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Autore: VenoM_S    18/02/2019    0 recensioni
Sylas è un giovane con una spiccata capacità di percezione della magia, sfruttato dai Cercatori di Demacia per scovare nel popolo chiunque la pratichi o la possegga. Un giorno però, un barlume magico in un abitante inaspettato scatena in lui un nuovo, pericoloso potere che lo porterà quasi alla rovina.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom
Settimana: Seconda
Missione: M1
Prompt: Fantasy
N° parole: 4086

[Il personaggio principale di questa storia, come si intuisce già dall'introduzione, è Sylas, che purtroppo non è tra quelli disponibili al momento della pubblicazione! Ammetto che è la primissima volta che scrivo su questo fandom, spero sia apprezzato il mio tentativo di andare un po' più in profondità negli eventi che hanno segnato la storia di questo nuovo campione di Runeterra. Ovviamente, a parte gli eventi generali già presenti nella lore, è tutto frutto della mia immaginazione.]

Prima di spezzare le catene

La grande stanza era opprimente, con le pareti alte e spoglie che confluivano nel soffitto pentagonale da cui scendeva, sopra la sua testa, un grande blocco di pietra, quasi a volersi chiudere su di lui. La loro pietra liscia e perfetta non era mai stata scalfita da nulla, e non poteva essere altrimenti, dato che chiunque si trovasse in stanze come quelle non aveva nessun modo di arrivare a toccarla. Dal macigno sopra di lui, che fungeva da contrappeso, e partendo da due punti perfettamente equidistanti tra loro sgorgavano altrettante grosse catene.
Lunghe abbastanza da permettergli di stare in piedi o sdraiato, ma mai di compiere più di due o tre passi in ogni direzione, i loro grandi anelli dorati si incastravano tra loro senza segni di giunzione che potessero essere forzati, e si portavano ognuna fino ai grandi ceppi di petricite che gli avvolgevano gli arti superiori, dal gomito fino ai polsi. Pur essendo oggetti di prigionia, anch’essi seguivano lo stile di costruzione Demaciano votato allo splendore. Non si poteva non ammettere che la fattura fosse ottima, incredibilmente robusti, bianchi con inserti dorati come le catene che li imbrigliavano. Era solo, nessuno era autorizzato ad entrare nella sua cella, e l’unica cosa che poteva fare per non impazzire era contare. Contava i giorni, basandosi sul cambio della guardia, e li segnava uno ad uno sul pavimento intorno a sé, in un disegno concentrico che partiva da sotto di lui e, man mano, iniziava ad allargarsi a spirale.
Anche pensare era diventato un ottimo passatempo. Sylas rifletteva continuamente sulle ragioni e gli eventi che lo avevano condotto lì, e ancor più spesso rifletteva su come uscirne. Perché sarebbe uscito, su questo non aveva dubbi.
 
