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Autore: pattydcm    23/02/2019    3 recensioni
Nel corso in un’indagine, Sherlock viene ferito al viso e i suoi occhi sono messi fuori combattimento. Continuerà, però, a lavorare sul caso, facendo fronte allo sconforto per il suo handicap.
John lo aiuterà a portare avanti le indagini per poter fermare il pericoloso dinamitardo che sta terrorizzando Londra. Gli farà una proposta che cambierà le loro vite e risulterà fondamentale per la risoluzione del caso: gli chiederà di lasciare che sia lui i suoi occhi
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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!ATTENZIONE! Ho deciso di ripubblicare questa storia nata originariamente come una OS per suddividerla in capitoli, data la lunghezza eccessiva. Non ho apportato modifiche alla trama.
 
Ciao a tutti!
Da un po’ di tempo non pubblico una OS. L’idea di questa che oggi vi propongo nasce dall’incontro con una persona speciale con la quale sto lavorando, che mi da ogni volta che la incontro la possibilità di imparare nuovi ‘punti di vista’. Come reagiremmo se di colpo venissimo privati del bene della vista? E soprattutto come reagirebbe una persona che ha fatto delle deduzioni il suo lavoro? Era una sfida troppo interessante per non essere giocata e spero possa piacere a voi leggerla come è piaciuto a me scriverla.
Le diagnosi mediche sono palesemente prese da wikipedia e quindi mi scuso per eventuali strafalcioni con chi tra voi ha studi medici o farmacologici alle spalle. Non conoscendo Londra, invece, mi ha aiutato un po’ google maps e un po’ una guida turistica on line. Anche qui, in caso di strafalcioni non me ne vogliate.
Ovviamente questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Sir Arthur Conan Doyle e la BBC nella trasposizione realizzata da Steven Moffat e Mark Gatiss. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma per il puro piacere di scrivere e di raccontare. Mi farà piacere leggere le vostre recensioni e spero la storia vi piaccia
Buona lettura
Patty
 
Into the darkness
 
 
I suoni giungono ovattati e lontani. Diventano poi sempre più presenti. Tra tutti primeggia il ‘bip’ cadenzato di un’apparecchiatura medica. Snervante. In secondo piano un respiro regolare, non molto lontano.
La propriocezione giunge dopo il suono. Un supporto rigido sul quale è sdraiato. Le lenzuola che lo coprono sono di un tessuto spesso e ruvido. Cotone grezzo, lavato e inamidato troppe volte. Fastidioso. Gambe e braccia sono pesanti e nude, come il resto del corpo. Il braccio destro è stretto da qualcosa all’altezza dell’incavo del polso. Ha sul torace alcuni oggetti gelidi posti in quattro diversi punti.
Fatica a respirare. L’aria sembra diventata pesante e densa. Alle narici è stata assicurata una cannula per l’irrorazione dell’ossigeno. Più che aiutarlo gli getta a forza dentro aria. Troppa aria. Per contrastare la fatica dell’espirazione sbuffa. La mascella è troppo molle e difficile da muovere.
Il respiro regolare percepito al suo fianco poco prima si interrompe. Riprende, ma più teso. Come fosse in allerta.
L’odorato si risveglia e, contrastando il getto d’aria artificiale, gli da informazioni che confermano la deduzione in corso. Odore di disinfettante. Persistente ed intenso. E, più lieve, quello di medicinali. Soluzioni salina fisiologica e antibiotici. Ora ne sente anche il lento sgocciolare dalla flebo alla cannula.
La persona al suo fianco si muove appena e l’aria che smuove gli rimanda il suo profumo. Vaniglia nera. Leggera, ormai, segno che la giornata è quasi finita. Informazione importante, dal momento che si rende conto di non avere memoria di come sia finito qui.
Sbuffa infastidito e la presenza si fa più vicina. Può percepirne il respiro addosso. Caldo. Amarognolo. Non ha mangiato, quindi è preoccupato. Il suo dottore salta i pasti solo per un buon motivo e ciò che lo ha portato su questo letto d’ospedale deve esserlo.
