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Autore: SilverKiria    22/02/2019    4 recensioni
Scorpius Hyperion Malfoy avrebbe dovuto stare alla larga da Lily Luna Potter.
Era nel corso degli eventi che le loro vite scorressero lontane l'una dall'altra.
Eppure, lui non riusciva a dimenticare la stretta della mano di quella bambina dai capelli rossi, e lei poteva fingere di odiarlo quanto voleva, ma a volte le sfuggiva un sorriso al pensiero delle storie buffe che le raccontava da piccola, in quel corridoio del San Mungo.
Lì, dove la loro storia era iniziata e le loro vite, come spesso accade, si erano unite indissolubilmente.
-
Dal Capitolo 1:
[...] D’un tratto si ritrovò al suo quarto anno, in preda ad emozioni contrastanti mentre la folla di Hogwarts lo guardava in cagnesco, dirigendosi verso un ammutolito Silente.
Le spille “Potter fai schifo” gli balzarono di nuovo in mente, così come gli insulti e la paura di non superare vivo le ardue prove verso le quali lo aveva spinto una persona sconosciuta.
Rispose alla muta domanda di chiarimento di Ron con la gola secca e un orribile presentimento.
«Credo che questo sarà un anno indimenticabile per i nostri figli, anzi ne sono assolutamente sicuro.»
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, Lily Luna Potter, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Astoria, Harry/Ginny, James Sirius/Dominique, Lily/Scorpius, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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CAPITOLO 20


 
Ginny Weasley sistemò l’ultimo punto sul tessuto blu scuro che aveva fra le mani, il volto concentrato e un nastro bianco stretto tra le labbra.
«Sei a casa?»
La voce del marito la raggiunse dal piano di sotto, probabilmente appena rientrato dal lavoro.
Appena tornato dall’ennesimo turno di straordinari.
La donna sospirò piano, cercando di imprimere nelle sue successive parole il maggior grado di felicità che potesse fingere.
«Sono in camera!»
Sentì i passi di Harry salire le scale, e dopo poco la porta scura di ardesia si spalancò, lasciandolo entrare.
Harry si diresse verso la postazione da cucito che Ginny aveva sistemato in un angolo della loro camera da letto, e le scoccò un leggero bacio sulla nuca.
Un bacio che probabilmente ferì entrambi più di uno schiaffo.
Dal giorno della lite non erano più ritornati sull’argomento, tacitamente accordandosi che fosse stata la tensione a fare da padrona in quell’attimo di debolezza.
Eppure, nessuno dei due aveva avuto più sonni tranquilli, con le parole di Harry che continuavano a scorrere nelle orecchie come spifferi funesti nel cuore della notte.
«Stai finendo il vestito per Lils?» domandò distrattamente il mago, slacciandosi la cravatta e iniziando a sbottonarsi la camicia, pronto a cambiare gli abiti formali con una calda felpa e dei pantaloni della tuta.
«Mmh-m.» sospirò Ginny, facendo passare il risultato di quelle ore di lavoro tra le mani, con un accenno di sorriso.
Era un abito che arrivava poco sopra il ginocchio, di morbido velluto blu scuro. Il tocco di classe però, che Harry aveva guardato mestamente, vagliando l’ipotesi di proibire a sua figlia di andare in giro così, era la scollatura ingente che correva lungo la schiena. Arrivava qualche centimetro sotto le costole, adornato da una sottoveste di timida organza, leggera come un respiro.
«Ho finito, glielo spedisco subito, così avrà il tempo di provarselo ed eventualmente fare qualche cambiamento, se non le dovesse piacere.»
Harry si avvicinò per ammirare il prodotto finito, e dovette ammettere quanto Ginny fosse incredibilmente brava con la macchina da cucire.
Nessuno avrebbe mai sospettato che quell’abito non avesse visto la luce in un famoso atelier, ma nella loro camera da letto.
«È bellissimo, sono convinto che le piacerà. E anche se non dovesse amarlo, se lo terrebbe così, dato che Lils ha ereditato tante delle tue doti, ma la dimestichezza con l’ago non è tra quelle.»
Ginny distese le labbra in una smorfia divertita, come al solito in bilico in quella strana realtà che ormai si era instaurata in casa Potter.
Amava Harry più di ogni altra cosa al mondo, forse eccezion fatta solo per i suoi figli, ma per quanto volesse convincersi che lui non pensava davvero quelle cose, la verità era che lo sguardo di ghiaccio che le aveva riservato continuava a farla rabbrividire.
«Immagino che tu abbia ragione. Sta di fatto-» continuò Ginny, mentre impacchettava con cura il vestito e lo consegnava alla loro civetta bianca, che avevano adottato in onore della defunta Edvige, e avevano chiamato Yuki.
«-che se avesse bisogno di aiuto, Rose saprebbe aiutarla. E poi, penso che stasera avrà ben altri pensieri, oltre al vestito. Il Ballo del Ceppo capita una volta nella vita, no?»
 
 
***
 
 

 
«Mi passeresti il sale?»
Ron allungò la mano per afferrare la boccetta che la moglie gli stava porgendo.
 