****
Era nato in una famiglia umile, in un sobborgo ai margini della città Demacia. Dregbourne non era altro che un agglomerato di case ordinarie, i cui abitanti vivevano di agricoltura e allevamento, sfruttando le risorse generose che la loro terra aveva da offrire. Non era un brutto posto in cui vivere, pensandoci a posteriori, ma ogni abitante delle periferie sognava, chi più chi meno, gli splendori delle grandi città e Sylas non era diverso. I suoi genitori, dopo di lui, non avevano avuto altri figli e nel crescerlo avevano inculcato nella sua mente gli ideali della loro grande nazione. Orgoglio, onore, duro lavoro. Coraggio nel difendere ciò che si possiede a qualunque costo. Insieme a questi, erano venuti gli insegnamenti sul rispetto del volere dei loro signori e del timore verso la magia.
Le giornate si susseguivano tutte uguali in quel suo piccolo mondo, tra compiti da svolgere per aiutare la sua famiglia e momenti liberi in cui amava rilassarsi poco lontano, correre nei campi o arrampicarsi sugli alberi in compagnia di altri bambini.
Un giorno, però, sentì qualcosa.
Non avrebbe saputo come descriverla, era una sensazione diversa da qualunque altra, un formicolio dietro il collo, una sensazione inquietante che gli strisciava addosso come una seconda pelle. Era più lontano del solito da casa quel giorno, si era lasciato trasportare dai passi verso Ovest ed il sole stava iniziando a calare davanti a lui. Continuava a camminare e quella sensazione si fece più forte, nella mente iniziò ad affacciarsi l’immagine di una nuvola di fumo nera, oscura, soffocante. Si fermò, colto dal panico, perché quella nube sembrava talmente reale da poterla quasi percepire intorno a sé, nelle narici si era fatto strada un odore acre, sulfureo, tossico. Si sedette ed iniziò a respirare più velocemente, cercando di convincersi che ciò che stava vedendo e percependo non era reale. Notò un uomo che avanzava verso di lui, ma giunto al bivio che si trovava a pochi passi di distanza da dove si era seduto, svoltò a destra allontanandosi senza nemmeno vederlo. Pian piano, la sensazione si affievolì, e quella visione strisciante si ritirò di nuovo nelle profondità della sua nuca.
Sylas non capiva, rimase seduto per diversi minuti osservando distrattamente il sole che concludeva la sua discesa dietro gli alberi in lontananza, respirando quasi a voler incamerare più aria possibile nel caso quella nube fosse tornata. Ma non accadde. Tornò sulla via di casa a passo svelto, e in un primo momento decise di non dire nulla a nessuno.
Con il passare del tempo però questi episodi iniziarono a ripetersi, anche se ognuno si dimostrava diverso dal precedente, così come ogni volta fu diverso il luogo in cui avvennero. Accompagnando il padre in un sobborgo vicino, ebbe un episodio in cui si sentì circondato da un’intensa energia che roteava attorno a lui come un vortice; in un’altra occasione ancora si sentì divampare tra le fiamme. Non potendo più nascondere la sua paura per ciò che gli stava accadendo, si confidò con i genitori, che quella notte rimasero a lungo a parlare tra di loro, mentre lui dormiva.
Il mattino successivo gli dissero che doveva prendere una decisione. Non poteva essere considerato normale ciò che gli stava accadendo, era chiaramente “affetto” da un potere sovrannaturale, in lui scorreva la magia. Da buon abitante del Regno di Demacia, in comunione con i principi in cui loro credevano ciecamente, e in cui lui stesso aveva imparato a credere, avrebbe dovuto consegnarsi spontaneamente ai Cercatori di Magia. Aveva solo dieci anni, un bambino, quando lasciò la sicurezza di casa sua accompagnato da un pugno di uomini incappucciati.
 
****
Erano passati diversi anni da quel momento. Sylas, guardando i ceppi che gli bloccavano le braccia, pensò che forse le cose avrebbero potuto evolversi in modo diverso se non ne avesse mai parlato, se si fosse tenuto per sé quel segreto imparando a controllare la sua magia.
Forse, o forse lui era semplicemente condannato da sempre.
 
****
Una volta esaminato dai Cercatori di Magia, il suo potere era stato ritenuto particolarmente interessante. Si scoprì che quelle che aveva non erano semplici visioni, sensazioni randomiche che gli sconvolgevano i sensi e la mente, bensì il suo corpo era capace di percepire il potere magico in chi gli stava intorno, intuendone persino la natura, anche se si trattava solo di un barlume, un seme ancora non sbocciato. Con uno strumento del genere, il lavoro dei Cercatori si sarebbe semplificato non poco. Così, uno di loro decise di prendere il piccolo Sylas sotto la propria ala, insegnandogli a controllare quel potere di modo che non ne venisse sopraffatto ma che potesse invece guidarlo verso l’individuo che ne era la causa. La sua vita divenne un perenne viaggio, i suoi responsabili, e soprattutto il suo mentore, con il tempo gli sembravano sempre più vicini ad un archetipo di famiglia, o comunque a qualcosa che lo faceva sentire al sicuro dal mondo, e da sé stesso.
Negli anni però, la reale condizione della magia nel Regno di Demacia divenne sempre più chiara al ragazzo. Ve n’era molta di più di quanto chiunque fosse disposto ad ammettere, molte persone sopivano al loro interno del potere, senza distinzioni di sesso, età o ceto sociale. Anche se una distinzione, in realtà, c’era.
Capitò più di una volta che i suoi responsabili chiudessero un occhio sui nobili in cui Sylas avvertiva la magia, quegli stessi nobili che più spesso di tutti additavano e condannavano chi, soprattutto tra i poveri, dimostrava di possederla. Demacia iniziò a rivelarsi sempre di più come un meccanismo arrugginito agli occhi del giovane, dove chi aveva il compito di proteggere e guidare il popolo, in realtà, si beffava delle regole, plasmandole al proprio bisogno. Il dubbio si instillò nella sua mente, si chiedeva sempre più spesso se quello che faceva aveva davvero un senso, se fosse giusto punire chi come lui era nato con un potere che non aveva mai chiesto e che non era mai stato in grado di controllare. E un giorno, i suoi dubbi trovarono risposta.
 
