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Autore: Hermes    23/02/2019    0 recensioni
Diciassette anni di giorni da spiegare e mettere a fuoco.
Un’autopsia al tempo fra la nebbia di San Francisco e la polvere del deserto, per arrivare nel presente che potrebbe essere solo una possibilità nel futuro.
Il mondo è costruito sulle nostre scelte.
[Questa storia fa parte della serie 'Steps']
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Steps'
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“Testi carburanti da caccia su quella Jaguar?! Ti sei totalmente rincretinito, Linds!?!”
“Non è così pericoloso dai…”
“Sgrunt!!!”
Sì sono riuscita a sbuffare degnamente, meglio di un fumetto di Paperino.
E il topastro screanzato ride! Idiota!
“Tu e Kurt siete due gocce d’acqua, Michelle…è affascinante.”
Sbatto le palpebre, dimenticando la mia arrabbiatura.
“Guarda che nei suoi cromosomi ci sei pure tu.”
“Sì, ma da te ha preso tutte le cose migliori.”
“Speravi che avesse il tuo IQ?”
Scuote la testa, con vigore “No, e lo sai.”

Era la mattina del Giorno del Ringraziamento.
Kurt aveva superato i venti mesi ed sgambettava come un nanerottolo, già frequentava l’asilo nido.
Puccioso e terribilmente commovente, non c’era giorno che non pensassi almeno una volta a lui come ad un miracolo.
Quel mattino mi ero svegliata con Linds accoccolato ed profondamente addormentato al fianco.
Un ritorno a sorpresa che mi aveva fatto sorridere.
Linds, Kurt ed io a casa nello stesso momento, un motivo in più perché quella festa mi facesse felice…quindi mi ero alzata quieta come un topolino per non svegliarlo ed avevo fatto partire la giornata.
Circa un’ora dopo Kurt disegnava forme con i cheerios caduti sul tavolino del seggiolone, di ottimo umore perché facevo finta di non aver ancora notato il disastro.
Avevo frugato dappertutto per la cucina in cerca di qualcosa di speciale da preparare agli adulti per colazione, specialmente a Linds, e l’organizzazione di Alice aveva dato i suoi frutti.
I pancakes al mirtillo erano ad un passo dall’essere pronti ed ero sicura che il profumino aveva raggiunto il primo piano.
Anche Kurt aveva notato l’aroma ed ora stendeva le braccia verso di me con occhi scuri e umidi, totalmente dimentico di essersi divorato una ciotola stracolma appena prima.
Passi sulla scala a chiocciola ed uno sbadiglio, mi volto a guardare il topo mentre scende di sotto e si stropiccia gli occhi.
Sorrido, sono certa che mi si legge in faccia la felicità di vederlo qui almeno per oggi o magari fino a domani…
Linds sembra ancora leggermente nel mondo dei sogni e si siede sullo sgabello dell’isola accanto a Kurt, sbattendo lentamente le palpebre.
“Heilà, Linds…quando sei tornato ieri?”
“Tardi…cibo?”
Scuoto la testa ed appoggio il piatto dei pancakes davanti a lui con un sorriso mentre si serve la sua porzione extralarge ed aggiro il bancone per sedermi.
“Ma-ma!”
“No, Kurt.”
Gli pulisco la bocca sporca con il bavaglino, mi guarda quasi come se gli avessi strappato di mano il pupazzo di Hulk.
“Ma-ma!!!” ha alzato la voce di un tono e sento più che vedere le spalle di Linds irrigidirsi.
Lo so che quando è davvero stanco il topo non sopporta il casino di primo mattino ma…
“Kurt hai già mangiato, se continui ti verrà male alla pancia.”
“No-no.”
Gli accarezzo il capo, scuotendo la testa, spero solo che non si metta a piagnucolare.
E in quel momento sul seggiolone appare un piattino con il corpo del reato tagliato in ottavi così precisi che sembrano fatti con goniometro e squadretta.
“Zitto e mangia, marmocchio. Ce la puoi fare?” il tono di Linds non ammette repliche, sto quasi per dargli del cafone quando Kurt annuisce e si quieta, facendo gli occhi a cuore al pancake.

