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Autore: _Kalika_    21/02/2019    1 recensioni
La ciurma di Barbabianca passa una serata a divertirsi su una pista di pattinaggio.
Izou si scopre totalmente incapace di pattinare, ma forse non tutti i mali vengono per nuocere.
Avanzare come se stesse camminando normalmente. Spostare il peso sul piede dietro, facendolo spostare lateralmente. Mantenersi sempre chinato in avanti per non finire con il culo sul ghiaccio.
Poteva farcela.
***
*Fan Fiction partecipante al Sfiga&CRack's Day indetto dal Forum Fairy Piece*
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Izou, Marco
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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*Fan Fiction partecipante al Sfiga&CRack's Day indetto dal Forum Fairy Piece*

 

 

Questa la dedico a Rinni e Romani, anche se probabilmente non la leggerete mai. La storia originariamente aveva voi due come protagonisti; era nata subito dopo l'uscita a Porta di Roma prima di Natale per soddisfare le fantasie mie e delle altre ragazze, dato che ci eravamo rimaste male a causa dell'assenza di Rinni. Vi vogliamo bene, sappiatelo, ma soprattutto vi shippiamo tanto! 

 

 

Kiss on Ice

 

Avanzare come se stesse camminando normalmente. Spostare il peso sul piede dietro, facendolo spostare lateralmente. Mantenersi sempre chinato in avanti per non finire con il culo sul ghiaccio.

Izou si morse la lingua esasperato senza riuscire a staccare gli occhi dai pattini che indossava ai piedi e che, a quanto ne dicevano, erano lo strumento ideale per rimanere in equilibrio su una pista di pattinaggio. 

Una mano aggrappata alla testa di un pinguino di plastica storpio che gli sorrideva sfacciato e sembrava dirgli: “Ma come, non riesci neanche a tenerti in piedi?”, l’altra saldamente aggrappata al bordo della pista, la testa ora alzata alla disperata ricerca di aiuto, e internamente si chiedeva se esistesse un modo per cambiare posizione senza trasformarsi in un pupazzo di neve di seconda mano. 

Haruta gli volò accanto, rispondendo alla muta domanda. “Non tenere i piedi paralleli tra loro, altrimenti non riesci ad avanzare.” 

E grazie tante. Adesso sì che si sentiva più sicuro. 

“Come fanno gli altri a stare in equilibrio così facilmente?” E lo sguardo vagava tra Vista ed Ace, che sfrecciavano da una parte all’altra senza difficoltà, tra le ragazze del gruppo, che a piccoli gruppi si davano una mano a vicenda, e tra Satch e Jozu che, pur con la grazia di elefanti sui trampoli, facevano del loro meglio. 

“Ad alcuni viene naturale.” 

“A me no” 

Haruta si strinse nelle spalle, alternando lo sguardo dal compagno al resto della pista. “Allora serve un po’ di pratica. Appoggiati al pinguino e staccati dal bordo.” 

Non era esattamente un consiglio ispirante, ma prima che Izou potesse commentare Haruta si era già smaterializzato diversi metri più in là. Si girò verso di lui e fece segno di raggiungerlo. 

Okay. Niente di impossibile. 

Con un movimento rapido portò entrambe le mani sul pinguino, guardò i suoi piedi, poi Haruta – non era poi così lontano – e poi di nuovo i piedi. Prima ancora che potesse formulare un altro dubbio, si lanciò in avanti. Un passo, poi l’altro, e mettendo insieme i vari consigli racimolati fino a quel momento, la cosa sembrava funzionare. 

Non riusciva a guardare avanti e in contemporanea muoversi, ma funzionava. Curvò, macinò qualche altro passo, e non cadde. Haruta si era allontanato, ma comunque non era più l’obiettivo.  

La tecnica era imperfetta e gli consentiva di muoversi lentamente, ma era lo stesso una soddisfazione enorme. Accennò un sorriso mentre coordinava un passo meglio dei precedenti. Forse avrebbe anche potuto abituar... 

“Attento!”  

Prima che potesse capire da dove provenisse l’urlo, qualcosa – qualcuno – si scontrò contro il suo pinguino, strappandoglielo brutalmente dalle mani. Izou si inclinò tragicamente, mulinò le braccia in cerca di appiglio, e perdendo definitivamente l’equilibrio cadde in avanti chiudendo gli occhi. 

Quando li riaprì, ancora stordito, sentì che qualcosa non andava. Era caduto, sì, ed era disteso, ma non sentiva il freddo del ghiaccio. Anzi era sdraiato su qualcosa di caldo e se si concentrava... Menta? Sì, era odore di menta. 

Impossibile non riconoscerlo dall’ultimo indizio. Prima ancora di abbassare lo sguardo, sapeva di essere steso sopra Marco. 

Qualcosa scattò nella sua testa, e lo lasciò impallato per qualche secondo. Cosa doveva fare? In confronto al gelo che sentiva prima, il corpo di Marco era caldo. Che senso aveva allontanarsi? 

