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Autore: pattydcm    23/02/2019    2 recensioni
Una ragazza viene trovata morta con inciso sul braccio uno strano disegno. Sherlock viene chiamato ad indagare e scopre che la ragazza è rimasta intrappolata in una brutta rete. Non vuole però che John lo aiuti nelle indagini, questa volta. Sarebbe, infatti, per lui troppo pericoloso stargli accanto.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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! AVVISO! Sto pubblicando nuovamente la storia suddividendola in capitoli per renderla più fruibile, data la lunghezza eccessiva per una OS. Non ho apportato modifiche alla trama. Buona lettura.
 
Ciao a tutti
Ho litigato con questa storia. L’ho cambiata, tagliata, smontata e rimontata e alla fine mi ero detta decisa a lasciar perdere e passare ad altro. Poi, però, come spesso accade, mi sono concessa una passeggiata con Anna, sorella spirituale, amica e collega e, trascinate dall’incedere agitato del mio Sherlock (giusto per rimanere in tema), ho capito anche grazie a lei perché non riuscissi ad andare avanti. Mentre la scrivevo si aggiungevano temi, trame, personaggi… insomma un casino! Allora mi sono messa lì, ho preso un bel respiro e alla fine l’ho portata avanti. Con tutte le sue trame, i suoi personaggi, i suoi temi e anche qualche dimenticanza, che rende le cose più interessanti.
Volevo raccontare una storia dal punto di vista di John e questa non poteva che essere opera complessa, data la complessità della psiche del nostro dottore. Mi sono fatta aiutare da Fox, personaggio che chi di voi sta leggendo la long che sto pubblicando a rate già conosce. Il grande tema di fondo non poteva che essere ciò contro il quale sto sbattendo la testa per lavoro in questo periodo: il cyber bullismo.
Ne è venuta fuori una OS lunga (perché io sono prolissa, ragazzi, lasciatemelo fare), che spero vi piaccia. È stata sofferta. Molto sofferta.
Ovviamente questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Sir Arthur Conan Doyle e la BBC nella trasposizione realizzata da Steven Moffat e Mark Gatiss. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma per il puro piacere di scrivere e di raccontare. Mi farà piacere leggere le vostre recensioni e spero la storia vi piaccia
Buona lettura
Patty
 
 
Fenix
 
 
<< Il tuo parere, John? >>.
Il dottore, rimasto come sempre diligentemente ai margini della scena del crimine, si avvicina al consulente fermo a qualche passo dal corpo riverso sul pavimento. Si inginocchia accanto a quella che era una bella ragazzina di appena 16 anni. Sospira cercando di restare il più possibile professionale e distaccato, come gli hanno insegnato gli anni di specializzazione in medicina prima e quelli sul campo di battaglia poi. Avvicina appena le dita guantate a sfiorare il braccio sinistro sul quale la ragazza ha inciso con una lametta lo strano disegno che poi l’ha uccisa, macchiando col suo sangue la moquette della cameretta.
Volge lo sguardo al viso ormai pallido, agli occhi socchiusi e velati che fissano un punto indistinto dinanzi a sé senza più vedere nulla. Per quel che può constatare da una prima osservazione non vi sono tracce di violenza. Le macchie ipostatiche indicano che il corpo è lì, straiato sul fianco, il braccio sinistro disteso per terra e quello destro piegato sul fianco, da almeno dieci ore. Nella mano tiene ancora stretta la lametta.
Si avvicina al viso per annusare le labbra alla ricerca di odore di alcool, veleni o droghe che possano averla indotta al gesto estremo o che abbia introdotto per farsi coraggio. Niente.
Posa la mano sui capelli biondo fieno, così simili ai suoi in un’età passata, e la scosta dopo quella leggera carezza, chiudendola a pugno mentre si allontana da lei.
<< Suicidio >> dice in tono grave. << Avvenuto una decina di ore fa. Non sembra abbia assunto droghe o alcool, ma solo l’autopsia potrà confermare tutto quanto >> si alza in piedi scoccando appena un’occhiata al consulente.
<< E’ stata determinata >> dice questi, le mani giunte al mento in quella posa riflessiva e calma che indica il frenetico lavorio del suo cervello. << Ha prima tracciato il disegno seduta alla scrivania usando quella penna rossa >> dice indicando il piano di lavoro della ragazza, dove la penna incriminata giace di sbieco, la punta a sfera rivolta verso il corpo come una freccia. << Poi ne ha ripercorso il tratto con la lametta. È stato un lavoro lento, doloroso, eppure non si è fermata. È riuscita a completare l’opera diligentemente prima di essere colta dalla debolezza del dissanguamento >>.
