Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Enchalott    18/02/2019    6 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Terra maledetta

Il purosangue aveva il manto candido come la neve e la criniera ondulata gli oscillava sul collo muscoloso al ritmo del suo lento incedere. Sbuffi di respiro tiepido si levavano regolari dalle sue froge, mentre procedeva al passo in un rumore ovattato di zoccoli.
Nessuna insegna, nessun segnale identificativo sui suoi finimenti o sulla spessa gualdrappa che gli pendeva dai fianchi. Anche la pesante coperta che lo riparava dal freddo era neutra, priva di elementi di riconoscimento.
Era come fissare la trasparenza di un vetro, come se la fila di quei pochi uomini, che si stava allontanando da Jarlath, non fosse realmente nell’esistente. Una mossa voluta. Impalpabili fantasmi nella neve.
Irkalla tirò lievemente le redini, facendo arrestare il cavallo, che obbedì docilmente. I suoi occhi terrificanti accarezzarono gelidamente le lontane mura della capitale, che lentamente spariva dalla sua vista in un turbinio di fiocchi taglienti.
I suoi compagni di viaggio si arrestarono all’unisono, come per un ordine non espresso, mantenendo i cappucci di pelliccia calati sulla fronte e un atteggiamento dimesso e silenzioso. Indossavano abiti dal taglio nordico, ma ordinari e non portavano armi. Le loro bisacce di pelle grigia, invece, apparivano cariche e zeppe fino all’orlo, sigillate con cura da forti legacci intrecciati.
Il dio distruttore fissò con astio il paesaggio circostante, un lattiginoso nulla che si perdeva per chilometri, interrotto solo dallo svettare di qualche coraggiosa conifera. Il suo sguardo si posò sulla cima di Leu-Mòr, ancora distinguibile nella bruma vorticante: sorrise senza colore, bianco come il mondo in cui era stato confinato.
“Si chiama Dimora della Luna per un motivo” meditò tra sé e sé “Non sono così stupido da trascurare gli indizi, nonostante te, Amathira…”
Non gli era consentito abbandonare il regno di Iomhar, ma di certo era in grado di spostarsi al suo interno. Quel giorno, il potere devastante che gli era proprio non gli era necessario. Aveva scelto di viaggiare come un uomo comune, in gruppo, per non destare sospetti e per portare avanti il suo piano di vendetta. Avrebbe incanalato la Profezia all’interno dei suoi progetti e non si sarebbe piegato ad essa. E, a quanto pare non era l’unico. Di sicuro era il più forte. Nessun nemico, per quanto venefico e intrigante, sarebbe riuscito a scalzarlo dal suo percorso. Una decisione irremovibile, che lo stava conducendo al limite del divieto che gli era stato imposto. Al limite della propria sopravvivenza. Ma non aveva paura.
Il suo corpo, fatto di carne e sangue, fu percorso da un brivido che non seppe identificare. Eccitazione o rivalsa o furia incontenibile.
Strinse i talloni sui fianchi del destriero, che si mosse, lasciando orme regolari sul sentiero innevato.
Gli uomini lo seguirono, gli sguardi spenti e vuoti di chi non ha coscienza di sé ed agisce mosso da una forza superiore.
Irkalla si inoltrò tra i pini di quella terra maledetta senza più voltarsi.
 
 
Dionissa si accomodò sulle spalle lo scialle di seta color celadon, orlato di perle trasparenti e di sottili frange opalescenti, che tintinnarono in un’eco gioiosa. Scese le scale della torre meridionale lentamente, reggendosi al muro color sabbia.
Le bifore snelle proiettavano macchie di sole sui gradini, che luccicavano del pulviscolo aureo proveniente dal vicino deserto.
Quando attraversò la porta di comunicazione con il corpo centrale del palazzo, le guardie si inchinarono rispettosamente, ma senza riuscire a celare il loro stupore.
Era un evento raro scorgere la principessa veggente, che trascorreva il tempo a scrutare il tempo e a lottare contro il suo misterioso avversario privo di fattezze.
I soldati, dal più anziano veterano fino all’ultima recluta, erano a conoscenza del suo male e comprendevano il suo stato di salute anche senza averne notizia diretta. Per loro, infatti, era sufficiente scrutare con attenzione gli occhi del loro Comandante durante l’ispezione mattutina.
