Fanfic su artisti musicali > Queen
Ricorda la storia  |      
Autore: _Akimi    20/02/2019    5 recensioni
[Brian/John - Questa storia partecipa a “Keep the secret!” a cura di Fanwriter.it!]
"Ancora una volta, l’ammiratore segreto aveva sprecato minuti, anzi, ore della sua vita nel ritagliare un qualcosa che potesse raccontare di lui, della sublime potenza dell’universo e della misera condizione umana.
Una mossa ardita, Brian doveva riconoscere, ma per quanto meno casuale dei papaveri, continuava a dire poco o nulla del mittente.
Roger ipotizzava il vero dicendo che quella persona lo conosceva? E in tale condizione, chi poteva azzardare tanto, invece di prendersi la briga di dichiararsi?"
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Misfire

 

 
Il primo regalo fu un bouquet di fiori ricevuti in ospedale, sotto gli occhi curiosi di pazienti e infermieri.
Brian era ancora ricoverato, l’operazione fresca nella sua memoria e la perenne voglia di dire agli altri di non salutarlo, lasciandolo nell’oblio del suo letto bianco-rosso in una delle tante stanze in comune dell’istituto.
Un bouquet - pensò lui - un fottuto bouquet.
Il regalo più melenso e scontato che qualcuno potesse mai fargli, ma non era l’ovvietà del gesto ad infastidirlo; al contrario, una parte di lui non poteva che sentirsi lusingata dal ricevere doni, piccoli pensieri in vista del suo recupero.
Eppure, quell’insieme impreciso di fiori non portava né biglietto né altri indizi per comprenderne la provenienza. Il mittente era una misteriosa persona che, palesemente, poco sapeva del significato intrinseco dei petali cremisi che aveva scelto.

Era stato Freddie a portarglieli in una mattinata mite, sfoderando il suo miglior sorriso una volta varcata la soglia della stanza.
Non li aveva abbandonati in modo incurante, no, si era preoccupato di poggiarli vicino al suo comodino, di bagnarli un poco appena arrivato perché - così aveva detto - anche dei fiori recisi hanno bisogno di vita.
E Brian aveva sbuffato, riso, ricadendo nel letto ad ogni fitta percepita nella pancia, profonda e dolorosa.
I dottori qualche volta lo rimproveravano, ma lui si limitava ad accennare con la testa, quasi infastidito da tutti i divieti e gli obblighi da seguire.
Non era un sacrificio non fumare - no, Brian May odiava il fumo, aveva solo da guadagnarci.
Non era neppure un sacrilegio non bere tè o caffè frequentemente - iniziava a farsene una ragione, anche se era irrimediabile il senso di solitudine che provava ricordandosi delle colazioni all’alba insieme agli altri.
Gli mancavano le chiacchiere folli di Roger, il dargli corda di Fred e la caraffa che John stringeva sempre tra le dita, troppo assonnato per centrare le loro tazze, ma abbastanza sveglio per dedicare lui un sorriso di scuse.
E a Brian piacevano i sorrisi timidi di Deaky, anche se non era un pensiero che sbandierava allegramente davanti agli altri.

Ma adesso, in ospedale, non vedeva e non sentiva molto altro se non il borbottio tecnico dei medici e il lamentarsi perenne di chi, come lui, aveva pensato bene di trascorrere un tiepido agosto inchiodato ad un materasso del National Health Service.
Gli rimanevano le risate, qualche volta, quando gli facevano visita, ma i dottori erano stati capaci di riprenderlo anche per quello.
Negli ospedali inglesi non si ride - gli aveva detto una sera, sardonica, l’infermiera abituale del reparto - ma se mi dedicherà una canzone, allora posso anche chiudere un occhio.
Brian non le aveva promesso nulla e lei, per ripicca, gli disse che era la risata di Freddie, quella che le piaceva di più.


