Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: Luinloth    23/02/2019    2 recensioni
What If tra la terza e la quarta stagione.
Dopo aver salvato l’Uomo Giusto dall’Inferno, Castiel viene a conoscenza dei piani di Michael per scatenare l’Apocalisse e decide di ribellarsi. A causa della sua disobbedienza, privato per sempre delle sue ali e della sua grazia, viene scaraventato sulla terra dove, per sopravvivere, inizia a vendersi lungo la statale. I Winchester, ignari delle sorti decise per loro dal Paradiso e di come Dean sia stato riportato in vita, hanno abbandonato la vita da cacciatori e vivono in una palazzina anonima alla periferia di Lawrence. Una notte di pioggia Dean incrocia Castiel sulla sua strada e l’Inferno riemerge prepotentemente dai suoi ricordi sotto forma di due occhi blu.
Dal testo:
“Volevi parlare” – il moro lo interruppe, serafico – “Parla”
Ero all’Inferno e ho visto i tuoi occhi.
Non era decisamente un buon modo di intraprendere una conversazione.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




La luce di quel sabato mattina portava con sé una promessa di neve.
Il cielo assomigliava ad un’enorme distesa di marmo e persino le automobili strombazzanti nel traffico mattutino parevano essersi magicamente immobilizzate nell’atmosfera irreale in cui la città era immersa.

Sam era a telefono con Glen, chiuso a chiave nella sua camera, e il suo vociare concitato si sentiva fino in cucina; dall’arrivo di Castiel, una decina di giorni prima, i due avevano ormai litigato un’infinità volte.
La chiamata terminò con il rumore di qualcosa che si frantumava contro una parete e Dean sperò con tutte il cuore che non si trattasse del telefono: alla fine dell’ultima discussione il povero apparecchio aveva già fatto un volo spettacolare da una parte all’altra della stanza e chissà per quale miracolo era rimasto intatto.

Cinque minuti dopo la faccia tirata e vagamente paonazza di suo fratello fece capolino dalla porta del soggiorno.
“Ehi”
Dean tirò giù i piedi dal tavolino e cercò di recuperare una posizione decorosa su un divano pieno di briciole e sacchetti vuoti.
“Tutto bene con Glen?”
Sam aggrottò la fronte, piuttosto stupito da una domanda del genere.
“S-sì” – balbettò – “Tutto bene, credo”

Il suo cellulare ricominciò a squillare con una certa impazienza.

“Senti, io penso che dovremmo andarcene”

Dean non riuscì a trattenere una sonora risata.
“Cos’è, sto per diventare zio?” – ghignò portandosi teatralmente le mani al petto.

“Cretino” – lo apostrofò lui, facendosi di colpo serio – “Ne ho già parlato con Bobby e lui è d’accordo con me. Lo so che questo vorrebbe dire ricominciare daccapo, rimettere la trappola del Diavolo nell’Impala e tutta una serie di cose che non avremmo mai più voluto…”

“No, hai ragione Sammy” – lo interruppe– “Castiel sta meglio ed è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche. Come abbiamo sempre fatto, giusto?” – si esibì in un sorriso così bugiardo che Sam non fece neanche finta di crederci.

“Conosco una persona” – disse invece – “Probabilmente l’unica che non ci prenderà per matti quando le diremo che gli angeli esistono e che ne abbiamo uno che indossa i tuoi vecchi pigiami”

Dal bagno proveniva il sommesso sciacquio di una doccia che avrebbe dovuto essere sostituita e il cui soffione spesso e volentieri s’inceppava; Castiel non aveva ancora ben capito come utilizzarla senza farla sbuffare e sputacchiare come un vecchio motore.

“Si chiama Ellie. Ci siamo conosciuti quando eri…” – Sam tamburellò con le dita contro lo schienale imbottito – “Quando eri morto, insomma”

“E per quale motivo non dovrebbe sbatterci la porta in faccia, sentiamo”

“Perché è stata lei a parlarmi degli angeli. Ero sincero quando dicevo che le ho provate davvero tutte pur di tirarti fuori da là sotto”

Oh” – le labbra di Dean s’incurvarono in una perfetta ‘o’ a metà tra lo sbigottito e l’inquieto.

“La maggior parte dei cacciatori crede che sia un po’ svitata” – proseguì – “Non che si possa dargli torto, fino alla scorsa settimana gli angeli erano unanimemente considerati una simpatica leggenda metropolitana” – borbottò sconsolato, lanciando appena un’occhiata distratta ai primi fiocchi che si posavano sul davanzale della finestra.