<< Lo trovi ammirevole? >> domanda acido John, infastidito dall’estasi che avverte nella sua voce.
<< Indubbiamente notevole >> risponde lui guardando ciò che resta di una giovane vita come un estimatore che osserva un bellissimo quadro. << Soprattutto se, come hai ipotizzato, non ha assunto droghe o altro per farsi coraggio. Questa ragazzina voleva farla finita e lo ha fatto senza esitazioni e voleva lasciare questo messaggio >>.
<< Che senso ha il disegno? >> domanda Lestrade fermo a pochi passi dal corpo. John riconosce sul volto del detective il suo stesso tentativo di distacco e controllo di sé.
<< Non lo so >> ammette Sherlock. << Ma è ciò che rende interessante un altrimenti banale caso di suicidio >>.
<< Sherlock >>, sbotta John esasperato, << siamo davanti al cadavere di una ragazzina disperata che ha compiuto un gesto estremo spinta da chissà quale sofferenza. Non ti permetto di minimizzare l’accaduto riconoscendolo interessante solo per un elemento che accarezza il tuo bisogno di casi complicati da risolvere! >>.
Le parole dure di John gettano il silenzio tra i presenti. Sherlock sostiene il suo sguardo accusatore, ne analizza la motivazione, quei non detti nascosti tra una parola e l’altra, scandagliando il suo animo come il raggio luminoso di una radiografia. Annuisce appena, accettando l’invito, ma senza dare prova di aver capito quanto poco consono sia il suo atteggiamento. Proprio come durante quel macabro gioco che Moriarty ha allestito per lui solo il mese prima. Ecco che gli da un nuovo motivo per pensare che non ci sia nulla di umano in lui. Che sia davvero il sociopatico che dice di essere.
<< Avrò bisogno di analizzare tutti i quaderni della ragazza e il suo pc se vogliamo risalire al significato del disegno >> dice a Lestrade mentre escono dalla stanza per fare spazio al coroner.
<< Signor Holmes… >>.
La madre della ragazza gli va incontro seguita dal marito. Entrambi sconvolti, com’è comprensibile siano, ed entrambi speranzosi di sentir dire dal brillante consulente che no, la loro bambina non ha deciso di togliersi la vita. Qualcuno deve averle fatto del male, perché è più facile accettare l’idea di una violenza sfociata in omicidio che di un gesto incomprensibile come il suicidio. John scocca un’occhiata severa a Sherlock che la nota benchè faccia finta di niente.
<< Signori Jackson avete idea del significato del disegno che vostra figlia ha inciso sul     braccio? >> chiede andando subito al punto, tralasciando convenevoli e condoglianze. I due coniugi si guardano cercando coraggio l’uno nell’altra.
<< Nostra figlia frequenta la scuola d’arte. Ha sempre amato disegnare, fin da bambina. Ha quaderni pieni dei suoi disegni e sta organizzando un portfolio per poterli portare in giro alle case editrici, alle fiere e in tutti quei luoghi dove è possibile per una giovane artista presentare il suo lavoro >> dice la madre con un filo di voce.
<< Rosaline ci ha sempre mostrato orgogliosa le sue creazioni. Ogni sera prima di cena è una vera e propria sfilata di fogli di carta >> sorride il padre.
John non può fare a meno di notare l’uso del tempo al presente, segno che non hanno ancora realizzato, né vogliono realizzare che quello steso sul pavimento a pochi metri da loro è un corpo ormai senza vita.
<< Tra i suoi disegni vi ha mostrato anche quello? >> chiede John, notando come Sherlock sia rimasto fin troppo calmo a sentire le parole dei coniugi. I due si guardano di nuovo.
<< Ce ne faceva vedere talmente tanti… >>.
<< Non nell’ultimo periodo >> dice il consulente e i due rabbrividiscono alle sue parole.
<< Beh… può capitare che un’artista abbia un blocco o che lavori a qualcosa di così intimo da non volerlo ancora mostrare prima di avergli dato forma >> dice il padre passando imbarazzato la mano sul collo. La madre piange silenziosa, lo sguardo basso e la mano, stretta a un fazzoletto, premuta sulle labbra.