L’acciaio delle iridi di Aska Rei era costantemente velato di preoccupazione, nonostante la tempra inossidabile e il tentativo di celare le proprie angosce; talvolta, la dolorosa tristezza e l’amara consapevolezza per la discesa inarrestabile della donna che amava verso la fine ultima riuscivano a spezzare il sigillo della sua compostezza e deflagravano inevitabilmente all’esterno. Tutti sapevano di un sentimento profondo, nessuno che esso era altrettanto potentemente ricambiato.
Gli uomini stimavano profondamente il loro Capitano e, anche se nessuno di essi osava dare voce ai pensieri, tutti gli erano vicini con partecipazione e rispetto.
Le guardie scattarono sull’attenti, raddrizzando le picche ricurve al passaggio della fanciulla, con gli occhi lucidi di commozione.
 
Dionissa raggiunse le stanze di Adara e chiuse la porta con cura. Il Kalah, quella notte, le aveva inviato l’ennesima visione allarmante e confusa. La ripercorse mentalmente.
Uno stallone bianco galoppava con potenti falcate in mezzo all’acqua, sollevando alti spruzzi cristallini al ritmo della sua corsa. Ma non era affatto una scena idilliaca. I suoi occhi erano rossi come il sangue e dalla sua bocca usciva il ringhio feroce di una belva. L’acqua saliva e il cavallo lottava con tutte le proprie forze contro la corrente e contro le onde veementi che gli si abbattevano contro.
Poi, tutto si fermava, come in attesa; un uomo e una donna si fronteggiavano in battaglia e il loro duello appariva come un amplesso, mentre i cieli si spezzavano e tutto si disgregava inesorabilmente…
La giovane sospirò, ricordando con nostalgia i giorni in cui il dono le consentiva di distinguere con estrema chiarezza gli avvenimenti. Invece, ora li vedeva come attraverso uno specchio di linfa in movimento, non riusciva a districarli e neppure a dare loro un ordine presumibile. Il suo timore era quello di sbagliare, di creare più danni di quanti non ne avesse già comportati la sua malattia.
Aveva bisogno di concentrarsi, di essere più vicina alla sorella minore, di circondarsi di tutto ciò che le richiamava Adara alla mente.
Nella sua camera si sentì come protetta, come avvolta da un abbraccio caloroso e pensò che, forse, il Crescente era in grado si salvaguardare persino lei.
Prese un nastro rosso, uno di quelli che la prescelta portava durante la sfida all’Anello del Sole, dal portagioie di legno laccato e se lo avvolse intorno al polso sottile, come aveva fatto il suo Rei con la fascia verde che lei gli aveva regalato il giorno della partenza.
L’anima volò all’uomo che possedeva il suo cuore. Di lui non aveva mai avuto visioni, sapeva soltanto che avrebbe protetto la principessa più giovane a costo della vita e pregava che non ce ne fosse bisogno. Implorava che lui tornasse per poterlo abbracciare ancora una volta, prima di...
Non aveva permesso che lui la toccasse la notte in cui si erano scambiati la promessa che valeva come matrimonio. C’era stato solo quel bacio appassionato e straziante. Aveva forzato se stessa e aveva scorto sui lineamenti di lui la stessa frustrazione per il mancato adempimento del desiderio fisico che avevano l’uno dell’altra.
Dionissa aveva paura di trasmettergli il morbo che la stava uccidendo, ma ancora di più temeva che lui non riuscisse a dimenticarla, se l’amore tra loro fosse diventato perfetto. Strinse tra le dita il medaglione che le aveva lasciato in dono. 
“Non morire, Rei…” sussurrò, sedendosi sul morbido divano accanto alla finestra.
Scostò la cortina di seta e fissò il deserto multiforme: i vapori esalanti dalle sabbie divennero spire, come quelle di un serpente, un orrendo mostro che stringeva le vite di tutti loro fino a soffocarle. Sentì che il respiro le mancava e strinse convulsamente le dita sui cuscini ricamati. La visione prese a scorrere come un carro lanciato in velocità, trascinandola verso le montagne, in un volo che le strappava le vesti e le scompigliava i capelli, un precipitare incontenibile in un baratro senza fine.
“E’ maledetta questa terra, maledetta dagli dei…” soffiò la serpe, facendo saettare la lingua bifida tra le fauci acuminate “Rinuncia. Rinuncia o guarda il volto della morte e soccombi, stolta ragazzina…”
La veggente si ribellò al comando della creatura malvagia, cacciò il terrore e sollevò lo sguardo, riparandosi con la mano dalla tormenta di sabbia e ghiaccio che la frustava. Così, sospesa nel nulla come una fragile foglia autunnale, mise a fuoco un’ombra scura ed essa prese forma: un enorme destriero nero dagli occhi di ghiaccio la squadrò da uno sperone roccioso, circondato da un vortice che risucchiava l’esistente. Il suo enorme zoccolo colpiva il suolo con furia, sollevando scintille infuocate. Il suo nitrito rimbombò, devastante come un’apocalisse e la fanciulla si protesse le orecchie, stordita e atterrita.