“D’accordo” – suo fratello si alzò e si spazzolò via gli avanzi di pop corn della sera precedente dai pantaloni – “Immagino che debba parlare io con Castiel” – mormorò arrendevole.

Le espressioni che si alternarono sul volto di Sam passarono dal sollievo, alla gratitudine, all’apprensione.

“Pensi che potremo fidarci di lui?”

Il tatuaggio in enochiano che gli decorava il fianco – fatto su esplicito consiglio dell’angelo – all’improvviso non gli sembrava più una garanzia così solida; senza contare il tentativo non riuscito di andarsene alla chetichella nemmeno tre giorni prima.

“Ormai non so davvero più cosa pensare”

In quell’istante Bobby rincasò, bofonchiando contro l’inverno e l’inefficienza degli spargisale; la neve ora scendeva a larghe falde e aveva già ricoperto le strade e gli alberi di melograno in giardino.
Castiel era uscito dal bagno ed era ritornato in camera senza una parola.
Dean si versò una seconda tazza di caffè: nonostante tutto, per quanto si sforzasse, non riusciva a non sperare che in realtà fosse rimasto per lui.

“A proposito, dov’è che abita questa Ellie?”

“A Lancaster, nella contea di Los Angeles”

Il cacciatore alzò gli occhi al cielo.

“Che ironia”






Il primo toc toc non aveva ricevuto alcuna risposta. Il secondo nemmeno, e tutte le chiamate si erano infrante contro l’impassibilità snervante di una porta chiusa.
Al terzo – considerato che quella era ancora camera sua, diamine – girò la maniglia ed entrò.

Castiel era seduto sul letto, l’asciugamano annodato intorno alla vita, il busto nudo e i capelli bagnati. Da dove si trovava, con le persiane abbassate, non ne scorgeva che il profilo scuro, immobile davanti allo specchio.

“Stai bene?” – mosse qualche passo esitante all’interno – “Sto bussando da tre ore qui fuori”

Le sue parole ebbero l’effetto di una scarica elettrica.
Come risvegliatosi da un brutto sogno Castiel si voltò di scatto, sgranò gli occhi – nella penombra ancora più assurdamente blu del solito – e tutto il suo corpo si irrigidì. Scese con cautela dal letto, neanche fosse un animale braccato, e iniziò ad indietreggiare lentamente verso la parete.

Poi, nel più improbabile sforzo di dissimulare la sua reazione allarmata esordì quasi cinguettando.

“Dean! Non ti avevo riconosciuto”

In un’altra occasione si sarebbe complimentato con se stesso per essere stato capace di sfoderare una tale faccia di bronzo: fingere un’emozione che non provava era un’abilità che fino ad allora non padroneggiava affatto.

Sfortunatamente per lui, l’angelo che l’avrebbe data a bere a Dean Winchester con tanta facilità non era mai stato creato.

“So che cosa ti hanno fatto” – il cacciatore si era bloccato con la mano sospesa sopra l’interruttore della luce – “All’ospedale il medico mi ha mostrato le tue radiografie: un gesto non propriamente deontologico, te lo concedo”

Castiel si appiattì contro il muro fino a percepire quel che rimaneva delle sue ali premere dolorosamente contro il cartongesso imbiancato.

“Questo non ti riguarda”

Tu mi riguardi, Castiel!”
Non aveva mai pronunciato una frase dal significato tanto ambiguo. Il braccio gli ricadde lungo il corpo, inerte.

“E se pensi che non parlarne manderà via il dolore, beh ti do un’incredibile notizia: non funziona. Personalmente verificato” – ammise con un sospiro.

Castiel lo gettava in uno stato di ineguagliabile spossatezza: la sua sola presenza bastava ad instaurare tra loro una tensione insopportabile che gli spazzava via ogni altro pensiero dalla testa. Avrebbe solo voluto toccarlo. Asciugare con la punta delle dita le goccioline d’acqua che gli cadevano sulle spalle, contare le ciglia che ammantavano quelle iridi inumane, sentire se le sue labbra erano davvero fredde come la mano che una volta gli aveva posato sul ginocchio.

Le allucinazioni non erano sparite ma s’erano fatte via via più rare e controllabili. Quando la vista gli si offuscava si aggrappava al primo sostegno solido che trovava e aspettava. Non si trattava più di immagini bensì di sensazioni vivide – veri e propri pugni nello stomaco – che si riallacciavano tutte, in un modo o nell’altro, all’angelo mezzo nudo che in quel momento si trovava davanti.

