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Autore: Avareil    21/02/2019    4 recensioni
Mitologia greca Au!
Fosse esistito qualcuno in grado di rendergliela, restituirgliela, magari avrebbe anche creduto, forse sperato.
Fosse esistito qualcuno in grado di ascoltarla, di ascoltare lei e la sua preghiera addolorata, allora l’avrebbe scongiurato quell’essere, inginocchiata ai suoi piedi avrebbe supplicato per la madre tanto amata e tanto presto strappata alla vita.

Un terribile incidente stravolge la vita di Cora Terrafranca, giovane signorina a modo di un Ottocento intriso di religiosità e misticismo. Scettica per indole, ma disperata per colpa dell'atroce lutto, ella desidera con morbosa follia il più scandaloso dei ritorni. Nascosto nei suoi pensieri e celato dalle ombre, solo un essere deciderà di scendere a patti con lei.
Del resto si sa, bisogna far attenzione a ciò che si desidera...
[🌻Storia terza classificata al contest "Patti oscuri, alleanze di ferro e promesse vincolanti" indetto da Shilyss sul forum di EFP, e Vincitrice del Premio Speciale "Miglior Personaggio Femminile".🌻]
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Persefone
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ha molti nomi, il maligno, fa molte promesse e stringe innumerevoli patti: non ne rispetta nessuno, ma esige un guadagno, sempre.
Per questa ragione – e mille altre che non ha il coraggio di ammettere con se stesso, infido demone – la notte seguente è puntuale nel suo presentarsi nell’ora più nera, quando l’animo è turbato e la mente sconvolta da lugubri pensieri.

“È permesso?”

La sottile allusione all’ingresso è largamente anticipata dal suo farsi strada nella camera oscura. Un solo passo oltre la soglia e il suo odore, che sa di tempo, ambra e zolfo, riempie le narici umane travolgendole in una spirale olfattiva oscenamente seducente: è alto, il signore dei morti, abbigliato di nero e interamente celato all’occhio umano da ombre impenetrabili.
La osserva con interesse mentre quella, muta, gli rivolge solo un breve cenno del capo. Gli dà le spalle, la preda sciocca e, seduta alla scrivania, continua a scarabocchiare la siluetta di una spiga arcuata alla luce di una candela fioca; il calore che le illumina il volto la fa sembrare ancora più assente al suo cospetto, mostro che non conta più i millenni.

“Avete soppesato l’importanza del vostro desiderio? Io attendo ancora una risposta.”

La giovane, quasi richiamata dalla voce bassa e leggermente metallica, in silenzio posa la penna di fianco al calamaio, pulisce la mano da residui d’inchiostro e, con una lentezza che la rende simile a creatura effimera, abbandona la sedia per ergersi stanca, ma fiera, a pochi passi dall’ombra.
Ne scruta i tratti, ma un’aria nera sembra renderlo indistinto ai suoi occhi umani.
 
“Desiderate una sposa, crudele signore, ma come posso, io, accettare uno sposo nascosto? Dite, Diavolo, siete forse osceno come le vostre sciagure?”

Vorrebbe essere più timorosa, accorta, attenta, vorrebbe essere in grado di frenare la lingua, chinare il capo e sollevare le mani in preghiera salvifica, ma il dolore della perdita atroce l’ha corrotta, toccata, maledetta: anche lei sente il fetore della morte tra i capelli, nelle pieghe delle vesti e nella bocca riarsa.

“Giudicate voi stessa.”

Sogghigna, il maligno, apprezza la lucidità folle che anima lo sguardo turbato e per questa ragione, negli occhi dolci color miele rivela i propri, grigi e spettrali eppure vivi e scandalosi e, insieme ad essi, le sembianze mefistofeliche.
È bello, pensa con una fitta al cuore, è bello in maniera sragionata, diabolico nella parvenza umana che mal nasconde dettagli mostruosi.
Rimane senza parole Cora, per un istante trema al pensiero di se tra quelle braccia; perché la percepisce distintamente la tentazione di quel corpo, la malia del profumo ultraterreno, e quasi vacilla mentre il Diavolo le gira intorno come fa’ una fiera famelica.
 