“Rinuncia!” intimava il corsiero spaventoso, mentre lei urlava che no, mai, mai avrebbe ricusato di proteggere i Due Regni, mai avrebbe abbandonato il suo posto.
“Perché non cedi!?” domandava e comandava l’animale, con quel suono beluino e agghiacciante che era identico al nulla verso cui tutto andava morendo.
“Perché la amo! Io amo la tua terra maledetta!” gridava lei di rimando, prima che il buio la inghiottisse, prima che tutto evaporasse, prima che il calore del deserto riprendesse la sua forma, prima che quegli occhi spaventosi luccicassero ancora…
“Dionissa!” esclamò qualcuno accanto a lei.
La ragazza aprì gli occhi e l’immagine della luna crescente le invase le pupille.
Era solo una decorazione affrescata sul soffitto, ma sembrava così luminosa, così vera, così vicina. Adara…
“Dionissa!” ripeté Eudiya, sorreggendola tra le braccia, mentre le ancelle accorrevano premurose, porgendole acqua tiepida e miele.
“Madre…”
La regina riprese fiato e le scostò i capelli umidi dalla fronte, accarezzandole il viso.
“Che cosa è successo, Dionissa, che cosa ci fai qui?” chiese la donna con ansia ancora profonda.
“Dovevo vedere…” rispose lei, sollevando il braccio e mostrando il nastro ancora legato saldamente al polso “Dovevo sapere…”
Si accorse di essere fradicia. I suoi abiti erano completamente bagnati, come se avesse nuotato nella grande fontana del palazzo completamente vestita. Anche i capelli le grondavano sulle spalle e lungo la schiena in fredde gocce liquide. L’esperienza mistica era stata incredibilmente potente e, a quel punto, era certa che non fosse stata solamente una mera visione. Era magia, oscura e potentissima.
Accettò la coppa e bevve un lungo sorso, lasciando che la bevanda tiepida le restituisse le energie sufficienti e calmasse i suoi sensi ancora terribilmente scossi.
“Lasciateci!” ordinò Eudiya alle giovani, che avevano fatto cerchio intorno a loro e fissavano la principessa con preoccupazione e curiosità.
Attese che fossero sole e aiutò la figlia a sedersi sul divano da cui era scivolata.
Dionissa prevenne qualsiasi richiesta, stringendo il braccio della regina con tutta la forza che era in grado di produrre.
“Mamma” sussurrò, mentre una ruga di angoscia le si disegnava tra le sopracciglia “Irkalla…”
La sovrana spalancò gli occhi, sorpresa.
“Irkalla? Il dio punito…?”
“Sì. E’ qui e si è mosso. Non è una leggenda, non c’è più dubbio”.
“Ma dove…?”
“Non so dov’è, ma dobbiamo trovarlo. Lui… lui sta cercando Adara!”
 
 
Il ponte era incredibilmente possente nell’essere millenaria roccia scolpita. Ma appariva parimenti fragile nella sua forma allungata: si perdeva nella nebbia fumosa che risaliva dall’abisso sottostante e pareva così sospeso sulle nuvole.
Narsas aggrottò la fronte, si sistemò la faretra sulle spalle e fece avanzare di qualche passo il corsiero pomellato, portandosi al fianco di Aska Rei. Il rumore degli zoccoli si perse nel vuoto e l’animale sbuffò nervoso.
“Non è certo il tempo migliore per attraversare Tasautia” considerò, aprendo una mano a cogliere le gocce di pioggia, che stavano rapidamente aumentando d’intensità.
Il Comandante lo squadrò da sotto il cappuccio sollevato, con uno sguardo teso e pensieroso. Dietro di lui l’intera colonna di uomini e il carro leggero con i viveri erano in attesa di un suo ordine. L’atmosfera era palpabilmente elettrica, non solo tra i due uomini.
“Neppure quello per restare fermi qui” ribatté secco.
“I ferri dei cavalli scivoleranno su quella pietra levigata come su una lastra di ghiaccio con questo acquazzone” continuò l’arciere del deserto, indicando la via tra le spallette del ponte “E’ troppo pericoloso in questo momento”.
“Ci ho pensato anch’io” replicò Rei asciutto “Dobbiamo fasciare gli zoccoli con la corteccia di flois, che ci siamo preventivamente portati dietro, ben sapendo di andare incontro alle nevi gelate di Iomhar”.