E la cosa peggiore era che lui non sembrava accorgersene: se ne stava lì, rattrappito contro la parete, a fissarlo senza vederlo con uno sguardo astratto, distante anni luce.

“Non posso fidarmi Castiel. Non se continui a nasconderti da me” – si morse la lingua nell’istante esatto in cui l’ultima sillaba lasciava la sua bocca.
Odiava il modo in cui la paura riusciva a fargli pronunciare frasi tanto crudeli.

Il moro non disse niente. Si mordicchiava l’interno della guancia come un bambino nervoso.
Poi, prima che lui potesse fare retromarcia sulle sue parole, bisbigliò, quel tanto che bastava per farsi sentire.
“Immagino che tu abbia ragione”

Di fronte ad una così docile ammissione di colpa Dean non seppe come rispondere.
Con Sam era sempre stata una lotta continua a chi avrebbe avuto ragione: un’arrendevolezza di quel genere lo spiazzava.
Castiel – in generale – lo spiazzava, e per quanto avrebbe voluto prenderlo e scuoterlo fino a fargli sputare fuori quel grumo di inconfessabile che pareva divorargli l’anima, non avrebbe mai voluto diventare lui stesso la causa di quel dolore. Non avrebbe mai potuto ferirlo.

Per cui fece ciò che gli riusciva meglio in simili frangenti: glissò.

“Abbiamo deciso di lasciare Lawrence” – balbettò alla penombra – “Sam conosce una persona che potrebbe aiutarci ed ecco, insomma…” – le punte delle sue scarpe non erano mai state così interessanti – “C’è spazio nell’Impala anche per te, se vuoi venire”

Nella semioscurità Castiel sorrise – probabilmente per la prima volta da quando si era impossessato della sua stanza e dei suoi vestiti – e Dean si sentì avvolgere da un’ondata di sollievo quando gli fu chiaro che la sua non era stata che una domanda retorica.




Il viaggio fino a Lancaster si tradusse in ventitre ore di silenzio imbarazzato, incrinato soltanto dalle note elettriche di una cassetta dei Led Zeppelin che Dean aveva sparato a tutto volume – ignorando bellamente gli sbuffi contrariati del passeggero alla sua destra – mentre, seduto a gambe incrociate sul sedile posteriore, Castiel teneva il naso appiccicato al vetro del finestrino come se non avesse mai visto un’autostrada.
Non dormirono che qualche ora, raggomitolati come meglio potevano sui sedili dell’Impala, e il giorno successivo fecero una sola sosta alla vecchia stazione di servizio di un’anonima Green River nello Utah. Bobby li aveva lasciati allo svincolo per Denver ed era ritornato al suo adorato deposito di rottami, non senza prima estorcergli la promessa di una chiamata in caso avessero avuto novità.

Avevano ordinato il pranzo quando Sam ricevette l’ennesima telefonata.
Quindici minuti dopo – mentre Dean ciarlava a bocca piena di quanto la dieta di quel gigante cocciuto di suo fratello fosse carente di proteine – tornò a sedersi al tavolo e non ci fu neanche bisogno di chiedergli l’esito della conversazione.
Il telefono e Glen rimasero muti per tutto il resto del viaggio.

Lancaster era l’ottava città della contea di Los Angeles per grandezza e popolazione, ma se si escludevano la Chiesetta dei Due Pini* e qualche sporadica manifestazione cinematografica a tributo di Quentin Tarantino non rimaneva che un banalissimo cittadina a un centinaio di miglia dalla costa.

Ellie Golden viveva in una bifamiliare ai margini del centro abitato, vicino ad un supermercato e ad una farmacia che chiudeva la domenica sera e il lunedì.
Mentre attraversavano il quartiere dei negozi l’attenzione di Dean fu catturata da un’insegna bianca e azzurra, sopra una porta a vetri velata da una tendina tutta pizzi e merletti. L’insegna riportava la scritta “Le strade degli angeli”, in una calligrafia talmente elaborata da risultare quasi illeggibile.

Allungò il collo verso lo specchietto retrovisore, preoccupato per una possibile reazione da parte di Castiel, ma lui non sembrava aver notato quella rivendita new age.
Da quando erano entrati in città non faceva altro che sospirare e tamburellare nervosamente le dita sul sedile e nessuno avrebbe potuto dargli torto: il messaggio che suo fratello aveva lasciato qualche ora prima ad una segreteria monocorde non preannunciava certo una serata tranquilla.






“Sam! Sei passato a trovarmi finalmente!”

