Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: StarCrossedAyu    23/02/2019    0 recensioni
L'essere umano si è sempre spinto oltre i propri limiti: ha modificato la natura, valicato confini inaspettati, seguito il progresso incessantemente.
Eppure per Hanji Zoë nulla è più interessante delle radici che hanno dato origine alla civiltà odierna e, quando Historia Reiss le offre su un piatto d'argento la possibilità di mostrare al mondo la veridicità delle sue teorie, si butta a capofitto nell'impresa.
Levi Ackerman è un uomo dai saldi principi, dotato di un carattere ruvido e scostante che nasconde innumerevoli ferite e spaccature profonde nel suo animo martoriato.
Insieme, affronteranno uno sconvolgente e pericoloso viaggio all'altro capo dell'universo, dove un antico nemico li attende minacciando ciò che hanno di più prezioso.


|EreRiren||Storia liberamente ispirata al film "Stargate" (1994)|


|¦🏆 Vincitrice del contest Instagram - La Grande Sfida - nella categoria "Undiscovered Gems" indetto dal profilo @AmbassadorsITA¦|
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Stargate

 

 

 

 

- Capitolo 3 -


La tormenta fu violenta, impietosa, implacabile. Nonostante le mura proteggessero gli uomini al suo interno dal vento impetuoso, nulla potevano contro la sabbia che, minuscola e subdola, cadeva dall'alto e si infiltrava attraverso l'enorme portone in legno. Era tanta, troppa: pericolosa per gli occhi, letale da respirare. Il capo villaggio, così, invitò tutti a lasciare le loro abitazioni, già precarie e malandate, per rifugiarsi in un edificio all'apparenza più solido. Hanji, Levi, Petra ed Auruo furono scortati all'interno della struttura grezza e antica, dove la tribù si sistemò al meglio. Le stanze erano poche, in favore di un enorme spazio comune dove poter vivere a stretto contatto con la propria gente, e quelle disponibili furono assegnate senza esitazione ai graditi ospiti dei nativi.

Levi venne condotto in quella che, all'apparenza, era in condizioni migliori, non senza che fosse prima munita di cuscini, incensi e fiori profumati. Quell'usanza, che a quanto sembrava era riservata solo a lui, iniziava a dargli sui nervi. L'aria, in quel luogo, filtrava appena da alcune aperture accuratamente ricoperte di stoffa affinché impedissero il passaggio ai granelli sabbiosi, e l'odore forte proveniente dai bastoncini che ardevano nel suo alloggio gli causava un fastidioso mal di testa. Li spense con l'aiuto di un sasso, sventolando la mano in modo da disperdere il fumo rimasto, quando l'elaborata tenda a fungere da porta venne sollevata.

E'ren, il viso scuro e gli occhi brillanti come smeraldi, fece capolino tenendo un recipiente tra le mani. Si era cambiato, liberandosi degli abiti che aveva indosso quando era stato offerto al corvino la sera prima, vestendo indumenti più umili e simili a quelli del suo popolo. Quel giorno, se possibile, gli sembrava ancora più giovane di quanto già non fosse. Sorreggeva col palmo una ciotola in terracotta ricolma d'acqua, con l'espressione di chi desiderava trovarsi ovunque tranne che lì.

L'uomo sospirò; in fondo, lo capiva.

«Vieni avanti, non mordo» gli disse, facendogli cenno di avvicinarsi notando la sua titubanza nel fare il suo ingresso.

Il ragazzo, con lo sguardo basso e la fronte aggrottata, avanzò verso di lui. Tentava di non darlo a vedere ma lo osservava di sottecchi, quasi fosse pronto a scattare a un suo minimo movimento. Levi trattenne un sorrisetto, divertito: se avesse voluto fargli qualcosa non solo avrebbe approfittato di lui durante la notte appena trascorsa, ma il castano non avrebbe potuto far nulla per opporsi.

Il giovane indigeno poggiò l'utensile all'interno di un'intercapedine scavata nel muro farinoso, tenendolo d'occhio; infine, sollevò il volto con fierezza. Voleva dimostrare di non temere il messaggero di Ymir, di poterlo fronteggiare a testa alta, e il soldato incatenò il proprio sguardo al suo: l'acciaio squarciò il cielo, l'estate sciolse il gelo dell'inverno, e per un istante tutto restò completamente immobile; nessun suono a disturbare quella sfida dalla quale nessuno dei due era intenzionato a uscire in qualità di perdente; il tempo si era fermato, piegandosi al loro tacito volere, mentre si studiavano come predatori in procinto di azzannare la propria preda.

Il clangore improvviso, dovuto al brusco impattare di un piatto lí accanto, fece sussultare entrambi.

Una nativa dai capelli color pece, giunta con quelli che parevano datteri e frutta secca, guardava Levi con profondo risentimento. Se lo sguardo avesse potuto uccidere, di certo l'uomo sarebbe morto decapitato se non peggio. Lei sola, tra tutti eccetto E'ren, sembrava contraria alla presenza della propria squadra. Avrebbe dovuto chiedersene il motivo, ma la verità era che non gli importava: il Capitano aveva una missione e, in un modo o nell'altro, l'avrebbe portata a termine.