Hermione era tornata da lui, alla fine.
Era tornata con il profumo delle viole che Ron aveva riconosciuto appartenere al cimitero di Ottery Sant. Catchpole tra i capelli.
Era tornata col segno delle lacrime sulle guance e gli occhi stanchi.
Era tornata con l’odore di Bill sulla maglia, ma soprattutto era tornata con un timido sorriso stirato in volto.
Un sorriso quasi nascosto, spaventato, pronto a scappare al primo segnale di pericolo.
Ma c’era, ed era per lui.
Ron aveva fatto cadere la tazza di caffè che aveva in mano, correndole incontro e stringendola a sé senza nemmeno chiederle il permesso.
Non importava.
Non importava più nulla al mondo, fintanto che la sua Hermione fosse tornata da lui.
E avevano ricominciato da lì, piano piano.
Una parola dopo l’altra, tra una scusa e una lacrima.
Ron aveva speso metà di quella notte a invocare il suo perdono e l’altra metà a ricordarle quanto fosse sempre stata lei l’unica per lui.
Ed Hermione aveva passato tutta quella notte ad obbligarsi a crederci, finché pian piano si era scoperta non solo capace di credergli, ma anche di perdonarlo.
Ci sarebbe voluto più tempo, di una notte, ma entrambi sapevano che ce l’avrebbero fatta.
 
Hermione si alzò per servirsi altro stufato nel piatto, e Ron approfittò del momento in cui la donna gli passò accanto per lasciarle una carezza sul fianco.
Lei sorrise piano, godendosi il piacere di quel tocco a cui si stava riabituando senza averlo davvero mai lasciato.
«Ah, ho ricevuto una lettera da Hugo oggi pomeriggio.» esclamò Hermione, mentre Ron la guardava interessato, masticando un boccone dell’ottima cena che avevano preparato assieme.
Anche se, a dirla tutta, lui si era solo limitato a muovere la bacchetta in modo maldestro, causando un vaso di fiori brutalmente distrutto dal coltello usato per tagliare le carote, e un quasi soffocamento di Hermione, divisa tra le risate e la frustrazione.
«Davvero? E che dice?» bofonchiò Ron, inghiottendo immediatamente il cibo dopo lo sguardo eloquente di lei.
«Che è emozionato come non mai per il Ballo di domani sera. Dice che il vestito che gli abbiamo mandato gli calza a pennello, ma teme che Isabella sarà troppo per lui, e finirà col sembrare un cretino.»
Ron si aggiunse alla risata dolce della moglie, per poi commentare intenerito:
«Ah, buon sangue non mente. Se domani avessi l’opportunità di portarti al Ballo del Ceppo, credo mi farei le stesse identiche paranoie.»
Hermione lo colpì giocosamente con la forchetta sulla mano, fintamente imbronciata.
«Guarda che tu l’occasione l’hai avuta, e anche gigante, Ronald Weasley. Ma hai preferito tenermi come ruota di scorta, fin quando non ti sei accorto che qualcun altro era veramente interessato alla tua migliore amica.»
Ron alzò gli occhi al cielo, le orecchie subito rosse che tradivano la sua finta algidità.
«Beh, però il nostro primo bacio nella Camera dei Segreti, nel bel mezzo della battaglia finale, non si può assolutamente battere. Dai su, se ci fossimo messi assieme quella sera, sarebbe stato l’aneddoto più noioso del mondo. Quindi prendimi pure in giro, ti eviterò l’onere di ringraziarmi per averti fornito una storia d’amore da cardiopalma.» concluse sornione, riservandole un ghigno che le fece dubitare su una possibile discendenza Serpeverde.
Hermione lasciò cadere il discorso, sorseggiando la sua Burrobirra, per poi continuare a parlare.
«Ad ogni modo, c’è anche un’altra novità che mi ha detto, e sono stupita dal tempismo perfetto con cui hai tirato in ballo il nostro Ballo del Ceppo. Vedi, c’è in effetti un’analogia alquanto affascinante in tutto ciò.»
Ron la guardò sospettoso, conscio che quando la moglie assumeva quel tono divertito non c’era nulla di buono per lui dietro l’angolo.
«Cioè?» domandò guardingo, e solo dopo che lei gli ebbe fatto promettere di non dare in escandescenze e non scrivere lettere o fare imbarazzanti apparizioni ad Hogwarts, la donna si sentì pronta per sganciare la bomba.
«Rosie è stata invitata al Ballo da un ragazzo di Durmstrang. Hugo ha detto che gli sembra si chiami Dimitri, ed è lo studente numero uno nella Scuola, si mormora che abbia voti eccezionali e che sia destinato a ricoprire importanti cariche ufficiali, una volta diplomato. Per cui non agitarti, Rosie sa prendersi cura di se stessa, e lui si presenta come un ragazzo affidabile e-»
«LA MIA BAMBINA. CON UNO. DI DURMSTRANG?!»
Ron era completamente rosso in viso, e fissava Hermione quasi fosse stata colpa sua.
«Non può essere, è una maledizione. Sono i tuoi geni, te lo dico io Hermione, li attirano come falene sul fuoco. Oh Merlino, e ora? E se provasse ad allungare le mani?»
«Ron, concentrati! Ti ho appena detto che è estremamente intelligente e garbato e-» sbuffò basita la donna, prima di venire interrotta nuovamente.
«Appunto! Se fosse davvero così intelligente come dici, non ci penserebbe due volte ad interessarsi a Rosie! Ed è un maschio Herm, un maschio adolescente. Credimi, per quanto colto tu possa dipingerlo, so bene io che cosa vorrebbe accarezzare, e non sono certo le pagine di qualche tomo antico!»
Hermione si arrese all’evidente gelosia che non sarebbe mai scomparsa del tutto.
Finì il proprio stufato, osservando Ron ipotizzare scenari apocalittici di gravidanze inattese, trasferimenti permamenti in Bulgaria o – ancora peggio – nipotini che tifavano la Nazionale Bulgara invece che quella inglese.
E mentre si apprestava a lavare i piatti della cena però, la strega si lasciò andare ad un sorriso vero, di quelli che scaldano il cuore fino a farlo sciogliere.
Era lì, il suo presente era lì.
Ma c’era anche il passato in cui aveva sognato un giorno di parlare con Ron dei loro figli, in cui aveva sognato l’amore di padre che egli non sapeva ancora di possedere.
E c’era il futuro, che iniziava a rischiararsi e a farsi concreto sotto i suoi occhi stanchi, dopo la crisi appena avvenuta.
Ed erano loro, coi capelli grigi, a bisticciare come al solito, tra un sorso di Burrobirra e un bacio rubato mentre raccoglievano i pezzi dell’ennesima vittima della cucina maldestra di lui.
 
