggiamenti che le faceva tornare alla mente il suo principe d’argento. Il modo in cui le prendeva i capelli e ne annusava la fragranza, nei posti e negli istanti meno probabili del breve periodo che li aveva visti vivere assieme il loro immenso amore. Il cuore mancò un colpo, quando si accorse che l’uomo di fronte a lei stava allungando una mano per farle una carezza sulla guancia. La lady ebbe un leggero fremito e lo scrutò disarmata. Avrebbe dovuto combatterlo, cacciarlo via, invece la sua volontà lo ambiva a stringerlo a sé, baciandolo e abbandonarsi ad ogni sua carezza. Si disprezzò per quanto immorali fossero quei suoi desideri, ma non era in grado di fermarli. Il cuore le martellava nel petto ad un ritmo serrato, le labbra le sentiva secche, come anche la lingua. Il suo respiro era diventato affannoso. Bramava la sua bocca, ardeva per le sue mani, fremeva per il suo corpo…
Come se gli Antichi Dei avessero potuto udire le sue necessità, ebbe la remota sensazione che furono sempre loro a spingere Viserys ad agire. Le infilò le dita tra i capelli e strinse a pugno, avvinghiandole il capo con decisione. In un istante l’attrasse a sé con forza calcolata, per non farle male, sembrava conoscere il peso di ogni parte del suo corpo. Avevano le fronti appoggiate l’una all’altra; le loro bocche erano a pochi millimetri, tanto che Lyanna riconobbe sulle sue labbra il gusto dolciastro di mela mischiato all’aroma amaro della birra. Le socchiuse, accarezzando già l’idea di un bacio, prima ancora che lui prendesse l’ardire di accarezzare quella superflua distanza. Le loro bocche sapevano già come muoversi, le loro lingue si sfiorarono dapprima incerte, si studiarono e impararono a conoscersi ed infine entrarono, ispezionarono e presero possesso degli spazi altrui, partendo in breve a comporre una danza infuocata e bramosa… E nulla ebbe più un senso.
Tutto sembrava limitarsi a quell’attimo. Una scarica di emozioni e sentimenti riaffiorò dal profondo del suo animo. Lyanna chiuse gli occhi e sentì Rhaegar lì con lei. La sua anima glielo confermava, la sua mente lo percepiva. Sembrava proprio lui, lo riconosceva nei modi, nel tocco, nel respiro, nella profondità del suo essere. Si ritrovò a volere di più, a struggersi per la lontananza che sentiva e che doveva essere colmata da qualcosa. Lo baciò con la stessa passione che pure lui mostrava e gli mise una mano sul petto, artigliando la sua casacca con vigore e determinazione. Con l’altra mano invece gli strinse l’avambraccio, con frenesia, affondando le unghie nella stoffa e tirandolo verso di sé. Era ciò che più voleva, ma era anche ciò che più detestava.
Viserys le mise un braccio attorno ai fianchi e la sollevò, facendola sedere tra le sue gambe aperte. Continuò a stringersela addosso, accarezzando spalle, schiena, capelli, in modo conciso, ma studiato. Poi giunse al collo e al viso, proprio come se ascoltasse il richiamo del suo stesso corpo; quel bisogno che lei stessa nemmeno riusciva a comprendere, lui magicamente traduceva in gesti. Conosceva ogni sua fantasia repressa come le stesse leggendo nella mente. Il bacio divenne sempre più insistente e fu chiaro che anche lui la desiderasse con ardore.
Si staccarono appena per riprendere fiato. Lyanna aveva le palpitazioni e si sentiva assuefatta da un veleno potente, eppure una parte di lei stava appagando quel capriccio che la sua giusta moralità l’aveva costretta a celare in quell’angolo remoto. Come era accaduto dopo Harrenhal in quei mesi che l’aveva vista separata dal suo principe d’argento.
Viserys sospirò e nonostante apparisse sufficientemente soddisfatto, riprese a sfiorarle il volto con le labbra, baciando e leccando, suggendo la carne e mordicchiandola nei punti più morbidi. Iniziò dal mento, prese a percorrere ogni curva del collo, scendendo poi lungo una spalla. Lei incautamente si lasciò sfuggire un gemito ed alcune rare lacrime le scesero dagli occhi che teneva ancora chiusi. Non voleva più riaprirli. Temeva che se lo avesse fatto, tutta la magia sarebbe svanita. Lui se ne sarebbe andato… di nuovo… per mai più tornare.
Viserys sembrò accorgersi di questo fatto, ma non provò a respingerla, né ad offendere quella sua debolezza. Riportò il capo verso il suo volto e le baciò quelle perle di malinconia che uscivano dai suoi occhi. Lyanna sentì la sua lingua calda leccare il loro percorso e indugiare maggiormente tra le ciglia folte.