«Oϝα ʂιαƈ, Mιƙąʂα?»

«Sιƈ ιҽɾαɱυԋʂ ƈσ ƚσɾɾ ԃҽ ιҽʅυҽ ʂσɱϙυʋ ƈσƈɳʅσαɳ σɾ ƚι ɳҽρƚʅ αυ!»

Levi non comprendeva le loro parole, ma dall'espressione di E'ren era palese che il ragazzo non gradisse la sua presenza - non lí, non in quel momento. Discussero animatamente prima che la cacciasse via, strattonando la tenda e chiudendo fuori il resto del mondo. Quando si voltò, fissò l'uomo con aria quasi colpevole, come a scusarsi di quell'intromissione. Il corvino si sedette, imperturbabile, tastando nel piatto alla ricerca di qualcosa all'apparenza commestibile e trovando una strana, grossa noce. Estrasse dalla tasca un coltello a serramanico, facendo scattare la lama con un movimento fluido e preciso, ed E'ren si irrigidí sul posto. Osservò come Levi apriva il frutto dal guscio duro, separandolo in due, rivelando al suo interno una polpa lucida e succosa al posto del gheriglio. Portò una metà al naso, odorandola, indeciso sul da farsi. Il castano allungò allora una mano, chiedendogli la gemella. Stando ben attenti a non toccarsi, il giovane avvicinò il frutto alle labbra, leccando il contenuto dal profumo dolciastro e mostrando allo straniero che fosse gustoso e soprattutto digeribile. Levi lo imitò, storcendo il naso all'idea di consumare ogni pietanza in maniera tanto primitiva, facendo saettare la lingua come quella di un gatto stando ben attento a non sfiorare la scorza esterna, certo che non fosse troppo pulita.

Lo sguardo di E'ren era attento, incuriosito da quel modo di cibarsi così strano eppure appetibile, deglutendo a quella vista. Eppure, continuava a restare concentrato sull'arma che Levi impugnava, i sensi allerta. Il Capitano si accorse della sua preoccupazione e mise il frutto da parte.

«È questo che ti turba? O il fatto che sia io ad averlo tra le mani?»

Il castano non rispose, impossibilitato dal divario linguistico a separarli. Il maggiore, allora, fece scattare nuovamente la lama all'interno dell'impugnatura, facendogli trattenere il fiato. Ripeté l'operazione più volte, con E'ren che fissava rapito il riflesso sul metallo lucido, per poi alzarsi e porsi di fronte a lui.

«Prendilo» gli disse. L'altro non si mosse, incerto sul da farsi. «Ho detto prendilo» tornò ad insistere, afferrandogli il palmo abbronzato e posandovi sopra il coltello dalla parte del manico, la punta rivolta verso sé stesso.

E'ren smise di respirare, sgranando gli occhi e tremando impercettibilmente a quel contatto inaspettato. Levi tornò al proprio posto, riprendendo a consumare la polpa variopinta di quella noce aliena.

«Così puoi difenderti, da me o chiunque altro ti infastidisca. Cerca di non mozzarti la mano» lo rimproverò non appena si tagliò la punta del dito col filo della lama, portandoselo dolorante alle labbra. Sembrava un bambino, con l'indice in bocca.

«Oƚʂσƚƚα ρƚυσ?»

Il capo villaggio, oltre la tenda, domandò qualcosa al soldato che non capí una sola parola, ed E'ren nascose prontamente l'arma al di sotto della tunica grezza.

«Tʅιυɳ, σʅιɾʂαϙ» rispose il giovane, fissando Levi un'ultima volta prima di lasciarlo solo.


-


Le comunicazioni radio col campo base erano impossibili. Le interferenze non consentivano l'utilizzo delle ricetrasmittenti, e l'unico suono che fuoriusciva dall'apparecchio era un incessante e fastidioso gracchiare. Levi confidava nel fatto che Schultz e Yin si fossero rifugiati nel cunicolo sotterraneo dove era custodito lo Stargate.

Era trascorso quasi un intero giorno, dall'inizio della tempesta di sabbia. Ore monotone, dove il corvino non aveva fatto altro che girarsi i pollici, monitorare le attività dei primitivi e poco altro.

Il soldato Ral aveva seguito l'esempio della Dott.ssa Zoë, socializzando col popolo e lasciandosi coinvolgere nelle loro faccende. Aveva osservato le donne rammendare le vesti logore dei propri familiari, creato ninnoli in pietra ed acconciato i capelli delle più piccole, suscitando risolini e rossori sulle loro gote innocenti quando si erano specchiate nelle acque di una piccola vasca naturale. Petra sorrideva, serena, sotto lo sguardo apparentemente annoiato ma vigile di Auruo.

Levi sapeva perfettamente cosa passava per la testa del suo sottoposto. Aveva sperimentato le stesse sensazioni a sua volta, in passato: preoccupazione, timore, eppure inestimabile fiducia; affetto verso la persona cara.