“Perché io?”

“Perché no? Il diavolo opera in modo imperscrutabile …”

Quanto è blasfemo quell’essere che ora le sorride furbo rivelando canini da belva. È oscenamente calamitante, fa leva sulla sua sofferenza e gioca con il suo animo in frantumi.

“Ricordo la vostra proposta, oscuro signore, e sono costretta a rifiutarla. Non vi concederò la mia anima. Mai.”

“Allora niente patto.”

Improvvisamente gelido, quasi offeso da quella risposta che lo tocca nell’orgoglio antico, il diavolo allunga una mano artigliata contro il volto etereo e pallido della donna per saggiarne un’ultima volta la morbidezza.

“È un vero peccato, sfortunata Cora. Vostra madre rimarrà profondamente addolorata per colpa di questa illogica scelta e io con lei. Trovo stranamente piacevole la vostra compagnia e sarà un vero peccato privarsene.”

Ecco la lusinga addolorata del Diavolo, la parola ben orchestrata che smuove il cuore con il senso di colpa.

“Addio.”

“Aspettate!”

Il piacevole risvolto si concretizza in un istante di fremente agitazione. “Vi darò il mio tempo.”

“Osate contrattare con il diavolo?”
 
È spiazzato, Mefistofele, disturbato dalla vicinanza che egli stesso ha preteso e conquistato in un sol movimento: non presta attenzione alle parole di quella quanto piuttosto alla sinuosa danza della bocca spaccata vicinissima al polpastrello; non immagina alternative o patti ancor più intricati da proporle, ma osserva la vestaglia da notte candida e pesante cadere dritta fino ai piedi nudi, ostacolo inconsistente tra lui e il corpo fragile e stanco. Il profumo di fiori appassiti, poi, mescolato a quello della pelle estenuata, lo travolge completamente, sicché diventa impossibile, per lui, rivestire il ruolo di entità bieca e malevola.
La invita a proseguire nella sua controproposta mentre gli occhi assaporano la carne della bramata sposa, solo sfiorata in carezza leggera.
 
“Vi chiedo di riavere con me mia madre tra i vivi, spettrale essere. Lasciate che passi con lei almeno sei mesi della mia esistenza, poi, la restante parte dell’anno sarò vostra sposa, in un ciclico andare e venire dal mondo dei morti di cui io e voi solamente condivideremo il segreto.”

“E quando il tempo di vostra madre sarà concluso?”

“Che anche il mio tempo si concluda, secondo natura, e allora verrete a prendermi alla soglia del regno dei vivi. Una volta varcate le nere porte sarò vostra compagna, in eterno.”

Resta in silenzio, l’oscuro signore, per un tempo che sembra infinito: soppesa le parole di quella nella maniera più lucida possibile, ma è sempre stato irrequieto e irruento; non sa placare gli istinti né, tantomeno, godere delle attese. Vuole tutto e lo vuole all’istante.

“Scriviamo”, sussurra impetuoso mentre dirige ampie falcate verso la scrivania ingombra di carte. Pesca un foglio candido, muove la penna sinuosa e sogghigna quando percepisce il corpo caldo della donna farsi avanti, di fianco al suo, per sporgersi tremante nel vano tentativo di cogliere qualche lemma.

Voi, Cora Terrafranca, cedete a me, Satana, demone giusto, il vostro tempo, in vita, e la vostra anima, in morte, in cambio di un ricongiungimento con la madre trapassata.”

“È corretto?”

“Sì.”

“Firmate allora.”

Sorride ferino quando quella segna il nome elegante di fianco al suo, ed ha una strana luce negli occhi mentre, con fare sapiente, afferra la ceralacca color cremisi e ne scioglie una generosa quantità sulla carta immacolata, giusto sigillo di fianco alle firme appena vergate. La invita a indossare l’anello materno, quello che tiene legato morbosamente al collo con una catenina d’oro, per meglio vincolare se stessa e la madre al suo nome eterno.

