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Autore: Iryael    23/02/2019    2 recensioni
6 Giugno 5402-PF, Galassia Solana, Marcadia.
Indigo Blackeye, il vertice della più grande associazione criminale della Federazione, ha un piano che coinvolge Capital City e la sua Accademia della Flotta. Sono mesi che lo progetta e finalmente è ora di metterlo in pratica.
Jack, Linda, Nirmun, Reshan e Ulysses sono allievi come tanti altri, e come tutti gli altri finiscono loro malgrado coinvolti in quello che sarà un battesimo del fuoco brutale e sanguinario. Con una variante, però: quella di finire fra gli ingranaggi del piano di Indigo.
Il giovane Blackeye ha ragione: il 6 giugno aprirà un nuovo capitolo nelle vite di molte persone. Quel che non può prevedere è chi si metterà sulla sua strada.
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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Altri, Indigo Blackeye, Nirmun Tetraciel, Reshan Jure, Ulysses Yale)]
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 03 ]
Triangolare il punto zero
L’indomani, 4 Giugno 5402-PF, ore 8:00
 
C’era una routine ben precisa al mattino, messa a punto nei tre anni di convivenza. Il primo a usufruire del bagno era Reshan, che dei due era quello meno affezionato al letto. Così mentre lui si sistemava il lombax aveva il tempo di riconnettersi al mondo e, datisi il cambio, mentre Ulysses cantava la propria bellezza allo specchio, lo xarthar poteva vestirsi in tutta calma.
In quella particolare fase della giornata commenti, frecciatine e pettegolezzi erano un obbligo. O, come sosteneva il lombax: il prezzo da pagare per convivere con tanta figaggine.
«...così, per ripicca, la cara piccola Lilian Jensen si è portata a letto Genedo e ha sbattuto la sua notte infuocata in faccia al fratello.» stava dicendo – per l’appunto – dall’interno del bagno. «Accidenti, mi è sfuggita una ciocca...ma dov’è il barattolo nuovo di gel? Re, l’hai spostato tu?»
«Guarda sul terzo ripiano.» rispose lo xarthar, mentre chiudeva i pantaloni.
«Eccolo! Ciocca ribelle, adesso t’insegno io a rovinare l’acconciatura perfetta!»
Reshan roteò gli occhi.
«Ma ti stavo dicendo! Jensen non l’ha presa bene proprio per niente! E così è andato a chiedere spiegazioni al suo ragazzo e..–»
Lo xarthar, passato nel frattempo alle scarpe, alzò di scatto la testa.
«Perché, stanno insieme?»
«Certo! Da tre settimane! Non te l’ho detto? Sono stati epici: pensa che si sono dichiarati amore eterno mentre la Donno gli sparava addosso!»
Reshan ridacchiò. «Amore forse, ma eterno...»
«Oh sì, guarda, non gli do più di due giorni ancora, e sai che io me ne intendo. Ecco là, pronto per uscire! Chiudi gli occhi, che la mia vista potrebbe ispirarti pensieri sconci!»
«Eh! Ti piacerebbe!»
Dall’altra parte della porta giunse la risata a cuore aperto del lombax. «E allora chiudili perché tanta bellezza ti potrebbe accecare, checca!»
«Ma esci e falla finita!»
La porta del bagno si aprì lentamente, lasciando fuoriuscire un leggero velo di vapore. Dopodiché, in boxer, il lombax uscì cantando una marcia trionfale, facendo sfoggio del suo bellissimo vello grigio, venato sulla schiena da simmetriche quanto premonitrici striature nere che ricordavano vagamente delle ali.
Zampettò a ritmo fino all’armadio, prima di mandare tutto all’aria e mettersi a rufolare al suo interno.
«Senti...» cominciò lo xarthar, a quel punto.
«Lo so che ora vorresti saltarmi addosso perché la mia figaggine ti ha scatenato l’ormone, ma ti ricordo che sono etero.» rispose, la testa ancora infilata nell’armadio. «E ricordo che lo sei anche tu.»
Uscì dal mobile con una divisa pulita e l’espressione indagatrice. «O sei diventato bisex e non me l’hai detto?» aggiunse. «Perché, nel caso, ho un paio di nominativi da evitare come la peste.»
«No, non ho cambiato orientamento.»
Era abituato a quelle finte accuse. All’inizio gli causavano un abbondante imbarazzo – del quale Ulysses trovava sempre il modo di ridere – ma ultimamente non gli suscitavano più alcuna reazione. Passava semplicemente oltre. «Volevo avvisarti che andrò a controllare.»
Ulysses registrò l’informazione con leggerezza. C’era una macchia che non gli piaceva sull’orlo dei pantaloni.
«Controllare cosa?» domandò distrattamente, decidendo che li avrebbe indossati lo stesso.
«Il giardino. Per il fatto di stanotte.»
Il lombax si fermò, le orecchie dritte e l’espressione subito più buia.
«Ma sei partito di testa?! E se fosse ancora lì?»
Reshan scosse il capo. «Sono passate sei ore e più di metà campus è in piedi. Le probabilità che sia ancora lì sono nulle.»
L’altro indossò alla svelta la divisa, i movimenti secchi e la coda che esprimeva ampia contrarietà.
«In più domani deve succedere qualcosa. Qualcosa per cui quel tale non voleva testimoni.» insisté lo xarthar. «Stanotte mi sono spaventato e ti ho trascinato via. Invece avremmo dovuto denunciare la sua presenza. Adesso, per farlo, serve qualcosa di più credibile del ricordo di una voce che chiama Indigo.»
Era vero, – riconobbe Ulysses – c’erano le parole che il pipistrello aveva origliato. Quelle da sole bastavano a far capire che non fosse tutto uno scherzo... però erano parole che solo loro avevano sentito. Ci voleva qualcosa di tangibile da presentare alle ispettrici.
«Benissimo! Allora vengo con te!» decise. «Almeno, se ci sarà qualcuno, lo percepirò molto prima dei tuoi padiglioni auricolari. E intanto finisco di raccontarti di Jensen e Genedo...»
Reshan alzò appena gli angoli della bocca, grato per la sua scelta.
* * * * * *
Dopo colazione uscirono dal complesso dei dormitori. A quell’ora la migrazione verso le classi, i campi d’addestramento e i poligoni era in pieno svolgimento, quindi fu inevitabile unirsi alla fiumana di cadetti. In mezzo al marasma generale Ulysses finì il suo racconto e, come se fosse la naturale prosecuzione, aggiunse con noncuranza: «Non c’è nessuno. Ho controllato.»
Il discorso scorse talmente liscio che il pipistrello avvertì il bisogno di chiedergli di cosa parlasse. Poi, arrivatoci con un attimo di ritardo, replicò: «Sicuro?»
«Socio io sono la sicurezza in persona, dovresti saperlo. Oh, ma quello è Gregé!»
Reshan non fece in tempo ad aprire bocca che il lombax scattò in direzione di un altro allievo pilota, deciso ad arpionarlo con la sua parlantina.
 