Hermione si lasciò andare ad un sorriso per cui sentiva di aver combattuto a lungo.
E che forse pensava finalmente di aver vinto.
 
 
***
 

 
 
Astoria Greengrass in Malfoy entrò a Malfoy Manor, lasciandosi andare ad un sospiro profondo. La giornata in ufficio era stata infinita, con un problema dietro l’altro e la parvenza di continuare incessantemente. Astoria aveva sempre amato lavorare, a discapito delle malelingue da ragazzina viziata Purosangue che l’avevano seguita all’inizio della sua carriera.
Eppure, quelle stesse voci erano state fatte tacere per sempre dalla carica e dall’incredibile qualità di lavoro che riusciva a fornire ad ogni incarico a lei assegnato.
Era sempre impeccabile, nell’aspetto come nelle maniere, ma soprattutto era sempre dieci passi di fronte a tutti gli altri.
Sapeva come agire per il meglio, sapeva come far andare tutto liscio anche nelle crisi più nere, ed era grazie a questo che era riuscita a raggiungere la vetta del Ministero di Controllo sull’Applicazione della Magia in tempi record, all’alba dei ventitré anni. Persino una volta rimasta incinta di Scorpius non si era presa più tempo di quanto non l’avesse costretta a prendersi Draco.
Il marito aveva dovuto esercitare ogni possibile autorità come Primago del San Mungo, marito e futuro padre per strapparle riposo assoluto dal lavoro per gli ultimi due mesi di gravidanza.
Astoria si sfilò le scarpe col tacco dieci, lasciandosi andare al secondo sospiro di sollievo, e stiracchio le gambe con gioia.
Elias apparve con un pop, lasciando alla sua padrona il solito sorriso sdentato ma genuinamente felice.
«Buonasera signora, sono felice di vederla a casa. Vuole che dica di iniziare a preparare la cena, o preferisce farsi prima un bagno caldo?»
Astoria porse le costose scarpe all’elfo domestico, sorridendogli di rimando.
Una delle tante cose in cui Draco e Astoria erano riusciti a cambiare in quella casa era di sicuro il modo in cui venivano trattati i servitori. Avevano solo due elfi domestici, Elias e Gertrude, e mentre il primo si occupava di pulire la casa e gestirla, la seconda cucinava loro manicaretti deliziosi.
Draco però aveva proposto ad entrambi una paga fissa come qualsiasi altro collaboratore umano, cosa che avrebbe sicuramente stupito Hermione; nonché una pensione dignitosa qualora si fossero sentiti di ritirarsi.
Ma entrambe le creature magiche si erano quasi offese anche al solo pensiero, e l’aria amorevole sebbene nobile che aleggiava nel nuovo Malfoy Manor sotto il comando di Draco e Astoria avevano reso il loro lavoro quasi un piacere.
Erano con loro dal matrimonio, avevano visto ogni momento, brutto o bello, e soprattutto amavano Scorpius come se fosse il loro migliore amico, più che il loro padroncino.
«Grazie mille Elias, Draco è già rientrato?»
L’elfo annuì, informandola che suo marito si era ritirato in camera poco prima del suo arrivo.
«Vuole che le prepari il bagno signora?»
«No, grazie Elias, ci penserò da me. Ah, ho lasciato sulla scrivania nello studio dell’ala est due scatole di biscotti di cioccovaniglia. Le ho prese ieri sera a Diagon Alley, sono per te e Gertrude, per favore, fagliele avere e poi dimmi se vi sono piaciuti.»
Astoria continuò a sorridere mentre saliva la lunga scalinata di marmo bianco verso la sua camera da letto, le orecchie ancora piene degli echi dei ringraziamenti commossi di Elias.
«Amore?»
Draco era sdraiato sul letto, e sentendo la voce della donna alzò lo sguardo dalla pergamena che aveva fra le mani.
«Hey, mi stavo preoccupando. Di solito sono io quello che torna tardi, sono quasi le nove!»
Astoria si lasciò cadere sull’enorme baldacchino, e le braccia di lui la raccolsero subito, stringendola a sé.