“Domani notte vostra madre vi sarà restituita. Tre volte chiamerà il vostro nome. Voi non rispondete ma, seduta, attendete che varchi la soglia.”

Dice restituita, Mefistofele, e non accenna ad altro prima di sparire, ancora una volta, alle prime luci dell’alba.
 

Δ

 
Lo ricorda distintamente quel terribile vizio materno, cagione di innumerevoli pianti: stesa sul letto e ancora con l’anello stretto tra le dita, Cora fruga nella sua mente alla ricerca di una distrazione in grado di tenerla lontana dal pensiero del patto con il Diavolo. Quando era bambina, ad esempio, più e più volte era scoppiata in pianto dirotto per colpa della madre che, volendo eludere spiacevoli incontri con signorine ingioiellate, possibili amanti del padre, sgattaiolava in casa dall’ingresso domestico laterale – quello che dava sui campi – per palesarsi nel bel mezzo della sala in assoluto silenzio. Solitamente, la dolce madre, procedeva poi di soppiatto fino alle sue spalle per abbracciarla stretta – facendola spaventare a morte; altre, invece, la ignorava, turbata da qualche antico pensiero. Il loro gioco era diventato un’usanza simpatica che anche lei, da adulta, aveva fatto sua: come la madre, pure lei preferiva la compagnia delle piante silenti al chiacchiericcio becero delle signore della nobiltà vicina.
Se serra le palpebre, poi, percepisce distintamente il piacere ridente e sottile di quella volta in cui era stata lei a palesarsi alle spalle materne per un abbraccio vendicativo, causa di un urlo di spavento e tante risate.
Sì, avevano riso fino alle lacrime.

Sono passati anni oramai eppure quel ricordo, e altri mille simili a questo, diventano l’appiglio sicuro al quale Cora può aggrapparsi quando il dubbio di aver compiuto una scelta folle inizia a tormentarle il cuore.
Ha ceduto se stessa, si ripete mentre acqua fresca inizia a bagnarle la lingua riarsa.
Ha scambiato la sua vita per quella della madre, recita mentre chicchi di frutta saporiti e dolci invadono, con i loro succhi dissetanti, il corpo consunto.
La madre avrebbe fatto lo stesso per lei, si convince mentre sceglie con accuratezza l’abito da indossare per l’occasione gioiosa.
Eppure qualcosa non torna.
Le è stato insegnato che non esiste sortilegio in grado di richiamare in vita i morti, che solo il Diavolo può tentare una simile impresa, ma che egli esige sempre un prezzo terribile, troppo alto per un desiderio che mai viene esaudito in pieno. Perché il demone gioca, confonde e tormenta, sibila patti, ne intreccia di diversi e tesse tele di ragno indistricabili: le catechesi infantili, quelle a cui ha partecipato per poco, abitano ancora la parte più inconscia della sua anima e bisbigliano ammonimenti e scongiuri.
“Che sia tutto un inganno?” si domanda mentre il giorno si fa pomeriggio caldo e timori sempre più sconcertanti lacerano il cuore già provato dalla scellerata menzogna di Eusapia.
Il Maligno è perverso, oscenamente scaltro: lo sa, l’ha sempre saputo, ma anche lui ha siglato il patto, anche lui ha sottomesso l’indole feroce al contratto legittimo; non può averla ingannata, raggirata, illusa così, per diletto e cattiveria. Eppure ne sarebbe in grado, capace per indole, per natura.
Il duello mentale, silenzioso e morboso, sfinisce Cora: non ha più il coraggio di mettere in dubbio nulla, non ha la forza di far fronte ad un’altra possibile amara delusione. Meglio credere.
Per questa ragione rimane in attesa con il cuore cavalcante e, seduta rigidamente sulla poltrona della sala, contempla il pendolare ritmico del grande orologio antico aspettando pazientemente che qualcuno invochi il suo nome mentre le prime ombre oscurano il cielo.
 

Δ


“Cora.”

