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Autore: Rossini    22/02/2019    0 recensioni
Prosegue la saga de "Le cronache dei draghi e dei re", cominciata con "L'apprendista di fuoco". Il sistema è ormai sovvertito: la pace che per secoli era perdurata, adesso è stata interrotta da una serie di trame, guerre e rivolgimenti che hanno persino portato al ritorno di un'antichissima dinastia. Ma i fratelli del re appena deposto sono ancora tutti in circolazione, per quanto sparsi su tre continenti. Spetta dunque al nuovo sovrano Targaryen gestire questa complessa situazione, che diviene ancora più ingarbugliata pensando alle misteriose e oscure energie che all'est e all'ovest risorgono sotto forma di vita e fiamme. Esiste forse qualcosa che i Sette maghi del passato più ancestrale, col tempo decaduti e divenuti schiavi, nascondono a tutti i partecipanti - nessuno escluso - di questo ennesimo e disastroso gioco del trono?
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: Non-con, Spoiler!, Tematiche delicate
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Capitolo 23

COLPA DEL DRAGO

 

 

 

Il sapore del risveglio, per Xenya l'esploratrice, ebbe un gusto di sale e sabbia. Erano anni che navigava: e per anni una roba del genere non l'aveva mai vista. Una volta, da ragazza, pure le era capitato un naufragio per via di un'avaria, ma si trattava di un piccolo battello neanche la metà della nave con la quale si era appena lasciata alle spalle il nuovo continente: oppure non l'aveva lasciato?

Lei era un tipo duro, reattivo. Ci mise pochi secondi, una volta rinvenuta, a mettersi in piedi con tutta la foga di una combattente, di una donna-drago. Continuò a tossire e a sputare acqua ancora per diversi minuti. C'era anche un po' di sangue, anche se non in una quantità che avrebbe definito preoccupante. Dopodiché mise a fuoco la situazione: era in una zattera. E accanto a lei, per fortuna, l'amico di una vita, il fratello, il suo secondo che in realtà era primo tra i suoi affetti: il dolce caro Jorando. Gli chiese: «Per quanto sono rimasta senza sensi, signor Pashamanyna?»

«Non saprei dirlo, mi spiace»

«E... dove siamo?»

«Di ritorno verso il nuovo continente. Più o meno abbiamo concordato che fosse la scelta migliore: si vede la terra già». Xenya si voltò verso la direzione indicatagli dal suo navigatore. Quest'ultimo gli passò un cannocchiale, lei lo afferrò, ci mise dentro l'occhio e sì vide che la terra era ormai a poche miglia. «È un disastro» commentò. Poi proseguì: «Quale l'entità del danno?»

«La flotta» fece Pashamanyna piano, amareggiato, «È affondata»

«Tutta?!»

«Tutta. Rimangono solo queste due scialuppe... che, come vedi, non sono neanche al massimo della capienza». Xenya rivolse lo sguardo ancora una volta verso una direzione indicatagli da Jorando: era forse ancora presa un po' dal sale, e doveva ammettere di non vederci benissimo. Vide infine l'altra scialuppa che solcava le onde, adesso tranquille, orientata nella loro medesima direzione. Annuendo disse dunque: «Quanti sopravvissuti in tutto?»

«Ventidue qui. E ventuno nell'altra imbarcazione»

«Mh...»; Xenya non voleva farla quella domanda: la risposta la terrorizzava. Ma pensava che avrebbe avuto una brutta risposta per una valida ragione: Lady Mirietta non era lì con lei. Ingoiò il rospo e fece ancora al suo secondo: «Dov'è la principessa?»

«Lei... non... non era tra le persone che abbiamo avuto modo di recuperare in mezzo ai relitti, mi dispiace»

«Era» provò ancora Xenya, quasi senza parole, «Era con me quando è successo... con me e con l'altra ragazza, Daessenya»

«Sì, ce lo ha detto anche lei. Daessenya, dico. Lei è sopravvissuta. E anche il principe Marcus, anche se... comprensibilmente al momento non ci sta molto con la testa».