Ellie, per essere una ragazza, era una buona spanna più alta del normale.
Portava i capelli raccolti in una grossa treccia che le si arrotolava intorno alla testa come una serpe nera e – Dean non poté fare a meno di notarlo con un certo raccapriccio – le mancava l’ultima falange dell’anulare della mano sinistra.

“Chi ha provato a spararmi non aveva una buona mira”

Lei prevenne ogni domanda rivolgendogli uno sguardo sorprendentemente gentile.
In una maniera che aveva dell’incredibile, tutto ciò che nel suo aspetto appariva intimidatorio – dall’altezza inusuale alle iridi grigiastre – veniva compensato da un sorriso dolcissimo e limpido che pareva illuminarle costantemente il volto.

“Venite pure” – li invitò a entrare tenendogli la porta – “C’è un po’ di confusione, attenti a dove mettete i piedi”

Il pavimento era un cimitero di fogli scarabocchiati e libri pieni di orecchie. Ellie liberò una poltrona da un paio di occhiali mezzi rotti e provò con scarsi risultati a ripulire il tavolino del soggiorno da una macchia di tempera azzurra che spiccava sul legno chiaro come un fiordaliso calpestato.

“Così tu saresti il famoso Dean Winchester. Ti facevo più alto” – commentò una volta terminate le presentazioni. Sam soffocò una risata nel palmo della mano.

“Io direi piuttosto che…”

Dean non finì mai la frase, poiché proprio in quell’istante un caterpillar in miniatura, con tutta la potenza fornitagli dai suoi novantasei centimetri e mezzo, andò a schiantarsi contro le sue ginocchia assieme ad un improbabile set di tazzine da tè che gli si rovesciarono addosso in una cacofonia di porcellana infranta.

“Olivia! Quante volte ti ho detto di fare la brava quando ci sono ospiti?”
Olivia, il caterpillar in questione, era una treenne magrolina con un’impressionante quantità di capelli nerissimi e folti a malapena trattenuti da un cerchietto azzurro.
Un po’ frastornata, ancora col sedere per terra, alzò gli occhioni scuri prima verso la madre, poi verso Dean che la guardava un po’ stranito – suo fratello non aveva mai parlato di una bambina.
Si rialzò, si mise ben dritta, chiuse a pugno le manine sui fianchi e si esibì nella linguaccia più indisponente che riuscì a fare.

Infine, prima che Ellie riuscisse ad afferrarla, sgambettò lesta a nascondersi dietro il divano.

“Abbiate pazienza. Fa diventare matte persino le maestre dell’asilo” – sospirò lei raccogliendo i cocci – “Con te faccio i conti dopo signorina!” – la avvertì lanciandole un’occhiata di rimprovero.
Poi tornò a rivolgersi a Dean.

“Avrei voluto davvero fare qualcosa per aiutarti, tuo fratello mi è testimone” – disse – “Ma a quanto pare hai trovato lo stesso il modo di uscire dal buco…e se siete piombati qui dopo ventiquattr’ore filate di autostrada…” – arricciò appena il naso – “…Senza nemmeno farvi una doccia, ne deduco che sia proprio questo il motivo”

Ora Dean iniziava a capire perché Sam riponesse così tanta fiducia nell’intelligenza di quella ragazza.

“Non ho ancora capito però cosa c’entri… Castiel, giusto?”

Socchiuse gli occhi; Olivia gattonò fino alla sua gamba destra e le si arrampicò sulle ginocchia come a volersi difendere dallo sguardo indagatore che ora la madre puntava su di loro.

“Sono stato io a tirarlo fuori” – fu la risposta stranamente decisa di Castiel – “Prima di diventare come mi vedi adesso, ero un angelo del Signore. Esattamente come quelli di cui stai provando a leggerne le scritture”
Accennò alla moltitudine di appunti sparsi in giro; il libro che languiva vicino ai suoi piedi titolava ‘Profeti ed Arcangeli’ e aveva l’aria di essere stato sfogliato al limite della polverizzazione.

“Hai sempre avuto ragione tu”

Sam suggellò quella dichiarazione facendo crollare una pila di fogli che si manteneva in equilibrio precario sul bracciolo della poltrona.

La ragazza non si scompose ma a nessuno sfuggì il movimento fluido con il quale si portò la mano sana dietro la schiena, dove il novanta per cento dei cacciatori portava la (prima) pistola.
Con l’altro braccio andò a stringersi più saldamente la figlia contro il petto.

“Provamelo”

Castiel si contrasse contro lo schienale del divano e calpestò per sbaglio la copia di ‘Profeti ed Arcangeli’ abbandonata sul pavimento.