La voce della madre giunge improvvisa, simile ad un’invocazione lontana: è chiara e armonica, ma qualcosa, minuscolo dettaglio, la rende diversa, quasi non bella, non viva; ma freme la figlia, ignora la minuzia. Si impone di rimaner seduta e muta mentre il miracolo si realizza.

“Cora.”

Le mani gelide artigliano i braccioli della poltrona elegante: freme ancora, la giovane, ma non per gioia; il secondo richiamo giunge biascicato, storto, malato. Cora non ha l’animo di pensare, ragionare o semplicemente porsi delle domande di cui teme morbosamente la risposta.
Ma è il terzo richiamo a turbarla nell’intimo, a gelarle il sangue. Diventa, infatti, impossibile ignorare il malsano che appesta la casa e quella stessa voce, ora mormorio contorto, accozzaglia di vocalizzi storti e sofferenti, ansimati e sputati con dolore.
Ha detto ricongiungimento, il Maligno, le ha promesso un suo ritorno, Satana.
È quello il preciso istante in cui la giovane infelice comprende il piano del Diavolo, l’inganno terribile; eppure non le basta, non le è sufficiente.
Allunga una mano verso il camino e impugna l’attizzatoio mentre ode l’uscio scricchiolare e passi sghembi e zoppi muoversi verso la sua direzione. Non emette un fiato quando percepisce un respiro spezzato ammorbare l’aria buia della camera e non freme nemmeno quando due braccia consumate l’avvolgono da dietro, ricordo spettrale del gioco d’infanzia.
È sua madre quell’accozzaglia di viscere e muscoli, ma a stento reprime un conato di vomito quando l’occhio scorge le sembianze martoriate e purulente e putrefatte. È sua madre quell’essere martoriato e ricomposto contro natura, ma a stento trattiene le urla mentre il fetore della morte le si appiccica addosso, proprio come il sangue nero che ora le macchia le fine vesti, le mani, il volto.
 
“Madre, mia dolce madre…cosa vi ho fatto?”

Gliel’ha restituita, il nero signore, le ha ricongiunte, il terribile Lucifero: perverso e maligno ha mantenuto la promessa, a suo modo.
Il senso di colpa, il dolore e lo sdegno divorano il cuore, turbano la mente sfinita e guidano verso il baratro dal quale nessuno fa ritorno: basta un unico movimento violento e l’attizzatoio, brandito a mo’ di arma, spegne, ancora una volta e ancora con violenza, l’esistenza dell’essere a lei più caro.
Le mani lorde di sangue putrido stringono il ferro freddo mentre nuove urla riempiono la sala appestata:
 
“Maledetto essere! Dove vi nascondete, infido spettro? È così che mantenete le vostre promesse?”

La giovane folle non si accorge degli occhi grigi che la osservano al di là del grande specchio, occhi nebbiosi, forse tristi, magari soddisfatti, certamente consapevoli del compimento del piano spregevolmente ordito.

“Cora.”

Ecco la voce ben conosciuta, temuta, cercata e invocata con odio, mentre la disperazione acceca ogni residua lucidità.
 
“Mi avete beffata. Avete tradito il patto!”

“Avreste dovuto prestare più attenzione.”

Il gelido silenzio viene infranto da una risata isterica e consapevole: Cora osserva il demone con sguardo folle.

“Sapete, caro signore? Il peccato è condiviso. Anche voi avreste dovuto prestare più attenzione.”

Mefistofele è spiazzato, turbato quasi dalla risposta di cui non coglie il senso: a pochi passi da lei l’ammira agitarsi convulsamente nel vano tentativo di ripescare l’anello pendente dalla sottile catenina.

“Cosa avete intenzione di fare, donna?”

Stende una mano verso quella, il fremente signore dei morti, ma non fa in tempo a bloccarle le dita affusolate né ad allontanare il monile dalle labbra umide. La osserva sollevare il castone dall’anello antico e riversarne il contenuto dritto in gola.