Usò lo stesso tono con cui avrebbe spiegato ad un moccioso lento di comprendonio il mistero dell’acqua calda.
L’Aethalas annuì pazientemente, ma la sua espressione non mutò. I suoi occhi neri, tuttavia, ebbero un lampo di collera. La scorza di quella ruvida pianta, che cresceva ai limiti delle sabbie, non sarebbe certo bastata a metterli al sicuro.
“Guardate” disse freddamente, richiamando ancora l’attenzione del Capitano.
Abbassò il copricapo di cuoio sulle spalle e i suoi riccioli scuri gli si sparpagliarono sul collo, mentre liberava un dardo dal suo contenitore. Incoccò rapidamente l’arco e lo sollevò in direzione del ponte, in una posa perfetta e bilanciata.
Adara lo osservò, immobile sotto il diluvio, concentrato come se non fosse parte dell’esistente, con l’acqua che gli ruscellava lungo la schiena.
La saetta partì con una vibrazione cinguettante e rimase visibile grazie al piumaggio color carminio. Appena sfrecciò oltre il baratro, fu sollevata in aria verso l’alto come se fosse una pagliuzza nella tormenta.
La principessa trattenne il fiato e portò istintivamente la mano al prezioso cilindro istoriato che serbava al fianco. Se fosse precipitato… rabbrividì.
“La corrente ascensionale è vigorosa in queste condizioni. Se proprio avete deciso di attraversare comunque il ponte, dovrete prendere delle precauzioni” concluse l’arciere, abbassando l’arma micidiale.
Aska Rei smontò di sella, impassibile, e richiamò il suo secondo con un veloce cenno del capo.
“Dare Yoon” ordinò “Prendete la corteccia di flois e mettetela agli animali. Controlla che il lavoro sia eseguito a regola d’arte. E assicura con le corde tutto ciò che potrebbe fare da vela o volare via durante il transito. Il carro deve viaggiare scoperto”.
Adara sganciò dalla cintura il contenitore che proteggeva la Profezia e si fece passare un robusto legaccio di cuoio intorno al collo, affibbiandolo saldamente ad esso. Poi lo calò all’interno della casacca, sotto gli abiti che indossava. Il freddo metallo venne a contatto con la pelle, procurandole una scossa che la fece tremare. Avvertì una fitta dovuta alla tensione e si strinse nel mantello.
Mentre gli uomini eseguivano alacremente le disposizioni ricevute, la pioggia incrementò, accompagnata da un vento gelato, che rese il paesaggio ancora più tetro. Un tuono esplose e continuò a mugghiare in eco, riverberandosi sulle pareti pietrose.
Alcuni cavalli scartarono e si impennarono, atterriti dal rumore improvviso e sconosciuto, roteando gli occhi. Elestorya non era terra di temporali e le rare piogge che la raggiungevano erano leggere e delicate come il tocco di una ricamatrice. Il loro bacio tenue faceva fiorire il deserto e regalava la vita.
La ragazza si sorprese a pensare che, invece, quel nubifragio aveva un sentore di morte. Rabbrividì nuovamente, avvertendo un altro spasmo allo stomaco.
Aska Rei le si avvicinò, tenendo il suo destriero per le redini e carezzandogli il muso per tranquillizzarlo.
“Io andrò avanti con alcuni uomini per verificare l’integrità del passaggio” spiegò, indicando Tasautia “Al centro viaggerà il carro, scortato da altri due soldati, che ne controlleranno la stabilità. Tu chiuderai la fila tra Dare Yoon e Narsas, che ti staranno a destra e a sinistra”.
“Va bene” rispose lei, portandosi una mano al ventre.
Il giovane corrugò le sopracciglia, posandole gentilmente una mano sul braccio.
“Tutto bene?” le domandò.
“Sì. Io penso di sì. E’ solo che io… io credo…”
“Si chiama paura” affermò Rei con un sorriso confortante.
“Già” sospirò la principessa di rimando “Non è da me”.
“Preferisco che sia così, invece!” rise il Comandante “Almeno non ti verrà in mente di agire di tua iniziativa e, per una volta, te ne starai buona tra i tuoi due angeli custodi senza discutere”.
“Spiritoso” sbuffò lei.
“Andrà bene” assicurò lui, serrando la stretta “Sarai al sicuro”.
Adara lo guardò negli occhi e sentì sfumare l’inquietudine in quello sguardo coraggioso e tenace che lui le stava rivolgendo. Annuì. Poi sorrise ironica.