Xenya restò in silenzio: quel ragazzo aveva appena perso una sorella più piccola di lui. Non era curioso che fosse probabilmente un po' fuori di sé. La curiosità vera invece, la domanda delle domande, fu: «Jorando... ma che diavolo era quel coso? In anni di navigazione, io...»

«E neanch'io, mia signora... Si... si di-direbbe...» neanche voleva dirlo. E neppure lei voleva. Mostri di quel genere appartenevano solo alle leggende, e leggende di quelle brutte. Leggende di quelle che narravano di equipaggi che alla fine dei loro viaggi affondavano tutti. Come d'altronde era successo anche a loro. Era esistita un'importante vecchia dinastia del Westeros, una volta, che si era perfino permessa di mettere quel genere di demoni sui loro stessi emblemi. E di venerarli come se fossero dèi, e non invece animali tra i più rari e pericolosi del mondo. Xenya non ricordava il nome di quella dinastia, non era mai stata chissà quale cima in storia.

Mentre osservava le increspature del mare ormai in bonaccia, l'esploratrice si perse un po' nell'infinito dei suoi spazi profondi. Tanto determinata e sicura si sentivs per il suo nuovo futuro nel Westeros, tanto più quel “semplice” evento naturale le aveva sconvolto qualsiasi piano mentale. Che cosa avrebbero fatto ora nel nuovo continente? Quale sarebbe stata la decisione migliore? E con Daessenya e il principe Marcus? Avrebbe dovuto mantenere quel rapporto di amicizia che la legava alla scomparsa Lady Mirietta, o poteva fare come faceva di solito: prendere baracca e burattini, smontare e andarsene via da sola, con Jorando? Per qualche ragione, quest'ultima cosa – che era quello che normalmente avrebbe fatto – non le piaceva. L'affetto per quella ragazzina l'aveva cambiata fino al punto di farla sentire come se le dovesse qualcosa. Lei. Una lupa di mare, una che con tutte quelle cose di regni e politica non ci masticava assolutamente niente. Eppure abbandonare il principe nel momento del bisogno era un'opzione che più ci pensava più sentiva che doveva scartare. La piccola Mirietta era riuscita a compiere almeno questo piccolo miracolo.

«Il principe Marcus...» disse a un certo punto Jorando, un po' dal nulla, «All'inizio diceva che non intendeva rassegnarsi. Che, una volta ristabilite le forze, avrebbe preso la sua chimera e cominciato a scandagliare l'oceano finché non avesse trovato la principessa»

«Uh» commentò Xenya: non c'era molto da aggiungere, lei non aveva mai perduto una sorella; magari tutti al posto di Marcus avrebbero sparato una simile fandonia.

Ma Jorando le disse ancora: «E poi, il principe... nella sua confusione dovuta al lutto, ha detto un'altra cosa...»

«Sì?»

«Lui... accusa il drago della tragedia avvenuta in mare»

«Il drago?».

 

 

 

Tutti gli ospiti di Lord Goldsmith a Braavos erano temporaneamente stati alloggiati in una sorta di piccolo villaggio privato, tutto di tufi e marmi e con persino l'accesso a una sorta di baia privata. Tuttavia, sebbene piccolo e abitato sostanzialmente da nobiluomini e dai loro soldati (o, nel caso dei Gaholla anche delle loro famiglie), non poteva neanche dirsi che Panecha, Baelish, Loackland e Gaholla risiedessero esattamente vicini. Ciascuno di loro aveva infatti a disposizione una piccola magione e visto che tali magioni erano a loro volta intervallate da scalinate, strade e piazzole interne, si poteva benissimo dire che ognuno potesse godere serenamente del proprio diritto al privato. E l'aspetto privato in queste cose era determinante: non tutti davvero pensavano quello che dicevano a quelle riunioni o dicevano davvero quello che poi avevano intenzione di fare. Era giusto così: faceva parte del gioco della politica e ciascun giocatore ne era al corrente, tranne forse – Sawela avrebbe detto – quei poveri Gaholla che erano più che altro dei pesci fuori dall'acqua in una rete troppo più grande di loro.