-Dona zokla. – sussurrò piano. Questa frase la comprese: l’aveva chiamata dolce lupa. Si sentì scaldare il cuore. Poi lui la strinse ancora più a sé, costringendo ora i loro corpi ad una pressione quasi asfissiante, ma per entrambi essenziale. Ricominciò a baciarla sulle labbra socchiuse, spingendo la lingua sul loro contorno per poi immergerla all’interno alla ricerca della sua. Gemette ancora nella bocca di lui, incredula lei stessa di poter emettere quei versi famelici.
Percepì la propria eccitazione tra le gambe, chiara reazione dei suoi istinti e probabilmente anche delle vere brame che non voleva svelare nemmeno a sé stessa. E rispecchiando pressoché il suo stesso imbarazzo, distinse chiara anche la tensione di lui contro una sua coscia. Viserys al contrario di ciò che si aspettava, non provò a cercare altro da lei, né a richiederle attenzioni maggiori. Si limitò a concentrare il suo interesse solo sul volto, cambiando angolazione del capo e tornando a baciarle il collo, questa volta sulla destra, senza mai osare scendere oltre il leggero spiraglio di pelle che si intravvedeva dal mantello. Lyanna nel trasporto prese a baciargli l’angolo tra il mento e il collo, appena sotto l’orecchio, assaporandone il gusto della sua pelle e respirandone il profumo raffinato e ricercato. Viserys ebbe un sussulto e le trasmise il brivido che provò, mordendole dolcemente la pelle e suggendola veemente nel tentativo di crearle un bacio del fuoco. In risposta lei lo addentò avida. Mille scintille scoppiarono sotto le sue palpebre, quando lo sentì mugugnare un lamento tormentato ed estremamente passionale, ma si scansò prima che l’alone potesse diventare difficile da nascondere. Viserys ascoltò silenzioso quella sua muta richiesta, le riprese il volto solo con una mano e ricercò le sue labbra, ma Lyanna spinse la sua fronte contro la guancia dell’uomo, quasi a supplicarlo di fermarsi. Allora lui ricominciò a darle piccoli baci sulla tempia, inumidendo la sua pelle con la punta della lingua per poi sfiorarla con le labbra. Raggiunse il suo padiglione auricolare e ne delineò la circonferenza superiore per poi suggerle il lobo, indugiando, succhiando in maniera giocosa, prima di ridiscendere sul suo collo. Le fiamme avvamparono anche in lei, proprio come accadeva quando era Rhaegar a farla andare in delirio. Si sentiva eccitata oltre misura e lo desiderava senza più freni o intralci. Cercò con le mani si slacciargli la casacca, ma le sue mani la raggiunsero, come se quello che lui voleva, fosse altro.
-No. – disse in un soffio. Lyanna si accorse che aveva anche lui il fiato corto. Le mise una mano sulla guancia, aderendo perfettamente con tutto il palmo – Torna a baciarmi… è ciò che più necessito. – le sussurrò piano all’orecchio. Forse Lyanna aveva deciso di assecondarlo, o forse avvertiva lo stesso bisogno, perché lui non riuscì quasi neanche a finire la frase, che lei si era già impossessata della sua bocca, determinata a soddisfare entrambe le loro voglie. Viserys abbassò una mano sul fianco della donna, scese ancora curvando su un lombo e delineando la forma della gamba. Le dita scivolarono sulle rientranze della gonna di velluto pesante, fino a giungere alla coscia, fermandosi prima del ginocchio, per poi risalire ancora. Lei inarcò la schiena e si schiacciò contro il suo torace, strusciandosi lasciva e premendo i seni contro di lui. Anche se i vestiti li separavano, percepì il bollore del suo corpo. Il sangue di drago era attirato da quello di lupo che lei possedeva.