Era sempre stato così con Kurt, le rare volte che tornava a casa.
Non cattivo, mai gli aveva torto un capello.
Ma nemmeno l’aveva preso in braccio o speso il tempo minimo per ascoltarlo.
Se gli parlava lo faceva con tono sbrigativo e gelido, raramente si lasciava convincere a giocare coi mattoncini.
In breve lo preferiva muto e buono, possibilmente fuori dai piedi.
“Linds…?”
“Sì?”
Silenzio.
“Niente.”
“Sicura? Perchè la vedo la domanda nel tuo sguardo.”
“È una di quelle domande a cui tanto non risponderesti.”
“Mettimi alla prova, Michelle. Potrei sorprenderti.”
Sorrido “Okay. All’inizio eri geloso di Kurt?”
“Cavolo sì.”
“Lo immaginavo ma…”
“Non è colpa tua o di Kurt, non ero totalmente sano di mente Michelle.”
Lo osservo sorpresa, i suoi occhi che mi fissano melanconici ed un sorriso tranquillo che penetra e riesce a farmi male.

Ero ancora sulla carrozzina.
Incazzato come una iena che non potevo fare cosa diavolo volevo e perfettamente cosciente che, se avessi potuto, avrei ripreso la distruzione da dove si era fermata.
Avevo paura di entrambe le idee.
La giornata era iniziata storta.
Per comodità dalle dimissioni del Sunrise Hospital mi avevano sistemato nell’infermeria della Nellis Air Force Base, forzandomi a dormire con dosi massicce di sedativi e metadone.
Sempre quel veleno quando sarebbe bastato una dose molto minore di qualcosa di molto più potente…
Svegliarmi presto al mattino per una colazione che solo vederla induceva alla nausea.
Loro la chiamavano riabilitazione…io no.
Io la chiamavo rottura di palle con culate all’ordine del giorno, le mie gambe non mi reggevano ed avevo rifiutato la riabilitazione in acqua.
L’acqua è umida, io odio l’acqua.
E per culminare una giornata già da poter dimenticare c’era l’appuntamento da Creane.
Odiavo quella donna forse più di tutto il resto.
Odiavo le sue domande ed il fatto che le rispondevo, più di tutto.
“Lo odio…” mi era uscito dalla bocca una specie di ringhio.
“Chi?”
“Kurt.”
“Perché?”
Mi ci vuole un po’ prima di rimuginare una risposta adeguata.
“Probabilmente perché esiste.”

“Usi tanto questo ‘sano di mente’, perc-”
“Non mentire Michelle.” m’aveva interrotta, scuotendo la testa vigorosamente “Quando abbiamo scoperto della gravidanza sono finito in autopilota. Conosci i miei modi di fare…ero terrorizzato. Ad un certo punto nel mio esilio alla Base mi ero quasi convinto che non eri davvero incinta. Ti pare un comportamento scusabile?”
No, maledizione no.
Ho la nausea, perché da una parte vedo cristallina la sua fuga di allora mentre ero incinta e dall’altra quel disprezzo nello sguardo il momento che Kurt era nato.
Avevo assistito dal letto di ospedale a quell’ira che Linds irradiava per la prima volta da quando l’avevo conosciuto.
“Linds se noi…se la contraccezione avesse funzionato e io non fossi-”
“Non pensarci, Michelle.”
Mi stava stringendo la mano nella sua e quel contatto mi faceva venire delle stupide lacrime agli occhi.

~ quasi diciotto anni prima, laboratori sotterranei del Lambda Department
6 Marzo.
Un giorno come un altro sottoterra.
Laboratorio, mensa, laboratorio.
Lui, esperimenti e provette.
Giornata scandita e perfetta.
Non erano nemmeno le sette e mezza del mattino quando il suo cellulare suonò, aveva modificato la banda del blackberry in modo da bypassare gli schermi di controspionaggio della Base anche se sapeva che tutte le comunicazioni non provenienti dai terminali fissi venivano registrate e documentate.
A prima occhiata non aveva saputo riconoscere il chiamante ma, considerando tutto il lavoro di calcolo borioso che lo attendeva quel giorno, ogni distrazione era la benvenuta.
Tra l’altro devo decidermi a fare una telefonata a Ma Belle…magari questa sera se riesco a trovare il tempo per tornare al villino.
“Sì?”
“Il signor Lagden? È lei?!”
“Sì, ma-”
“Deve venire subito! Mi sente? SUBITO!!!
“Venire dove? Chi è lei?”
“La dottoressa Hervas sta male! Si sbrighi!”
Era scattato in piedi, battendo con le ginocchia il ripiano del tavolo e facendo rotolare alcune provette per terra dove si infransero.
“Non è possibile, sono...”
“Mi creda Michelle è in travaglio da almeno diciotto ore.”
Diciotto- no-
“Dove.” suonava calmo, forse troppo calmo mentre il suo cervello andava in overdrive.
Ascoltava quella voce di donna – che poi avrebbe conosciuto come Alice – e non la stava ascoltando, assimilava i dettagli ben sapendo che la sua memoria avrebbe fatto il resto mentre si toglieva secco il camice di protezione ed lasciava detto al suo assistente di spegnere tutti gli apparati.
“Ma dottore…!”
“Ho da fare. Se mi cercano non ci sono e non provare nemmeno tu. Mi farò vivo quando posso.”
“Ma la conferenza-”
“Falla da solo. Hai tutti i rapporti e mancano solo un paio d’ore di calcoli, esistono i computer. Non cercarmi.”