Il ricordo dei suoi amici gli squarciò il petto, facendolo sanguinare ancora una volta. Avevano un destino, un futuro, ed ora giacevano metri e metri sotto il terreno umido. A Levi, invece, era rimasto solo il rimorso di non aver potuto impedire la loro morte e il dispiacere di non averli seguiti in quel triste destino.

Si sentiva solo.

Si sentiva perso.

I suoi occhi vagarono sui presenti, ognuno impegnato in qualche lavoro all'interno dell'enorme sala comune, per poi trovare due gemme preziose a scrutarlo quasi di nascosto.

E'ren lo studiava dal capo opposto, celato in un angolo scuro scarsamente illuminato. Le labbra serrate in una linea sottile, giocava distrattamente con una delle piccole trecce castane che sbucava dal cappuccio liso, assorto e in contemplazione. Rimasero per qualche istante a fissarsi, quasi potessero carpire dalle rispettive espressioni i pensieri che affollavano la mente dell'altro, finché il Capitano non si staccò dalla parete alla quale era appoggiato. Attraversò l'area con passo calmo ma deciso, e Petra sollevò lo sguardo dal punto in cui era inginocchiata nel vederlo passarle accanto.

Il ragazzo drizzò la schiena, teso, infilando le mani al di sotto della veste logora. Strinse l'impugnatura del coltello, incerto sul da farsi, che Levi lo aveva ormai già raggiunto. E'ren serrò le palpebre, incassando la testa tra le spalle, ma non accadde nulla.

Quando riaprí gli occhi, il corvino lo aveva già superato e il giovane scivolò al suolo, le dita ancora strette intorno all'arma che avrebbe dovuto proteggerlo dal pericolo che il messaggero di Ymir rappresentava, ma che nulla poteva contro la confusione che agitava il suo cuore in tumulto.


-


La cena era un momento di aggregazione, per il popolo. Ognuno rideva e scherzava, impegnato a bere e cibarsi di strane creature dall'aspetto bizzarro.

Hanji, curiosa di indole e professione, guardava il modo in cui la pietanza del giorno veniva arrostita al calore del fuoco, infilzata come uno spiedo e cosparsa di erbe aromatiche e spezie dall'odore acre. Le fiamme si riflettevano sulle lenti dei propri occhiali, ancora oggetto di curiosità e immensa meraviglia, mentre ascoltava lo scoppiettare dei ciocchi di legno e lo sfrigolare delle carni della malcapitata bestia. Una volta cotta a puntino, venne servita su un'enorme foglia dal profumo fresco e messa tra le mani dell'ospite d'onore. Levi fissò la creatura, storcendo il naso.

«Perché sono il primo a dover assaggiare questo...» cercò le parole più adatte per descrivere l'esemplare dell'animale, il quale sembrava fissarlo con occhio vitreo, «...coso

Lesto come era giunto sul suo grembo, quel vassoio improvvisato sparí alla velocità della luce finendo tra le grinfie della bruna. Se lo portò al viso, studiandolo con meticolosa attenzione.

«Sembra un armadillo...» constatò, basandosi sulla corazza che rivestiva il suo dorso. Poi annusò a fondo, immergendovi infine un dito dentro, sotto lo sguardo divertito del capo tribú e quello disgustato del Captaino, rimanendo invischiata in una sostanza gelatinosa che probabilmente era il grasso del povero esemplare. Quando strappò un pezzo di carne, infilandolo in bocca, strabuzzò gli occhi come se stesse per soffocare, le guance gonfie e prominenti.

«Dottoressa Zoë!» esclamò Ral, pronta a soccorrerla, fermata prontamente dal corvino con un gesto della mano. Un istante dopo, infatti, Hanji mandò giù il boccone rumorosamente per poi sorridere mostrando tutti i denti.

«Sa di pollo!»

«Pollo...?» fece Auruo, perplesso.

«Sí, esatto!»

«Pσʅʅσ...»

Un mormorio basso, quasi inudibile, e l'intera squadra si girò in direzione di quel suono estraneo per via dell'accento, eppur familiare. Uno dei bambini aveva ripetuto le parole della donna, fissandola con occhi pieni di interesse. Alle sue spalle, un gruppetto di ragazzini altrettanto avidi di conoscenza a scrutarla, in attesa.

Hanji allora quasi lanciò la leccornia tra le braccia di Bossard, il quale la maneggiò come fosse una mina pronta ad esplodere, per poi battere le mani entusiasta.

«Un pollo, certo! Fa così guardate...»

La studiosa portò i pugni ai fianchi, piegando le braccia e iniziando a scuoterle energicamente come fossero ali.

«Cooooocococococcò~»

Tutti i presenti risero a quegli strani versi, mai uditi prima di allora, tenendosi la pancia e lacrimando a più non posso. Persino Petra ed Auruo furono contagiati da tanta allegria, con la donna che zampettava a destra e manca facendo finta di beccare il terreno arido.