Era un mattino soleggiato di metà primavera, e la temperatura mite lasciava sempre meno dubbi sul fatto che quella sarebbe stata un’estate più calda del solito. Sylas, due responsabili ed il suo mentore camminavano per le vie di Lissus, in viaggio ormai da alcuni giorni verso High Silvermere, dove si vociferava ci fosse qualcuno con poteri magici che tentava di nascondersi. Dopo qualche passo, il ragazzo iniziò ad avvertire l’ormai familiare sensazione che il suo potere scatenava in lui. Quel brivido che conosceva così bene, ma a cui non era mai riuscito ad abituarsi davvero, iniziò a percorrere il suo collo come una piccola scarica, mentre la percezione del potere sconosciuto strisciava su di lui avvolgendolo come una coperta sottile. Fuoco, questa volta. Percepì il calore bruciante tra le mani, l’odore di fumo e legna bruciata nelle narici, il sapore della cenere in bocca. Ai suoi occhi, le braccia erano ricoperte di tizzoni ardenti e brace, alte spire di fumo scuro si alzavano dalla sua pelle surriscaldata, mentre sulle sue dita danzavano piccole fiammelle rosse e gialle come fossero farfalle. Era un potere incontrollato, instabile, di qualcuno che forse non sapeva nemmeno di possederlo.
Senza rendersene conto si era fermato guardandosi le mani, ed il suo mentore gli si avvicinò subito per sapere cosa stesse sentendo. Così come era arrivata, la sensazione sparì di colpo, informando quindi il ragazzo che l’origine di quel potere non era più nelle loro vicinanze. Essendoci già molta gente per le strade, sarebbe stato quasi impossibile individuare il mago o la maga, perciò l’unica cosa che potevano fare era avanzare seguendo l’istinto, sperando che Sylas avrebbe avvertito di nuovo qualcosa, portandoli sempre più vicini al loro nuovo obiettivo. High Silvermere avrebbe aspettato.
Continuarono a girare più o meno in tondo per le stradine di Lissus, mentre la mattina lasciava spazio all’assolato pomeriggio. Si fermarono ad un chiosco all’angolo per concedersi un breve riposo e mangiare qualcosa, prima di riprendere la loro ricerca. A questo punto ea abbastanza chiaro a tutti che il loro bersaglio non si trovava più lì, e che probabilmente era un abitante dei dintorni della città, magari viveva in una delle fattorie che si trovavano appena fuori dalle mura. La carne fumante nel piatto di Sylas non accennava ad invogliarlo a mangiare, aveva lo stomaco in subbuglio da quando aveva avuto quella sua specie di visione. Non che solitamente fosse così affamato, ma quella volta sentiva ci fosse qualcosa di diverso, forse proprio in chi stavano cercando.
«Dovresti cercare di sforzarti, la magia non può essere alimentata solo dal nostro spirito, ma anche dal corpo. Meno sei in forze, meno le tue percezioni saranno effettive, e oggi tu ci servi più che mai.»
Il suo mentore stava indicando il suo piatto mentre parlava, guardandolo in modo autoritario come suo solito. Sylas non aveva mai capito davvero come rivolgersi a quell’uomo, se come ad un superiore, come un maestro o come addirittura una qualche specie di amico in certi momenti. Mai come un padre, questo no, nonostante ormai i Cercatori fossero diventati un surrogato della sua famiglia nessuno con lui si era mai comportato in maniera paterna, o quantomeno con affetto. Per molti di loro lui era un semplice strumento, utile fin quando fosse stato in grado di reggere il passo, un ragazzino graziato dalla legge di Demacia per il suo potere singolare. Si sforzò di mangiare, controvoglia, per rispondere all’implicito ordine del suo mentore, e quando anche lui ebbe finito, tutti e quattro si alzarono dirigendosi verso i cancelli di Lissus, verso le campagne.
Il paesaggio morbido dei campi coltivati li accompagnava su entrambi i lati della strada polverosa, solcata giornalmente da carri e gruppi di persone che facevano la spola tra i campi e la città per vendere i loro prodotti al mercato, o anche solo per andare a godersi una giornata in compagnia nelle taverne affollate. Si erano allontanati di qualche centinaio di metri dalle mura, avvicinandosi alla prima di un gruppo di fattorie. La costruzione semplice e di legno era circondata da uno steccato di assi incrociate, e alla sua destra si stagliavano un piccolo mulino e una seconda costruzione più grossa e tozza, che doveva essere la stalla. Dal tetto composto di tegole scure si alzava un piccolo comignolo, da cui usciva un rigagnolo di fumo, ultimo rimasuglio del fuoco acceso per il pranzo.