Viserys si staccò dalle sue labbra, solleticandole ancora un istante con la lingua e serrandole con le proprie in modo scherzoso. Lei non ebbe più alcuna percezione del presente, era in completo abbandono tra le sue braccia e si sentiva al sicuro, protetta e divinizzata. Avvertì uno spostamento della sua mano sulla schiena, la stava sorreggendo con un solo braccio, tenendola addossata al suo petto. Lyanna captò i suoi canini lambire la cute del collo e tratteggiarne tutta la sua lunghezza, salendo verso la sua guancia, per poi ridiscendere sulla spalla, azzannando dolcemente e alternando anche labbra e lingua. Spostò appena il tessuto del mantello con le dita per avere più spazio, ma non provò alcun interesse a sfiorarle il petto, ma insisteva con l’altra mano sulla gamba, perseverando sul fianco e spingendosi poi verso l’inguine, ma senza mai raggiungerlo davvero. Ebbe un fremito e glielo rispedì, arcuando la schiena e emettendo un lamento di piacere; per quanto sussurrato le sembrò rimbombare in quella stanza vuota come un urlo. Il calore del suo respiro era tangibile e le fece venire i brividi. Era presa da lui in modo patetico e incoerente, come se la sua mente ed il suo corpo cogliessero in Viserys, l’uomo che in realtà amava. Ancora una lacrima le scese, e abbassò affranta il capo sulla sua spalla. Lo stava rifacendo. Si stava lasciando andare tra le braccia di un altro uomo, quando ancora pensava a lui. Era ignobile e vergognoso questo comportamento. Si stava ingannando e la cosa peggiore era che stava illudendo anche la persona che era con lei. Non era giusto.
-Torna da me… - lo sentì dire. Anche lui aveva percepito i suoi tormenti – Non allontanarti da me… non questa notte. –
-Non posso… Sto commettendo un errore… - si lasciò sfuggire quel pensiero a voce bassissima.
-Non c’è alcuno sbaglio… - disse trafelato – Solo io e te come deve essere… -
-No. – affermò lei, puntando entrambe le mani sul suo petto e distanziando i loro corpi. Ora le lacrime erano come un fiume in piena – Sono qui con voi fisicamente, ma la mia mente è con un altro uomo… - piangeva, era preda della disperazione che era tornata a tormentarla. Viserys asciugò le scie salate coi pollici, seguendo il loro percorso fino a giungere agli occhi. Le diede un bacio delicato sulle palpebre. Lyanna sentì le sue labbra infuocate, sfiorarle le lunghe ciglia. Era più forte di lei non riusciva a sciogliersi da quell’abbraccio, anzi si ritrovò ad accarezzargli il torace salendo sulle sue spalle e a serrargli le unghie sulla schiena, come se si rifiutasse di fuggire da lui. Inevitabile. Doveva lasciarlo andare.
-Le nostre anime si appartengono… - le disse premendo le labbra contro la sua guancia – Sentilo… Concentrati su questo e liberati da ogni dubbio... – era arrivato a parlarle con un tono formale e questo la destabilizzò maggiormente. Questa volta scese con la bocca sulla pelle del suo petto. Non riusciva a dirgli di smettere, ma quando sentì la sua lingua indugiare poco sopra l’attaccatura dei suoi seni, ebbe un sussulto.
-Non possiamo. Io non funziono così… - protestò cercando di allontanarlo, tuttavia lo premette ancora più verso di sé – Voi siete voi… - singhiozzò ancora e solo questo sembrò fermare la sua avanzata.
-Ma posso essere lui, se lo volete davvero. – tornò a baciarle una spalla, lei allora proseguì.
-Se mai avessi fatto una cosa del genere, lui mi avrebbe respinta… per sempre. – lasciò la sua presa e si spostò all’indietro, comandata dalla paura che aveva preso possesso di lei. Le braccia di lui non la trattennero oltre, allargandosi, immobilizzato e demotivato, permettendole quel movimento. Quando si trovò di nuovo padrona di sé stessa, arrivò anche subitaneamente il terrore di essere di nuovo sola. Ebbe un tremolio nelle spalle, che si protrasse fino alle mani. Cercò di chiuderle e se le portò al petto. Rialzò gli occhi su di lui, grosse lacrime le scendevano senza sosta – Ho deluso me stessa. Ho deluso lui… ho violato la regola più importante… si sarebbe arrabbiato tanto… -
-Non si arrabbierà questa volta… – la consolò dolcemente, prendendole il mento e tornando ad avvicinare le labbra alle sue. Lei però indietreggiò appena, così lui la accarezzò la una guancia.
-Sono io che non me lo perdono… - non sapeva più come fermare il pianto – Non posso approfittare della vostra disponibilità, per assecondare questa mia gravosa debolezza. Perdonatemi. – spostò il capo verso il dirupo alla sua sinistra.
Viserys tenne solo il braccio tra lei e la profondità al loro fianco, proteggendola forse più da sé stessa e rimase ad osservarla, senza dirle nulla, mentre anche il suo respiro tornava a farsi più regolare.
-Comprendo quello che dite. – le disse tristemente, serrando delicato le dita sul suo braccio – Attenderò il giorno in cui tutto questo vi arrecherà meno dolore. – Lyanna si voltò a fissarlo distrutta, con enormi goccioloni che le scendevano sul naso.