Tutto questo significava che anche lo stesso ex Tribuno Popolare Garhel Sawela, pure declassato al ruolo di guardia del corpo del delfino del Lord di Marrah, non poteva che essere isolato da qualsiasi fattore esterno. Inoltre chiaramente, con la scusa del dovere di guardargli il figlioletto –come da troppo tempo, volente o nolente, già Garhel faceva – Lord Justus imponeva a Sawela una sorta di “vicinanza particolare”. Non poteva mica allontanarsi dalle stanze del principino senza il principino: gli dèi ce ne scampino, fosse successa qualcosa, finalmente Lord Justus avrebbe avuto la scusa di prenderlo, scuoiarlo vivo e metterci il sale. Eppure tutto ciò non impedì a qualcun altro di visitare Lord Sawela, in un momento del suo privato a dir poco inopportuno, con tutta l'indiscrezione che contraddistingueva i dannati nobili Lord dell'occidente, e pure con un fastidioso sorrisetto sotto il baffo da sparviero.

«Lord Baelish» fece Garhel, che era un uomo tutto d'un pezzo e, anche se colto alla sprovvista, non intendeva fare la figura dello sprovveduto. Sostanzialmente Baelish gli apparve da dietro a una tenda; niente di sorprendente: tutti gli edifici di quel genere avevano dei passaggi segreti e a Roccia del Re Baelish era uno di quei due o tre che li conosceva tutti. L'unica vaga forzatura era che conoscesse anche quelli di un edificio nuovo come quello: ma niente di così sorprendente.

«Lord Sawela» salutò il politico della Valle di Arryn, gentile e mellifluo come sempre.

«A cosa devo... questa tua improvvisata?»

«Dovrai ammetterlo mylord: sebbene per anni abbiamo frequentato i Concili Ristretti di Lionel, invero non abbiamo mai avuto un vero e proprio confronto diretto, io e te»

«Sì, lo ammetto. Ora ce l'abbiamo. Che cosa vuoi?»

«Comincio col dirti che trovo la tua storia, sia nei suoi passaggi più noti e rinomati, sia in quelli leggermente più “edulcorati”, davvero una storia da invidiare»

«Sì? Anche quella parte di storia in cui Panecha ammazza mia moglie, i miei figli e buona parte dei miei amici e conoscenti, e poi mi riduce a galoppino personale di suo figlio? So che conosci anche questa...»

«No, chiaramente» fece Lord Petyr della Valle, serissimo, «quella la depreco con tutto il mio cuore. Ed è anche per questo che sono qui, mylord»

«Non sono più un Lord, Lord Baelish»

«Oh, certo che lo sei. Chiedi alla gente di Marrah o di Myr o di Pentos. Tu sei un uomo dei loro che s'è fatto Lord, Lord Sawela e questo non solo è un dato innegabile ma... anche da sfruttare»

«Non c'è più niente da sfruttare, signore. La mia vita è finita con l'incendio del Formicaio». A questo punto Baelish rimase silente. Rispettoso, ma comunque contrariato. Probabilmente non si aspettava una chiusura così totale da parte del vecchio Tribuno, ragion per cui decise di scoprirsi insistendo ancora: «Ti voglio con me alla Valle, Sawela. Proprio perché sappiamo entrambi che servire Panecha non è nelle tue corde, direi che quest'occasione che ti propongo sia vantaggiosa per entrambi»

«Da te? Sempre come galoppino?»

«No, affatto. Come ospite. E come consulente militare. Vedi, questo è un ruolo che al momento mi è particolarmente necessario: ho idea che molto presto la necessità di armi e di chi sappia usarle si sposterà sull'altro continente. Forse addirittura prima che questa vostra... draghessa di Valyria si decida a mettercisi definitivamente contro. D'altro canto: non l'ha fatto per millenni, perché dovrebbe cominciare ora? Io invece ho molta fretta: partirò al più tardi domani mattina. Gli affari del Westeros mi attendono»

«Mylord, noto una certa sfiducia nelle tue parole. Che, forse, hai perso fiducia nel tuo vecchio amico Justus? O è la parte di storia che parla di “draghi” e insospettirti?»

«Veramente io mi fido» sorrise il Lord della Valle «Però...»

