Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Il cactus infelice    23/02/2019    2 recensioni
La guerra è finita, Harry Potter ha sconfitto il Signore Oscuro e ora tutti si apprestano a tornare alla normalità. Kingsley Shacklebolt è diventato il nuovo Ministro della magia, Hogwarts ha riaperto i battenti apprestandosi ad accogliere nuovamente gli studenti, linfa vitale del futuro della società magica. I morti per la giusta causa vengono ricordati con onore, i Mangiamorte che sono fuggiti vengono arrestati e chi ce l'ha fatta cerca di riprendersi la vita leccandosi le ferite e ricordando i cari persi.
Ci vuole tempo per guarire, per superare i traumi, c'è chi ci mette di più e chi un po' meno. Ma, in mezzo al dolore, tutto il Mondo Magico è felice per la sconfitta di Lord Voldemort. Tutti, eccetto Harry.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, I Malandrini, Il trio protagonista, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny, James/Lily, Remus/Ninfadora, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CASA

 

Alla fine vennero a trovarlo anche Ron ed Hermione - che erano riusciti a estorcere in qualche modo il permesso dalla professoressa McGranitt per uscire da Hogwarts - e i signori Weasley con un carico di dolcetti perché il buon Arthur ricordava bene quanto facesse schifo il cibo dell’ospedale. 
Harry venne stritolato in uno dei soliti abbracci stritola-ossa di Molly e ci mancò poco che gli si riaprissero i punti, mentre Hermione lo tartassò di domande su cosa esattamente fosse successo, su chi lo avesse aggredito e sul perché fosse tanto stupido da andare in cerca di Mangiamorte da solo. Per fortuna Ron intervenne a calmarla e a farle lasciare perdere la questione. Ma dallo sguardo della ragazza si capiva che sì, avrebbe lasciato perdere, ma non per molto. 
“Ti saluta Ginny, Harry”, disse Ron a un certo punto per cambiare discorso. “Era indecisa se venire, sai…”. 
“Grazie. Ricambia il saluto e…”. Harry si interruppe bruscamente. Cosa avrebbe potuto dire? Che gli dispiaceva? Che era un coglione fatto e finito? Che l’amava da morire e che l’aveva lasciata solo per proteggerla? Ormai non ci credeva più nemmeno lui. E forse ormai era troppo tardi per rimediare. 
Prima di andarsene la signora Weasley gli disse che se avesse voluto tornare alla Tana per la convalescenza e per le vacanze di Pasqua era il benvenuto. In realtà lo aveva dato per assodato, dal suo sguardo si capiva quanto ne sarebbe stata contenta e quanto non vedesse l’ora. Riavere tutti i figli a casa - Fred compreso - la riempiva di gioia e per lei Harry era come un figlio. 
Ma il ragazzo dovette rifiutare. I suoi genitori lo stavano aspettando a Godric’s Hollow, avevano sistemato la casa per lui e doveva iniziare ad allacciare quel rapporto che non aveva mai avuto. 
I suoi genitori… quanto la parola suonava strana. 
In ogni caso, Il Salvatore del Mondo Magico non era quasi mai rimasto da solo in quei giorni: Sirius, James e Lily si erano alternati continuamente per tenergli compagnia. Tra l’altro Sirius lo stava brutalmente stracciando a carte e Harry non riusciva a rassegnarsi di essere così incapace, tra le risate a latrato del padrino. Si erano interrotti solo quando una giovane medimaga era entrata per cambiare la fasciatura al ragazzo. 
Nella stanza era caduto un silenzio teso, rotto solo dai movimenti leggeri della ragazza che svolgeva il suo lavoro. La poverina, leggermente rossa in viso, lanciava ogni tanto occhiate al volto di Harry, soffermandosi sul suo petto nudo e sul profilo del tatuaggio del drago che gli decorava il pettorale. Il ragazzo, dal canto suo, faceva finta di niente, la lasciava fare tenendo le braccia dietro la testa ma si era accorto dell’imbarazzo dell’altra e della sua timidezza. 
Sirius, seduto su una poltrona, ridacchiava sotto i baffi. 
“D’accordo, spara!” sbottò a un certo punto Potter quando lei gli ebbe richiuso la fasciatura nuova. “Che cosa vuoi? Una foto? Un autografo?” 
La medimaga arrossì ancora di più e abbassò lo sguardo, questa volta apparendo davvero in crisi. Harry non era stato particolarmente aggressivo, ma trovarsi davanti a una figura così importante e famosa era per lei un evento incredibile. 
“V… Volevo solo un autografo”, balbettò la poverina non osando guardarlo. 
“Hai carta e penna?” 
La ragazza tirò subito fuori un bloc notes e una penna e glieli passò. Probabilmente se li era già preparati prima di entrare nella stanza. 
“Come ti chiami?” 
“Sharon”. 
Harry scarabocchiò velocemente qualcosa e le ripassò di nuovo gli oggetti. Lei sorrise felice come una bambina il giorno di Natale. 
“Grazie, grazie!” esclamò riponendo nelle tasche carta e penna e raccogliendo disinfettanti e garze. Uscì dalla porta senza guardarsi indietro e ci mancò poco che inciampasse nei suoi stessi piedi. 
Sirius si sentì finalmente libero di scoppiare a ridere. 
“Quella ti stava mangiando con gli occhi”. 
“Ho notato”, gli rispose il figlioccio con tono scocciato. 
“Potevi chiederle di uscire”. 
“No, grazie. Non è il mio tipo”. 
Lo sguardo del suo padrino si fece improvvisamente serio con una luce maliziosa negli occhi. 
“E chi è il tuo tipo? Karen?” 
“Che cosa? No! Cosa te lo fa pensare?” 
“È carina”. 
“Sì, ma… non mi piace. Non in quel senso. Non voglio starci insieme”.
Black non gli rispose subito; si prese del tempo per studiare l’espressione del figlioccio e tirare le sue conclusioni. 
“Però qualcosa tra voi due c’è stato”. 
Harry sospirò e si mise seduto a gambe incrociate. 
“Be’, sì. Ma siamo solo amici. Amici con benefici, tutto qua. Le voglio bene”. 
“È brava a letto?” 
“Dai, Sirius! Non voglio parlare di questo con te”. Harry mise giù le gambe dal letto per alzarsi e il padrino gli corse subito incontro per aiutarlo. Potter prese la giacca per tirare fuori l’inseparabile pacchetto di sigarette. 
Al che Sirius lo scrutò torvo. “Ma che davvero?” Spostò lo sguardo dal ragazzo al pacchetto di sigarette che questi stringeva tra le mani. 
“Che c’è? Ne vuoi una?” 
“No, grazie. E nemmeno tu dovresti”. 
“Ho scoperto che aiutano a rilassarsi”. 
“E ti fanno venire anche il cancro ai polmoni”. 
“Sono sopravvissuto a Voldemort. Sono sopravvissuto a una coltellata. Davvero pensi che mi ucciderà un cancro ai polmoni?” 
“Non sfiderei la sorte”. 