Levi si coprí gli occhi con una mano, indignato, per poi sollevarli non appena le sue orecchie percepirono una voce cristallina, poco distante.

E'ren sorrideva, osservando Hanji muoversi in maniera tanto buffa, scuotendo la testa divertito. Le iridi brillanti alla luce del falò, i denti perlacei in contrasto con l'incarnato scuro, le labbra lucide e dall'aspetto morbido come poco altro. Invitanti. Seducenti.

Il castano si sentí osservato, trovando lo sguardo dell'uomo puntato su di sé. Girò il viso, rosso per l'imbarazzo, sfoggiando l'espressione più infastidita ed altezzosa che gli riuscisse in quel momento di debolezza.

Il palmo di Levi scese a coprirgli la bocca, celando un sorriso che fu incapace di trattenere. Quel moccioso testardo era più tenero di quanto immaginasse.


-


Era la seconda notte che trascorreva in compagnia di E'ren, se tale poteva essere definita.

Il corvino fissava la sua figura, rannicchiata in un angolo del letto, come a volergli sfuggire. Porre distanza e innalzare barriere che potessero frapporsi tra loro.

A Levi non interessava ottenere la fiducia di nessuno, tantomeno quella del ragazzo, ma si sentí leggermente ferito da quel comportamento guardingo e scostante. Credeva di essere stato abbastanza esplicito nel dimostrargli che non solo non lo avrebbe sfiorato, ma che considerava lecito il fatto che si difendesse da coloro intenzionati ad approfittarsi di lui. Gli aveva fornito un'arma a tale scopo, per cui quella diffidenza lo irritò palesemente.

«Potresti fissare qualcos'altro? Sei irritante» sbuffò, liberandosi della casacca militare e appendendola ad una sporgenza nel muro. L'indigeno dagli occhi di giada non rispose, né si mosse. Levi andò ad accomodarsi tra i cuscini ai piedi del giaciglio che avrebbe dovuto invece condividere col giovane. E'ren, le ginocchia strette al petto, nel frattempo non gli toglieva gli occhi di dosso.

Il Capitano si distese, il viso rivolto al soffitto e le braccia dietro la nuca, solo per trovarsi di fronte il volto color caramello dell'altro che si era affacciato oltre i tessuti variopinti dell'alcova. Il corvino sbatté ripetutamente le palpebre, E'ren che lo guardava da sopra in sotto come un cucciolo indeciso se giocare o meno con ciò che aveva di fronte. Poi, l'uomo indicò in alto.

«Guarda lassù» gli disse, e lo sguardo del giovane seguì ingenuamente il suo dito indice. Il tempo di rendersi conto che non ci fosse nulla da vedere, che fu raggiunto da un guanciale ricamato dritto in faccia, capitolando indietro tra le lenzuola. Il più piccolo si massaggiò il naso, offeso, e Levi si voltò sul fianco evidentemente soddisfatto.

«Così siamo pari» mormorò infine, chiudendo gli occhi.


-


I suoi sensi, sempre allerta, lo destarono dal proprio riposo. Dita delicate scorrevano tra i suoi capelli neri, deliziosamente ipnotiche.

Avrebbe dovuto scacciarle, rimettere il loro proprietario al suo posto. Intimargli di smetterla, che quel contatto non gli era gradito.

Eppure tacque, consapevole di quanto tutto ciò fosse sbagliato, abbandonandosi alle goffe carezze di E'ren che, inconsapevole del suo risveglio, continuò a riservargli quella dolce attenzione a cui non era riuscito a sottrarsi.


-


Quel mattino, E'ren si destò disturbato dal chiacchiericchio al di fuori della tenda. Riconobbe la voce di Levi che, con tono fermo, inteloquiva con uno dei suoi adepti.

«Questa tempesta del cazzo non ci voleva» disse ad Auruo, il quale blaterava sconclusionatezze su quanto quel posto fosse lurido e assolutamente inadatto al loro Capitano. Quando si morse la lingua a sangue, mugolando per il dolore, Petra emise un sospiro soddisfatto.

«Ben ti sta, ingrato! Questa gente ci ha accolto, protetto dalle intemperie e sfamato nonostante le evidenti difficoltà in cui versano, e tu hai il coraggio di lamentarti!»

In risposta ricevette solo versi sofferenti, mentre il compagno tamponava il muscolo tumefatto con un fazzoletto.

«Ral, prova ancora a contattare l'accampamento. Bossard, vai a darti una sistemata.»

I due si portarono il pugno destro al cuore, congedandosi dal proprio superiore per poi incamminarsi lungo il corridoio in pietra che conduceva alla sala comune. Levi si portò le dita al ponte del naso, sospirando, per poi voltarsi.

Le iridi del castano lo studiavano, attente e scrupolose, percorrendo le braccia toniche e il torace scolpito, ricoperto solo dal tessuto aderente di una maglietta. Quando incrociò lo sguardo con quello cupo del soldato, E'ren si congelò sul posto, stringendo convulsamente la stoffa colorata dietro la quale era rifugiato. Secondi interminabili in cui si scoprí incapace di abbandonare quella figura, di evitare che i suoi occhi bevessero e si nutrissero della forza che l'uomo trasudava, di impedire alla propria mente di elaborare pensieri che vedevano come assoluto protagonista il messaggero di Ymir.