<< Io… sospettavo ci fosse qualcosa, ma… >>.
<< Aveva notato qualcosa di diverso in lei? >> domanda John. La donna scuote il capo con decisione.
<< No, nulla di diverso se non il fatto che non ci mostrava più i suoi disegni, come ha detto lei >> dice alzando appena lo sguardo a incontrare quello indagatore di Sherlock.
<< Lo aveva già fatto in passato… >>.
<< No, Alfred! >> grida la donna al marito. << Smettila di continuare a ripeterlo! Io me lo sentivo… non c’entravano nulla l’adolescenza e le tematiche più intime e tutte le altre stupidaggini con le quali te ne uscivi ogni volta che ti facevo notare la cosa. Avremmo dovuto affrontarla e chiederle il perché di quel repentino cambiamento e forse… forse >> si zittisce, tornando a premere la mano contro le labbra. Chiude gli occhi in un silenzioso pianto. Il marito, fermo a qualche passo da lei, respira in modo pesante. John vede nella piccola distanza la crepa che intaccherà il loro rapporto.
<< Sì, è possibile che nostra figlia avesse dei problemi e che noi non ce ne siamo accorti o non li abbiamo voluti vedere o… o non lo so >> sussurra l’uomo. << Quel che ha fatto, però… il modo in cui lo ha fatto… è strano. Non trova? >> domanda speranzoso. John preme il braccio contro quello di Sherlock, che si volta appena verso di lui prima di rispondere.
<< Dietro a un gesto di questo tipo possono esserci mille motivazioni, signor Jackson. Al momento ho pochi elementi per potervi dare una risposta. Ho bisogno di scoprire il significato di quel disegno e per questo dovrò portare via i quaderni di vostra figlia >>.
<< E’… è proprio necessario? >> gli domanda la donna.
<< Mi avete chiesto di indagare e l’indagine comporta anche questo, signora Jackson. Posso garantirle che tratterò con cura ogni cosa e che ve la restituirò in perfetto stato, ha la mia parola >>.
La donna annuisce piano e una lunga, lenta lacrima cade a segnarle la guancia.
<< Ci dispiace per quanto è accaduto, signora >> le dice John e lei annuisce abbozzando un sorriso di circostanza.
<< Vogliate scusarci >> dice l’uomo posando una mano sulla spalla della moglie che rabbrividisce a quel tocco, ma si lascia condurre altrove per evitare di assistere al passaggio degli uomini del coroner con il sacco nero nel quale giace la loro figlia.
John esce dall’appartamento desideroso di una boccata d’aria leggera che contrasti la pesante atmosfera mortifera nella quale è stato fin troppo. In questa mattina di metà giugno il cielo grigio presagisce pioggia imminente e non aiuta certo a ritrovare il buon umore.
<< Non hai dato voce alle tue deduzioni >> dice al consulente giunto al suo fianco.
<< Mi hai impedito di farlo >> ribatte questi, intento a leggere un messaggio appena giunto al suo cellulare. Un sorriso gli incurva le labbra, per poi subito scomparire.
<< E da quando dai retta a quel che ti dico? >>.
<< Da quando sei così coinvolto in un caso >>.
I loro sguardi si incontrano per un lungo istante. John rabbrividisce dinanzi a quegli occhi di ghiaccio così seri e severi su di lui e per tutta risposta indossa la divisa del capitano, irrigidendo il corpo pronto alla battaglia.
<< Una ragazzina di 16 anni si è tolta la vita, dio solo sa perché, Sherlock. Qualunque essere umano dotato di un minimo di empatia sarebbe emotivamente coinvolto >>.
<< Io non ho parlato di coinvolgimento emotivo, John >>.
<< Certo, come potresti? Non ne sei in grado! >> sbotta muovendo un passo verso di lui, i pugni stretti e la mascella serrata. Sherlock non fa una piega. I suoi occhi restano fermi in quelli di lui che sente montare una rabbia fin troppo esplosiva.
<< Sei riuscito a salvarla. Hai impedito che accadesse una cosa simile anche a lei. L’unica cosa che non capisco, in questo momento, è il perché di tutta questa rabbia >>.
John si spegne tanto in fretta quanto rapidamente si era attivato. Sbatte più volte le palpebre e una buffa espressione di stupore gli si disegna in volto. Sherlock non attende una risposta da lui. Si incammina per le strade del quartiere di Pall Mall dove risiedono i Jackson, diretto verso Trafalgar Square.