Quindi era saltato in auto e dato gas.
Per qualche grazia divina non aveva incontrato auto della polizia, dubitava però che avrebbero potuto anche solo prendergli il numero di targa alla velocità col quale stava viaggiando.
Non si era praticamente fermato se non per fare rifornimento imprecando a metà strada ma senza mangiare o bere.
Aveva probabilmente intaccato un nuovo record Rachel-San Francisco senza contare il numero di violazioni del Codice della Strada.
Verso le quattro del pomeriggio posteggiava nel parcheggio del San Francisco California Pacific Medical Center senza aver ricevuto altre novità.
Ventidue ore e rotti…Cristo, ma belle.
Il momento che marciò nella reception dell’ospedale e si fermò al bancone…
“Sono qui per una donna, dovrebbe partorire.”
“Cognome?”
“Hervas...Michelle.”
In quel momento qualcuno gli toccò una spalla e si ritrovò davanti una donna bionda sulla quarantina, magra e dalla faccia stanca, Alice.
L’aveva riconosciuta dalla voce e si lasciò aggiornare brevemente sulla situazione mentre salivano al reparto di maternità.
“Ho trovato il suo numero sul telefono della Dottoressa e l’ho chiamata. Hanno detto che il bambino non è nella posizione giusta e non vuole saperne di girarsi.”
“…”
“Ho atteso nella sala d’aspetto finora ma vogliono parlare con un parente e la Dottoressa si è rifiutata di chiamarla fin da subito.”
Mi ero rivolto alla centralinista della reception confermandogli chi ero.
Il padre di uno spocchioso marmocchio che prima vuole uscire con un mese di anticipo e poi cerca di ucciderla!
Altra perdita di tempo in attesa che qualcuno arrivasse dalla sala parto, altra conversazione quasi superflua che le orecchie filtrano a spezzoni come disturbata.
“Il parto naturale…la donna è in perfetta salute…la posizione del bambino…”
Io che mi infilo come in trance un camice verde, cuffietta, copri scarpe e mascherina.
Il momento che metto piede nella saletta e torno bruscamente alla realtà all’urlo emesso da Michelle al momento di una nuova contrazione che si trasforma in un lamento da farmi rizzare tutti i peli sulla nuca.
“Su cara, va tutto bene, tesoro.”
Allargo gli occhi trovando la proprietaria di quella voce smielata, una ostetrica.
Va tutto bene…?
No, non andava per niente bene.
Dopo quasi ventitré ore di travaglio Michelle era l’ombra di se stessa mentre annaspava per respirare, semisdraiata sul lettino e sudata fradicia.
La sofferenza che le contorceva il volto, le borse sotto gli occhi grigi socchiusi.
Quel pancione sulla cui superficie si vedevano movimenti dall’interno, deboli.
Mi ha visto, la sua mano tesa verso di me afferra la mia.
Non riesco a parlare, non sento nemmeno il dolore alla mano che sembra presa in mezzo ad una morsa.
Il grigio slavato delle sue iridi.
“Voglio un cesareo. Adesso.” l’ordine mi è uscito meccanicamente, lo sguardo ancora puntato su Michelle che ha chiuso gli occhi.
“Se la paziente non-”
“Posso farlo io se lei non se la sente, ho dato gli esami di medicina necessari alcuni mesi fa. Tolga quel maledetto coso da lì dentro, ora!”