Giunto nei pressi dell’aiuola della sera prima lo xarthar si staccò dalla calca e si addentrò sull’erba tosata. Le fronde delle palme gli solleticarono le orecchie mentre, indeciso su cosa cercare, aguzzava la vista. C’era stato un tonfo e un rumore metallico, quindi era caduto qualcosa in lega. Magari qualcosa di pesante, considerò, ricordando come si era lamentato il tipo. Forse con un po’ di fortuna avrebbe potuto individuare la sua impronta sull’erba.
Ulysses lo raggiunse dopo un paio di minuti. Lo trovò inginocchiato mentre tastava una zolla al margine del marciapiede.
«Non mi dirai che hai già scoperto tutto lo scopribile!» apostrofò allegramente.
«...Non lo so. Temo di sì, però.» rispose l’altro, pensoso.
Ulysses portò le mani alle guance. «Non mi dire! È un’impronta di scarponcino numero 44! Con un buco sotto la suola sinistra!»
Il pipistrello si girò di scatto, completamente colto alla sprovvista. «Ma che vai dicendo?»
«Oh, andiamo! Era una citazione famosissima! Ma che razza d’infanzia hai avuto?» Poi, subito dopo: «No, guarda, lascia stare. Che hai trovato?»
Anche se punto dal commento dell’amico, lo xarthar passò oltre e si rimise in piedi. «Guarda qui.» e allungò la mano aperta verso l’amico. Al centro c’era un pezzo d’ottone lungo pochi centimetri. Ulysses lo prese per esaminarlo meglio. A prima vista era un pezzo di tubo con una fascia più spessa al centro. Quando lo ruotò, però, si accorse che l’interno era occluso.
«Che cos’è?»
«È una valvola di non ritorno.»
Il lombax studiò ancora una volta l’oggetto. Di sicuro non poteva essere finito in quel posto infrattato dopo essere caduto dalla tasca di un allievo. «Quindi il tizio era davvero qui.» concluse.
«Ma se era qui perché non ci sono le sue impronte sull’erba?» Lo xarthar indicò l’aiuola fra loro e il viale. L’erba marcadiana, alta fino alle caviglie, era spezzata solo in concomitanza dei loro passi. «Se quell’individuo fosse stato qui, e quello che portava fosse caduto qui, allora gli steli in questa zona dovrebbero essere tutti chini. Invece no.»
Ulysses si chiuse nelle spalle. «Era un esper volante, magari?»
Reshan chiuse gli occhi e provò ad immaginarsi la scena. Un esper volante che levitava poco distante dal muro dell’edificio centrale portando qualcosa di pesante che, in quel punto specifico, doveva essergli caduto e aver perso la valvola. Era plausibile.
Ma non poteva trattarsi di qualcuno fisicamente in grado di volare? – si chiese. Provò a immaginare anche questo scenario e concluse che fosse plausibile in egual misura.
Riaprì gli occhi. «Sull’esper non sono convinto, ma può essere che volasse. Piuttosto: le valvole di non ritorno di solito sono all’interno dei macchinari, che io sappia. Qualche idea di un oggetto che ne monti all’esterno?»
«Nups. Neanche una.» rispose, e rese la valvola all’amico. La campana che segnava l’inizio delle lezioni scelse quel momento per suonare i suoi rintocchi.
«Be’, ci penseremo.» replicò lo xarthar, infilando il pezzo d’ottone in tasca. «Meglio andare adesso.»
«Yup. Sai che risate se Thallia ci becca nascosti qui.»
Tornarono sul selciato e si accodarono ai ritardatari che raggiungevano le aule. Nessuno fece caso a loro né all’erba piegata dai loro passi.
* * * * * *
L’Accademia di Capital City era stata la prima ad essere edificata dopo la creazione della Flotta Stellare Unita, per questo era considerata la più importante. Il suo direttore, da che mondo era mondo, doveva essere l’emblema della Flotta: buono, inflessibile, pronto all’azione, in perpetuo contatto con gli studenti, gli insegnanti e il mondo militare. Oltre che un gran cervello, quindi, avrebbe dovuto mostrare anche un fisico prestante, viste le qualità che avrebbe dovuto possedere.
Ma del direttor Ciott, al secolo Yan Lluìs, non si poteva certo dire che rispondesse a quello stereotipo. Cazar bassino il cui pelo s’ingrigiva per via dell’età, aveva due grandi occhi color nocciola riquadrati dagli occhiali, la riga in testa e una pancia prominente. Amava definire la sua nomina come una sorpresa, perché non era mai accaduto che un insegnante di Storia Militare scavalcasse un insegnante di Difesa e diventasse direttore, ma era risaputo che avesse provato a farsi nominare ogni volta che si era presentata la questione “nuovo direttore”. Per la legge delle probabilità prima o poi ci sarebbe dovuto riuscire... e ciò era avvenuto l’anno precedente.
Ad un anno dal suo insediamento non era cambiato un granché: non girava molto per l’Accademia, sempre fuori per questo o quell’incontro, e quando era presente stava nel suo ufficio a sbrigare pratiche o, tutt’al più, ad ammirare il panorama dalla finestra.
 