 

Dopo qualche giorno Harry venne dimesso dal San Mungo anche se a detta di una preoccupata Signora Weasley - che veniva a trovarlo in ospedale troppo spesso - doveva restarci ancora. Ma i medimaghi erano preoccupati per l’attenzione che una persona del suo calibro attirava e avevano paura che a lungo andare gli altri pazienti potessero diventare inquieti, anche se questo non lo dissero esplicitamente. 
James e Lily non insistettero molto perché non vedevano l’ora di riavere il loro figlio a casa e avrebbero approfittato delle vacanze di Pasqua per poterlo conoscere meglio. 
Per quello Sirius aveva deciso di lasciare loro spazio e chiedere ad Andromeda di poter stare da lei. Almeno finché non sistemavano le loro vite e lui si trovava un posto suo in cui stare. Non aveva decisamente intenzione di tornare a Grimmauld Place.  
I coniugi Potter erano riusciti a sistemare la loro vecchia casa a Godric’s Hollow, riparare i danni dovuti all’impatto con l’Avada Kedavra quando Voldemort li aveva attaccati e pulirla. Mancava ancora qualche mobilio, ma ci avrebbero pensato col tempo. 
“Ti abbiamo preparato la stanza. Vieni di sopra?” gli chiese James prendendogli lo zaino con le poche cose che i suoi amici gli avevano portato da Hogwarts. I suoi genitori avevano già provveduto a prendergli il baule. 
Harry seguì il padre al piano superiore, guardandosi intorno quasi spaesato. Quella era casa sua… suonava così strano e ne aveva quasi paura. Continuava a chiedersi quanto sarebbe durata, quanto ci avrebbe messo questa volta prima che tutto gli venisse di nuovo portato via. Sapeva bene che quei pensieri erano stupidi e autodistruttivi ma non poteva fare a meno di pensarci. 
“È un po’ spoglia ma magari ci metterai quello che vorrai tu. Poster, foto, quello che vuoi. Se ti serve qualcosa non esitare a chiedercelo”. 
“È… è perfetto”, disse Harry osservando il semplice letto a due piazze, un grande armadio bianco, gli scaffali e la scrivania sotto la finestra che dava sull’ampio giardino. 
“Abbiamo messo degli incantesimi per impedire ai curiosi di avvicinarsi quindi non ti dovrai preoccupare che qualcuno ti spii dalla finestra”, lo informò il padre ridacchiando. “Abbiamo dovuto allontanare qualche scocciatore mentre sistemavamo… Vogliono tutti sapere… Be’, sai… Per quanto ne sanno loro non eravamo mai morti ma ci eravamo solo nascosti. Ma è meglio non raccontare troppi dettagli”. 
“Certo”. 
Ci fu qualche frazione di silenzio carico di tensione che sembrò durare troppo, mentre Harry si guardava attorno come se vedesse la stanza più bella del mondo e James non sapeva come comportarsi. Avrebbe tanto voluto abbracciarlo ma non era sicuro che fosse il modo giusto di approcciarsi. E se suo figlio non amasse i contatti fisici? 
“Be’, tu mettiti comodo. Io aiuto tua madre con la cena”. 
James uscì dalla porta quando il figlio lo richiamò. 
“Ehi”.
“Dimmi”. 
“Grazie”. 
Si sorrisero, intenerito James, contento Harry. “Non c’è problema”. 