«Dai, dimmi chi me li ha regalati.»
Chiese nello stesso giorno a Fred, obbligandolo a rimanere durante l’orario di visita ancora un po’.
«Non lo so, altrimenti te lo avrei detto appena arrivato.»
Non sembrava annoiato dalla sua insistenza, ma si limitò a sorridere e ad accavallare elegante le gambe, come un grosso, grasso gatto che finalmente trova la posizione giusta per riposarsi.
E Freddie aveva davvero il magico potere di sentirsi a casa ovunque andasse, di parlottare con gente che non conosceva e ad invitarli a feste, sedute, incontri come se le loro vite fossero destinate ad intrecciarsi ancora e ancora.
E le infermiere apprezzavano più del dovuto - notò Brian, chiedendosi se si fossero già dimenticate del fatto che era lui ad essere ricoverato, non il magnifico Freddie Mercury.
«Chiunque sia, è un idiota certificato.»
«Hey, non dire così. Io credo, invece, che sia un bellissimo gesto. Non se ne vedono tanti di questi tempi, qualcuno ti vuole bene, Bri.»
Lo mormorò a fil di voce, vicino al suo orecchio, sicuro di poterlo convincere a cambiare idea; non era cattiva cosa avere degli ammiratori, Freddie implicitamente voleva dire, ma a Brian non interessava molto sapere che qualcuno, nel mondo, avesse sprecato il suo tempo per andare da un fiorista.
Era la curiosità del ‘chi?’ a consumarlo lentamente, anche se cercò di nasconderlo dietro ad un’espressione imperturbabile.
«Non è quello il problema, Fred,» iniziò, facendo scivolare lo sguardo lì, sul comodino, solo per un fugace attimo. «Proprio dei papaveri rossi? Mi sembra di cattivo gusto.»
Non ricevette risposta, solo silenzio, seguito da un arricciare di naso, labbra e fronte, come se avesse appena esclamato la peggior castroneria della storia.
«La prima guerra mondiale, i veterani...non ti dice nulla?»
No, pareva di no. Al contrario, lo sguardo di Freddie cominciò ad assottigliarsi, gli occhi presero un forma fine, un oscillare tra minaccia e delusione, fermandosi solo quando le palpebre iniziarono a tremargli per lo sforzo.
Lo stava giudicando, ma Brian non si sentiva sotto accusa. Aveva ragione, assolutamente ragione: solo un idiota poteva trovare geniale l’idea di regalare un fiore così simbolico ad una persona in ospedale.
Nel Regno Unito, oltretutto, dove i papaveri gridavano ‘politica’ e ‘morte’ da ogni stame.
Poteva apprezzare lo sforzo, ma sentirsene rallegrato? Solo una formalità.


«Sei noioso, davvero noioso.» gli rispose, incrociando le braccia come se l’avesse offeso personalmente. Il che, non doveva aver nessun senso: il bouquet non era da parte sua, giusto?
«Il rosso, Bri, è passione, piacere, sentimento. Cerca di vedere oltre alla sofferenza solo perché ti trovi in ospedale.»
Avrebbe voluto dargli ragione, seguire il suo consiglio, ma non scompariva mai quel bisbiglio interno, il sussurrare nella sua mente che gli diceva quale fosse la cruda realtà.
Un tour cancellato, un’occasione svanita, tempo perso quando sarebbe dovuto essere con loro, componendo e suonando assieme.
Invece era lì, tra quattro mura anonime, sperando di non mangiare l’ennesima zuppa insipida del giorno precedente.
Poteva andargli peggio, perdere un braccio, avere complicazioni sotto i ferri, ma nonostante Freddie lo dicesse per il suo bene, non era facile trovare un qualcosa di buono in un luogo del genere.
«Hai ragione, non dovrei darci così tanto peso.»
Mormorò alla fine, più per accontentarlo che per reale convinzione; contava già i giorni che lo separavano dal rilascio, non pensando alle complicanze e ai problemi che si sarebbe portato dietro, sì, anche fuori dal ricovero.
Ma si doveva accontentare. Una solitaria e disperata anima là fuori davvero pensava a lui dopotutto, no?


 
* * *

Il secondo regalo furono delle poesie, fiumi e fiumi di versi e odi sparsi su tutte le pagine della rivista scientifica che, di solito, le infermiere riusciva a procurargli una o due volte a settimana.
Erano foglietti stropicciati, stampe, pagine di libri mal tagliate ed erano esattamente lì, incollate in malo modo su tutti gli articoli e sulle illustrazioni di esperimenti e di scintillanti nebulose planetarie.
Brian voleva leggere il suo giornale, beandosi della totale immersione nella sua disciplina, ma qualcuno aveva pensato bene di ostacolare anche quel suo ultimo piacere.
E Roger, il sempre-stronzo-Roger, lo aveva persino preso in giro, sfogliando le pagine poco dopo perché, come San Tommaso, non credeva alle parole del chitarrista, ma doveva vedere il disastro con i propri occhi.
«Se sei stato tu...» disse Brian, interrotto da una risata nervosa che non preannunciava nulla di buono.
«Io? Senti, ti voglio bene e mi dispiace che tu sia bloccato qui dentro, ma non ti amo abbastanza da dedicarti poesie e regalarti fiori. Non offenderti, eh.»
Anche Roger sapeva del bouquet e, tra un paio di giorni, anche Freddie avrebbe sicuramente scoperto che il misterioso ammiratore si era dato ad un folle collage di letteratura inglese.
Lo spettegolare tra i due era inevitabile, un bisogno necessario, come se avessero tanto tempo libero per parlare delle disavventure del loro povero chitarrista ora così lontano dal proprio nido.
E nella totale disperazione, Brian doveva ammettere di apprezzare di più la poesia ai papaveri, ma continuava a reputarlo un gesto scontato, oltre che estremamente sciocco per attirare la sua attenzione.
Evitava di domandarsi quale fosse lo scopo di tutto ciò, se un infantile voglia di schernirlo e prendersi gioco di lui o, forse alternativa peggiore, un pasticcioso tentativo di corteggiamento.
Ma Brian May non voleva essere corteggiato, era un uomo indipendente, per Dio!