Era metà mattina quando bussarono alla porta del lussuoso ufficio. Il cazar, che stava ammirando il panorama con la mente rivolta ai ricordi, si voltò e guardò la porta con sufficienza.
«Avanti.»
L’uscio scorse sulle guide e Claire, la sua segretaria robotica, entrò. I suoi bulbi oculari brillavano di un denso color nocciola, mentre con una mano riportava i lunghi boccoli neri dietro le spalle.
«Direttore, ci sarebbe da sistemare la questione delle eccellenze...» esordì, materializzando una cartellina sottile. «Al Comando Centrale vorrebbero sapere con anticipo dove gli allievi gradirebbero prestare servizio.»
Il direttore annuì.
«Esaminerò i casi singolarmente. Mi lasci la documentazione sulla scrivania.» replicò, senza che la sua voce salisse o scendesse di tono, quasi ovattata. «Inoltre...»
«Sì?»
«La signora Donno dovrebbe averti chiesto di revisionare il software delle squadre speciali.»
«Si è giustificata adducendo una carenza di fondi, se è questo che desidera sapere.» replicò lei. Ma non era quello che il cazar desiderava sapere, non dopo le terribili urla che l’umana gli aveva rovesciato addosso durante la discussione sui fondi.
«In verità vorrei sapere come procede il lavoro.»
«Oh, quello.» rispose. «Ho revisionato con successo la squadra Lantha. Delle Aktia, invece, ho completato otto soggetti su quattordici.»
«Allora preferirei che tu continuassi con l’incarico. L’ufficio può fare a meno di te per qualche ora.»
«Come desidera, direttore.» asserì in tono compìto. Dopodiché appoggiò la cartellina sulla scrivania e se ne andò, leggera come al suo arrivo. Il cazar si concesse qualche secondo per riprendere i fili dei ricordi prima di avvicinarsi alla scrivania.
Bene, ecco cosa farò oggi. – si disse sorridendo.
* * * * * *
Circa le 11:00
Ospedale accademico
 