All’improvviso, eccola di nuovo. La sua mente si riempì ancora di immagini legate al potere di quell’individuo, che aumentavano di intensità man mano che si avvicinavano a quella piccola fattoria, il che non lasciava ovviamente spazio a dubbi su quale fosse la loro destinazione finale. I due Cercatori si posizionarono ai lati della porta d’ingresso, mentre Sylas ed il suo mentore si affacciavano con discrezione ad una delle finestrelle per controllare l’interno. Una donna era intenta a pulire delle grosse pentole, i vestiti di tessuto pesante erano innegabilmente vecchi ma ben puliti e, dove ve ne fosse bisogno, rassettati alla meglio per non apparire trasandati. Il viso, solcato già dalle prime rughe, era incorniciato da alcuni ciuffetti di capelli corvini che erano sfuggiti alla crocchia morbida mentre strofinava con forza il fondo del pentolone di rame. Poco più a destra, invece, seduto al pesante tavolo di legno stava un uomo poco più grande di lei, che teneva sulle gambe una bambina non più grande di sei anni, i capelli neri come quelli della madre erano legati in una corta treccia, e stava ridendo di gusto alle boccacce del padre. Era uno di loro, quindi, forse proprio il padre che si trovava più vicino a Sylas, la cui percezione del potere continuava ad acuirsi. Fece un cenno con il capo al suo mentore, poi tornarono verso gli altri due Cercatori, stabilendo il piano d’azione.
Dopo pochi secondi bussarono con vigore alla porta. Si sentì il rumore di una sedia che strisciava sul pavimento, alcuni passi e poi il viso dell’uomo spuntò da dietro l’uscio con espressione interrogativa, che subito divenne terrorizzata non appena si rese conto di chi si trovava davanti. In un gesto impulsivo chiuse di nuovo la porta, e nuovi rumori di passi stavolta più svelti e mischiati ad un vociare concitato giunsero alle orecchie dei Cercatori. Con un movimento repentino, i due uomini ai lati della porta l’abbatterono con un calcio ben combinato, e tutti e quattro irruppero nell’unica stanza di quella piccola catapecchia. L’uomo era in piedi di fronte a loro, lo sguardo risoluto di chi avrebbe fatto di tutto per proteggere chi amava, evidentemente pronto a qualsiasi punizione gli fosse spettata. Ma Sylas non percepiva più niente, la magia era svanita da quella casa nel momento stesso in cui loro erano entrati. I suoi occhi si posarono su un’altra porta dall’altro lato della stanza, lasciata semi aperta per la fretta e la disattenzione, da cui poteva intravedere il verde dei campi dietro la casa e due piccole figure sempre più lontane.

«Qui non c’è più nulla maestro, deve essere la donna, è scappata insieme alla bambina da quella porta laggiù!» si affrettò a comunicare.
«Voi due, rimanete qui con quest’uomo, non deve seguirci, dobbiamo svolgere il nostro lavoro senza interruzioni» ordinò lui di rimando, partendo poi insieme al ragazzo all’inseguimento. Superarono la porta e si misero a correre, recuperando presto il terreno sulla donna appesantita dalla bambina che teneva in braccio ed ostacolata da quel vestito che di certo non era stato concepito per una fuga tra i campi. Quasi a farlo apposta, la donna inciampò cadendo rovinosamente a terra, in ginocchio, con le braccia strette intorno alla bambina per non farle del male. I due le raggiunsero subito, e la donna lasciò andare la bambina intimandole di correre. Lei però, rimaneva lì pietrificata, fissando la madre mentre due grossi rivoli di lacrime le solcavano le guance paffute. Gli occhi della donna si rivolsero quindi a Sylas e il suo mentore, carichi di tristezza e di preghiera
«Vi prego, lei non ha mai fatto niente di male a nessuno, non è pericolosa, sa come controllarsi, non ha mai usato la magia fuori delle mura di casa! Ci aiuta soltanto ad accendere il fuoco per mangiare. Non portatela via, non fatele del male!»

Era la bambina, quindi.