«Bright star, would I were stedfast as thou art/Not in lone splendour hung aloft the night/ And watching, with eternal lids apart...»
I suoi pensieri vennero interrotti dal gesticolare drammatico di Roger che, approfittando del suo momento di perdizione mentale, aveva cominciato a vagare nella stanza, recitando il primo componimento poetico trovato sotto i suoi occhi, appiccicato su una fotografia di Antony Hewish.
Sembrava persino aver attirato le attenzioni degli altri pazienti che, forse per gentilezza o per reale interesse, si limitavano ad osservare la chioma bionda muoversi tra un letto e l’altro, regalando dolci parole del miglior romanticista dell’isola.
«John Keats.»
«Chi?»
La voce di Roger riecheggiò acuta, rimbalzando impazzita da una parte all’altra della stanza; il suo essere sorpreso pareva artificioso, quasi falso, ma Brian era troppo infastidito dalle occhiatacce altrui per soffermarsi su quell’apparentemente innocuo dettaglio.
«John Keats, il poeta. Sai quello morto di malattia giovanissimo?» Domandò distrattamente, neanche pretendendo che Roger sapesse di che cosa stava parlando.
«Almeno tu mi credi se dico che chiunque mi stia mandando queste cose è un idiota e che, probabilmente, vuole portarmi sfortuna?»
Freddie lo avrebbe rimproverato di nuovo, ma ora le coincidenze iniziavano a sommarsi ad ogni nuovo dono ricevuto; non era superstizioso o facilmente impressionabile, ma doveva esserci un messaggio in profondità, ben celato, che non simboleggiava altro che un anonimo malaugurio.
Ecco, forse non si trattava di un ammiratore, ma dell’esatto opposto. Davvero rassicurante.

«Sei noioso, davvero.»
Roger fece eco a Freddie, forse senza saperlo. Sì, sicuramente senza saperlo, eppure Brian iniziava a trovare la loro insistente positività per nulla produttiva.
Era una realtà di fatto, lì, ancora in ospedale; non pretendeva di poter comporre un intero album relegato in quel buco, ma le dita gli fremevano ogni qualvolta l’immagine della sua chitarra appariva nella sua mente, abbandonata a se stessa.
Ed era ragionevole non fare sforzi, riposarsi e godersi alcuni giorni di assoluto tedio, ma Brian non lo trovava opportuno, non quando la pressione da parte della loro casa discografica finiva col ricadere sulle spalle degli altri.

«Personalmente,» Roger ricominciò a parlare, bisbigliando vicino. «Non sono per queste smancerie, però tu la vedi nel modo sbagliato. Una poesia che parla di stelle, chiunque sia la persona misteriosa, deve conoscerti bene.»
Il sorriso malizioso che prese posto sul suo viso non rassicurò né divertì Brian, eppure doveva ammettere quasi dispiaciuto che quell’analisi non era poi così lontana dalla realtà.
Ancora una volta, l’ammiratore segreto aveva sprecato minuti, anzi, ore della sua vita nel ritagliare un qualcosa che potesse raccontare di lui, della sublime potenza dell’universo e della misera condizione umana.
Una mossa ardita, Brian doveva riconoscere, ma per quanto meno casuale dei papaveri, continuava a dire poco o nulla del mittente.
Roger ipotizzava il vero dicendo che quella persona lo conosceva? E in tale condizione, chi poteva azzardare tanto, invece di prendersi la briga di dichiararsi?