«Ti interrompo, Lord Baelish: non servono altre parole. La tua offerta mi onora e mi incuriosisce, davvero. Chissà quali sono questi impellenti affari che ti costringono a un così prematuro rientro a casa. Davvero: verrei. Ma, per quanto io detesti la situazione, bisogna però che ammetta che tra fare il servo a casa mia o a casa di qualcun altro, allora preferisco farlo a casa mia»

«Non capisco cosa vuoi dire»

«Justus mi dà da mangiare, da bere e da dormire. Tu mi daresti da mangiare, da bere e da dormire. Io odio Justus, ma non odio te. Tuttavia, con Justus io vivo nel sole e nel mare di casa mia. E per troppo tempo ci sono rimasto lontano. Perdonami, mio signore, ma un luogo gelido come so essere il tuo castello... non è più una meta in cui mi sento di dimorare. È chiaro ora?»

«Sì, ma...». Inutile: Baelish era il tipico politico del Westeros, anzi era fra i migliori. Non avrebbe concluso quella conversazione facendosi dire di no; le cose erano due: o Garhel lo buttava via a calci nel suo ben rivestito deretano, oppure doveva accadere un imprevisto. E un imprevisto in effetti accadde.

Un urlo squarciò il velo di silenzio in cui la tarda notte aveva gettato tutti gli abitanti del villaggio privato, momentaneo alloggio degli illustri ospiti di Lord Goldsmith a Braavos, il Lord banchiere. Un urlo di morte. Vicino, molto vicino. Garhel si affacciò: il fatto era avvenuto poco lontano dalla sua finestra. Un uomo era stato appena ferito a morte; un altro gli stava davanti, con le spalle verso la finestra di Sawela, e brandiva un pugnale. L'istinto da eroe di Sawela lo tradì: lui in fondo era davvero quello di cui le ballate parlavano. Non era proprio nella sua natura starsene con le mani in mano mentre sotto la sua finestra stava avvenendo un crimine. Comunicò a Baelish: «Qua sotto!», poi in pochi secondi studiò il modo più rapido per raggiungere il luogo del delitto e arrestare il sicario, si lanciò dalla finestra e mediante una complessa acrobazia di appigli e piroette raggiunse subito la vittima e il suo aggressore.

Quest'ultimo si girò verso di lui. Puzzava di vino scadente e ascelle mai lavate. Il pugnale, era di una fattura forse perfino più di bassa lega dello stesso aggressore. Costui aveva pochi denti lerci; più lerci erano i capelli grigi. Disse solennemente: «Questo è per mano di Constant Lannister, l'unico vero re!». E poi si trafisse anche lui mortalmente. Garhel gli andò incontro, cercò di bloccare la ferita alla gola per come meglio potesse, ma... il sangue continuò a sgorgare assai copioso e in pochi altri istanti anche quel folle ubriacone raggiunse l'altro mondo.

Senza dunque poter fare ormai nulla per il pugnalatore, Lord Sawela decise quindi di osservare le condizioni del pugnalato. Era ancora più morto di quell'altro. Tuttavia, differentemente dal suo aggressore, non puzzava e i suoi abiti erano di una fattura assai superiore. Ed era anche Lord Loackland, la serpe a tre teste. Sawela fece appena in tempo a riconoscere l'importante politico dell'Essos, che qualcos'altro ancora attirò la sua attenzione. Un piccolo colpo, soffuso. Come di qualcuno che si sia scoperto per un attimo dal suo nascondiglio, e poi abbia cercato di fare il disinvolto. Garhel si avvicinò quindi a una misera porticina di legno lì accanto, una di quelle che davano sulle cucine, e... la aprì di scatto. Vennero giù due ragazzetti dall'aria impaurita. Anche loro ben vestiti. Anche loro culi nobili.

Era strano che i due ragazzetti aristocratici, di cui la faccia di uno dei due a Sawela non risultava neanche poi così poco familiare, si trovassero in quel luogo desolato in quel momento. Primo, perché il villaggio era sostanzialmente tutto addormentato. E secondo perché posti come le cucine o le cantine di solito, la notte, risultavano ancora più spettrali che altri. La meraviglia e il sospetto presero ancora di più il vecchio Tribuno Popolare quando alla fine focalizzò chi fosse il ragazzo già conosciuto: era Poll, il delfino dei Gaholla. Tuttavia Garhel fece appena in tempo di dire: «Ma tu che ci fai...» quando venne interrotto da un'altra voce, ben più roboante e strafottente della sua. Una voce che se ne stava altamente fregando dell'ora della notte che in verità era.