“Narsas?” disse.
Aska Rei alzò le spalle, come se gli avesse domandato qualcosa di lapalissiano.
“Continua a non piacermi” ammise “E non mi fido ancora di lui. Ma non è uno sprovveduto e di una cosa sono ben certo: ti proteggerà ad ogni costo”.
“Inoltre, il tuo secondo sarà lì per ogni evenienza” concluse la ragazza, poco convinta dalle parole tanto lusinghiere.
“Esatto” ringhiò lui, allontanandosi.
 
La colonna si mosse lentamente, mentre il cielo diventava ancora più plumbeo e le raffiche di pioggia si indurivano in piccole scaglie di grandine adamantina.
Tasautia si allungava nel vuoto e pareva perdersi nel nulla, come se non avesse fine.
Adara sollevò lo sguardo e non vide altro che un buio intenso, che aveva fagocitato le stelle e li sovrastava come un velo d’inchiostro.
Il fragore assordante di un nuovo tuono la riportò alla realtà: la testa della fila era già molto avanti sul ponte, guidata da Aska Rei. Il carro superò la prima arcata e gli uomini difronte a lei si mossero a loro volta.
Avvertì un’altra fitta più decisa all’ombelico ed esitò, trattenendo il cavallo, che aveva iniziato a camminare autonomamente. Si sentì mancare il fiato.
“Tocca a noi” le comunicò cortesemente Dare Yoon, spronando il destriero.
Il paesaggio iniziò a fluttuarle davanti agli occhi e un bruciore lancinante la fece piegare sulla sella con un gemito. Faceva male. Male da impazzire. Stava bruciando terribilmente.
“Adara!” esclamò Narsas, vedendola accasciata in arcione.
Un altro spasmo atroce al ventre, un dolore mai provato le spezzò il respiro. Gridò, cercando di reggersi, ma cadde da cavallo in preda ad una sofferenza mai sperimentata. Era come se una lama incandescente le stesse marchiando a fuoco la carne. Come una falce, come se…
L’Aethalas smontò di sella con un balzo e la prese tra le braccia, mentre la grandine opalescente diventava nera e un lampo violaceo squarciava l’universo circostante.
“Non la toccare!” urlò Dare Yoon, saltando giù dalla cavalcatura e avvicinandosi minaccioso, con la spada sguainata.
La terra tremò e dalle sue viscere s’innalzò un boato agghiacciante.
“Adara! Rispondimi, ti prego!”
“Narsas…” rantolò lei, avvinghiandosi al suo petto, la mano destra che stringeva spasmodicamente la stoffa della casacca sotto la cintura “Narsas… il Crescente…”
L’arciere sgranò gli occhi, sconcertato, mentre una potente scossa incrinò le colonne che aprivano l’ingresso a Tasautia, mandandole in pezzi. Il comandante in seconda finì a terra, ma continuò ad avanzare verso la principessa a quattro zampe, incapace di reggersi in piedi in quel finimondo.
“Mia signora! Come…?”
“Il ponte…” boccheggiò lei, tentando vanamente di rialzarsi “Fermali… Dare Yoon! Fermali!”
Narsas la trattenne saldamente e lei lo sentì trasalire, mentre un altro sussulto indiavolato della terra apriva una crepa immane nel passaggio di roccia.
Il dolore diventò una pulsazione convulsa, che si mescolò al suo grido disperato e inorridito, quando vide Tasautia sbriciolarsi come creta disseccata, quando vide il carro precipitare nel baratro spaventoso, quando udì i richiami disperati degli uomini nella bruma, quando tutti i suoi pensieri si focalizzarono su…
“Rei!! Rei! Rei…”
Il Crescente sulla sua pelle scoperta era rosso come il sangue e ardeva come mille roghi all’unisono. Il Crescente urlava nella sua incomprensibile lingua. Il Crescente l’aveva salvata.
“E’… troppo tardi…” mormorò il soldato, abbassando la spada, senza più speranza nella voce, piombando sulle ginocchia e fissando il vuoto che si spalancava ai suoi piedi.
La grandine scura cadeva dall’alto in un crepitio sinistro, senza tregua, mentre Narsas la trascinava via, portandola al riparo sotto le rocce, lontano dalla voragine atra che aveva rivelato l’abisso omicida al di sotto di Tasautia.
Adara piangeva. Non portava sul corpo un semplice disegno. Non le era stata tatuata addosso una stupida leggenda. Il Crescente era vero. Ed era realmente il suo destino.
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Enchalott