Fu solo quando ricordò chi fosse che il suo viso, dapprima rapito, si deformò in un'espressione confusa e subito dopo adirata, richiudendo seccamente la tenda per dimenticare la presenza dell'uomo e ciò che comportava.

Levi restò lì, immobile, per poi allontanarsi come se nulla fosse accaduto. Come se tanto astio, da parte di E'ren, non lo turbasse minimamente. Come se non sentisse ancora il calore della sua mano sul proprio capo, svuotandolo di ogni ricordo per poi riempirlo di sola e immensa pace.


-


Hanji si sentiva come una bambina precipitata nel paese dei balocchi. Una civiltà aliena, abbastanza avanzata da fabbricare utensili per mangiare e cacciare, da conoscere l'uso del fuoco e, probabilmente, seppellire i propri defunti. Se appena un mese prima le avessero detto che le sue conoscenze avrebbero consentito una simile scoperta, probabilmente avrebbe riso a più non posso e guardato il povero malcapitato come se gli fossero spuntate coda e corna.

Invece eccola lí, a girovagare in quell'edificio grezzo ma accogliente, alla ricerca di indizi che provassero la veridicità delle proprie supposizioni.

Al popolo era stata vietata la scrittura.

Era impensabile che, insieme al linguaggio, non si fosse sviluppata quella forma di comunicazione, anche se in forma elementare. Cos'era che non dovevano dire? Che non potevano sapere?

Era l'ora della pennichella e tutti riposavano rannicchiati accanto ai propri cari, creando un ambiente quieto e quasi surreale rispetto all'allegro andirivieni dei bambini e di coloro che si avventuravano fuori per approvvigionare le mangiatoie nelle stalle e verificare la violenza della tormenta. Persino Petra ed Auruo, l'uno accanto all'altra con fare protettivo, si erano assopiti piegandosi velocemente alle abitudini della tribú. Non che ci fosse molto da fare, al chiuso, ma per Hanji ogni cosa aveva il sapore dell'avventura.

I suoi occhi incrociarono quelli di una fanciulla dai capelli color pece, la quale passava distrattamente il dito nella sabbia creando piccoli solchi concentrici.

La bruna sbatté le palpebre, tentando di comprendere cosa le risultasse familiare in quell'immagine, per poi ingoiare un urlo sorpreso.

Il settimo simbolo dello Stargate sul loro pianeta, tracciato ai piedi della giovane che, inconsapevole, aveva riprodotto il medesimo disegno che tanto aveva faticato a individuare neanche una decina di giorni addietro.

Le si gettò accanto, guardandola in preda all'estasi, facendola ritrarre in risposta. Non sembrava spaventata, piuttosto... infastidita.

«Conosci questo simbolo?» le chiese, iniziando a scrivere nel terreno. «Jiyuu. Jiyuu.» scandí il nome di una delle costellazioni che li avevano condotti in quel lontano angolo d'universo, suscitando nell'altra perplessità.

«Mιƙąʂα.»

La voce del capo villaggio tuonò nel silenzio della sala, ed Hanji sobbalzò per lo spavento. Vide la ragazza cancellare ogni segno creato, per poi alzarsi e dirigersi a grandi falcate in un angolo remoto della grande dimora seguita dallo sguardo dell'uomo dai lunghi capelli castani.

«E ƈυƚ ԃαƈƈ ϝυƚα ιҽƚ ιɾιαɾι...» mormorò quest'ultimo, scuotendo tristemente il capo mentre stringeva le ossa che portava come monile al collo.


-


Quella sera, riuniti intorno al falò, l'atmosfera era pesante. A tutti era giunta voce di come la straniera avesse abusato della fiducia del loro leader. Gli occhi di tutti erano puntati su di lei, tristi e spenti.

«Sembra un funerale...» borbottò Auruo, solo per ricevere una gomitata da Petra.

«Sono sempre più convinta che qualcuno impedisca loro di scrivere...» fece la studiosa, guardando Levi con aria cospiratoria.

«Non è certo un nostro problema.»

«Sí invece! Probabilmente è per questo che al nostro arrivo non abbiamo rinvenuto nulla ai piedi dello Stargate: la sequenza per aprire il portale è andata distrutta oppure, peggio ancora, non è mai stata trascritta.»

I volti dei due soldati scelti si incupirono al pensiero di trascorrere il resto delle proprie esistenze in quel luogo sconosciuto e inospitale. Il Capitano, invece, restò impassibile.

«In tal caso, la missione è fallita. Il Comandante Smith, non vedendoci tornare, aprirà il nostro Stargate per consentirci l'accesso. Quando nessuno lo varcherà, il progetto verrà chiuso ed archiviato.»