«Potresti avere ragione, ma non sono interessato.»
Una conclusione razionale, non dolorosa; forse non avrebbe mai avuto modo di svelare il mistero, ma poco contava. Non aveva tempo né forze da dedicare ancora ad una persona abbastanza folle da persistere con quei giochi, ma non coraggiosa per rivelare la propria identità.
In uno strano modo, poteva anche capirla: innamorarsi era più una trappola che altro, per come la vedeva Brian, e ironizzare su certi sentimenti era più conveniente che prendere la questione sul serio.
E, alla fine, non vi era nulla da considerare maturo in quei gesti, in quei tentativi sbadati di dire un qualcosa senza capo né coda; che fosse amore o voglia di vendicarsi poco importava.
Brian da lì a poco sarebbe stato dimesso, sarebbe ritornato a casa, e allo stesso modo i papaveri erano destinati ad appassire e la rivista ad essere dimenticata in un qualche cassetto polveroso nell’edificio.

Ma Roger, ah, Roger riusciva sempre ad infierire a modo suo.
«Non te ne curi perché hai già il cuore occupato, vero?»
Accompagnò il suo punzecchiare con una gomitata al fianco, dimenticandosi completamente del dolore dell’amico; e Brian ricadde di nuovo contro il materasso, colpito da una profonda stilettata che, a dire il vero, non sapeva se fosse data da quella domanda scomoda o dal colpo ricevuto.
Facevano male entrambe, nello stesso momento, seppur in modo differente; il dolore fisico sarebbe svanito con dei medicinali, prima o poi, ma il resto?
Esisteva uno studio, in una qualche vaga parte del pianeta, capace di cancellare i sintomi di un emozione destinata al fallimento?

«Diamine, Rog, non cominciare ancora con queste cazzate.»
«Va bene, va bene. Dico solo che manchi anche a Deaky. Lo sai com’è lui con gli ospedali, ma ti pensa più di quanto io o Freddie facciamo. Tienilo a mente.»
Con quelle parole, Roger scomparve e Brian passò la serata intera con le mani sul ventre, intimorito dal poter vomitare da un momento all’altro.
Il menù a cena non segnava nessuna zuppa insapore. Almeno una buona notizia.


 
* * *

{Don't you misfire fill me up
with the desire to carry on
don't you know honey that love's a game
it's always a hit or miss
so take your aim
got to hold on tight
shoot me out of sight}

Brian trovò il terzo regalo casualmente, poco dopo l'arrivo di Roger e Freddie, nel porta-medicine che l'ospedale lasciava ad ogni paziente nei giorni sempre più vicini alle dimissioni.
Non era altro che un foglio stropicciato, probabilmente una qualche carta riutilizzata all'ultimo momento, ma ancora una volta, senza nome né altro segno identificativo.
L'ammiratore aveva fatto un passo avanti oggi, non solo in furbizia, dato che aveva utilizzato un normografo per compilare il breve messaggio, ma anche in originalità.
Contenuto inedito, supponeva Brian, perché le parole non sembravano ben contestualizzate, lì, sui quadretti consumati, ma avevano un potenziale che il chitarrista non faticava a vedere.
Uno stralcio di una canzone – pensò, immaginandone un ritmo casuale che potesse ben accordarsi con la metrica sciolta del versi. Eppure, questo suo indagare non faceva altro che riportarlo all'inizio della sua ricerca, ad un rondò senza fine né scopo.
E Brian, pur rallegrato dall'idea di dover abbandonare l'ospedale in poco tempo, non poteva evitare quella sensazione di nervoso, di fallimento, sapendo che non avrebbe avuto più modo di ricevere altro.
L'unica conclusione che poteva accettare, alla fine, era che la misteriosa persona fosse legata proprio al dannato posto in cui era finito.
Un'infermiera abbagliata da lui nel suo momento peggiore? Possibile, ma lo considerava sciocco. Aveva avuto giorni, notti intere per poter dichiararsi e un silenzio così prolungato non avrebbe mai portato a qualcosa di buono.
Un dannato scherzo – ritornò ancora e ancora sull'ipotesi – e fu l'ultimo pensiero che dedicò alla questione, preferendo concentrarsi sul chiacchierìo di Fred e Roger che, tuttavia, non lo aiutavano molto a distrarsi.
Al contrario, i due sembravano giunti lì di proposito per fomentare il suo desiderio di scoprire, come se non aspettassero altro che un nuovo bollettino sulla vicenda.