Reshan uscì dal reparto ortopedico. Sentiva di essersela guadagnata, la sua pausa. Il professore di Chirurgia era sempre stato molto esigente, ma con l’avvicinarsi del diploma aveva portato gli standard a livelli di perfezionismo malato. Il terzo grado cui l’aveva sottoposto era stato spossante. Ogni paziente affidatogli era stato obbligato a chiedere una serie di spiegazioni e l’insegnante aveva seguito con interesse predatorio lo svolgersi di ogni conversazione.
Aveva bisogno di quella pausa. Se l’era guadagnata e – si disse – non l’avrebbe trascorsa davanti a una macchinetta che elargiva caffè bruciato. Perciò andò alle scale e scese, diretto al giardino. O almeno: questa fu la sua ferma intenzione fino al pian terreno.
Scale e ascensori erano fianco a fianco, e davanti a questi ultimi trovò Nirmun e Ulysses che reggevano a spalla un nabla con la testa reclinata sul petto. Due paia di occhi fucsia lo fissarono con aria stupita e la pausa slittò in automatico.
«Lascia.» disse, affiancandosi alla coniglia. «Ti sostituisco io.»
Lei raccolse volentieri la proposta e cercò di agevolare il più possibile il passaggio del peso morto del compagno.
«Cos’è successo?» domandò l’allievo medico, una volta che il braccio del nabla fu saldamente appoggiato alle sue spalle. C’erano ancora i quindici centimetri di dislivello fra lui e il lombax, ma li ridusse piegandosi in avanti.
 «Sono stata io.» ammise Nirmun, sgranchendo la spalla gravata con veloci movimenti circolari. «Stavamo riprovando il programma di Tecniche di Combattimento, ma non mi sono trattenuta abbastanza.»
«Sempre detto che sei violenta.» intervenne Ulysses.
«Sono abituata a picchiare te e la tua testa dura. Vai a sapere che S’luc sarebbe svenuto per un calcio...»
«Dev’essere stato un gran bel calcio.» osservò Reshan. «Posso sapere dove?»
Temeva che, fra tutte le zone sensibili, Nirmun avesse colpito la più classica. Invece la coniglia lo sorprese, un po’ per la zona e un po’ per l’orgoglio ben udibile quando rispose: «Nei denti.»
Dall’altra parte del malcapitato, il pipistrello udì l’amico sbuffare con aria soddisfatta. Poi la voce divertita del lombax si fece strada fra i suoi pensieri: «Sempre detto che sono l’unico capace di batterla!»
 
Dopo aver lasciato il nabla in odontostomatologia, i tre tornarono sui loro passi. Notando che Reshan usciva con loro Ulysses decise di investigare.
«Sei in pausa?»
Il pipistrello confermò.
«E la fai da solo?»
Reshan pensò che stesse cercando di farsi invitare e la cosa gli strappò un mezzo sorriso. «Volete unirvi? Offro io.»
Ulysses negò e allo stesso tempo Nirmun accettò. La cosa portò all’allievo medico un forte senso di déjà-vu.
«Che c’è Yale, ora ti fai desiderare?» provocò la coniglia.
«Naah, non ne ho bisogno. È solo che il caffè non mi va.»
«A me invece va eccome.» e si rivolse al pipistrello: «Io ci sto.»
L’altro le rivolse un sorriso di cortesia. «Perfetto; allora andiamo.»
* * * * * *
«Miseria ladra, Tetraciel, sto cercando di fargli notare la Jork! Dovevi rifiutare!»
«E io che ne sapevo?!»
«Dovevi capirlo! Ho mai rifiutato un invito senza motivo?»
«”Non ho voglia di caffè” non è “senza motivo”. E comunque a me qualcosa da bere va. E non è detto che la Jork ci sia.»
«E tu pensi che non abbia controllato? Soldatina sbadata, non sono mica telepate per nulla!»
«Oh, fantastico! Quindi che ti aspetti da me? “Scusa ma ho cambiato idea”?»
«Non ci provare! Re mi sgamerebbe in tempo zero... e tutto il mio piano andrebbe in fumo! No, passeremo al piano B.»
«Avevi un piano B e hai fatto tutta ‘sta scenata?»
«Eee...L’ho pensato adesso.»
«Sei ridicolo, pilotucolo. Una primadonna!»
«L’ho DOVUTO pensare adesso perché ti sei è messa di traverso nel piano A!»
«Ma fammi il favore!»
«No! No, Tetraciel, dico sul serio. A ‘sta cosa ci tengo. Quindi adesso andiamo con lui, la facciamo iniziare a quattro e leviamo le tende immediatamente dopo il caffè. E magari intercettiamo quel disgraziato di Steel, che è decisamente troppo vicino. Adesso avviso la Jork. Ricordati di essere credibile quando ce ne andremo.»
«”La Donno ci ha dato i minuti contati” non è abbastanza credibile?»
 