«Sono esausta, oggi non ho avuto un attimo di respiro. Cinque minorenni hanno ferito gravemente dei babbani per una scommessa, quindi genitori sconvolti, Auror a non finire e ovviamente è ancora da decidere se siano o meno puibili con la distruzione della bacchetta.»
«Minorenni? Ma non dovrebbero essere a Hogwarts?» domandò Draco confuso.
«Ah, non te l’ho detto? Sono spagnoli. Figurati, così ci troviamo pure la diplomazia di mezzo. Uffa, voglio addormentarmi e non svegliarmi mai più.»
Astoria mise completamente la testa sotto il cuscino del marito, che intanto ridacchiava tra sé e sé, pensando a come la compostissima Astoria Greengrass che tutti conoscevano si trasformasse in un’adolescente un po’ troppo cresciuta, tra le sue braccia.
E quanto lui la amasse anche per questo.
«Beh, questo non te lo potrei proprio permettere, anche perché senza di te questo posto cadrebbe a pezzi; ma se vuoi ho un’altra proposta da farti.»
Astoria sgusciò fuori dal suo rifugio, e guardò Draco esibire un’espressione misteriosa sul volto sempre affascinante.
Indossava dei jeans più informali e una maglietta a maniche corte grigia come i suoi occhi.
Le stava accarezzando con dolcezza la coscia fasciata dal vestito nero che aveva ancora indosso, e lo conosceva abbastanza bene da sospettare ci fosse qualcosa di davvero interessante, sotto a quell’alone di ignoto.
Incurvò un sopracciglio, stando al gioco, e cominciò a giocare coi capelli biondi del marito.
«Sarebbe?»
Draco afferrò la pergamena che stava leggendo prima dell’arrivo della moglie, e gliela porse, aspettando con ansia il suo responso.
Gli occhi attenti di Astoria lessero con attenzione la missiva, e la bocca le si schiuse in una ‘O’ perfetta, una volta compreso il messaggio.
«Vogliono che andiamo al Ballo del Ceppo di stasera per il brindisi finale?»
Draco annuì, divertito.
«A quanto pare è una cosa dell’ultimo minuto, ma in quanto parte dello Staff come responsabile medico per le Prove ci tengono che ci sia. Credo abbiano invitato anche Potter, come Capo Auror, e forse anche la Granger, in quanto Capo Ufficio del Ministero per il Controllo delle Creature Magiche. Allora? Che ne pensi? Dovremmo andare lì verso mezzanotte circa, potremmo fare un giro, berci un bicchiere di vino elfico e...»
«E Scorpius?»
Draco rimase interdetto dalla domanda di Astoria, e la guardò senza comprendere.
«Che c’entra Scorp?»
Astoria sbuffò, come al solito allibita dalla straordinaria ingenuità che gli uomini sapevano dimostrare, di tanto in tanto.
«Credi sul serio che nostro figlio diciassettenne, nonché Campione Tremaghi di Hogwarts, farebbe i salti di gioia nel vederci al Ballo del Ceppo? Noi abbiamo avuto la nostra occasione, forse sarebbe meglio lasciarlo vivere la sua senza imbarazzarlo.»
Draco si ritrasse offeso, forse un po’ deluso dalla reazione della moglie, che al contrario era sicuro sarebbe stata entusiasta quanto la sua.
«Noi non siamo imbarazzanti. Semmai potrebbe essere il caso dei figli Potter e Weasley, non ne dubito, ma io e te sappiamo comportarci in società, e sono sicuro che anche Scorpius non avrebbe nulla da ridire. Lo saluteremo appena, nemmeno si accorgerà della nostra presenza.»
 
 
L’orologio di Malfoy Manor battè le dieci, ed Elias e Gertrude si guardarono confusi.
I padroni non erano ancora scesi per la cena, la zuppa di porcini continuava a sobbollire in sottofondo, e per la prima volta da tempo, nessuno dei due se la sentiva di intromettersi in una conversazione.
Anche perché avevano appena sentito il padron Malfoy urlare qualcosa di molto poco chiaro.
 
«Non è vero che sarei iper protettivo, ma se permetti preferirei non diventare nonno prima del tempo!»
 
E soprattutto, nessuno dei due poteva immaginare che in altre due abitazioni, nello stesso istante, stessero avendo luogo conversazioni molto simili.
 