«Ecco, così siete contenti.»
Lanciò il foglio accartocciato e Roger lo prese al volo, accennando un quasi impercettibile sorriso a Freddie, già al suo fianco per spiare nel biglietto.
«Wow, dalle poesie romantiche a delle allusioni sessuali. Brian, hai fatto davvero colpo.»
«No, sciocco, non parla di sesso, ma di amore.»
Intervenne Freddie prima che lo stesso Brian potesse parlare, abbandonandolo ad un lungo attimo di irrazionale solitudine.
I due continuarono così, per tre, cinque minuti – una dannata eternità -, litigando tra di loro come se quelle misere sette righe nascondessero un segreto più grande delle loro esistenze, se non dell'intero Regno Unito.
«”Fill me up?” Andiamo Fred, sta parlando di sesso.»
«Non ti fermare alla prima riga, so che è difficile per te. “Love's a game.”»
Brian se ne restava fermo, sospirando o giocherellando con un lembo di coperta, in attesa di un qualcosa che neppure lui sapeva.
E nulla di ciò a cui stava assistendo aveva un senso, non solo le interpretazioni fantasiose dei due amici, ma tutto il resto – ancora, quella storia che non ne voleva sapere di svelare una soluzione, i papaveri appena sbiaditi al suo fianco e alla rivista, la fottuta rivista, in bilico sulla sedia degli ospiti.
I tre oggetti non aveva neppure un elemento comune, un significato che potesse legarli l'uno con l'altro, e la soluzione finale era e rimaneva una sola: solo un idiota poteva considerare brillante un piano di quel genere.
Ma Brian no, si sentiva quasi offeso – evidentemente l'altra persona non lo conosceva così bene come Roger diceva; era più difficile di un semplice mazzo di fiori e qualche frase smielata.

«Comunque,» si schiarì la voce, d'un tratto, interrompendo il dotto dibattito tra i due ospiti. «verrò dimesso domani, come siete messi con i pezzi?»
Freddie si limitò a ruotare infastidito gli occhi, sulle labbra uno sfuggente “...Noia” che, poco dopo, Brian afferrò con lo sguardo, accennando un sorriso divertito.
Non sembravano contenti di parlare di musica, non riusciva a capire se fosse un bene o no, ma in ogni modo non era più preoccupato per la situazione della band.
Non era rimasto fermo tutto il tempo, alla fine non era proprio riuscito a rinunciare a scrivere, ma decise di conservare il segreto. Meglio evitare inutili discussioni su quanto “sei stacanovista, Brian May.”
«A proposito,» parlò Roger, con un tono insolitamente alto che fece sobbalzare qualche povero paziente sul proprio letto. «Sai già chi ti viene a prendere?»
Brian arricciò il naso davanti all’eccessiva contentezza del batterista; quando Roger era allegro, e capitava spesso, non era mai segno di buone nuove.
Eppure Brian era stato chiaro sin dall'inizio: era stato ricoverato due volte nel giro di poco tempo, ma no, non era cambiato, non era completamente invalido, e poteva ritornare a casa senza dover scomodare nessun altro.
Anzi, era la soluzione migliore - un po’ di tempo da solo, al volante, un intermezzo tra il forzoso convivere in ospedale e il successivo ritorno in studio.
Non disprezzava la compagnia altrui, ma non aveva molto da raccontare se si fosse trovato in auto con qualcun altro. E, al medesimo modo, non aveva voglia di sopportare né le mirabolanti avventure di Roger né gli ultimi sfavillanti acquisti di Fred.
Senza offesa per entrambi.
«Mia madre, appena mi alzo dal letto e la chiamo.»
«Risposta sbagliata.»
«Non funziona così Rog, il culo è mio e decido io come tornare a casa.»
Lo zittì, ma il batterista si limitò a scuotere la testa in segno di dissenso, quasi divertito dall’usuale testardaggine dell’amico.
Paradossalmente, pur conoscendosi da anni, niente li fermava dal litigare sulle più piccole cose della quotidianità.
E Roger aveva davvero il magico potere di far innervosire tutti, facendo cedere anche le persone più pacate al mondo; lo trovava divertente - nulla dettato da gratuita cattiveria - e lo era ancora di più quando Brian ricadeva sempre nelle sue trappole.
Non gli dispiaceva, a dire il vero, perché nonostante tutto, le cose tra di loro non cambiavano mai e il bello della loro amicizia perenne viveva attraverso quei piccoli, stupidi gesti.


«Non lo abbiamo proposto noi,» bisbigliò sincero Fred. «No, assolutamente. Ha detto lui che ci teneva e io mica potevo dirgli di no. O almeno, potevo dirgli di lasciare perdere, ma...» continuò borbottando Roger, questa volta lui, interrotto dallo sgomitare confuso di Freddie.
«Insomma, Deaky viene domani, okay?»
Conclusero all’unisono, con le loro voci a scavalcarsi a vicenda, come se cercassero di avere la meglio l’una sull’altra.
E a Brian, alquanto imbarazzato dall’idea, non rimase che sospirare arrendevole, cercando di cancellare dalla mente le espressioni quiete di John.