~ un’ora dopo
Ventitré ore.
L’avevano fatta soffrire ventitré ore quando in quaranta minuti tutta la faccenda si era risolta, come per magia.
Sono calmo e civile, seduto sulla sedia accanto al letto dove dorme Michelle.
Dentro no, dentro sta per attuarsi una esplosione a livello nucleare.
Sapevo che Michelle non avrebbe approvato ma stavo soppesando i pro ed i contro di una denuncia ai danni dell’Ospedale. Ventitré ore di travaglio…Cristo Santo!
Il fatto di essere diventato padre non mi tocca nemmeno.
Michelle si è addormentata mentre le davano i punti al taglio sul ventre.
Non potevo biasimarla se avesse dormito per tutta la settimana.

~

~ present time
Glielo leggo in faccia.
Me lo ricordo come se fosse ieri.
Le ore interminabili che avevo passato in quella sala parto.
Perdendo il senso del tempo, scandito da contrazioni violente che non portavano da nessuna parte.
Il terrore che il bambino morisse asfissiato.
Il nero degli occhi di Linds.
Il dolce oblio dell’epidurale e poi…

Ero sveglia.
Non ero sveglia.
Luce sopra la mia testa.
Lenzuola ruvide sotto le mie mani.
Cosa ci fa Linds addormentato su una sedia?
Linds?!

Non riuscivo a parlare…sete, tanta sete.
Flebo sulla mia mano, perché?
Fastidio, prurito…bende?
Perché il mio stomaco è…
Occhi in basso, sulle lenzuola dove qualcosa era strano, fuori posto.
Un lungo momento confuso quando…
Bambino. Pancione. Doglie.
Le orecchie mi fischiano assieme alla intermittenza sempre più corta di un fastidioso beep! sopra la mia testa.
Il rumore sveglia Linds che aveva lanciato un’occhiata a qualcosa sopra alla mia testa.
“Michelle…”
Gli rispondo senza parole, il suo nome in un verso terrorizzato.
Abortito…no troppo tempo…non lo so! Non lo so!
Non mi ricordo niente, la mia memoria che non collabora ed i miei arti che sembrano pesanti come del piombo mandandomi ancora più in agitazione.
“Michelle…Michelle! Sta ferma!”
Mani bianche che mi afferrano appena sopra i gomiti, tenendomi di fatto a letto.
Occhi neri fissi sopra di me, la mia visione appannata che distingue il riflesso di un monitor sopra le lenti dei suoi occhiali.
“Respira un po’ da tranquilla prima che arrivi l’intero team di infermiere, per favore o mi cacceranno fuori.” la sua voce roca ma pacata “Adesso ti lascio andare, non dimenarti hai una sutura fresca sull’addome. Non mi allontano, ti verso solo un bicchiere d’acqua. Hai capito?”
Cerco di annuire ma nessun muscolo collabora, il beep! sta ancora continuando all’impazzata come se il mio cuore stesse correndo una maratona.
Il mio bambino…
Tre minuti dopo, Linds ha fatto alzare il letto con attenzione e mi ha portato il bicchiere alle labbra.
Quindi si è riseduto sulla sedia, in silenzio.
Non riesco a decifrare la sua espressione.
“Cosa è successo?”
“Hai partorito.” ha alzato un sopracciglio, come se quelle due parole fossero le più ovvie ed esemplificative di questa terra.
“Il bambino…sta bene?” mi sento un peso sul petto e le parole mi escono a fatica.
“Sì.”
“Linds voglio sapere se è…”
“È un fottuto moccioso, Michelle. Non gli manca nulla, urla peggio di una scimmia e non vede l’ora di farti perdere il sonno.” Linds aveva parlato senza filtro e chiuse la bocca di scatto voltando la testa, gli occhi spalancati a quella preoccupante mancanza di self control.
Un momento dopo si era alzato, pronto per la fuga.
L’avevo afferrato per le dita, solo distendere il braccio mi sembrava di averlo rotto.
“Linds, rimani.”
Non mi guardava, per un momento pensai che mi avrebbe scrollato di dosso invece si lascia cadere sulla sedia, la mia mano fra le sue.
Continua a non alzare lo sguardo, l’espressione scura mentre massaggia le mie dita con movimenti meccanici ma delicati.