 
«Harry, noi non andremo al Ballo per controllare Lily e Al.»
«Un padre non può nemmeno voler vedere la figlia con quel meraviglioso vestito, Ginny?»
 
«Ron. No. Scordatelo.»
«Ma SE QUEL BULGARO-»
«Non se ne parla!»
«Potrei solo conoscerlo-»
«No!»
«-stringergli la mano-»
«Ron...!»
«-E spezzargliela in due
«RONALD WEASLEY!»
 
 
In effetti, quella zuppa di porcini avrebbe aspettato ancora per un po’: all’improvviso, la serata aveva ricevuto una svolta completamente nuova.
E mai Ballo del Ceppo si avvicinò con preamboli meno invitanti di quelli.
 
 
***
 
 
«VOGLIO ANDARCI ANCHE IO.»
«James, piantala.»
«MA NON E’ GIUSTO.»
«James.»
«Io sono DIECIMILA volte più carismatico di Al...»
«James.»
«...più atletico...»
«James basta.»
«...divertente...»
«Secondo voi mi assolverebbero se lo uccidessi in questo istante?»
«...e infinitamente più sexy in smoking
CRUSH.
 
Il silenzio piombò nella sala, mentre Dominique sbuffò verso la ciotola dell’insalata che giaceva ora a terra, completamente in frantumi.
«Sai, Jamie...» iniziò la bionda, con un tono fintamente dolce ma pregno di vetriolo «...dovresti considerare l’idea che in realtà sia stata una scelta cosciente quella di non farti partecipare al Ballo del Ceppo. Dopotutto, avresti rischiato di riempire tutta la stanza solo col tuo ego.»
Victoire mascherò la risata assaggiando una fetta di torta salata, mentre Teddy non fu altrettanto cortese, e si limitò a scoppiare a ridere con la sua inconfondibile risata simile ad un latrato, in faccia a quello che da sempre era stato per lui un fratello minore.
James, d’altro canto, aprì la bocca in un muto segno di sorpresa, salvo poi offendersi qualche secondo dopo, guardando Dominique mentre, con un fluido gesto di bacchetta, riportava alla vita la ciotola appena rotta e serviva l’insalata che stava preparando.
Victoire e Teddy erano tornati dalle Seychelles, dopo una vacanza da sogni e pieni di regali per tutti.
Avevano invitato Dominique e James a cena per raccontar loro come fosse andata la luna di miele, e dare loro i pensierini: un pareo stupendo con piccole conchiglie bianche intrecciate sullo scollo per Dominique, e una scatola di preziosi sigari cubani presi da un negozio molto ricercato, nell’isola di Mahe.
I neo-sposini ci tenevano inoltre a ringraziarli per aver badato ad Horus, la piccola palla di pelo che stava ronfando in grembo a Victoire, in quel preciso istante.
«Sei scorretta Dominique, lo sai che non è vero. Sei solo gelosa perché non avresti avuto il piacere di assistere alle prodezze del miglior Campione Tremaghi mai esistito sulla faccia della Terra!»
Dominique aprì la bocca per ribattere, ma l’immagine di James in smoking al Ballo del Ceppo le annebbiò la mente.
Era vero. Se fosse davvero accaduto, non solo non avrebbe avuto la possibilità di vederlo, di stargli accanto e di supportarlo, ma soprattutto non avrebbe mai potuto essere la sua dama per il Ballo.
Così come non avrebbe mai potuto esserlo nella vita.
E come pochi immaginarono possibile, James esercitò quella straordinaria empatia che di solito nascondeva abilmente sotto un velo di autostima esagerata e spavalderia.
Bastò uno sguardo alla donna che amava per capire che corso avessero preso i suoi pensieri, e non poté fare altro che cambiare discorso, aspettando di essere soli per darle così tanti baci che nemmeno cento Balli del Ceppo avrebbero mai visto.
«Comunque sia Teddy, immagino sarai felice come una Pasqua di tornare al lavoro domani. Ho visto la tua scrivania, e credimi, papà non ti ha risparmiato nulla. Ti hanno perfino fatto tornare dalla luna di miele con una settimana d’anticipo!»
L’ex Tassorosso sbuffò, tagliando il filetto di salmone che aveva nel piatto con più vigore del necessario.
«Guarda, non me ne parlare. Ho lasciato il numero del bungalow per le emergenze, e mi sono arrivati gufi persino in luna di miele.»
«Beh, io ne sarei felice. Vuol dire che sei un elemento insostituibile della squadra, e so per certo che zio Harry si è infuriato quando ha saputo che ti hanno disturbato.» esclamò Victoire, facendo riferimento ad una lettera di scuse che Harry stesso le aveva mandato quella mattina.
«In ogni caso, tu di certo non sentirai la mancanza delle Seychelles, vero Vic? Non parti domani per Parigi?» la punzecchiò Dominique, dopo essersi finalmente scacciata dalla mente i pensieri che la tormentavano.
Almeno per qualche ora.
Victoire roteò gli occhi al cielo, sbuffando vigorosamente.
«Per favore, preferirei farmi cinque giorni in miniera che andare a sfilare a quell’evento. Saranno tutti impazziti, e Juan già sta dando i numeri perché sono ingrassata di un chilo. Un chilo, ti rendi conto? Se fosse a conoscenza della quantità industriale di cibo che ha prepaparato la nonna per il matrimonio, si complimenterebbe per non essere una palla delle dimensioni della Torre Eiffel.»
Tutti e tre si misero a ridere, e anche Victoire si unì a loro.
«E se in realtà questo Juan non vedesse l’ora di rimanere solo con la nostra Vic? Sai cosa dicono, no? Le neo-sposine hanno sempre un’aura molto seducente.» disse James mellifluo, col velato scopo di stuzzicare Teddy e vendicarsi per prima.
L’uomo lo guardò indispettito, ma James notò una piccola ruga formarsi sopra il sopracciglio destro.
«Oggi sei particolarmente simpatico, Jamie.» rispose sorridendo mestamente, e il ragazzo gli assestò una pacca sulla spalla.
«Oh dai, non te la prendere! In fondo, è quello che hai firmato scegliendo di legarti per sempre a Vic: una vita di gelosia, sempre nel terrore che qualche modello alto un metro e novanta te la porti via.»
Victoire si alzò e gli tirò giocosamente l’orecchio, facendolo bestemmiare contro le sottovesti di Morgana e generando un’altra risata nella stanza.
«Piantala Jamie, non sei spiritoso. Nessuno potrà mai portarmi via da Teddy, e tu dovresti saperlo bene. Guarda come siete carini tu e Jade! Voglio proprio vedere come reagiresti se a fare queste allusioni fossi io nei suoi confronti.»
Victoire non capì mai perché la risata di Dominique le si congelò in volto, e rimase a scambiarsi sguardi interdetti col marito, quando anche James abbandonò l’aria festaiola e le rispose solo con un sorriso appena accennato.
«Va tutto bene con Jade? Vi...vi siete mollati?» domandò incerto Teddy qualche minuto di silenzio più tardi, e la voce dell’ex Grifondoro quando rispose si confuse tra il rumore della forchetta di Dominique, intenta a mangiare più insalata possibile.
Intenta a fare più rumore possibile, sbattendo la forchetta contro la ciotola di ceramica, nel vano tentativo di nascondere alle sue orecchie le parole successive.
«No, no. Tutto benissimo.» rispose James, cercando di caricare la voce con una felicità che fosse abbastanza genuina dal sembrare vera.
«Beh, direi anche più che bene, no? Zia Ginny mi ha detto che Jade ti ha chiesto di convivere!»
 