Sylas non aveva mai fatto catturare una bambina prima d’ora, per quanto ricordasse lui era stato l’unico ad essere prelevato così giovane, perché di solito la magia si manifestava più avanti con l’età o nei rari casi come il suo i genitori tendevano a proteggere i propri figli e a crescerli ignorando o nascondendo il loro potere. I suoi occhi si spostarono dalla madre, ancora in ginocchio e supplicante, alla bambina che si trovava nemmeno due passi da lui, immobile, silenziosa, spaventata, in lacrime. La treccia si era sciolta nella corsa, ed i capelli neri le ricadevano sulle piccole spalle, alcune ciocche attaccate al suo viso per colpa del pianto. Singhiozzava, ed il cuore di Sylas non resse più. Non potevano farlo davvero, una bambina con il potere del fuoco sarebbe stata rinchiusa oppure esiliata, o peggio ancora.
Questo non era giusto, e per quanto potesse sembrare egoista solo ora se ne rendeva davvero conto. Era stato cieco, era stato stupido, si era lasciato trasportare da tutti quei discorsi sul dovere, sul coraggio di accettare le conseguenze delle proprie azioni, ma quell’ingranaggio che era il suo Regno si era andato via via arrugginendo nella sua mente, e adesso si era definitivamente rotto. Non avrebbe permesso che la portassero via, non avrebbe permesso più a nessuno di utilizzarlo per punire altri come lui, non sarebbe mai più stato lo strumento di nessuno. Il suo mentore, sordo alle suppliche della madre, si stava già avviando a coprire la distanza minima da quella bambina, le manette di petricite già fuori dalla sua casacca pronte ad essere chiuse attorno a quei minuscoli polsi.
«NO!» urlò Sylas con tutto il fiato che aveva in corpo, lanciandosi in avanti per proteggere la piccola dal suo mentore che stava per afferrarla.

Fu in quel momento che successe il disastro.

Cercando di frapposti tra l’uomo che lo aveva cresciuto durante quegli anni e la bambina, per puro caso sfiorò la pelle liscia di una delle sue piccole braccia con una mano. Il suo corpo venne invaso da una scarica potente di energia, qualcosa che non aveva mai provato fino ad ora, un calore bruciante lo percorse dalla testa ai piedi e si sentì esplodere dal dolore mentre inconsciamente assorbiva il potere della bambina dentro di lui. Forse sarebbe dovuto morire, un uomo di certo non avrebbe potuto reggere quel flusso di potere che gli percorreva i muscoli, si insinuava fin nel profondo dei suoi organi dandogli la sensazione di sciogliere nel fuoco tutto ciò che si trovava di fronte. Eppure, Sylas non morì.
Il potere che scorreva in lui trovò una valvola di sfogo, percepì chiaramente nelle sue braccia, e poi sulle sue mani, tutto quel fuoco e quella distruzione che fino ad un secondo prima erano intrappolate nel suo corpo. Non sapeva controllarle però, e si ritrovò ad assistere impotente alla liberazione impetuosa di quel potere magico, mentre due grandi colonne di fuoco sgorgavano dai suoi palmi distruggendo ogni cosa nel raggio di almeno cinque metri. Non seppe quantificare quanto durò quell’orribile manifestazione di potere, forse solo un paio di secondi, forse interi minuti. Quando riaprì gli occhi, di nuovo in grado di controllare il suo corpo, ciò che vide lo fece inorridire. Intorno a lui l’erba era scomparsa, carbonizzata dal fuoco, ed il terreno riarso si spaccava sotto le sue gambe deboli. Delle tre persone che si trovavano con lui fino a poco fa non era rimasto niente. Cumuli di braci ancora ardenti si trovavano a pochi passi da lui, qualche leggera fiamma che ancora si innalzava da ciò che rimaneva della stoffa e della carne, fuse tra loro in un groviglio informe. L’odore acre ed immondo della pelle bruciata gli riempì il naso, ed il ragazzo dovette concentrarsi parecchio per reprimere i conati che presero a tormentargli lo stomaco. Le lucide manette di petricite, sopravvissute al massacro, si stagliavano tra la cenere e più lui le guardava, più si rendeva conto di quello che sarebbe successo.
Era un assassino, nessuno lo avrebbe mai considerato un errore, non ci sarebbero state attenuanti per lui che aveva utilizzato la magia per compiere un atto orribile. E Demacia non è una nazione che concede sconti ai criminali. Doveva scappare, era l’unico modo per sopravvivere, o per provarci almeno. Con la coda dell’occhio notò i due Cercatori che si avvicinavano correndo lungo il campo erboso, dovevano aver visto quell’esplosione dalla casa e di certo una volta lì non avrebbero fatto altro che catturarlo, o magari ucciderlo seduta stante.
 