John guarda Sherlock allontanarsi chiedendosi come ci sia arrivato. Come abbia fatto a capire. Non gliene ha mai parlato, non ne ha mai fatto parola con nessuno, a dire il vero. Eppure lui lo ha capito. Ne è stupito, ammirato, ma anche spaventato. Benchè siano passati sei mesi da quando lo segue nelle sue indagini e lo abbia visto risolvere enigmi tirando fuori deduzioni da cose che i più non avrebbero mai visto non può dire ancora di essersene abituato.
Si scuote dal suo immobilismo e si affretta a raggiungere il consulente, che passeggia tranquillo verso la grande fontana della piazza.
<< Fermati! >> gli dice e Sherlock si volta verso di lui, rallentando il passo fino a fermarsi.          << Non puoi dirmi una cosa simile e poi andartene come nulla fosse! >> esclama affannato.
<< Volevo darti il tempo di elaborare >> dice facendo spallucce. John ride nervoso scuotendo il capo.
<< Smettila di prendermi in giro, Sherlock >> ribatte serio.
<< Non è mia intenzione, John >>.
<< Davvero? >>.
<< Davvero >>
I loro sguardi restano nuovamente agganciati. No, non lo sta prendendo in giro. John non sa neppure perchè se ne sia uscito con quell’affermazione.
<< Perché quella ragazzina si è suicidata? >>.
<< Non lo so, John. Devo capire il significato del disegno che si è incisa sulla pelle prima di azzardare ipotesi >>.
<< Non posso credere tu non abbia anche solo una minima idea. Te ne vengono subito al volto sempre tre o quattro! >>.
Sherlock riprende a camminare lentamente e lui lo segue, infastidito da questo strano atteggiamento di riserbo.
Il suono di una chitarra magistralmente suonata li raggiunge. Arriva dalla fontana della piazza, al di là di un capannello di persone raggruppate intorno a un giovane artista di strada. Sherlock si dirige verso questi attratto dalla musica.
<< Si può sapere dove stai andando? >> gli chiede John stupito, ma lui non gli risponde. Si fa strada tra la gente per trovare un posto in prima fila e il dottore si appresta a stargli dietro, benchè non sappia esattamente dietro a cosa stanno andando. Si fa largo accanto a lui, gli occhi chiari ipnotizzati dalle dita veloci del ragazzo sul manico della chitarra.
<< Eccezionale >> sussurra e le labbra si curvano a disegnare un sorriso. John strabuzza gli occhi. Da quando in qua Sherlock Holmes si lascia distrarre da un brano suonato per strada quando è impegnato in un caso?
Il dottore lascia correre lo sguardo dal consulente al ragazzo dalla bella voce profonda. Suona una chitarra che deve averne viste tante, data la quantità di graffi e ammaccature. Un adesivo rosso fiammante attira l’attenzione sul corpo dello strumento. Sembra essere il muso stilizzato di una volpe circondato dalla coda, rossa come una fiamma viva.
Il musicista si volta verso di loro e John deve ammettere che non è per nulla male. I capelli lunghi, lisci e biondi, il viso abbronzato nel quale primeggiano gli occhi azzurri, limpidi. L’ex soldato si scuote da quell’attimo di estraniamento quando si rende conto che quegli occhi sensuali stanno fissando intensi il suo coinquilino. E, come se non bastasse, cosa che lo stupisce ancor di più, questi ricambia lo sguardo con altrettanta intensità.
Il ragazzo conclude il pezzo e annuncia che eseguirà  un medley di cover di autori diversi. Intona la prima di queste, ‘Boy don’t cry’ dei The Cure, e abbozza un sorriso in direzione del consulente che ricambia.
<< Sherlock non sarebbe il caso tornassimo a casa? Greg dovrebbe già averti fatto recapitare i disegni della ragazzina >> sbotta John, incrociando le braccia al petto, intimamente infastidito dal suo atteggiamento.
Il consulente chiude gli occhi portando le mani giunte al mento, mentre il chitarrista intona uno stralcio di ‘Video killed the radio star’ dei The Buggles. Lo ascolta assorto in contemplazione ed è assurdo, dal momento che, al di fuori della musica classica, tutto il resto per Sherlock è solo spazzatura sconosciuta al suo Mind Palace.
<< Mi stai ascoltando? >> insiste John picchiettandogli il braccio.