“La mia vita non si conclude secondo natura, il mio volto non conoscerà ruga, il mio ventre non darà alla luce dei figli: muoio prima del tempo, caro signor Diavolo, mi tolgo la vita per non morire tra le vostre braccia in eterno.”

Ci mette un istante a comprendere il folle gesto, quasi lo ferisce la feroce determinazione della giovane, lo impietosisce certamente lo sguardo macabro che le illumina le iridi cupe e serra i denti feroce quando l’odore pungente dell’aconite invade le narici. È stato beffato, lui che dei tranelli è il principe, eppure l’ammira mentre le terminazioni del corpo magro vengono paralizzate; vorrebbe sfiorarla quando ode il respiro farsi prima eccitato e poi depresso, paralizzato, sulla sottile soglia dell’asfissia, ma quella lo tiene a distanza, creatura fiera e folle. Accetta da lui una carezza solo quando i primi terribili spasmi le impediscono i movimenti.

“Aconite, l’erba del diavolo. Siete una donna certamente dotata di senso dell’umorismo” le bisbiglia furioso e agitato,

“Ma sapete che sorte tocca a coloro che da soli si tolgono l’esistenza: mio è il domino dei suicidi e dei violenti.”

“Pura resto, anche tra voi bestie, e voi, Demonio, di me avrete solo l’ombra, né il tempo né l’animo vi saranno concessi.”

La afferra in un rapido movimento prima che le membra consumate si accascino al suolo prive di forza; ne sfiora la chioma brunita, accarezza la guancia gelida, ma prima che la morte, di cui lui è il signore, la strappi alla vita bastarda e infelice, ode da quella solo un bisbiglio.

“Aidoneus” dice.

“Aidoneus è il vostro nome”

Nascosto.
 
 
Δ
 

Diavolo, Mefistofele, Satana: il signore dei morti ha molti nomi.
Terribile, inquieto e algido, dal silenzio delle ombre ha bisbigliato perverse domande al cuore sofferente, ma non ha ottenuto soddisfazione.
Si reca spesso presso quella selva irta e triste: la cerca tra le ombre, fantasmi trapassati e smorti, lei che tra tutti riluce di purezza sfrontata e profuma di fiori marci. L’ammira da lontano, il giusto sovrano di quei luoghi, ne studia i movimenti, tenta di carpire i pensieri fugaci che di tanto in tanto le oscurano lo sguardo bello, perso tra i tronchi secchi e adunchi. L’ha desiderata morbosamente, ha bramato oscenamente la carne tenera e la mente fremente e, adesso, nascosto da ombre impenetrabili, ne scruta il passo, il respiro, il volto pallido. Non esiste istante in cui lui non speri che quel piede si arresti, il capo si sollevi e le labbra, solitamente dritte e secche, si incurvino per lui in sorriso dolce.
Aspetta, il diavolo, adesso aspetta paziente e non batte più il piede, non saggia più le labbra come a pregustare nuovi tormenti: è feroce per natura, il signore dei morti, non si è mai pentito dei patti osceni né delle conseguenze terribili eppure, quando succede che quel piede si arresta, il capo si solleva e solo un sguardo gelido lo trapassa, ecco che, anche lui, dubita.
 
 