~ present time
Linds ride con gli occhi chiusi, il sorriso che gli prende tutta la faccia come un clown, le dita lunghe che strofinano la fronte.
“Eri lì, in quel letto, e mi sentivo totalmente impotente per la prima volta nella mia vita. Avevo il disperato bisogno di trovare qualcuno con cui prendermela. Ho scelto Kurt, Michelle. Ero convinto della sua colpevolezza…appena venuto al mondo e già ti reclamava a gran voce, giustamente.”
“Linds…”
Scuote la testa “C’è solo una cosa che posso dirti, Michelle. Mi dispiace. Per come ti ho trattata in quella stanza d’ospedale e per i giorni a venire.”
Si alza dallo sgabello senza un’altra parola, fisicamente incapace di stare fermo un minuto di più.
“Faccio una passeggiata, che ne dici di take out stasera?”
“’kay.”

Eravamo rimasti in silenzio per un minuto, mi ero quasi riaddormentata per la stanchezza.
“Non farmi più uno scherzo del genere, ma belle.”
Riapro gli occhi ed attraverso la bruma che mi appanna la vista mi sembra – no, impossibile… - che Linds abbia gli occhi lucidi, mentre tiene ancora la mia mano fra le sue.
“Hai rischiato di rimanerci in quella sala parto.”
L’aveva detto senza esitare, faccio per parlare quando mi punta dritto con quei suoi occhi scuri tagliando di fatto i miei pensieri sul nascere.
“No, Michelle. Il rischio non era proporzionato al premio. Non per me. Sono…” fa fatica a trovare una parola che spieghi il suo stato d’animo “Sono furioso, Michelle. Con te, con quei maledetti deficienti che hanno cercato di ammazzarti con un parto naturale per la bellezza di ventitré ore consecutive quando era ovvio che non era possibile, con quel maledetto moc-”
Linds!” l’ho fermato, terrorizzata.
Si è zittito, ma il pensiero rimane dietro le sue pupille scure.
Mi spaventa e vorrei ritrarre la mano ma la tiene stretta in una morsa, le mie nocche premute sulle sue labbra.
Infine chiude gli occhi e preme la fronte contro la mia mano, è fredda e rabbrividisco.
“Non sono perfettamente in me, lo ammetto.” respira profondamente, poi continua a voce bassa “Sono contento che il tutto si sia concluso e che tu abbia ricevuto qualcosa a cui tenevi tanto. Non ne vedo il valore in tutte le sue sfumature, comunque.”
Le sue parole che alzano il sipario sul futuro.

~ present time
Reckoning.
Cerco di mettere in ordine fra il presente ed il passato seduta in questo loft vuoto.
I pesci che guizzano nell’acquario senza una preoccupazione.
Linds non ha chiesto di essere perdonato, anzi.
Sbatto le palpebre.
C’è una differenza in lui, seppur invisibile.
Finalmente guarda le cose dalla prospettiva giusta, come se si fosse svegliato da un sonno durato diciassette anni.
Semplice come uno specchio.
Crudele come la verità.
Insoluto come un enigma.

~~~

Eccomi qui, in ritardo più del solito ma ancora assolutamente decisa a finire questa storia!
Ci sono vari motivi per cui ho tardato tanto ma i più importanti sono solo due: la vita vera e la morte del mio computer di trincea.
L’ultimo l’ho riesumato ieri alle tre/quattro del mattino dopo una settimana di guerra senza esclusioni di colpi, ed il resto sta gradatamente uscendo fuori dal mio controllo per quanto riguarda il tempo libero.

Ma UT è di nuovo back on track!
È un capitolo particolare questo, passato e presente mescolati insieme e difficili da distinguere.
Che non ci siano quotes musicali o frasi famose è stato voluto, perché quando la sabbia cade nella clessidra non c’è distinzione di colore fra presente, passato e futuro; tutto viene rimescolato tornando allo stato originale e creando ciò che siamo stati, divenuti e saremo fra un momento o dieci anni.
(sto divagando, accidenti! xD)

In realtà io devo solo ringraziare di avere ancora gente che si interessa a questa storia ed a questi personaggi.
Prima della morte del mio pc avevo dato una rilettura spensierata ad UT e ci ho trovato magagne e cose che rifarei da capo: allo stesso tempo so benissimo che non modificherò una virgola per mancanza di drive e di tempo.
Quindi ringrazio non solo alessandroago_94 per il suo interesse ma anche tutti gli altri, perché ci siete ora, ci siete stati prima e (spero) ci sarete ancora in futuro a leggere i prossimi capitoli e la fine di UT.
Non sento di meritarmi quel granché quindi…
Grazie. <3
Fra

  
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