Si alzò, ancora tremante, ed iniziò a correre senza sosta, inoltrandosi in un boschetto che si trovava quasi sulla cima della collina e da lì continuò ad avanzare, senza guardarsi indietro, senza sapere effettivamente dove stesse andando, cambiando direzione senza nemmeno pensare così da confondere i suoi inseguitori, o almeno sperava. Si fece notte, ed ormai doveva aver percorso qualche miglio, si era lasciato alle spalle il bosco e davanti a lui si stendeva una distesa erbosa che conduceva ad altre fattorie. Passò diversi giorni a nascondersi, correndo tra le ombre, mangiando gli avanzi di cibo che trovava dietro le case o non mangiando affatto. Si era diffusa sempre più in fretta una voce serpeggiante fra i villaggi, i Cercatori di Magia erano alla ricerca di un assassino, il mago più pericoloso di Demacia che non si faceva scrupoli nell’uccidere chi gli si parasse davanti. Sylas di Dregbourne divenne un nome temuto da chiunque.
Alla fine i Cercatori lo trovarono, stremato dalla fuga costante e dai troppi giorni senza mangiare. Cercò di opporre resistenza, ma era un ragazzo appena ventenne e stanco, accerchiato da un gruppo di persone senza il minimo scrupolo. Venne catturato e trascinato nel complesso principale dei Cercatori di magia, dove la condanna non si fece attendere.
Non lo uccisero, come lui immaginava, bensì venne rinchiuso in una delle celle più profonde, lontano dalla luce e dall’aria pulita, incatenato alle pareti con pesanti ceppi di petricite, un materiale particolare in grado di inibire il potere magico di chiunque lo toccasse. Incapace di usare la sua magia, senza nessuno che fosse autorizzato ad entrare nella sua cella, fu condannato alla prigionia a vita.

****
Con lentezza, Sylas concluse il nuovo segno sul pavimento intorno a lui, un altro giorno se ne stava andando senza che lui potesse vederlo davvero. Erano passati quasi quindici anni da quel giorno, anni di solitudine ma soprattutto di odio covato verso chi lo aveva ridotto in quello stato. I capelli scuri erano cresciuti molto e gli ricadevano scomposti ed aggrovigliati sulle spalle muscolose, frutto degli allenamenti fisici costanti a cui si era sottoposto continuamente, ogni giorno, per rimanere presente a sé stesso. Ogni volta, il dolore ai muscoli lo faceva sentire un po’ più vivo, e si convinceva che tutto quel lavoro era in realtà un preludio di quello che avrebbe fatto per fuggire di lì. Non che sapesse bene come, in realtà, ma sapeva che sarebbe successo. Non sarebbe morto in quel buco scuro e malsano, avrebbe lottato per rivoluzionare quel regno così sbagliato, avrebbe fatto in modo che non ci fossero più i Re sopra il popolo, ma che ogni uomo o donna fosse pari agli occhi di tutti, libero e senza più catene.
Fu a quel punto, poco dopo il cambio della guardia che arrivò. Da dietro le piccole sbarre della porta della sua cella, intravide una folta chioma di capelli dorati, e mentre quella nuova figura discuteva con la guardia, due occhi azzurri incredibilmente luminosi si posarono su di lui. La porta si aprì, ed una ragazza minuta entrò a passo svelto, lasciando che poi il pesante uscio si richiudesse dietro di lei con un rumore sordo, e ascoltando pensierosa il suono del pesante chiavistello che tornava a bloccarlo.
«Mmh, spero non mi chiudano qui dentro definitivamente, quella guardia non era particolarmente contenta della mia visita» disse la ragazza con un leggero sorriso sulle labbra, ammiccando verso Sylas.
«Mi chiamo Luxanna, faccio parte dei Raggianti e da oggi sarò io a portarti da mangiare ogni tanto, almeno avrai un po’ di compagnia» disse poi lasciandogli vicino la ciotola con la spartana colazione che gli veniva concessa ed andando a sedersi poco distante da lui, in un punto però che non gli era possibile raggiungere.  
Non ci voleva certo tutto il potere di Sylas per rendersi conto che quella ragazza aveva un grande potere magico, ed era proprio quello che gli serviva. Sorridendo, per motivi che la ragazza avrebbe capito solo troppo tardi, iniziò a mangiare con foga, lo spirito rinnovato dalla consapevolezza di una possibile via di fuga.
  
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