«Ma è ingiusto! Noi siamo qui, vivi, e siamo testimoni del fatto che non siamo soli nello spazio!» esclamò, infervorata, alzandosi in piedi come segno di protesta. Levi, decisamente arrabbiato, gettò invece il proprio pasto nel fuoco.

«Cosa cazzo vuoi, che mandino altra gente qui a morire? Non bastiamo noi?!» urlò, facendo tremare i più piccoli. A quella vista, il corvino quasi si pentí di aver alzato tanto la voce. Si strinsero tra loro, guardandolo impauriti e con i lucciconi.

E'ren ne strinse uno tra le braccia, furente. I suoi occhi fiammeggiavano, proprio come durante il loro primo incontro sotto l'astro cocente, in miniera. Pareva che le sue esitazioni fossero svanite, sostituite dall'odio verso Levi e la minaccia che poteva rappresentare verso la propria gente.

Fu solo quando la donna dallo strano volto iniziò a cantare che sembrò placarsi, stupito.

Hanji intonava una filastrocca, agitando le mani e battendo il piede al ritmo di quella melodia improvvisata. Sorrideva gentile, ondeggiando il capo seguendo un motivo astratto e invisibile. Il ragazzino biondo, che per primo li aveva visti in pieno deserto, le si avvicinò per meglio ascoltare quei nuovi suoni.

Uno ad uno i piccoli si raccolsero intorno alla bruna, muovendo le loro testoline all'unisono.

Anche E'ren si lasciò coinvolgere, distendendo i magnifici tratti, e la vergogna si impossessò di Levi. Era evidente che fosse la sua presenza a renderlo così aggressivo, inquieto, spaventato.

L'uomo si alzò, allontanandosi indisturbato, seguito da due gemme preziose che non volevano saperne di lasciarlo andare.


-


Era notte fonda quando il corvino tornò nel proprio alloggio. Tutti dormivano da tempo, stranamente rasserenati dalla sciocca canzoncina di Hanji dopo il suo exploit decisamente poco felice.

Si tolse la giacca, e il suo sguardo cadde sulla figura distesa nel letto.

Il respiro di E'ren era lento, regolare. Un palmo sotto al suo viso, le lunghe ciglia che poggiavano sulle gote lisce, il naso dalla forma aggraziata, le labbra rosse e vellutate. Era bello oltre ogni dire, con l'estate al posto degli occhi e il cioccolato più pregiato a sostituire i capelli. Nonostante la polvere e il terreno su cui camminava, i suoi piedi erano perfettamente puliti e la sua pelle profumava di spezie.

Lo osservò per un tempo lungo una vita eppur infinitamente breve, perso ad ammirarne i tratti e immaginare la consistenza della sua bocca turgida.

Il ragazzo si mosse nel sonno: i suoi denti intrappolarono un labbro, segnandolo, piegando al contempo un ginocchio ed esponendo la coscia da sotto il tessuto liso dei propri abiti.

I muscoli di Levi si tesero, le pupille si dilatarono, il cuore prese a pompare velocemente il sangue sino a raggiungere anche le parti più recondite del suo corpo. Allungò una mano verso il giovane che, ignaro, continuava a martoriare quel lembo di pelle tentandolo oltre ogni dire. Quanto tempo era trascorso da quando aveva toccato qualcuno in quel modo..? Neanche lo ricordava, troppo impegnato ad autocommiserarsi.

In quel mondo ostile, E'ren gli era stato offerto a quell'unico scopo: servirlo, appagarlo, piegarsi ai suoi bisogni. Nessuno avrebbe avuto qualcosa da ridire, se avesse sfruttato quel dono. Ma, invece di sfiorarlo come tanto desiderava, lo coprí con la casacca della divisa, impedendo ai propri occhi di indugiare oltre su quella carne soda.

Levi non era una bestia, e mai lo sarebbe diventato. Uscí nuovamente dalla stanza, sfuggendo alla brama che rischiava di possederlo, troppo provato nell'animo per fidarsi di sé stesso.

Oramai solo, le palpebre di E'ren si sollevarono, le iridi lucide. Aveva messo il messaggero di Ymir alla prova, certo che, solo e indisturbato, avrebbe ceduto all'istinto. Invece, ancora una volta, era stato graziato. Lo aveva risparmiato dall'umiliazione di essere trattato come un servo, un animale e nulla di più, e ciò aumentava quella strana sensazione che gli agitava il petto e lo faceva sentire colpevole.

Forse, lui era diverso.

Forse, poteva fidarsi.

Annusò il tessuto dell'indumento, ali bianche e blu dipinte sulla schiena, e desiderò sparire in un abbraccio che ancora non sapeva di volere.


-


Finalmente, la luce del giorno. La tempesta aveva cessato di imperversare, consentendo alla squadra di Levi e al popolo di abbandonare il rifugio che li aveva ospitati. Ciò che li attendeva, però, era ben lontano dalle loro aspettative.

La sabbia che aveva superato la barriera rappresentata dalle mura si era depositata in grosse quantità sui tetti delle abitazioni. Alcuni di essi, provati da un tale peso, erano miseramente crollati seppellendo tutto ciò che vi era al di sotto: lo scarno mobilio, i pochi averi, tutto ciò che poteva essere caro. Almeno nessuno era morto.