Volta piano la testa verso il respiro caldo di John e il dolore lo sorprende. Localizzato al volto e alla testa. Una pulsazione intensa dietro l’orecchio destro e un bruciore insopportabile al viso. Fa una smorfia e i muscoli facciali vengono come trafitti da mille spilli incandescenti. Mugola mordendo le labbra. Pessima idea. Il morso gliele fa scoprire gonfie ed indolenzite. Come fossero state punte da una vespa. A conti fatti sembra che tutto il suo viso sia stato punto da una vespa. Oppure che sia caduto a faccia in giù in un cespuglio di ortiche.
John posa la mano piccola e gentile sulla sua spalla sinistra. È leggermente umida, segno di ansia. Decisamente le sue condizioni non devono essere rassicuranti.
Prova ad aprire gli occhi e da questi ottiene l’informazione peggiore. Le palpebre sono bloccate e il dolore si è fatto più intenso al solo tentativo di aprirle. Sente di avere qualcosa sugli occhi. Una benda, forse, e il panico lo assale. Il ‘bip’ del macchinario diviene più frequente e i suoi respiri più corti e per questo ancora più dolorosi da compiere. Alza una mano, che sente pesare come gli fosse stata appesa al polso una catena, e fa per portarla al viso.
<< No, Sherlock, non toccare >> gli dice John afferrandogliela.
<< I miei occhi. Cosa è successo ai miei occhi, perché sono bendato? >> biascica a fatica.
John sospira e Sherlock immagina la sua espressione, imbarazzata e a disagio, mentre recupera il discorso che sicuramente si è preparato mentre era seduto ad aspettare che si svegliasse.
<< Non osare mentirmi! >> esclama a gran voce mettendosi a sedere. La testa gli gira. Al suo labirinto non è piaciuto affatto il brusco cambio di posizione. Stringe forte la mano su quella di John aggrappandosi a lui, che ne rinforza la presa.
<< Non ricordi nulla di quanto è successo stamattina? >> gli domanda e di certo non era questo il discorso che si era preparato. Aveva quindi pensato davvero di mentirgli. Cazzo, la situazione deve essere parecchio grave, allora.
Il panico preme per prendere il sopravvento, pompato da tutte quelle informazioni sempre più allarmanti. Sherlock decide, però, di fare la cosa che gli riesce meglio: cercare informazioni nel suo Mind Palace.
Ciò che trova riguarda il caso che da due settimane stanno seguendo. Lestrade è arrivato al 221B con quella chicca interessante: un dinamitardo. Il soggetto ha iniziato col fare esplodere piccoli oggetti in alcune cittadine irlandesi. Cariche che non hanno fatto danni più grandi di quelli che può fare un petardo. Perché commettesse quelle esplosioni non si è riusciti a capirlo. Non ha lasciato messaggi per rivendicare qualcosa in particolare, né i luoghi in cui queste si sono verificate sono in qualche modo collegati tra loro. Le sue piccole deflagrazioni hanno colpito raduni di reduci di guerra, commemorazioni militari, ma anche manifestanti per la pace. Piccole bombe carta sono esplose nei cortei contrari alle famiglie arcobaleno, così come in quelli a favore.
Ha poi, però, deciso di alzare il tiro quando si è spostato in Inghilterra e più precisamente a Londra. Solo due mesi fa’, un’esplosione di portata maggiore avvenuta durante un raduno femminista in White Chapel ha causato parecchi feriti e la morte di una delle manifestanti. A distanza di pochi giorni ha piazzato una vera e propria bomba sotto la casa di un broker abbastanza famoso, causando la morte di cinque persone.
Sherlock ritiene sia stata una fortuna che queste due esplosioni siano avvenute a Londra, dandogli così la possibilità di essere coinvolto nelle indagini. Inutile dire che né Lestrade, né il resto di Scotland Yard ritengono sia una fortuna che il dinamitardo si sia spostato dall’Irlanda all’Inghilterra, decidendo di venire a scatenare il panico sotto al loro naso.
Il commissario capo in persona ha autorizzato il detective a bussare alla sua porta, dal momento che dopo due mesi né loro, né i colleghi irlandesi sono riusciti a scoprire chi sia questo pazzo.
<< Ricordo che stiamo lavorando al caso del dinamitardo irlandese. So di aver capito il perché delle esplosioni così apparentemente prive di alcuna logica, di aver scoperto dove si nasconde e chi sia, ma… non me lo ricordo >> sussurra affranto.
John gli stringe la mano. La stringe forte e sospira.