 
* * *

Il quarto regalo...no, niente regalo.
Brian smise di pensarci nell’esatto momento in cui vide John, lì, fuori dall’ospedale, quasi aggrappato alla sua macchina per timore di essere spazzato via dal vento.
Faceva inaspettatamente freddo per essere agosto e nessuno dei due indossava gli abiti giusti per difendersi dal calo delle temperature.
Brian tremò appena avvicinandosi passo dopo passo all’automobile e, al medesimo modo, la figura di John si faceva un poco più definita, nitida, stretta nella prima giacca che aveva trovato nel caos di casa.
Quando i metri tra di loro diminuirono, entrambi cominciarono a corrucciare la fronte, pensando a qualcosa che non fosse troppo imbarazzante né scontato da dirsi.
Un grazie è sufficiente - pensò Brian, liquidando il pensiero di qualsiasi altra parola ridondante.
E forse questo era ciò che più preferiva della compagnia di John: la sua pacatezza senza obbligo di dover occupare i silenzi con chiacchiere sciocche.
Dopo tre anni di musica assieme, ancora si domandava dove avessero pescato un bassista del genere; e no, la risposta non accennava a formarsi, erano solo dei vaghi abbozzi nella sua mente.
Probabilmente non lo avrebbe mai compreso appieno, riservato com’era, ma la sua maturità, ironia e gentilezza si palesavano in tutti i suoi comportamenti quotidiani.
E Brian ci era cascato in pieno, puerile, in quello scherzo di casualità.

«Hey, bentornato.»
«Lo dici come se fossi appena uscito dal mondo dei morti.»
Le labbra di John s’incresparono in un sorriso, piccolo, quasi impercettibile, ma Brian ne era così avvezzo da non farsene sfuggire più neppure uno.
«In un certo senso,» mormorò, allora, lasciando che fosse il sarcasmo di entrambi a sciogliere il lieve imbarazzo del ritrovarsi. «sei sopravvissuto, alla fine.»
Per fortuna - avrebbe aggiunto Brian, sospirando più leggero. Non gradiva l’essere drammatico o le lamentele futili, eppure era naturale, umano abbandonarsi ad un senso di preoccupazione.
Aveva cercato di non pensare spesso a ciò che si era lasciato alle spalle, al tour così malamente concluso e alle aspettative deluse degli altri; erano stati gentili con lui, ma lo sapeva, era normale il tacito disappunto tra di loro.
Ora non gli restava che recuperare il più velocemente possibile.
«Sì, nonostante tutto, sono contento di poter ritornare in pista. Abbiamo molto lavoro da fare e...»
«È tutto okay, Brian,» lo interruppe lui, garbato, sussurrando mentre le loro dita si sfioravano per un breve attimo. Era solo un caso, un tocco insignificante, mentre John afferrava il suo borsone di vestiti per aiutarlo. «E conoscendoti, ti sei messo a scrivere anche in ricovero, ne sono certo.»
Del risentimento si annidò nel suo animo, profondo e inudito; una punta di rabbia infantile che lo portò a roteare gli occhi, non infastidito dal comportamento di John per se. Al contrario, era furioso con sé stesso. Non sopportava l’essere diventato così prevedibile ai suoi occhi, noioso, persino, perché anni prima avevano avuto bisogno di più tempo per comprendersi.
Ma all’inizio era diverso. Loro erano diversi. E Brian no, Brian non si sarebbe mai aspettato di provare qualcosa nei suoi confronti.
Non ricordava neppure quando e come fosse cominciato – forse una notte, una di quelle sere passate a suonare nei pub come una delle tante band mezze-sconosciute d'Inghilterra.
John biascicava, più per la stanchezza che per l'alcool che circolava nelle sue vene, eppure la lucidità dei suoi discorsi non smetteva mai di stupire Brian.
Sì, era una di quelle notti: aveva passato lunghi minuti a parlare di elettronica mentre aspirava la sua sigaretta a debita distanza.
Allo stesso modo, Brian, ora non ne ricordava bene il motivo, gli aveva parlato della Red Special, di suo padre, e di tutte le ore trascorse assieme per costruire quella che era diventata la sua compagna di vita.
E John lo aveva ascoltato sorridendo, accompagnato da una venatura di malinconia che caratterizzava sempre il suo sguardo.