I poveri malcapitati iniziarono a scavare mestamente tra le macerie. A Levi sembrava di essere tornato a Marley, circondato dal tanfo della disperazione.

Una donna rovistava tra le rocce, le mani rovinate e il viso sudicio, quando una delle travi ancora in piedi venne meno, dirigendosi inesorabilmente verso di lei. L'ombra calò impietosa come la falce della morte, e quella serrò gli occhi tentando di proteggersi con le braccia, attendendo l'inevitabile. Invece, qualcuno aveva avuto il coraggio e la forza di frapporsi tra la sua vita e il pericolo.

Il messaggero di Ymir si liberò del grosso tronco che, con uno sbuffo, sollevò polvere e detriti.

Il corvino, appurato che la nativa stesse bene, chiamò i suoi uomini.

«Bossard, aiutali a sollevare quel masso. Ral, organizza piccoli gruppi in modo da dividere il lavoro. E tu Zoë...» calcò il cognome quasi fosse un'offesa «...assicurati che i mocciosi non si facciano male, sei brava coi poppanti.»

Hanji sorrise a quel complimento, abilmente camuffato da quelle parole acri, e radunò i più piccoli per intrattenerli con semplici giochi di prestigio. Pietre che svanivano dal suo palmo e sbucavano dalle orecchie, fiori del deserto che nascevano da pezzi di stoffa, e il suo pubblico improvvisato andò in visibilio. L'emissario del loro Dio aveva portato con sé una sciamana, capace di attingere alla magia propria della natura.

Gli indigeni, guidati da Petra, rimuovevano le rocce e il legno, accatastando tutto. Auruo si lamentava più di quanto fosse necessario, ma la sua forza era al servizio di quella gente esattamente come il suo Capitano gli aveva ordinato.

Levi lavorava senza sosta, implacabile, la fronte sudata e il volto contratto per lo sforzo. Si tagliò un avambraccio con una scheggia ma non prestò alcuna attenzione a quella ferita, non fino a quando si sentí sfiorare la parte lesa.

E'ren, accanto a lui, esaminava il punto sanguinante con occhio critico, le dita che percorrevano delicate la zona circostante. L'uomo si scostò, solo per essere trafitto da quegli occhi brillanti e determinati e strattonato nuovamente nella posizione iniziale. Il modo in cui il castano lo fissava lo indusse a tacere e ingoiare ogni altro tentativo di protesta. Il giovane gli fece segno di non muoversi, allontanandosi per poi tornare con alcune foglie tra le mani. Pulí il taglio con l'acqua di un piccolo otre in pelle, appeso al suo fianco, masticando nel frattempo le fronde. Cacciò il bolo nel palmo della propria mano, andando a stenderlo - con sommo orrore di Levi - sulla ferita.

L'istinto di sottrarsi a quella pratica altamente discutibile era fortissimo, ma la delicatezza e la cura con cui E'ren spalmava la sostanza sulla lacerazione era tale da convincerlo a restare immobile, trattenendo persino il respiro. Un odore fresco, simile alla menta, invase le sue narici e la zona iniziò a pizzicare. Probabilmente aveva proprietà antibatteriche, e Levi sollevò lo sguardo da quel meticoloso lavoro per incatenarlo a quello del giovane che curvò appena le labbra, incoraggiante.

Una volta fasciato il tutto il corvino fu libero di muoversi.

«Grazie» disse solo, sentendosi subito un idiota perché l'altro non parlava la sua lingua. Eppure l'ampio sorriso che E'ren gli dedicò in risposta fu sufficiente a comunicargli che, in qualche modo, aveva capito.

Il ragazzo si uní a un piccolo gruppo di nativi, aiutandoli a liberare l'ingresso di una costruzione fatiscente, dando tutto sè stesso nell'impresa. La loro forza, però, non era sufficiente.

«Lҽʋι!» lo chiamò, le mani ai lati della bocca per meglio farsi sentire.

Era la prima volta, dopo quella sera, che gli rivolgeva la parola. Che pronunciava il suo nome. Il cuore mancò un battito a quel suono tanto soave quanto gradito, e i suoi piedi avanzarono prima ancora di rendersi conto di cosa stesse facendo.

Lavorarono fianco a fianco tutta la mattina, scambiandosi sguardi colmi di curiosità e qualcos'altro a cui non seppero dare definizione.


-


Hanji beveva il gustoso distillato di quel popolo alieno, ridendo a squarciagola e improvvisando passi di danza sotto lo sguardo divertito e adorante dei più piccoli.

La giornata era stata dura, estenuante, e tutti si rifocillavano intorno al fuoco dell'enorme falò acceso al centro del villaggio. La gran parte delle persone era tornata alle proprie case, altre invece avrebbero atteso che le riparazioni apportate dalla squadra venissero ultimate.

