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Autore: Nymphna    20/02/2019    1 recensioni
[The Arcana Game]
Nymphna arriva a Vesuvia guidata dal suo cuore, dalle sue sensazioni e dalle rune. Sa che qui si consumerà il suo destino, ma non sa come. Sa solo che questo è il luogo che richiede la sua presenza, il suo compito, la sua vita. La capitale la accoglie gremita, difficile, terribile e ben presto si troverà sull'orlo dell'abisso. Ma Nymphna rimane. E sa che rimarrà finché il suo cuore si sentirà legato a questa città.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una casa

 

La prima cosa che faccio appena arrivata in città è girarla il più possibile. Voglio capire che genere di posto è, questa mia nuova casa. Voglio avere dei punti di riferimento, quando cercherò un modo per guadagnarmi da vivere, in attesa del futuro. Domani cercherò un'abitazione, un lavoro. Resterò qui finché non avrò capito qual è il mio futuro. Ho un bel gruzzoletto guadagnato durante i miei viaggi e forse posso farci qualcosa, anche se non so quanto questi soldi valgano nella valuta corrente.

Passeggiando senza una meta, raggiungo un'ampia piazza, circondata da portici sotto i quali erboristi e alchimista vendono la loro merce e le loro capacità. Al centro della piazza vi è un'alta statua di un uomo a cavallo. Sotto c'è scritto in una lingua che so leggere a stento - sebbene la mastichi - che si tratta del fondatore di Vesuvia.

La piazza è gremita di gente che transita, che si incontra, di risate e di persone che si urlano addosso. È un'atmosfera davvero calorosa che mi fa sorridere: è molto più grande della piazza del mio paese, ma non è nemmeno così grande da perdersi. Faccio un giro tutt'intorno, poi scorgo, alla fine di un portico, una scalinata che scende verso il basso.

Vesuvia è una città costruita a salite e discese e le case sono strette le une tra le altre; la gran parte di quelle che ho visto sono semplici abitazioni su più piani, dalla facciata rovinata dal vento e dalla salsedine. Ma qua è là ci sono delle vere e proprie ville con giardini e cancelli e alte torri cupolate sempre battute dal sole. Ho potuto sbirciare dentro a qualche giardino dai cancelli aperti ed è stato bellissimo vederli così rigogliosi e ricchi, all'interno delle mura. Il mio paese era un insieme di case schiacciato tra gli alberi, qua sembra un mondo parallelo in cui è tutto l'opposto: i boschi sembrano essere incastrati tra le mura.

Proseguo giù per la scalinata e arrivo in una grande, grandissima via colorata, piena di negozi e tende e odori sfiziosi che arrivano da ogni dove. Chiudo un momento gli occhi, lo stomaco che si lamenta. Sono sicuramente settimane che non mangio qualcosa di fresco e appena cotto. Ed è da quando sono partita che vado avanti di carità: non sempre le persone sono così gentili da darmi la parte migliore del pasto.

Quasi senza accorgermene, i piedi mi portano a una bancarella coperta da una tenda, fuori da un negozio da cui un uomo sta uscendo con in braccio un enorme vassoio di pane. Con gli occhi luccicanti e l'acquolina in bocca, osservo le pagnotte appena sfornate.

“Qualcosa mi dice che hai fame, ragazzina!”, ride il panettiere. Capisco poche parole, ma intuisco che cosa mi sta dicendo.

“Sì. Va bene moneta di Pakra?”, domando, speranzosa, tirando fuori una moneta d'argento. Non so quanto costi qui, il pane, ma sono certa di volerne tanto. L'uomo ride.

“Io la metterei via, quella, se fossi in te, ragazzina. Non ne hai una mezza di bronzo?”, un po’ sopraffatta da tutte quelle parole, gli porgo ancora la moneta.

“Tutto”, cerco di esprimere.

“Con questa”, dice lui scandendo le parole, “Ti prendi tutto il banco”.

Forse troppo.

Ritiro la moneta, torno a frugare nella borsa. Finalmente tiro fuori una moneta di bronzo, ma è delle Terre del Sud. Gliela porgo. L'uomo ridacchia.

“Quindi hai viaggiato molto, eh? Quanti soldi hai? No, aspetta, non dirmelo. Non ne voglio sapere niente. Vai in piazza, lì vicino c'è un tizio che ti cambia le monete in quelle di Vesuvia. Avrai un bel patrimonio. Lui è una persona onesta”, mi consiglia, dandomi quattro pagnotte e del resto. Ci mette un po’ a spiegarmi tutto nella maniera corretta.

Quando capisco, mi dirigo alla ricerca di questo Jospha di sua conoscenza. Torno su per la scalinata e arrivo nella piazza. Il sole è quasi all'apice del cielo prima che io riesca a trovare il luogo che mi occorre. Si tratta di un piccolissimo banco di cambio, in cui un omino magrissimo e molto pallido è chino su un grande librone, circondato di monete.