-Proprio non riuscite a capire? – la sua voce era completamente rotta dal pianto – È assolutamente inutile che voi indugiate ancora su di me. Non potrò mai ricambiarvi. – si coprì gli occhi con le mani chiuse a pugno. Lo sentì muoversi e si convinse che avrebbe reagito in un modo imprevedibile. Si aspettava che la oltraggiasse, la percuotesse e magari la picchiasse anche, ma per tutta risposta Viserys invece le prese teneramente una mano, portandosela alla bocca e gliela baciò, prima sul dorso e poi sul palmo, indugiando con le labbra su ogni anfratto dei suoi polpastrelli e dei lievi calli.
-Discolpo il vostro esitare; i vostri sentimenti per me sono vivi e non vi sarà facile controllarli… Credetemi se vi dico che ne sono infinitamente onorato. Non auspicavo per me alcun lieto fine. Mai dopo quello che ho fatto, avrei pensato di poter ricevere così tanto dagli dei… Avrei mille cose da raccontarvi questa sera, ma convengo con voi, che non sia appropriato, voi siete scossa ed io stanco, ma domani spero mi dedichiate un po’ del vostro prezioso tempo… –
Lyanna ebbe un brivido di timore. Ricordò che Rhaegar le aveva detto una cosa molto simile anche a Harrenhal.
No, non poteva permettere al suo cuore di provare sentimenti simili anche per lui. Aveva già avuto provato l’amore un tempo ed era ancora lui che riempiva il suo cuore; era stata convinta che non vi fosse spazio per nessun altro per tutto quel tempo, ma ora… Viserys non le avrebbe mai potuto dare tutto ciò che Rhaegar le aveva offerto. Non sarebbe mai stato come lui, era solo una patetica copia di una perfezione irraggiungibile. Provò disgusto per sé stessa. Si sentiva deplorevole, sporca, marcia dentro, per aver ceduto così.
Scappò via da lui e da quella stanza, ma i sentimenti che provava la seguirono inesorabili.
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
E sono tornata anche qui a narrarvi le vicende di Cronache.
Indubbiamente mi sono resa conto di aver una mole di lavoro ancora da fare con questa storia, ma sto procedendo cauta, per non dimenticare passaggi e far capitare eventi a caso. Mi trovo però ad ammettere che la lentezza della pubblicazione è dovuta purtroppo dall’indolenza che inevitabilmente ho negli ultimi tempi nello scrivere questo proseguito, ma l’opera è in via di produzione continua, quindi non pensate mai che abbia abbandonato il lavoro.
 
In questo capitolo, ammetto non siamo andati molto avanti, ma converrete con me che è stato abbastanza intenso coi feel. Lyanna sogna la morte di Jon e la sua definitiva decisione di porre fine alla sua vita se mai questo dovesse accadere. Era lo stesso motivo che l’aveva fatta trovare di fronte l’albero diga quando prima di partire per questo forte abbandonato, Jon l’aveva raggiunta, dandole poi quella rosa blu.
In pratica nello stesso momento pure Jon sogna e l’incontro che fa penso vi abbia spiazzato. Ebbene sì, Arthur Dayne approda in cronache, seppur sia solo per un sogno, ma ovviamente non poteva mancare. Il nostro bel dorniano invece di apparire in sogno a qualche bella giovane lady, disturba per così dire le notti del re del nord che si sente in pratica agli stessi livelli di Ned Stark, inetto e impacciato di fronte ad una leggenda simile, ma notate che ho differenziato parecchio la reazione del ragazzo rispetto a quella dello zio. D’altronde Jon è un drago, e non ha certo paura di una stellina!
In ultima, abbiamo questo momento tra Viserys e Lyanna che, lo ammetto, lo scrissi dopo un dialogo avvenuto con una mia lettrice, la cara Emily, che non sento da tempo e che le dissi però che le avevo fatto dono di un desiderio che aveva espresso. Non era previsto nella mia storia, devo essere sincera, ma mi ha sviluppato tutta una situazione che ho deciso di inserire in ultima, proprio perché diventava molto intrigante come evoluzione nel momento in cui… beh, non vi anticipo nulla, ma sappiate che ancora non è finita qui. Nel prossimo capitolo vedrete col sorgere del sole come questa notte avrà i suoi esiti diurni.
 
Un ringraziamento speciale a tutti coloro che pazientano un mio aggiornamento, siete la mia fonte di ispirazione e il mio stimolo sempre!
E come direbbero Lucio e Vittorio, gli you-tuber del Mondo del Ghiaccio e del Fuoco: Valar Dohaeris.
   
 
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