<< Cosa è successo, John? Cos’hanno i miei occhi? >> gli chiede. Sente chiaramente il rumore prodotto dalla sua lingua che umetta le labbra.
<< Ieri sei riuscito a risalire al suo nascondiglio attraverso le tracce che questo pazzo ha lasciato erroneamente sul luogo dell’ultima deflagrazione. Si tratta di una baracca sul Tamigi >> dice e si ferma strategicamente. Questa informazione, però, non apre nessun file nel Mind Palace. << Quando siamo arrivati era vuota e tu, io e Greg ci siamo entrati. O meglio, tu sei entrato e noi siamo rimasti sulla porta. Hai dato un’occhiat… hai ispezionato il posto e quando ti sei voltato verso di noi ci hai detto che ora sapevi con chi avevamo a che fare e perché. Non hai, però, aggiunto altro >>.
Sherlock coglie appena la sfumatura di fastidio nell’ultima frase. È rimasto fermo al modo repentino in cui John ha cambiato espressione. Da ‘Hai dato un’occhiata’ a ‘Hai ispezionato il posto’. Il genere di correzione che si fa quando ci si rende conto di stare per incappare in una brutta figura usando termini che potrebbero ferire la sensibilità di un portatore di handicap.
<< Siamo rimasti appostati per l’intera notte nell’attesa che il tizio tornasse nella tana. Quando l’ha fatto, Greg ha ordinato di fare irruzione. Il dinamitardo, però, è riuscito a scappare. Tu lo hai visto e sei partito all’inseguimento. Non so bene cosa sia successo, perché ti ho perso di vis… non sono riuscito a starti dietro >> sospira correggendosi nuovamente, cosa che irrita Sherlock aumentandone la sensazione di panico. << Ti ho sentito urlare. Ho temuto ti avesse colpito. Ti ho visto cadere nel fiume e mi sono buttato per recuperarti. Non è stato facile, la corrente in quel punto era molto forte. Quando finalmente sono riuscito a trarti a riva eri privo di sensi e ci sono voluti due cicli di rianimazione cardiopolmonare prima che ti riprendessi. Sei, però, subito svenuto >>.
<< Ho detto qualcosa prima di svenire? >>.
<< Sì >> risponde riluttante. << Hai detto ‘è tutto buio’ >>.
Sherlock rabbrividisce. Fa per portare l’altra mano al viso, ma il dottore la intercetta e la tiene stretta.
<< Cos’hanno i miei occhi, John? >> gli chiede per la terza volta mettendolo alle strette.
<< Dalle analisi è emerso che ti ha spruzzato sul viso dello spray al peperoncino a getto basico[1] da una distanza molto ravvicinata. Doveva essere a meno di un metro da te e l’effetto è stato ancora più forte. Oltre alla capsicina, il principio attivo dell’oleoresium capsicum contenuto in quegli spray, però, sono state trovate tracce di benzina.
Ho notato subito che c’era qualcosa che non andava. Non solo per quello che mi avevi detto prima di svenire, ma anche per la pelle del viso, gonfia e irritata. Ho temuto fosse l’effetto di una qualche sostanza e mentre aspettavamo l’ambulanza ti ho lavato il viso con dell’acqua, come da procedura in caso di agenti irritanti a contatto con gli occhi. Il fatto tu non ti sia ripreso, nonostante per un buon quarto d’ora ti abbia versato acqua sul viso, mi ha preoccupato ancora di più. In ospedale hanno appurato che oltre alle ustioni da peperoncino hai sbattuto la nuca, probabilmente quando sei caduto nel fiume >>.
<< Quando mi ha buttato nel fiume >>.
<< No, Sherlock >> insiste John. Avverte lo spostamento d’aria causato dal suo scuotere il capo da destra a sinistra. << Eri da solo. Ti ho visto cadere. Un getto di spray urticante a una distanza così ravvicinata non causa solo bruciore agli occhi, che è già di per sè disorientate e allarmante. Genera una forte lacrimazione, fatica nel respirare a causa del rigonfiamento alla gola e bruciore alle mucose di bocca e naso. Ti sarà sembrato di soffocare e questo ti ha portato a perdere l’equilibrio e a sentirti disorientato. Non fossi stato in riva al fiume saresti solo caduto e al massimo ti saresti causato qualche sbucciatura >>.