“Jospha?”, domando, titubante.

“Sono io. Chi mi cerca?”

“Sono Nymphna. L'uomo-pane mi ha detto di venire qui”

“Ah, il panettiere, certo. Vieni pure avanti. In che cosa posso esserti utile?”

“Quanto posso cambiare?”, gli domando.

“Tutto quello che vuoi”, mi risponde lui, “Dipende da quanto ti serve”.

Tiro fuori la borsa dei soldi dalla mia a tracolla, e cerco anche all'interno di quella grande qualche monetina che si è liberata. Jospha mi guarda con tanto d'occhi. Apre la borsa del denaro, tira fuori qualche moneta - ne ho molte, di diversi posti - e assume un'aria pensierosa. Poi mi guarda con sospetto.

“Ma tu chi sei?”

“Maga di Terre di Ovest. Un anno e mezzo di viaggio. Lavorato molto”.

Annuisce con aria saggia.

“E puoi provarlo?”

“Con monete”, replico, cominciando a sentirmi a disagio.

“E chi mi dice che tu non le hai rubate?”

Ora comincio ad arrabbiarmi. Questo vuole mettere le mani sui miei soldi. Sento il mio potere scorrermi nelle vene. Sono arrabbiata. Stringo la mascella sperando di calmarmi. Ma il mio potere è forte, ed è cresciuto molto nell'ultimo anno e mezzo, nutrendosi di vento e mare e sole. I miei capelli si muovono mossi da un'aria invisibile. Sento la mia ombra allungarsi e inscurirsi dietro di me. Farsi più pesante. Ora l'atmosfera è tesa. Jospha sembra farsi più piccolo e affonda nello schienale della propria sedia.

“D'accordo. Ho capito. Sei una Maga potente, sebbene giovane. Non ti ostacolerò”

La mia magia si calma. La brezza di potere si arresta. La stanza si svuota dall'ombra. Tutto torna tranquillo. Sebbene non vorrei ammetterlo, la verità è che non so ancora gestire bene il mio potere, si manifesta sempre tramite le emozioni. Forse è perché sono ancora giovane, o perché non ho avuto modo di meditare molte, nell'ultimo periodo, se non a Pakra, dove i maghi sono molti e vi è un ottimo rapporto con il popolo. È un paese molto ricco. Non ho guadagnato tantissimo lì, ma le monete del luogo valgono tantissimo.

Jospha comincia a trafficare in silenzio. Conta le monete, comincia una serie di precisissimo calcoli su diversi libroni che tira fuori da sotto il tavolo. Impila i soldi, prende delle altre monete, li paragona. Io aspetto, osservandolo. Vorrei capirci qualcosa per rendermi conto se mi sta fregando oppure no. Immagino di non avere scelta, di certo non posso imparare tutte queste cose nel giro di qualche minuto.

Alla fine, quando finisce, infila le monete nella mia borsa, così tante che la gonfiano in una maniera che non ho mai visto, tenendone una parte per sé, la commissione. Poi spinge il denaro verso di me.

“Che cosa hai intenzione di fare con tutto quel denaro?”

“Casa”, mi sento rispondere, senza riflettere. Lui annuisce pensieroso.

“Beh, non ti sarà difficile trovarla. Se ti interessa, c'è un intero quartiere quasi vuoto, il Distretto Allagato. Vai giù di là. A uno dei lati del porto lo troverai”.

“Grazie”

In fondo, tutto sta andando meglio di quanto pensassi. Ho già mangiato, cambiato i soldi e forse trovato una casa. Che siano dei segni? Che mi dicano che questa è la strada giusta? Mi dirigo verso la parte indicatami dall'uomo. Sto per passare nuovamente davanti al mercato, ma decido di cambiare strada e invece di scendere ancora giro verso destra, verso una parte della città ancora sconosciuta. In fondo, ho ancora tempo.

Entro in una via ombrosa a causa delle case a più e più piani dai tetti a punta. È meno trafficata delle altre che ho visto, ma proprio per questo, forse, mi piace particolarmente. Osservo le case: sono tutte molto carine, con i fiori sui davanzali, gatti pigri che si scaldano sulle pietre calde e mamme che tengono per mano bambini sorridenti. In fondo alla stradina si apre una piazzetta piccolina, con un paio di negozietti ai lati, ma per il resto tranquilla. Al centro c'è una piccola fontana. Oltre ai tetti si vedono le torri e le cupole, quasi sfuocate nella luce abbagliante del sole. È una zona bellissima.

Nymphna…  

Mi sento chiamare e mi giro bruscamente.