«Credo che uscirà un bel album, sono fiducioso.»
Brian lo esclamò, parlando abbastanza forte per scacciare quei vaghi pensieri che avevano occupato troppo a lungo la sua mente.
Dopo un periodo travagliato era l’unica cosa che si meritavano, non solo lui, ma tutti e quattro assieme.
Eppure, un qualcosa cominciò ad insediarsi tra loro non appena salirono in macchina, ora viziati dal tepore dell’abitacolo. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma posando lo sguardo su John, non poté che notare una screziatura di indecisione, quasi nascosta, nei suoi occhi.
Pareva più mogio del solito, o almeno, più mesto delle ultime volte che lo aveva visto, e sperava segretamente che quel cambio d’atmosfera non fosse dato dalla sua presenza.

«Ne ho parlato vagamente con gli altri, ho scritto un pezzo.»
Parlò lui, alla fine, come se le silenziose attenzioni da parte del chitarrista lo avessero spinto a confessare. Parole all’apparenza sciocche, banali per dei musicisti, ma John nell’ultimo periodo era stato restio dal collaborare.
Era stato Freddie, in particolare, a spingerlo a scrivere, a riversare qualche riga su un foglio. In modo disimpegnato, all’inizio, ma aveva raggiunto una completezza ben percepibile sul viso.
La sua indecisione era dettata dall’attesa, dalla trepidazione nell’aspettare un giudizio: Brian sapeva essere un critico severo, ma forse i giorni di convalescenza lo avevano ammorbidito.
«Ed è tutto pronto,» tentennò ancora un poco, stringendo leggermente le dita attorno al volante. «ma ci tengo a dirtelo perché ho scritto le parti di chitarra, non è per scavalcarti o perché trovo noioso il tuo modo di suonare. È una cosa...»
«È tutto okay, John,» gli fece eco, volontariamente o forse no, lasciandolo poi parlare di ciò che gli era venuto in mente.
Aveva un senso, come già Brian s'aspettava; aveva un senso immaginarselo a casa, in giro, da solo, abbandonandosi a fiumi di parole che aveva trattenuto in passato, più per indecisione che per incapacità.
E per Brian tutto andava bene, era già una vittoria ascoltarlo, comprendere il processo che lo aveva convinto a buttarsi nel fitto mondo della composizione musicale. Era una cosa sua, soltanto sua, e una parte di lui, in modo intrinseco, avrebbe continuato a vivere tra gli accordi di quegli “scarsi due minuti” - come aveva specificato John stesso.

«Il titolo?»
Chiese poi, distratto dalle immagini della città che scorrevano fuori dai finestrini. Era libero e la libertà gli procurava una sensazione strana.
«Pensavo a Misfire, o qualcosa del genere.»
«Come
«Misfire...forse è troppo banale, ma-»
La stessa sensazione si tramutò in un qualcosa di nuovo, profondo, lì, nei meandri del suo animo; un abbaglio che lo accecò per un breve attimo, lasciandolo boccheggiare in cerca di aria buona per calmarsi.
Aveva capito bene? Certo, era inutile domandarselo, eppure non poteva trattarsi solamente di una coincidenza.
Ma non riusciva comunque a comprenderne il processo: John non gli aveva mai fatto visita in ospedale, ma Roger e Freddie...
Roger e Freddie erano capaci di tutto.

 
* * *

«Bri, chi si rivede! Pronto a-»
«Siete stati voi, lo sapevo.»
Brian aveva raggiunto lo studio correndo, pochi giorni dopo, per poi accasciarsi sulla prima sedia libera per la stanchezza.
Sospirava profondamente, ma il tono di minaccia non era svanito dalla sua voce, nonostante la fatica.
«Ci accusi di cosa, esattamente?» gli rispose Freddie, stringendo il microfono con inusuale insistenza. «Non ho proprio idea di che cosa tu stia parlando.» aggiunse poi, accompagnato da una risata nervosa da parte di Roger, lì, nascosto dietro alla sua batteria.

«Roger Meddows Taylor, mi devi delle spiegazioni.»
«Andiamo, vi abbiamo dato solo una mano, una spinta; è da anni che continuate a guardarvi con quelle facce. Siete nauseanti.»
Brian avrebbe voluto controbattere, dirgli che non vi erano altre facce, se non la stessa, la solita espressione di ogni giorno. Non esisteva nulla di ciò che stava insinuando e non erano accettate discussioni sulla faccenda; ancor meno interferenze esterne, ma era troppo tardi per pensarlo. Il danno era stato fatto, giorno dopo giorno, e il sorriso compiaciuto sul viso di Roger non faceva che innervosirlo ancor più.