<< Certo, John, come potrei non sentirti, sussurri così forte! >> sbotta senza aprire gli occhi al suono di ‘Child in time’ dei Deep Purple. Non risponde, però, alla sua domanda. John sta per farglielo notare quando il ragazzo intona ‘Rape me’ dei Nirvana e Sherlock apre gli occhi di colpo.
Il dottore si ritrova nuovamente a passare dallo sguardo di uno a quello dell’altro, sentendosi il terzo incomodo di un appuntamento al buio. Il chitarrista da nuova luce al suo sorriso, mentre imita perfettamente la voce graffiante di Kurt Cobain, e il consulente piazza sulle labbra di nuovo quel sorriso ammaliatore.
Lo stomaco di John ribolle di rabbia. Tanta rabbia e tanto fastidio all’idea di essere lì, intruso non desiderato a cospetto di un silenzioso flirt.
“Dio, non è possibile!” pensa scuotendo il capo, ricacciando la possibilità che davvero Sherlock stia flirtando a un passo da lui con un mendicante di monetine in cambio di canzoni stonate. Una parte di lui vorrebbe ricordargli di essere sposato al suo lavoro, ma si rende conto che non hanno quel tipo di confidenza. Sei mesi di convivenza e non si sono mai ritrovati a scherzare in modo cameratesco su donne o… sì, o su uomini, anche. Non sa perché non sia accaduto, non è tipo che si tiri indietro da simili argomenti da spogliatoio. Con Sherlock, però, c’è come un muro attorno a tutto questo. A proteggere cosa, poi, è altro argomento intoccabile.
John riceve un messaggio che lo distoglie dal mal di pancia che gli sta venendo a furia di ruminar rabbia.
<< Merda >> sussurra alzando gli occhi al cielo.
<< Sei ancora in tempo per rimediare >> gli dice Sherlock, gli occhi nuovamente chiusi nella contemplazione di ‘Help!’ dei The Beatles.
<< Come puoi tu ricordarti degli impegni che io stesso dimentico? >> domanda infastidito da quella seconda intromissione sgradita nella sua vita privata. << Siamo su un caso e io… >>.
<< Penso tu debba starne fuori, John >> lo interrompe Sherlock lasciandolo a bocca aperta.
<< Cosa? >> gli chiede incredulo.
<< Come ti ho detto sei troppo coinvolto >>.
<< Come lo sarebbe chiunque al mio posto >> sbotta nervoso.
<< Assolutamente no, non si tratta dell’empatia nei confronti di una famiglia colta da una simile disgrazia >> .
<< E allora di cosa, sentiamo? >> lo sfida alzando la voce. Alcuni dei presenti infastiditi gli intimano il silenzio.
Sherlock si volta finalmente verso di lui. Ne sostiene lo sguardo e John prova la fastidiosa sensazione di sentirlo lontano. Nell’ultimo mese è cambiato parecchio. L’avventura vissuta a causa di Moriarty pensava li avrebbe avvicinati e invece il consulente si è fatto più freddo e riservato.  Sono praticamente gomito a gomito eppure sembrano separarli molti chilometri.
<< Vuoi davvero che te lo dica, John? >> gli domanda con tono greve, scandendo bene le parole. Nella profondità dei suoi occhi chiari il dottore si rende conto che non vuole. No. Resti nel passato ciò che al passato appartiene. << La tua nuova e recentissima conquista attende una tua risposta. Non farla aspettare >> aggiunge Sherlock, abbozzando persino un sorriso, mentre il ragazzo intona ‘End of me’ di Ashes Remain.
“Mi sta piantando!” pensa irrazionalmente. Lo vede volgere nuovamente lo sguardo al chitarrista che ha concluso il suo medley privo di alcun senso. I loro sguardi si incrociano ancora, le labbra si curvano in un sorriso e John decide che è rimasto lì a fare da candela pure troppo e si fotta pure l’indagine.
<< Hai ragione. Ashley non se lo merita >> dice e non è neppure così sicuro che sia quello il nome della ragazza. << Ci vediamo domani mattina >> ci tiene a sottolineare.
<< Buona serata >> augura Sherlock, nuovamente rapito dal nuovo brano che il ragazzo sta intonando.
John prende il cellulare e digita veloce il messaggio di risposta della ragazza. Si affretta a raggiungere Baker Street in modo da potersi preparare in un lampo e raggiungere il luogo dell’appuntamento sperando di non dare l’idea di essersene completamente dimenticato.
 
   
 
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