«MA CHE COSA SUCCEDE QUI?!» esclamò l'energumeno, uno dei gaglioffi di Lord Goldsmith: fra i più alti cavalieri presenti alla baia. Poi, a poco a poco ma repentinamente, dietro di lui si presentò la metà dei residenti: più di una dozzina di cavalieri, più di una ventina di membri del personale ed altri soggetti autorizzati a bazzicare il luogo, e poi i Lord: Baelish, Goldsmith e Panecha col principino, e Lady Gaholla con almeno la metà delle sorelle di Sir Poll – il cavaliere smunto – le quali sciamarono subito attorno al ragazzo, cercando di strapparlo via dal luogo del delitto. Il cavaliere alto, quello con la voce roboante che per primo era sopraggiunto, non lo permise. Furono le sorelle galline a raggiungere il giovane cavaliere pallido, ma non riuscirono a trascinarlo verso il resto della mischia. Disse il Sir dei Goldsmith di cui Garhel non conosceva il nome, solennemente: «Ferme lì, madame. Ho visto chiaramente questi tre uomini aggirarsi vicino ai cadaveri freschi di Lord Loackland e di questo... popolano»

«No, un momento» fece Sawela, allarmato, «Non è così che è andata!»

«Mi spiace, Lord Sawela» ribatté l'uomo con la tigre sullo stemma, che evidentemente conosceva molto bene l'ex Tribuno, più di quanto Garhel non conoscesse lui, «Ma è quello che ho visto»

«Che siano messi alle carceri!» esclamò a questo punto qualcuno dalla folla, evitando palesemente di metterci la faccia. E un altro: «Giusto. In attesa di capire quello che è successo!»

«...che è successo!» ripeté l'energumeno dei Goldsmith, avvicinandosi a Sawela e concludendo, rivolto a tutti e tre i “sospetti: «Vi prego, signori, di non fare resistenza. Se siete innocenti, sono sicuro che tutto sarà chiarito a vostro beneficio». Naturalmente Garhel aveva la sensazione che quelle parole fossero maggiormente rivolte a lui che al cavaliere smunto; e d'altro canto, fu verso di lui che il cavaliere testimone mosse il primo timoroso passo, guardandolo con soggezione.

Sawela rinunciò alla resistenza: da una parte, credeva parzialmente in quello che gli era appena stato detto; era vero che a volte si mettevano in scena teatrini per condannare determinati soggetti, ma primo: normalmente questi soggetti erano di solito di basso rango, e secondo: lui era il protetto di quello che forse era il più potente in assoluto fra i presenti in quella dannata baietta di marmi e tufi. D'altra parte: non aveva nulla da nascondere, e non comprendeva come mai potesse succedere che qualcuno fosse in grado di dimostrare il contrario. Un piccolo pensiero tuttavia, nel momento dell'arresto gli sovvenne. «Lord Baelish!» chiamò. E poi ripetendo più forte: «Lord Baelish!». Eppure un testimone avrebbe potuto essergli utile: il fatto che fosse sicuro che tutto sarebbe andato bene, non lo metteva nella posizione di potersi permettere di rinunciare a eventuali “bonus” a lui favorevoli. Dunque ripeté per la terza ed ennesima volta: «Baelish!». Niente da fare, il nobile dell'occidente fece orecchie da mercante. Peggio: fece orecchie da nobile dell'occidente, forse il peggior tipo di orecchie al mondo, quando ti serve una mano.

 

 

 

Il principe cavaliere Marcus della Casa Lannister non intendeva rassegnarsi. Sua sorella Mirietta non era il tipo che moriva. E men che meno in mezzo ad altre centinaia di persone. E ancora meno a mollo in acqua: Mirietta era una nuotatrice provetta fin da quand'era una marmocchietta. Se Marcus non si sbagliava, lei era stata la più precoce della famiglia a imparare sia a nuotare che a camminare. Questo significava che Mirietta in verità doveva esser lì da qualche parte in attesa di un aiuto!