«Devo supporre che John non ne sappia nulla, giusto?»
«Aspettate,» parlando del diavolo, Deaky sbucò dalla porta dello studio, trascinandosi dietro il suo basso, faticosamente, come se si fosse appena svegliato e ancora non nel pieno delle sue forze. «State parlando di qualcosa di importante?»
Il silenzio piombò nella stanza, lasciando la scena libera ai loro sospiri, alcuni un poco più lievi e altri, invece, pieni di un tacito senso di imbarazzo destinato a palesarsi da lì a poco.
Roger guardò Freddie e quest'ultimo guardò John, quasi a voler trovare un rifugio nei suoi occhi, lontano dall'espressione minacciosa di Brian.
E John, l'unico ignaro della situazione, non poté fare altro che accennare un sorriso, forzoso e dettato dalla circostanza, vano tentativo di alleggerire quell'atmosfera fattasi pesante.
Non era un buon modo per cominciare una mattinata di registrazione, ma all'orizzonte pareva delinearsi un finale inaspettato e, forse, non così tanto spiacevole.

«Che dire.»
Il primo a parlare fu Roger, ovviamente, picchiettando con le sue bacchette contro il charleston; il tintinnio andò a disperdersi tra le quattro mura, ma la tensione non svanì neanche dopo il suo puerile tentativo.
«La barzelletta inizia con un chitarrista, un bassista e due amici molto intelligenti. Il chitarrista ha perso la testa per-»
«Brian, diamine, anche tu piaci a Deaky.»
La voce di Freddie riverberò nella stanza attraverso il microfono, ora acceso come se volesse dare enfasi alla tanto attesa dichiarazione.
Era tipico da parte loro, come sempre, rovinare un momento che Brian aveva a lungo immaginato in modo differenze. Ed ora, nel nuovo silenzio, non sapeva se essere grato del piccolo aiuto, oppure infuriarsi con loro per aver fatto anche più del necessario.

«In che senso "anche?"»
John chiese, voltandosi arrossato verso Brian, ma evitando il suo sguardo non appena notò la medesima espressione confusa sul suo viso.
«Aspetta,» mormorò il chitarrista, disposto ad esporsi solo dopo aver risolto il mistero una volta per tutte. «niente fiori, niente poesie o fogli accartocciati?»
Non un qualche suono né sospiro, solo la fronte corrucciata di John in risposta, accompagnata da uno sguardo perplesso che, come immaginato, non anticipava nulla di positivo.
Erano stati bravi, Brian doveva ammetterlo, ma la sua mente al momento era dispersa in ben altre preoccupazioni.
John, John la pensava allo stesso modo.

«Va bene, okay, forse abbiamo preso in prestito la tua canzone per fare una cosa, Deaky, ma è per-»
«Voi cosa

Inutile dire che non registrarono neppure un pezzo quel giorno e, giunta la sera, a Brian rimaneva ancora con un segreto senza risposta.
Misfire parlava di amore o davvero era una grande allusione sessuale?




 
Angolo dell'autrice:
Hey, ne ho approfittato della bella iniziativa di Fanwriter per scrivere una storia senza troppe pretese. Il prompt di partenza l'ho leggermente modificato ed era: A continua a ricevere lettere e vuole scoprire chi sia l’ammiratore segreto. (preferivo l'idea che ricevesse cose diverse ogni giorno.)
La storia è ambientata nel 1974, quando  Brian realmente fu ospedalizzato per un'ulcera duodenale (probabilmente dovuta dall'epatite di pochi mesi prima, rischiando di perdere il braccio.)
Ignoriamo il fatto che  Brian e John si siano sposati nello stesso anno, GRAZIE lol
Misfire fu la prima canzone che John scrisse per la band (una delle mie preferite, tra l'altro) e boh, alcuni dicono che parli di sesso...credo ci siano di buoni presupposti per dirlo, ma non lo so haha. (con il finale lascio libera interpretazione haha)
Papaveri - come già spiegato nella storia, in UK (+ commonwealth) sono simbolo del Remembrance/Veterans Day, ma significano anche 'piacere'.
John Keats -
ho usato "romanticista" (diversamente da romantico) per sottolineare l'essere perennemente complessato dei poeti di quel periodo. lol Veniva utilizzato come termine denigratorio. La poesia citata è la sua più famosa, Bright Star.
Antony Hewish
- citato nella rivista, è un astronomo inglese, premio nobel per la fisica proprio nel 1974. (ma nel periodo della fic non è ancora stato premiato, probabilmente.)

Alla prossima!
 
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Queen / Vai alla pagina dell'autore: _Akimi