Ripensarono al volto adirato dell’istruttrice. Ripensarono ai luoghi comuni che circolavano sulla sua ferocia. Decisero che la scusa, nel caso, avrebbe retto a prescindere.
Anche se non stavano facendo lezione con l’umana.
«Sai Tetraciel, a volte la tua propensione al Male mi stupisce.»
* * * * * *
La caffetteria era un grosso chiosco in mezzo al giardino. Tutt’intorno c’era una selva di tavolini e sgabelli e si vociferava che il gestore avesse ampiamente sforato lo spazio messogli a disposizione. Ma quella era solo una delle molte voci che giravano all’interno dell’Accademia.
Linda Jork era seduta ad uno di quei tavolini. Elegantemente avvolta dalla divisa gialla e antracite, puntava il dito contro il noto faldone, parlando al contempo con un cazar vestito degli stessi colori. Parlavano di calcoli, di materiali e di cose dai nomi così minacciosi che un profano poteva scambiarli per insulti.
«Ehilààà!!!»
La voce di Ulysses li distrasse dalla conversazione. Alzato il capo, videro arrivare il pilota con un enorme sorriso in volto. Il lombax adocchiò i fogli sparsi sul tavolino e si adagiò con noncuranza su una sedia. «Ultimi ritocchi?»
«Puoi dirlo forte...» biascicò il cazar, prima di coprire con la mano uno sbadiglio di proporzioni epiche.
«Mondo infame, Cricchetto, che occhiaie!» esclamò ancora Ulysses. «Davvero brutte. Non ci farai una bella figura alla presentazione del progetto.»
«È solo una revisione.» fece presente la kerwaniana. «Dovrebbe andare se parlerò io al suo posto. Ma se una cosa del genere fosse successa fra una settimana...»
«Non succederà.» si affrettò a promettere Jack. «La presentazione sarà perfetta.»
«Ehi, ho un’idea!» il lombax si girò e sbracciò in direzione del bancone, chiamando Reshan con la telepatia. Non gli disse il perché, ma solo di raggiungerlo al tavolo degli ingegneri. Qualche minuto dopo Reshan e Nirmun li raggiunsero, ciascuno con il proprio bicchiere di carta in mano.
Era rimasta un’unica sedia libera e il medico, con un cenno, lasciò che ad occuparla fosse la coniglia. Nirmun accolse la gentilezza con un sorrisone e ne approfittò. Linda, tuttavia, non accolse quella cortesia con la stessa felicità. Squadrò Nirmun con sguardo disgustato: il vello così sciattamente bruno; la chioma color mattone che in quella coda mezza sfatta era semplicemente orribile; il seno così sminuito dalla brassière... Buon cielo, gli abiti alonati di sudore! Ew! Con che coraggio una mangiacarote concia così si era seduta di fianco a lei?
Nessuno, però, prestò attenzione a quelle occhiate caustiche. La scena fu subito monopolizzata da Ulysses, che espose il problema sciorinando una mitragliata di parole sotto lo sguardo sconcertato di Jack.
«Puoi fare qualcosa per Cricchetto?» concluse rivolto a Reshan, prima di riprendere fiato.
Il pipistrello guardò direttamente il cazar. Adocchiò gli occhi arrossati e le borse che li adornavano. «Credo di sì.» disse, sorridendo gentilmente. «Però di turno al secondo ambulatorio c’è la professoressa Amheit, che è un’eccellente oftalmologa. Ti rimetterà in sesto molto più velocemente di me.»
Nirmun e Ulysses accolsero il suggerimento come un assist. Uno imprevisto, ma che facilitava il piano B emerso durante la chiacchierata telepatica.
«Magari ce lo accompagniamo noi.» propose il lombax.
Jack squadrò gli abiti indosso a Ulysses e Nirmun. Canottiera, pantaloncini e sudore dicevano tutto quel che c’era da sapere sulla lezione che frequentavano.
«Non avete Difesa?» domandò. «Sicuri che potete perdere altro tempo?»
«Nah, siamo con Mori, non ti preoccupare.» rispose Nirmun. «E in teoria abbiamo lasciato la lezione per portare in ospedale un murha dalla testa molle, quindi...»
«Quindi vieni con noi, che tanto siamo così bravi che possiamo perdere tempo per portare un amico a farsi vedere.» concluse Ulysses.
«Ragazzi vi ringrazio, però ci sono ancora un mucchio di dettagli di cui devo parlare a Linda...» obiettò il cazar.
«Ma se sbadigli una volta per frase.» lo rimbeccò l’interessata. «Vai a farti vedere, cammina. E già che sei riposati un po’. Tanto la nostra revisione è fissata per le cinque.»
 