Per questo motivo, Marcus Lannister aveva fatto su e giù tra la spiaggia e il mare – ora piatto – per ore. Lo voleva fare a volo di chimera questo lavoro, ma la tempesta aveva spossato Shirley come chiunque altro, e lui non se la sentiva di imporre pure alla sua amica alata questo sacrificio, che in effetti riguardava precipuamente la sua persona. Era lui il fratello maggiore, e lui doveva trovare la piccola. S'immerse dunque, poi tornò, si riposò, e poi s'immerse di nuovo, per un numero di volte che non ebbe il pensiero di contare. Non pensò ad altro, non considerò nient'altro. Ci mise davvero più di mezza giornata prima di ammettere a se stesso che probabilmente quel coso coi tentacoli sua sorella se l'era portata giù negli abissi più profondi. E che quindi c'era ancora poco da cercare. Pianse come forse mai aveva fatto nella sua vita. Si disperò come forse mai aveva fatto nella sua vita. Dopodiché cominciò a ragionare: per un po' prima la sua mente lo portò a speculare sui kraken. Sul fatto che probabilmente da secoli non se ne sentivano più notizie, ragion per cui la gran parte degli intellettuali del Regno li aveva ormai bollati come “estinti”, decisione in particolar modo sancita dai savi della Cittadella, il che significava praticamente verità assoluta. Ma i savi della Cittadella si sbagliavano. Si sbagliavano sui kraken come si sbagliavano sui draghi, e ancor di più su draghi in grado di parlare, raccontar storie, imporsi su una genia di umani come loro padroni e signori. Robe che appartenevano più al mito che alla speculazione scientifica, e che dunque avevano questa cosa in comune. Sia il drago che il kraken erano creature millenarie. Questo naturalmente non bastava a giustificare un legame che, invece, nella testa del giovane principe stava divenendo via via sempre più chiaro. Fin'ora si era trattato di meri sospetti, speculazioni suggestive ma poco probabili. Eppure il drago aveva detto e ripetuto che non desiderava che Marcus, Mirietta e gli altri tornassero a dirigersi verso il Westeros. Marcus lo ricordava bene: Kyrios era parso particolarmente insistente in questa richiesta, e schiumante di rabbia una volta saputa la decisione definitiva da parte del principe e della piccola principessa. Ecco perché, secondo Marcus, aveva comandato al suo servo tentacolato di attaccare la flotta e... ucciderli tutti.

«Questo non ha senso!» esclamò quella insopportabile esploratrice amica della sua defunta sorella, inseguendolo mentre in tutta fretta lui si stava inerpicando tra le rocce con tutta l'intenzione di raggiungere l'antro del drago. Poi continuò: «Con la flotta, sono morti anche un mucchio di suoi figli e figlie: non l'avrebbe mai permesso! Lui stravede per loro!»

«Sì, questo è quello che dice»

«E invece? Come credi che sia, sentiamo?»

«Io dico che il suo obiettivo, per qualche oscura ragione, fosse non farci arrivare al Westeros. Ad ogni costo»

«Nah, non è così. E poi non pensi a un'altra cosa: se davvero non avesse voluto farci partire, potente com'è, ci avrebbe direttamente divorato no? O ordinato a qualcuno dei suoi di sgozzarci tutti nella notte. Non ha fatto niente di tutto ciò, Marcus. Ragiona, ti prego». Dicendo questo, Xenya lo aveva raggiunto e costretto a voltarsi verso di lei e guardarla dritto negli occhi. Era tutto il contrario di quello che una donna doveva avere per attrarlo. Però era sincera e.... aveva ragione. O meglio: aveva torto, ma Marcus non aveva una buona risposta per smentire quello che aveva appena sostenuto. Quindi le diede nuovamente le spalle e tornò alla carica verso Kyrios. Era lui quello che doveva dargli delle spiegazioni.