 

Harry guardò l’orologio appeso al muro della cucina e vide che erano le tre del mattino. I suoi sicuramente stavano dormendo.
Si era svegliato di colpo, sudato, con l’affanno, con un altro di quegli incubi che - a quanto pareva - non avevano smesso di tormentarlo. Se aveva pensato che tutto si sarebbe sistemato col ritorno delle persone che amava, se aveva pensato che la sua vita sarebbe tornata com’era e la sua testa avrebbe smesso di fargli quegli scherzi, be’… si era sbagliato di grosso.
Forse, da un certo punto di vista, la situazione era persino peggiorata. A tutti i suoi sensi di colpa ora si aggiungevano anche quelli di riavere i suoi genitori. Lui aveva avuto questo privilegio, ma tanti altri no. E perché lui?
Non riusciva a spiegarselo e meno ci riusciva più si logorava più stava peggio. Appoggiò le mani sul tavolo inclinandosi in avanti per cercare di calmare il respiro. Percepì vagamente Felpato che zampettava vicino a lui. Sperava di non aver svegliato i suoi genitori.
Prese dell’acqua dal rubinetto e svuotò il bicchiere quasi in un sorso. Mentre appoggiava il bicchiere nel secchiaio, la sua attenzione venne attirata da un paio di forbici che erano rimaste lì quasi a caso, forse le aveva usate sua madre. Appoggiò lentamente una mano sul manico, indeciso.
Non voleva avere un altro attacco di panico ma lo sentiva nascere, premere per mandargli in pappa il cervello e farlo smettere di respirare, soffocarlo. Premette leggermente la lama contro la pelle bianca del braccio sinistro già martoriato. Sapeva che non lo doveva fare, che non era saggio e che doveva smettere con l’autolesionismo ma sentire il dolore fisico lo aiutava a calmarsi, a seppellire i suoi demoni. In fondo, una cicatrice in più non era niente in confronto al dolore mentale che stava provando.
Il sangue iniziò a scorrere lentamente e vedere quel colore così intenso, quel rosso talmente scuro da sembrare quasi nero lo aiutò a rimanere aggrappato alla realtà, alla cucina della sua casa in Godric’s Hollow.
Il secondo taglio fu più profondo e da lì alcune gocce di sangue si infransero contro il pavimento. Il cane accanto a lui stava abbaiando forsennatamente ma Harry lo udiva come da lontano, non ci faceva caso. Non fece caso a niente finché non vide la luce accendersi prepotente. Allora guardò il proprio braccio pieno di strisce di sangue che gli scorrevano sui polsi come rigagnoli, guardò le forbici macchiate e guardò la faccia di suo padre immobile sulla soglia che lo guardava sconvolto. 
“Harry?” chiamò James. 
Il ragazzo lasciò cadere le forbici e nello stesso momento James si mosse per afferrare uno straccio e legarglielo attorno ai tagli. 
“Che stavi facendo, eh? Si può sapere che diamine stavi facendo?” gli chiese quasi con aggressività, accompagnandolo a sedersi su una sedia. 
“Io… Io…”, biascicò il figlio impercettibilmente, tremando. 
James sbirciò sotto lo straccio e vide che il suo avambraccio era costellato di tagli cicatrizzati. Senza dire altro gli si sedette accanto e gli circondò le spalle col braccio che non era impegnato a tenere premuto lo straccio sulle ferite. Harry nascose il viso nell’incavo del suo collo, inspirando l’odore del padre e concentrandosi ad ascoltare il ritmo del suo cuore per sincronizzarlo col proprio. Non diceva niente, tremava e basta
Quando Lily sopraggiunse in cucina, li trovò così. Ma le bastò dare un’occhiata al pezzo di stoffa macchiato di sangue sul braccio del figlio per capire tutto. In silenzio, si scambiò uno sguardo col marito, gli occhi di entrambi pieni di dolore. 
Le parole che aveva detto loro Kiki qualche giorno prima in ospedale risuonarono nelle loro teste: “Io non voglio essere invadente ma non posso nemmeno stare a guardare mentre Harry si fa del male”.   
“Lily, hai ancora l’indirizzo di quella dottoressa?” chiese James alla moglie parlando con voce chiara e forte.
La donna annuì. 
“Bene, ci andiamo domattina”.  

 

*** 

 

Ops. Sono una brutta persona, lo so XD 
Quanto mi piace l’angst. Fatemi sapere che ne pensate e ci sentiamo sabato prossimo ;) 

Bacioni,
C.

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Il cactus infelice