CRUSH.
 
Dopo l’affermazione di Victoire, per la seconda volta nel corso di quella serata, qualcosa andò in frantumi.
Anzi, due cose.
Un bicchiere di vino capitato tra le mani della bionda sbagliata...e il cuore di Dominique.
 

 
***

 
Selene Travers si rimirò allo specchio, incredula. Quel vestito bianco le era stato inviato da Astoria, forse ignara della lite con Scorpius, o addirittura proprio per quello. Da quando aveva memoria, Astoria era stata per lei una sorella maggiore, e si era presa cura di lei e di Ethan quasi come aveva fatto con Scorpius. La donna aveva provveduto a farle recapitare l’abito con un semplice biglietto, che recitava “L’ho visto e non ho saputo resistere. Ethan rimarrà senza fiato. Buona serata Selene, A.”
Era un abito lungo e bianco,dal taglio così semplice dal sorprendere, vedendo come riuscisse comunque ad esaltare ogni centimetro del suo corpo. Unico dettaglio era la parte superiore con ricami intricati, e inserti di brillanti inseriti nel vestito, ma così minuscoli dal sembrare invisibili. Si vedevano senza essere visti.
Era davvero l’abito per lei, e quasi si commosse pensando a come Astoria la conoscesse bene.
Quasi si commosse pensando a come sarebbe stata vuota la sua vita senza Scorpius.
Le mancava ad ogni respiro, e si era data mille volte dell’idiota per tutti gli anni in cui aveva dato per scontato l’importanza che ricopriva. Scorpius non era mai stato solo un amico: Scorpius era suo fratello.
Si erano fatti forza in ogni momento, l’aveva sorretto dopo la crisi con Zoe, e lui aveva raccolto tacitamente i pezzi in cui Ethan le aveva spezzato il cuore, nel corso degli anni.
Ethan.
Sentiva che non avrebbe mai potuto amarlo di più, ma si sbagliava.
Ogni giorno in cui le stava accanto le dimostrava quanto fosse fortunata, perché Ethan soffriva come lei, forse più di lei.
Lei che in fondo una famiglia che l’amava l’aveva sempre avuta, e lui che sapeva di aver perso la sua, perdendo Scorpius.
Il biondo non aveva ancora rivolto parola a nessuno, sembrava passare tutto il suo tempo da solo, o con quella Angelique.
E nonostante le voci viziose che si diffondevano a macchia d’olio, Selene sapeva che il cuore di Scorpius batteva per Lily.
E continuava a domandarsi incessantemente quando anche lui l’avrebbe capito, quando avrebbe finalmente lasciato andare quella parte irrequieta di sé, quella parte ancora intossicata dalla presenza di Zoe.
La Corvonero non aveva provato ad avere contatti né con Scorpius, né con Ethan, per quanto fosse a conoscenza, ma ciò non l’aveva sorpresa.
Zoe era furba, troppo per sottovalutare i suoi bersagli. Sapeva che un avvicinamento con Ethan non sarebbe mai stato possibile nei modi tradizionali, così come sapeva che Scorpius era logorato dalla sua presenza senza che dovesse alzare un dito.
Zoe sapeva, e Selene sentiva di non averla mai odiata tanto. Perché erano state migliore amiche, un tempo. Perché era stata la sorella che non aveva mai avuto, erano loro quattro contro il mondo, e nessuno li avrebbe mai divisi.
Solo che i sogni dei bambini vengono frantumati velocemente, e prima di poter sbattere le ciglia per controllare che non fosse un incubo, lei se n’era andata.
E Selene si era ritrovata sola, con Scorpius devastato dalla fine di un amore più forte di quanto credesse, ed Ethan completamente distrutto dalle macerie della sua vita, che stava cadendo a pezzi di fronte ai suoi occhi.
 