«DRAGO!» urlò una volta dentro la caverna. Ripeté: «DRAGO! Dove sei?». Si fece attendere un po', il bastardo. Dopodiché venne fuori, nella sua forma umanoide: la forma che teoricamente avrebbe dovuto rassicurare un osservatore umano e che invece era perfino più terrificante rispetto a quella simile a un grosso rettile con ali e scaglie. Non riusciva proprio Kyrios a sembrare umano, e quell'aspetto, quando lo assumeva, sembrava quello di un rettile con le ali e le scaglie che però si sforzava di apparire umano, riuscendoci poco e male. Gli occhi poi non cambiavano affatto: quelli di un demonio; in altro modo il principe cavaliere non avrebbe saputo descriverli.

«Dunque, siete sopravvissuti» fece l'essere millenario, rivolto evidentemente sia a Marcus che all'esploratrice: gli unici altri due presenti dentro quell'antro.

«È così!» esclamò adirato Marcus, fuori di sé, «Se ci vuoi morti, dovrai farlo tu personalmente!»

«E quanti dei miei figli... sono riusciti a sopravvivere?»

«Cosa importa! Sacrificheresti anche loro pur di ottenere ciò che vuoi!»

«Ciò che voglio?»

«Già. Tenerci lontano dal vecchio continente. Non farci tornare a casa nostra!»

«Mio caro principe, di quello che voi facciate delle vostre stupide esistenze a me non riguarda. A me riguarda dei miei figli e delle mie figlie, che so per certo inadatti al luogo da cui voi venite. Inadatti a qualsiasi luogo che sia distante da me. E pure vi ho concesso di fare quello che avete fatto, e guarda cos'avete combinato»

«Mia sorella è morta! Per colpa tua!»

«La principessina... sì. Ora che me lo fai notare, avverto chiaramente che la sua anima non è con voi. Dispersa negli abissi. Come i miei figli. Che tragedia. Che tragedia»

«Smettila!» pianse Marcus «Smettila di dire così! Sei stato tu! Sei stato tu a mandarci quel mostro!»

«Quel mostro» occhi chiusi e cranio rivolto verso l'alto, la cosa che Kyrios era diventato parve concedersi una sorta di silenzio riflessivo. Come a cercare da qualche parte, in un mondo lontano dal comune sguardo, risposte che in quel momento non aveva. Dopodiché disse: «Sì. Una creatura che da lungo tempo non solcava le onde si è risvegliata. Sì, è per colpa sua che i miei figli e le mie figlie sono morti. E... la vostra principessina. Sì. Oh, sì ora è chiaro»

«Chiaro? Cosa è chiaro?»

«Cair Dedalos»

«Cair...?»

«I Sette. I Sette sono in questo continente. Ma in una versione... che mai avrei potuto immaginare. Mai un'evoluzione della magia a questi livelli io e i miei fratelli avremmo mai potuto pensare. Ah» rise il drago, quasi meravigliato, «Alla fine Nidhogg aveva ragione: la magia sorprende sempre»

«Insomma, drago! Vuoi dirmi di che cosa vai blaterando?!»

«Te lo dirò, cavaliere. Io parlo di vendetta. La vendetta con la quale renderai giustizia e pace alle anime dei nostri comuni defunti»

«S-sei... s-sei stato tu...» balbettò a questo punto il principe cavaliere, come recitando una filastrocca cui neanche lui ormai credeva più.

«Non sono stato io» affermò dunque il drago, definitivo. «È stato» fece ancora «È stato il nostro vecchio allievo, Mawldor. O almeno... quello che resta di lui»

«Mawldor? Chi è?»

«Decine di migliaia di anni fa, quando lentamente il mondo che conoscevo decise di spezzarsi e dividersi in mille parti, Cair Dedalos con il suo libro rimase al suo posto. Cair Dedalos: la città dei draghi. Sono stati gli altri a spostarsi, ma non io. Io sono rimasto dove mi spettava, e il libro che custodivo insieme a me. Poi sono venuti i miei figli e la mia montagna e... io mi sono dimenticato»

«Drago, non ti stai chiarendo. Anzi, confondi le miei idee anche peggio!»

«A sud, Marcus! È a sud che troverai ciò che cerchi. Da qualche parte in quel dannato accampamento Sayun il vecchio reggente deve custodire un libro. Trova il libro, principe. E avrai le tue risposte».

   
 
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