“Posso leggere l’enochiano” – rifletté con lo sguardo basso – “È l’unica capacità che mi è rimasta”

“Ho imparato anch’io. E nulla mi assicura che non inventerai le parti che finora sono intraducibili”

Nessuna spiegazione, giro di parole o abile diplomazia fece spostare le dita di Ellie dal calcio della pistola: Castiel non possedeva più alcun attributo che potesse effettivamente provare la sua natura angelica e a lei non interessava che Dean ricordasse i suoi occhi, che avesse messo le mani su una radiografia insolita o che avesse una cicatrice a cinque dita sulla spalla che bruciava come il fuoco dell’Inferno.

Lei pretendeva dei fatti, e li pretendeva subito.

“Immagino che conveniate con me sul fatto che un’ustione, per quanto bizzarra sia, non rappresenta una prova attendibile” – aveva obiettato nell’istante in cui il cacciatore si era sfilato la camicia, sperando con tutto il cuore che le allucinazioni non decidessero di rifarsi vive proprio in quel momento.

Il sorriso le era sparito dalle labbra; privati di ogni dolcezza, i tratti del suo viso erano diventati spigolosi e ostili come quelli di un cobra.

“Non puoi ripescare qualche inquietante aneddoto della sua infanzia come hai fatto con me?” – sbuffò Dean alla fine; per la frustrazione avrebbe quasi voluto mettersi ad urlare.

“Non avevo motivo per introdurmi nei pensieri di questa ragazza” – si risentì il moro – “Nessuno me l’ha mai ordinato”

L’ultima fiammella di speranza che ancora brillava negli occhi di Sam tremolò un po’ e si spense del tutto. Ellie si alzò – Olivia aveva posato la testolina bruna nell’incavo della sua spalla e non si muoveva, come se avesse realizzato anche lei la gravità della situazione.

“Mi dispiace ragazzi, ma devo chiedervi di andarvene”

“Ellie, perfavore…”

“No, Sam. Non sono una ragazzina sbandata. Ho delle responsabilità verso mia figlia, per prima cosa” – sentendosi chiamata in causa, Olivia le strinse un po’ di più le braccia al collo.

“Castiel non può dimostrare di essere ciò che dice e per quanto ne so voi potreste anche essere tre psicopatici peggiori di qualsiasi mostro io abbia cacciato fino ad oggi. Mi sono fidata abbastanza da permettervi di entrare in casa mia. Non abbastanza da credere alle vostre storie senza uno straccio di prova”

Scavalcò un mucchio di quaderni sbrindellati e si avviò a grandi falcate verso la porta.

Nessuno si mosse.

“Andiamo, pensi davvero che saremmo venuti fin qui a raccontarti cazzate?”
Dean si ritrovò la canna di una calibro 45 puntata in mezzo agli occhi prima ancora di finire la frase; sollevò i palmi, lanciando un’occhiata preoccupata al fratello.

“Ve lo sto chiedendo con le buone, non fatemi passare alle cattive. Lo dico prima di tutto a te Sam”

Nello sguardo nocciola del minore dei Winchester si era dipinta un’espressione affranta.

“Dacci almeno una possibilità…” – mormorò.

L’unica risposta che ottenne fu lo scatto secco e autoritario della sicura.

“Aspetta”

Nessuno aveva fatto caso a Castiel.
Era quasi buffo, vederlo armeggiare con i bottoni della camicia.

Ellie inclinò la testa da un lato, confusa, rinsaldando la presa sull’arma e facendo sobbalzare il cacciatore che teneva ancora sotto tiro.

“Loro erano…ecco…erano…” – Castiel non riusciva nemmeno a dirlo.
Probabilmente Dean aveva ragione, non parlarne non avrebbe portato via il dolore. Eppure, a mostrarlo, sembrava si fosse quadruplicato.

Voltò le spalle alla ragazza e chiuse gli occhi.



*cappella nella quale sono state girate molte scene dei film di Quentin Tarantino, Kill Bill e Kill Bill II.





Saaaalve.
Come sempre, grazie a chiunque abbia letto fin qui.
Purtroppo devo comunicarvi che la prossima settimana non riuscirò ad aggiornare, mi dispiace lasciarvi con questo cliffhanger (anche se secondo me le intenzioni di Castiel sono facilmente intuibili) ma giuro solennemente che non è stato premeditato.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e sono curiosa di sapere le vostre opinioni in merito ai due nuovi personaggi.

Ci vediamo tra due settimane!

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Luinloth