«Sele
 
La Serpeverde si voltò, sorpresa di vederlo lì.
Ethan la stava divorando con gli occhi, perdendosi in ogni centimetro di quell’abito, della sua pelle, dei suoi capelli, della sua anima.
Non disse altro, non fu necessario.
Selene sorrise con le labbra tinte di un rosso scuro, si sistemò i lunghi capelli color dell’ebano sulle spalle scoperte e lo prese per mano.
 
«Andiamo, Eth. È tardi, e non voglio perdermi questa festa per nulla al mondo.»
 

 
***
 
 

(Ps: ignorate gli occhi azzurri, ma questa gif era troppo bella per non metterla) 

«Sei pronta?»
Sophie sbucò dalla porta, rimanendo senza fiato.
Lily era di una bellezza travolgente, e la Corvonero, imbucatasi nel Dormitorio Grifondoro per l’occasione, si lasciò andare ad un sospiro estasiato.
Il vestito che le era stato spedito quel pomeriggio da Ginny superava ogni previsione, fasciandole il corpo giovane e mettendo in risalto le piccole curve che stavano iniziando a sbucare come i primi fiori di primavera.
Fuori il vento batteva e fischiava contro le finestre, mentre la rossa finiva di sistemarsi i capelli in uno chignon morbido, lasciando solo due ciocche ai lati del viso lentigginoso.
Aveva le labbra coperte con del rossetto rosa quasi nude, e gli occhi contornati da un leggero mascara.
Era praticamente senza trucco, eppure Sophie giurò di non averla mai vista più incanevole di così.
Lily si voltò verso la migliore amica, sorridendo appena.
La verità era che la Grifondoro aveva passato tutto il pomeriggio ad aspettare un messaggio che non era mai arrivato.
Chissà perché la sua mente aveva deciso di torturarla con immagini di uno Scorpius pentito, pronto a farsi avanti e prendere quel posto che entrambi si erano illusi fosse sempre stato suo.
Ma Scorpius non le aveva più parlato da quella volta nella redazione, più di una settimana prima.
Le voci dell’invito di Scorpius ad Angelique, fatto nel cuore della notte, com’era prevedibile avevano avvolto il Castello nella solita ondata di gossip invadente.
C’era chi suggeriva un amore appena nato, chi una travolgente passione. Alcuni si erano perfino lanciati nelle più assurde ipotesi di gravidanze prossime e futuri figli dalla bellezza impossibile.
E senza rendersene conto, perfino Lily si era persa nel fantasticare su piccoli dagli occhi di ghiaccio e i capelli biondi, avvenenti come i genitori.
Ma Scorpius gliel’aveva detto, aveva detto che lui e Angelique erano solo amici, aveva tenuto a farglielo sapere, perché...perché...
Quel perché le toglieva il sonno, e di comune accordo con Emmett avevano deciso di rivelare la loro partecipazione come coppia solo ai rispettivi migliori amici.
Non volevano finire sulla bocca di tutti, e Lily non avrebbe sopportato l’attenzione scomoda di chicchessia, in quel momento.
Così solo Sophie e Dimitri ne erano venuti a conoscenza, e sapevano che entrambi avrebbero mantenuto il loro riserbo.
«Lils? Stai bene?»
Lily si voltò e incrociò gli occhi nocciola con quelli verdi della Corvonero.
Sophie sapeva come al solito leggerle dentro e provocarle dei brividi lungo la schiena, ma la Grifondoro aveva deciso che quella sera non le avrebbe fornito motivi di preoccupazione.
Si sarebbe goduta la festa, avrebbe ballato, mangiato e bevuto in compagnia dei suoi amici.
Non avrebbe permesso a Scorpius, Angelique, Zoe o nessun altro di rovinarle quell’evento.
 