Ma no, qualcos’altro – probabilmente il raziocinio – gli suggeriva di alzarsi, e anche in fretta. Tentò infatti di farlo, ma più volte le ginocchia, invece di sostenere il movimento per alzarsi, si limitarono a scivolare sul ghiaccio seguendo la linea delle gambe della fenice. 

Al terzo tentativo andato a vuoto, Izou sbuffò e abbassò la testa, riprendendo fiato. Marco non si muoveva, ancora intrappolato dal corpo dell’altro.

Il moro sentì qualcosa mandargli a fuoco le guance mentre guardava il volto dell’altro, preparandosi a parlargli e dirgli che davvero, per quanto si sforzasse, non aveva la più pallida idea di come scostarsi di dosso e rialzarsi. 

E fatto questo, socchiuse appena gli occhi. 

Normalmente, Marco si sarebbe scansato in silenzio. 

Normalmente, pur aiutandolo magari ad alzarsi, pur sorridendogli, avrebbe mantenuto quel suo alone di freddezza che lo distanziava da tutti. 

Normalmente, avrebbe avuto un’espressione atona in viso, come se fosse semplicemente disinteressato alla sua presenza. 

E normalmente, Izou avrebbe dovuto faticare e avrebbe dovuto ritirare a forza dalla sua memoria tutti quei momenti in cui Marco aveva dimostrato di volergli bene, in cui l'aveva chiamato fratello, amico, perché senza di quelli avrebbe perso le speranze già da molto tempo. 

Normalmente, il cuore di Izou avrebbe subito un colpo senza neanche saperlo, e avrebbe continuato a testa bassa sulla strada che non sapeva di aver intrapreso. 

Invece Marco rise. 

Forse perché era stata una serata stupenda, forse perché si stava davvero divertendo, forse perché in fondo gli faceva piacere quella situazione, Marco iniziò a ridere apertamente, rabbrividendo per il freddo e rosso in volto, e forse senza neanche accorgersene una sua mano si era aggrappata al braccio di Izou. 

E Izou lo osservò, e in cuor suo non sapeva se essere felice o stupito. Lo osservò fino a che un pensiero non gli attraversò la mente. Lo osservò, iniziando a ridere a sua volta, fino a che non si accorse che le labbra di Marco erano rosse, carnose. Erano invitanti. 

E tutto il suo volto sembrava un invito, la bocca semi aperta, gli occhi socchiusi, la faccia arrossata dal freddo. E Marco sbattè rapidamente gli occhi e le ciglia si mossero ipnoticamente, e Izou voleva soltanto avvicinarsi il più possibile a tutto ciò. 

Chiuse gli occhi mentre in un soffio azzerò la distanza tra le loro labbra. Un tocco leggerissimo, battito d’ali d’una farfalla, perché anche se aveva paura – in quei pochi istanti, sussultò al pensiero – voleva dare la possibilità a Marco di spostarsi, se l’avesse voluto.  

E tremò di paura mentre si avvicinava, mentre lo sfiorava, e Marco rimaneva immobile, come se non fosse successo niente. Izou non voleva staccarsi, non poteva, non lo fece, ma per tutta l’eternità di quei pochi secondi sentì la paura e il rimorso dilaniargli le vene. 

Ma perché l’aveva fatto? Già si pentiva, già lo sapeva, e già si preparava a scusarsi – e Dio, gli sarebbe costato tutto l’oro del mondo -, quando le labbra della fenice si mossero e risposero. 

Un altro secondo ancora, e una sua mano accarezzava il collo di Izou e lo esortava ad avvicinarsi di più. 

E poi, dopo aver ripreso fiato, le loro labbra erano di nuovo incollate. E la pista, il ghiaccio, quei dannati pattini e anche il pinguino irriverente sembravano spariti mentre il moro schiudeva appena le labbra e le loro lingue si toccavano, prima sfiorandosi timidamente, poi intrecciandosi sinuose, esplorandosi, e ancora si staccavano e poi si rincontravano, e uno mordeva il labbro all’altro, e un lieve gemito si spargeva nell’aria. 

Si allontanarono e quando i loro occhi si incontrarono risero entrambi, i volti rosso fuoco. E mentre finalmente riuscivano a rialzarsi da terra continuarono a ridere. Quanto era durato tutto ciò? Trenta, forse quaranta secondi, nessuno si era accorto di niente, e Izou e Marco ridevano ancora. 

E sembrò un sogno quando il moro perse di nuovo l’equilibrio e Marco lo riprese e lo attirò a sé, e senza che nessuno chiedesse niente lo abbracciò. Non si erano detti una parola, ed il silenzio comininciava a pesare. 

“Vuole una mano per imparare a pattinare, signore?” Propose Marco con tono quasi beffardo, con un sorriso etereo, porgendogli una mano come appiglio. 

Izou la prese e se la portò alle labbra. “Con molto piacere”

   
 
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