Non ci volle molto altro prima che i tre lasciassero il tavolino e si allontanassero. Ulysses stava raccontando un altro dei suoi gossip ai due accompagnatori, e l’ultima cosa che si udì da loro fu l’esclamazione sorpresa di Jack: «Ma chi, Rini? Ma dici davvero?»
Linda, il collo torto in direzione dell’improbabile trio che si allontanava, provò un moto di soddisfazione. «Yale è un demonio quando si tratta di chiacchiere...»
«Puoi dirlo forte.» confermò lo xarthar con una nota di divertimento nella voce.
La kerwaniana tornò con lo sguardo su di lui. Era la sua occasione, si disse. E chiuse il faldone.
* * * * * *
Ore 13:30
 
Reshan e Ulysses si rividero in mensa, dopo le lezioni del mattino.
Entrarono a poca distanza uno dall’altro nella grande sala illuminata, quasi brillante per il bianco degli arredi, e senza dire una parola si sedettero al margine di un tavolino. Non si dissero una parola neanche quando si trattò di ordinare il pranzo, entrambi persi nei propri pensieri.
Fu Ulysses a rompere il silenzio.
«Allora?»
Reshan gli rivolse un’occhiata confusa. «Cosa?»
«Com’è andata la pausa?»
«Mi ha fatto riflettere.»
Le spalle del lombax caddero. «Come “riflettere”?»
Allargò la mente all’istante e arpionò quella della kerwaniana non appena la individuò. «Ma che mi combini??? Avevi l’occasione perfetta!»
Dall’altra parte nessuna risposta. Solo un vago senso di quiete e felicità. Ma sulla felicità non avrebbe saputo dire con certezza.
«...Jork? Linda?» e si alzò in piedi, cercando con lo sguardo nella direzione in cui aveva percepito la mente dell’allieva.
«Qualcosa non va?» domandò Reshan. Ulysses si rese conto di quanto il suo comportamento dovesse apparire strano, così si risedette al volo.
«Ma no, figurati...» si affrettò a rassicurare. «È solo che... riflettere? Era un caffè.»
«Sì, ma durante la conversazione mi ha spiegato alcune nozioni interessanti sulla propagazione del suono. Certo: dal suo punto di vista erano intese verso la deflagrazione dei colpi del cannone a ioni, ma io non ho potuto fare a meno di applicarle al rumore di ieri sera...»
Il lombax si schiaffò una mano in faccia. «No ma sul serio?» mormorò a se stesso. Si rifiutava di credere che l’inettitudine sociale di Reshan raggiungesse quella vetta.
L’interessato, intanto, lo fissava chiedendosi cosa lo spingesse a comportarsi in modo tanto astruso.
«Lys?»
«Hn.» rispose, mogio. «Dicevi del suono?»
Lo xarthar lo fissò ancora per un istante, poi scosse la testa. «Immagino tu abbia altro per le mani. Lasciamo perdere.»
«Cos..? No! Ma che dici?»
«Avanti, non fai che comportarti come un pazzo. Da chi stai scappando?»
«Io non scappo, socio. Mai.»
«Ah no? Allora quella di ieri era un’allucinazione.» concluse il pipistrello, prima di enumerare: «E anche quella della settimana scorsa, quella di due settimane fa, di un mese fa...»
«Mondo infame! Stai messo proprio male!» il pilota stette al gioco con un sorriso birbo. «Posso chiedere a Faydwig se conosce un analista bravo. Tanto lui ne ha girati diversi.»
«Preferirei sapere da chi non ti stai nascondendo.»
«Da nessuno, dico sul serio. E sono interessato a quella cosa del suono, però potrei scappare da te se cominci a parlare di leggi fisiche.»
Reshan, sebbene non particolarmente convinto, abbandonò le domande sul comportamento dell’amico e materializzò un piccolo palmare. «Niente teoria, promesso.» asserì poggiando lo strumento sul tavolo. Ulysses riconobbe uno degli analizzatori sempre in mano agli allievi delle classi ingegneristiche.
«Tempo fa Jork ha programmato la triangolazione di una fonte sonora per capire da dove fosse rintracciabile il rumore di un cannone a ioni.» spiegò lo xarthar. «Mi sono fatto spiegare il funzionamento del programma e ne ho ricalibrato i parametri per farci un’idea più precisa di dove fosse il tipo di ieri sera.»
Fu il turno del lombax di farsi perplesso. «Ma lo sappiamo già. Ci hai anche trovato quell’aggeggio.»
«Sì, è vero, l’ho trovato in un posto insolito. Ma l’assenza di segni sull’erba mi fa pensare di aver cercato nel posto sbagliato. Quella valvola potrebbe essere irrilevante.»
«Bah, per me ne abbiamo già a sufficienza per parlarne alle ispettrici. Piuttosto,» e scosse la coda con rinnovato interesse. «Quando devi restituire quel coso?»
«Jork mi farà sapere dopo la revisione.»
La mente di Ulysses partì per la tangente. Alla fine i due avevano parlato di qualcosa in comune, come previsto. (Il sorriso gli comparve in faccia.) E si sarebbero rivisti con la scusa di restituire il congegno. (Il sorriso si allargò vistosamente.)
Quindi non è come sembrava! Non ha mandato tutto alle ortiche!