«Così, ti sei arresa?»
 
D’improvviso la voce di Ethan le invase la mente, ma Lily la scacciò prontamente.
L’aveva aspettata quel pomeriggio all’imboccatura del ritratto per la Sala Comune dei Grifondoro, col suo solito fascino che incantava chiunque passasse, ma gli occhi forse più tristi dei suoi.
E per la prima volta Lily ebbe quasi l’impulso di abbracciarlo, di fargli sentire che non era solo in quella sofferenza, che Scorpius mancava da morire anche a lei, lei che non l’aveva mai avuto per davvero.
Eppure, quella frase glielo impedì, pungendo l’unica cosa che ancora le permetteva di camminare a testa alta: l’orgoglio.
Aveva fatto quei pochi passi che la separavano dal ritratto della Dama Grassa in silenzio, senza degnarlo di uno sguardo.
E poi, poco prima di pronunciare la parola d’ordine ed entrare, gli aveva rivolto una manciata di parole, che però sembrarono graffiarle la gola come un Ungaro Spinato.
 
«Non mi sono arresa. È solo che mi sembra di essere sempre stata l’unica a lottare per davvero.»
 
Non sapeva cos’avrebbe risposto Ethan, o come l’aveva guardata: non aveva avuto il coraggio di scoprirlo. Si era fiondata nella Sala Comune senza voltarsi indietro, ma qualcosa le diceva che nemmeno il grande Ethan Flint avesse più molto altro da dire.
 
Grifondoro era la culla dei coraggiosi di cuore, così si diceva. Eppure, a lei ormai sembrava che fosse la culla di quelli che il cuore lo davano via fin troppo facilmente.
 
«Anche tu sei bellissima Soph. Questo vestito ti sta un’amore!» si complimentò la rossa, ammirando come l’abito nero come la notte accarezzava la pelle chiara della migliore amica. Era aderente sui fianchi, e aveva una scollatura non troppo esagerata ma incredibilmente seducente su di lei. Sophie si era lisciata i capelli per l’occasione, che ora le ricadevano morbidi e lucenti sulle spalle.
«Andiamo-» disse subito dopo Lily, prendendo la piccola pochette argentata magicamente incantata per avere il doppio dello spazio (si ringrazi Rose Weasley e la sua bravura negli incantesimi di camuffamento);  in cui aveva messo mascara, un cardigan leggero in caso avesse avuto freddo e un pacchetto di fazzoletti.
«-non voglio perdermi un momento, e poi sono quasi le nove, Emmett e Albus ci staranno aspettando!» concluse la rossa, caricando ogni parola con più entusiasmo possibile.
E alla fine era davvero entusiasta. Sentiva che quella serata le avrebbe ridato la vita che le era scivolata tra le mani nelle settimane precedenti.
Qualche parte di sé sapeva che sarebbe stata indimenticabile.
 
E non aveva idea di quanto avesse ragione. Dopotutto, perfino ad anni di distanza, alcune delle parole che sarebbero state sussurrate o urlate nei corridoi di Hogwarts, quella notte, parevano riprendere vita.
 
 
«Io ti amo, come non ho mai amato nessuno.»
 
«Stammi lontano!»
 
«Perdonami, se puoi.»
 
«Quindi è finita?»

«Forse non è nemmeno cominciata.»
 
«Come hai potuto mentirmi per tutti questi anni? Mi fai schifo.»
 
«Pensi davvero che potrei mai dimenticarlo?!»
 
«Non è stata solo colpa mia.»
 
 
«Potrei renderti felice...dammi la possibilità di renderti felice.»
 


Angolo Autrice:

Non so se ci sia ancora qualcuno all'ascolto. Pensavo sinceramente che non avrei mai continuato questa FF, ma in questi giorni ho avuto un attacco di nostalgia da mozzare il fiato, e mi mancavano tutti i personaggi, e Hogwarts e boh, avevo bisogno di tornare a casa. Avrei davvero voluto scrivere a luglio, ma sono successe un'infinità di cose, ho perso persone che consideravo migliori amici e ho guadagnato un'altra persona davvero speciale, poi ho iniziato l'università e ho avuto la mia prima sessione d'esami, quindi vi lascio immaginare. Direi che da luglio a febbraio è stata una montagna russa di avvenimenti enormi, ma eccoci qui. 
Non mi perdo in chiacchiere, spero di scrivere ancora presto, ma sappiate che se non fosse così, non sarebbe solo per causa mia. Aspetto l'ispirazione, perché ci tengo troppo a questa FF per buttarla nel cesso con capitoli vuoti, e purtroppo la vita riserva delle sorprese e dei periodi pienissimi, quindi sappiate che anche se non carico, vi penso sempre.
E vi ringrazio infinitamente, davvero.
Sappiatemi dire cosa pensate di questo capitolo, aspetto con ansia le vostre recensioni.
Vi mando un bacio enorme, e vi lascio un reminder di quanto sia bella Hogwarts, perché in fondo un ricordo di casa non è mai di troppo.
Alla prossima,

SilverKiria
 
 
 
  
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