L'angolo di Avareil

Gentili lettori, gentili lettrici,
è con grandissima emozione che vi presento il mio lavoro “Il dubbio del diavolo”, partecipante al contest indetto dalla cara Shilyss “Patti oscuri, alleanze di ferro e promesse vincolanti”. Come riportato in descrizione, ho scelto il pacchetto “Patti oscuri o patto di perdizione” con l’aggiunta sia del bonus A che del bonus B, giusto per fare le cose semplici semplici.
 Il dominio di riferimento è la mitologia greca, con liberissima trattazione dei personaggi protagonisti del mito del rapimento di Persefone, ovvero Persefone stessa e Ade, dio dei morti, in questa storia divenuti Cora e il demone dai molti nomi che tenta e seduce.
Ovviamente, rispondendo al requisito 1, esistono un milione di disparità tra i due: il diavolo è un essere millenario, ha molti nomi, ha vissuto infinite storie e conosce ogni cosa, a differenza di Cora, giovane signorina di una nostrana epoca Ottocentesca travolta e sconvolta dalla morte della madre. Il 
dislivello, però, è anche un altro, più sottile: Cora ha imboccato la via della follia e della denutrizione consapevole, a differenza del Diavolo che è sempre lucido, anche se frenetico.
 La ribellione, requisito 2, sta tutta, invece, nel tentativo di scendere a patti col maligno messo in atto da Cora durante la seconda notte. Vuole far ragionare il diavolo e pesa le parole con grande cura: se il demone la vuole ingannare, lei, invece, anche se in parte inconsapevolmente, pone le basi per un contro-inganno incarnato in quel secondo natura che sfugge al demone, a sua volta sedotto.
 Tutti i momenti salienti della storia hanno luogo di notte, nell’ora più nera e oscura. Requisito 3.
 Il bonus A scelto è l’anello, oggettino di famiglia tramandato di generazione in generazione, di madre in figlia. La storia dell’anello, di cui alcuni tratti vengono taciuti nel corso del racconto, è profondamente legata alla solitudine patita da tutte le donne della famiglia Terrafranca: Demetria, infatti, accetta di rimaner senza l’uomo di cui è innamorata pur di non vedersi umiliata dai tradimenti, proprio come sua madre, e sua madre prima di lei. Sono donne sole, preferiscono la solitudine al dominio maschile e ciò si sposa con il rancore che nutre Cora nei riguardi del piccolo borgo nel quale abitano, intriso di becera ignoranza. Il veleno in polvere che l’oggetto rivela è l’emblema ultimo di una condizione di vita scelta con criterio: a un’esistenza sottomessa, le donne Terrafranca preferiranno sempre la morte o la solitudine. Esso, inoltre, è sempre presente nei momenti chiave del racconto, cesura degli istanti che segnano il degenerare folle della ragazza: ella lo sfila dal dito rotto della madre, lo bacia anche se lordo di sangue, lo porta al collo con fare morboso e con esso sigla il patto demoniaco.
 Ed infine il bonus B, il più esaltante: il patto non deve essere rispettato.
La figura di Cora è molto complessa: è giovane e determinata ma sfinita; ha subito il trauma della morte materna, ha dovuto riconoscerne il corpo, ricomporlo, rivestirlo e, stravolta, è caduta tra le braccia di Eusapia Palladino, sensitiva menzognera che, con false promesse, la inserisce nel circuito delle danarosissime sedute spiritiche, ovviamente inconcludenti. Al dolore del lutto, quindi, si somma il rancore verso se stessa e chiunque percepisca come nemico menzognero. Soffre una pena inguaribile e quando una nuova speranza, anche se generata da un patto con il maligno, la anima nuovamente, non può non sperare. Per questo motivo, all’ennesimo tradimento, imbocca la via del suicidio. Non può tollerare più alcun tipo di sofferenza: sa di aver fatto male a se stessa e teme di aver recato dolore anche a quella sorta di corpo ricomposto che è la madre, richiamata dal mondo dei morti solo per patire altri dolori. Se il diavolo avesse mantenuto la sua parola, lei avrebbe fatto altrettanto. Ma così non è: per questo si toglie la vita e spezza il patto.
Un piccolo richiamo, infine, anima la conclusione del racconto: Cora, anima sfuggente, non presta attenzione al signore dei morti. Lo ignora proprio come Didone fa con Enea nell’Eneide; solo che se Enea finge di non sapere di averle recato tanta sofferenza e implora il perdono, il diavolo, invece, è assolutamente conscio delle proprie malefatte ma, per la prima volta, dubita di sé.

Toni macabri, dunque, colorano il mio ritorno sulla scena del crimine: EFP. ^^'
Sperando che il racconto vi sia piaciuto e abbia, in qualche modo, smosso un'emozione, vi saluto con grandissimo affetto.
Avareil

 
  
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