Sulla mia destra c'è una casa rovinata, l'unica della strada. Mi guardo intorno cercandone un'altra nella stessa condizione, ma non c'è. Mi stupisce che sia in queste condizioni, il tetto è ancora solido seppure i muri siano rovinati e le finestre distrutte, la porta scardinata. Pezzi di legno e calcinacci si intravedono da fuori. Mi avvicino e sbircio oltre a una finestra. La stanza centrale è abbastanza ampia, almeno così, quasi vuota. Al centro c'è un grande tavolo di solido legno, però senza una gamba. Anche le sedie sono ormai smembrate. C'è un grande camino sporco, illuminato da una lama di luce, sotto la quale si crogiola un gatto. Al fondo della stanza vi è uno spazio più piccolo pieno di vetri infranti, intuisco dal luccicare. Delle scale salgono verso l'alto, anch'esse in pessime condizioni. È da qui che arrivava la voce.

“Era la casa di due maghi”

Sobbalzo e mi giro. Di fianco a me c'è una vecchietta, un cesto di tuberi appeso al braccio. Ha parlato nella mia lingua.

“Come fa a…”

“Un tempo ho conosciuto gente delle tue parti. I tuoi capelli color carota e gli occhi d'oro non mi ingannano, ragazzina”, sta sogghignando sotto i baffi.

“E’ davvero così palese?”, domando con un sorriso.

“Per chi conosce la gente dell’Ovest, lo è. In molti avete i capelli di questo colore”

“Ha ragione”, concordo. La vecchietta ha uno sguardo oltremodo gentile. “Posso aiutarla con il cesto?”

“Ti ringrazio”, mi dice, passandomelo. È pesante ma le mie braccia sono temperate dal lavoro. “Ti ospiterò a casa mia, in mancanza di una tua. Sempre che tu sappia fare decotti e curare le ossa come la tua gente sa fare”.

“Ma certo. La ringrazio di cuore”

Camminiamo un po’ in silenzio, scendendo per un vicoletto verso il porto. Le scalette per scendere verso gli scogli è ripida ma il panorama è splendido.

“Quindi, eri interessata a quella casa?”, mi domanda.

“Mi ha come chiamata, se mi spiego”, dico. Lei annuisce con aria saggia.

“Lo credo bene. Tanti anni fa era la dimora di due maghi, Salim e Aisha. Loro venivano dai paesi al confine del Deserto. Hanno tenuto il negozio per tanti anni, e avevano un figlioletto adorabile. Chissà dove sono andati a finire tutti quanti, poveracci”, mi racconta. Maghi? Una casa di maghi? Ecco perché mi chiamava. Ancora sentivo la loro energia.

“Che cosa è successo?”, le domando, mentre lei svolta veloce in una viuzza secondaria appena prima di arrivare sul mare.

“Il Conte li ha chiamati. E loro non sono più tornati. E il figlioletto, ora ha un banco al mercato. È cresciuto solo, tra mille difficoltà”.

“Il Conte?”

“Ci sono tante cose che non sai, su Vesuvia, eh?”

“Non so nulla”, sospiro, “Ancora”. Lei ridacchia.

“Allora ti racconterò tutta la storia”.

Kahira, questo il suo nome, mi conduce nella sua piccola casa a nel Quartiere Sud di Vesuvia. La grande stanza che compone la maggior parte della cassa è illuminata dal sole. C'è odore di legno e di erbe, qui. Quando arriviamo, mi invita a pulire le patate, mentre lei accende il fuoco e comincia a gettare erbe e altre verdure in un grande pentolone pieno d'acqua.

Mi racconta la storia di Vesuvia. Un paese scosso da un governo quasi inesistente. E in continuo cambiamento. Poi, dieci anni prima, la svolta: un mercenario era riuscito a guadagnarsi il trono e il castello. Era diventato conte. Da subito si era capito che non si era trattato di un grande acquisto. Il conte era spesso crudele con i cittadini. Organizzava grandi feste che distraevano il popolo ma non davano da mangiare; era crudele e amava vedere ladri e altri criminali uccisi brutalmente per il suo divertimento. Quando girava per i quartieri prendeva spesso e volentieri di mira gli abitanti più deboli e fragili, che non potevano reagire. Faceva quello che voleva, arrogante e presuntuoso. Anni prima si era fatto creare un braccio d’oro, meccanico, con cui picchiava e feriva gli avversari, veri o immaginari.

Ascoltata la storia, mi rattristo. Pensavo che le cose andassero bene, nella città c’è una tale aria di spensieratezza che mai avrei pensato che potesse essere diverso.

 

Il giorno seguente, dopo aver fatto due decotti per Kahira, mi dirigo verso il magistrato della città, a cui ci si deve rivolgere per comprare una casa, come mi aveva spiegato la mia nuova protettrice.

“Voglio comprare la ex casa dei maghi”.

   
 
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