Petra ed Auruo parlavano tra loro, guardandosi complici e stringendosi la mano, mentre Levi li osservava da lontano. Non aveva avuto il coraggio di unirsi agli altri, non dopo aver spaventato a quel modo i bambini la sera prima. Preferiva di gran lunga stare per conto proprio ed evitare di causare ulteriori danni. La sua mente era concentrata sulla propria missione e, nonostante le comunicazioni radio fossero state apparentemente ripristinate, il fatto che Yin e Schultz non avessero risposto non alleggeriva di certo il peso sulle sue spalle. Se la Dott.ssa Zoë davvero non fosse riuscita ad aprire il portale, sapeva perfettamente cosa avrebbe dovuto fare.

Quando dei piedi dalla pelle scura entrarono nel suo campo visivo fu sottratto dai pensieri che lo tormentavano, sollevando il volto verso la presenza appena giunta.

E'ren gli porgeva una ciotola d'acqua fresca, quasi fosse ossessionato dalla sua idratazione piuttosto che altro, attendendo che la accettasse. Sembrava sereno, rilassato, e Levi allungò istintivamente le mani per liberarlo da quell'incombenza. Si aspettava che, svolto il proprio compito, si allontanasse. Invece, gesticolò verso il tronco sul quale era seduto, chiedendogli di fargli spazio. Il ragazzo si accomodò accanto a lui, osservandolo, per poi posare gli occhi sull'orologio che il corvino aveva al polso. Levi sorrise appena nel notare la sua espressione stupita al movimento delle lancette.

«Vuoi vederlo...?» gli chiese, sfilandosi il cinturino per porgergli l'oggetto. L'altro allungò le dita, il viso pieno di stupore, sfiorando quelle congelate dell'uomo in netto contrasto col calore delle proprie. Un brivido percorse entrambi, che tentarono testardamente di ignorare quella sensazione, ed E'ren studiò lo strano marchingegno ora custodito nel suo palmo. Percepiva il ticchettio del meccanismo al suo interno e lo portò all'orecchio, sgranando gli occhi per la meraviglia.

Per Levi nulla era più spettacolare di quel ragazzino cocciuto, in quel momento. Lo fissava completamente rapito da tanta innocenza, consapevole di quanto in realtà fosse fiero e tenace. Un connubio che gli dava alla testa, facendola vorticare come mai gli era capitato prima.

Le iridi di E'ren trovarono le sue, ricambiando quello sguardo perso, e si leccò istintivamente le labbra secche. I loro respiri si fecero irregolari, troppo presi a scrutarsi, studiarsi, volersi, ed il giovane raccolse ogni briciola di coraggio per sporgersi verso la bocca schiusa dell'altro.

Bastava poco, e Levi avrebbe assaggiato quel frutto invitante e seducente, certo che non gli sarebbe bastato. Avrebbe preteso di più, perché E'ren stava risvegliando un lato di lui che credeva di aver sepolto insieme ai suoi compagni.

Quando con la coda dell'occhio vide il capo tribú osservarli, però, si convinse che il castano stesse solo adempiendo al compito che gli era stato imposto. Che non lo desiderasse e si stesse solo sforzando per compiacere il leader del suo popolo.

Evitò E'ren all'ultimo secondo, alzandosi in piedi e allontanandosi con passo deciso, lasciando il ragazzo a fissarlo con espressione delusa. Strinse i pugni, conficcando le dita nella carne, sotto lo sguardo mortalmente serio di Mikąsa che aveva assistito a tutta la scena.

 

-


Hanji contemplava le stelle, ancora annebbiata dai fumi dell'alcol. Tutti dormivano placidamente, distesi accanto al fuoco che andava spegnendosi senza nessuno che lo ravvivasse. Poi qualcuno la mise forzatamente a sedere, facendole trangugiare un liquido fresco e dal sapore amaro, e la sua mente tornò lucida in pochi istanti. La giovane dai capelli corvini, con la quale aveva provato a comunicare il giorno prima, la fissava coi suoi occhi grigi come il piombo.

La prese per mano, trascinandola silenziosamente oltre l'ammasso di persone assopite al suolo.

«Dove stiamo andando?» le chiese la bruna a bassa voce, ma la nativa non rispose. La condusse invece ai margini del villaggio, in un anfratto sotterraneo sapientemente nascosto da rocce e cespugli rinsecchiti, guidandola nello stretto cunicolo.

«Piano, non vedo nulla, io-» provò a protestare ma, quando con l'ausilio di pietre focaie la giovane accese una torcia, Hanji restò a corto di parole. Le mancò l'aria mentre il suo cervello veniva investito dalla miriade di informazioni che si pararono dinanzi al suo viso.

Incisi nella roccia, milioni di simboli si affollavano gli uni sugli altri, simili a quelli eldiani a lei tanto cari. Narravano una storia, quella del popolo che li aveva generosamente accolti, e il modo in cui la loro civiltà era nata. Infine, trovò ciò per cui era stata incaricata durante quella missione: un disegno dello Stargate, con al di sotto la sequenza per spalancare la porta delle stelle.

«Torniamo a casa.»

   
 
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