Si portò le mani alle guance, completamente perso nel filone delle possibilità. Reshan assistette alla metamorfosi con un’espressione sempre più inquieta. «Lys..? Quel sorriso mette i brividi.»
Il lombax tornò presente al volo, con una nuova luce di entusiasmo negli occhi. «Brividi? Ma no, dai. Ero solo sovrappensiero.» lo blandì. «E – hey! – mi è appena venuto in mente: com’è che la Tetraciel ha saputo che non ho chiesto scusa a Cricchetto?»
«Gliel’ho riferito io.» rispose l’altro, pacato. «Una risposta cortese per una domanda lecita.»
«In caffetteria?» non gli diede il tempo di rispondere. «Di sicuro in caffetteria. Non può essere che in caffetteria. Lo sapevo che non potevo lasciarli soli, mondo infame!» e tornò a rivolgersi al medico. «Hai rovinato la mia giornata, lo sai?»
«Ma figurati.»
«Ci puoi scommettere! Oggi pomeriggio abbiamo supplenza e faremo Difesa coi Soldati. La Donno si è fatta assassina e la Tetraciel infierirà per colpa tua. Sono un povero pilota sfortunato.»
«Maleducato sarebbe un termine più adatto.»
Il lombax gli scoccò un’occhiataccia.
«Pungi pungi, tanto sono io che me la vedo con la Tetraciel. Traditore.»
«Guarda che nessuno ti pugnala. Io e Nirmun vorremmo solo che tu capissi quanto sia stato ingiusto il tuo comportamento verso Jack.»
Mentre il pilota lamentava una risposta scontenta, alle sue spalle Reshan vide avvicinarsi l’allieva in questione. Coi capelli sciolti e il tailleur da cadetta faceva tutta un’altra figura rispetto al completo sportivo.
«Qualche problema, Yale?» tuonò alle sue spalle. Ulysses sobbalzò, e vederlo abbassare le orecchie la riempì di soddisfazione. Il pilota, prima di voltarsi, sperò con tutto sé stesso che non si fosse accorta del sobbalzo, ma le sue speranze s’infransero contro il sorriso che la coniglia aveva stampato in faccia.
«Toh, parli del diavolo e spuntano le orecchie!» disse, fingendo indifferenza.
«E nel tuo caso pure la coda!» replicò lei. «Guarda: manco a me piace l’idea di passare il resto della giornata con un idiota che incasina le teste altrui, ma dobbiamo organizzarci.» rispose, prima di salutare Reshan con un cenno della mano. Il pipistrello rispose con un cenno uguale. Nirmun riportò l’attenzione sul suo collega e, col tono serio, rivelò: «Oggi la Donno ci farà simulare una battaglia terra-aria.»
L’atteggiamento di Ulysses cambiò di colpo, facendosi estremamente attento. Rita Donno era un’istruttrice che aveva del generale vecchio stampo. Le mancava soltanto un sigaro all’angolo della bocca e poi sarebbe stata l’immagine del suo stereotipo. Il suo campo d’azione preferito erano le simulazioni, ma ciò che la rendeva famosa – ancor più del suo atteggiamento brusco – era l’abitudine di sparare addosso agli allievi.
E battaglia terra-aria prevedeva esattamente quello, ma in versione esponenziale.
Il lombax deglutì.
«Ne sei certa?» volle sapere.
Lei annuì. «Parole testuali: l’ho sentita mentre parlava col direttore.» replicò con sicurezza. Il lombax si lasciò andare sulla sedia ed incrociò le braccia al petto, palesemente scontento.
«Sarà un inferno...» commentò.
«Puoi dirlo forte. E mi sa che oggi è anche più nervosa del solito, quindi conviene preparare del ghiaccio in camera. Più del solito, intendo.»
A quelle parole rivolse un’occhiata eloquente a Reshan, che annuì. «Provvedo io, tranquilla.»
«Grazie. E dici alla Daari di prendermi la solita roba? Io non la trovo da nessuna parte.»
«Sì, certo.» rispose, imponendosi di non chiedere cosa fosse la solita roba.
«Paura di farti male, Tetraciel?» s’intromise Ulysses, gli occhi socchiusi e l’espressione furbetta.
Lei gli rimandò lo stesso ghigno. «Pensa per te. Non sono io che le prendo tutti i giorni da una mangiacarote.»
E, girate le spalle, se ne andò.
Reshan la guardò riunirsi ai suoi compagni di corso, mentre Ulysses brontolava: «Solo perché mi è uscito una volta al secondo anno. Mondo infame che permalosa...»
L’analizzatore scelse quel momento per mettersi a fischiare, attirando l’attenzione del pipistrello. Ulysses fece per chiedergli dei risultati, quando si rese conto che l’amico si era irrigidito, come se avesse visto un fantasma.
«Ah no, mondo infame, conosco quello sguardo...» borbottò, serpeggiando la coda con una certa agitazione. «Re, qualsiasi cosa tu stia pensando, fermati. No. Basta. Stop. L’ultima volta che hai combinato un’idea e quella faccia è successo un casino.»
Ma Reshan non lo ascoltava.
Ci furono alcuni secondi di silenzio prima che lo xarthar si alzasse in fretta da tavola, lasciando il pasto a metà.
«Scusa, devo controllare una cosa.» disse prima di correre via, lasciando Ulysses che lo fissava a metà tra lo sconcertato e il disperato.
«Sigh. È entrato in modalità “mina vagante”.» gemette, una volta che se ne fu andato. «Meglio preparare ghiaccio doppio, stasera.»
 
Uscito dalla mensa, Reshan spiegò le ali e spiccò il volo.
L’analizzatore, pur calcolando sulla base di dati incompleti, aveva individuato una zona di ricerca: alle coordinate del mattino, ma per un vistoso intervallo di quota. Appena l’aveva letto era scattato qualcosa, come se un pezzo del puzzle fosse andato al suo posto.
Non era in giardino – si disse, sbattendo le grandi ali diafane per prendere quota. Era sul tetto! La ferraglia è caduta sulle mattonelle del tetto e la valvola dev’essere volata di sotto; ecco perché stamani non c’erano segni di caduta... e il tetto è interdetto a tutti, sarebbe un nascondiglio sicuro!
Atterrò sull’ultimo solaio con la convinzione d’individuare subito il qualcosa ch’era mancato quella mattina. Invece sul tetto non c’era niente, a parte il generatore della barriera che proteggeva la scuola. La struttura – simile ad un gigantesco bulbo – sparava in cielo un fascio d’energia che, raggiunta una certa quota, si apriva radialmente originando una cupola. Semplice, efficace e altamente fastidioso.
Non si aspettava che il generatore producesse un ronzio così tremendo per le sue orecchie. Gli lanciò un’occhiata insofferente, e con quella si accorse che dalla bocca della canna metallica non usciva alcun fascio d’energia.
La macchina lavorava a vuoto.
Che sia fuori uso di nuovo? – si chiese, perplesso. – Eppure l’hanno rimesso in funzione ieri...
Si avvicinò di qualche passo, sebbene il rumore gli trapanasse i timpani. Mentre lo sguardo saettava alla ricerca di dettagli, un lieve venticello lo investì, provocandogli un piacere inatteso che gli lasciò addosso un senso di inquietudine. Non c’era vento, all’Accademia, se la barriera era in funzione.
Aguzzando la vista, si accorse che non c’era nemmeno il campo di forza che proteggeva il generatore.
L’inquietudine si acuì, e per riflesso lo xarthar spiegò un poco le ali. Qualsiasi cosa stesse succedendo, se riguardava il generatore era meglio che non si facesse trovare sul tetto.
Non si accorse della figura alle sue spalle che si avvicinò, cauta, brandendo un’onnichiave rinforzata. Sentì solo un colpo forte alla nuca e crollò a terra, svenuto.

Sì, Ulysses ha fatto davvero una citazione. Chapeau a chiunque ne riconosca l’origine! =D
 
Detto questo, però, finiscono i toni allegri. Infatti vi devo chiedere scusa.
Come avrete notato nel dicembre 2017 ho aggiornato le date della saga adattandole a quelle della timeline stabilita da Mamma Insomniac. Mi sembrava giusto e ritengo ancora oggi che sarebbe una soluzione appropriata. Tuttavia, per me che scrivo, è sorto un problema: non riesco a scollarmi dal vecchio sistema di datazione.
Il vecchio sistema, che si ambientava a cavallo fra 1900 e 2000, è radicato in me da quasi quindici anni. Mi sono abituata a ragionare in funzione di due secoli differenti; mentre la timeline ufficiale mi costringe a ragionare all'interno dello stesso secolo. Per me è dispersivo. Mi perdo; non ho vergogna di ammetterlo.
Credevo di fare bene quando ho scelto di adattarmi alla linea ufficiale, ma ho finito per complicarmi la vita. Per questo motivo ho deciso di cambiare un’ultima volta le date.
Non tornerò al sistema con gli anni duemila, ma sposterò avanti tutto in modo che gli avvenimenti si svolgano a cavallo fra il 5300 e il 5400. In questo modo ambienterò gli eventi in un futuro leggermente più remoto di quello previsto dalla Insomniac e manterrò l'impostazione di ragionamento che ho tenuto per tanto tempo. È il compromesso migliore che sono riuscita a pensare.
 
Siccome immagino che il tutto sia diventato confusionario per voi, soprattutto per chi mi segue da più tempo, ho deciso di istituire una pagina nella Guida che contenga una timeline della Saga. Ovviamente, se qualcosa non tornasse, resto a vostra disposizione.
Spero vogliate perdonarmi, ma proprio non ce la faccio a proseguire con questo sistema.
 
Iryael

 

   
 
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