<< Per quanto tempo sono rimasto svenuto? >>.
<< Dieci ore. Sono le cinque del pomeriggio, adesso >>.
<< Ed è… normale in un caso simile? >>. John sospira e gli stringe ancora di più le mani, senza neppure rendersene conto.
<< Ognuno di noi risponde in modo diverso ai traumi… >>.
<< E’ normale, John? >> insiste irritato dal suo continuare a girarci attorno.
<< No >> ammette finalmente. << Ma tu… la tua testa, il tuo corpo… tu sei diver…, voglio dire, ti ho visto stare giorni senza mangiare, né dormire e resistere in piedi, e anche piuttosto attivo, quando altri sarebbero già crollati. Mi sarei iniziato a preoccupare seriamente se fossero passate le 24 ore e tu non avessi ancora dato segni di ripresa >>.
Sherlock non riesce a sentirsi rassicurato da queste mezze frasi che non sa neppure se definire offensive o lusinghiere.
<< L’oculista attendeva il tuo risveglio per effettuare ulteriori esami >> continua John. << Avviso l’infermiera. Torno subito >>.
Le mani di John lasciano le sue e Sherlock si sente improvvisamente perso. Mulina le braccia a mezz’aria alla ricerca di un nuovo contatto col suo dottore. Il fiato si fa corto e veloce.
<< Sono qui >> dice John afferrandogli nuovamente le mani. << Sono qui, Sherlock >> ripete con un’inflessione dolce nella voce. Il consulente si aggrappa alle sue mani e in quel bisogno di contatto trova la gravità della situazione. I suoi occhi hanno subìto un trauma. Prima di svenire ha detto di essere al buio. Se il trauma dovesse causare una cecità permanente, come potrebbe portare avanti il suo amato lavoro? Come potrebbe… vivere?
<< Ehi >> sussurra John, sedendosi al suo fianco sul letto. Sherlock percepisce la sua presenza più vicina e deduce che stia tentando, con quella maggiore vicinanza, di rassicurarlo ulteriormente. Da bravo medico quale è deve essersi accorto dell’iniziale crisi di panico causata dal suo essersi allontanato per quel breve frangente. E’ grato della sua perspicacia in questo momento.
<< Non riesco neppure a immaginare come debba essere svegliarsi e ritrovarsi… così >> sussurra a un palmo dal suo orecchio, il respiro ad accarezzargli il viso dolente. << Direi che il panico è più che normale >>.
<< Concordo >> dice tenendo a bada il bisogno di poggiare la guancia contro la sua.
La porta si apre con un cigolio impercettibile. John si sposta portandosi via il suo calore rassicurante. Passi strascicati e un dolciastro profumo di fragole invadono la stanza.
<< Oh, si è svegliato, finalmente >> la voce squillante si fa sempre più vicina. Porta con sé uno strano cigolio. << Ora andiamo a fare un giretto. Il dottor Wylde la sta aspettando. Lei può attendere qui fuori >>.
<< No! >> esclama Sherlock al solo sentire il peso di John abbandonare il letto. Gli stringe forte le mani impedendogli di muoversi.
<< Sherlock, l’infermiera deve prepararti per poterti portare dall’oculista. Io aspetterò qui fu… >>.
<< Non se ne parla! >> dice a gran voce.
<< Su, faccia il bravo. Il suo amico è qui con lei da stamattina, gli permetta di sgranchirsi un po’ le gambe >> dice la donna avvicinandosi a lui. L’odore chimico del suo profumo da quattro soldi gli da la nausea.
<< Non mi parli così, non sono un idiota! >> ringhia voltandosi presumibilmente verso di lei.
<< Va bene, non le parlo così. Mi permetta, però, di renderla presentabile. Non è molto vestito, sa? >> ribatte la donna in tono falsamente bonario.
<< Motivo in più per tenerla lontana! >> insiste Sherlock aggrappandosi con più forza alla mano di John.
<< E questo che vorrebbe dire? >> domanda indignata l’infermiera. << Chi crede l’abbia ripulita dalle acque inquinate del Tamigi? Fa parte del mio lavoro, sa? >>.
<< Questo nessuno lo mette in dubbio >> interviene John, impedendo a Sherlock di ribattere. << Non penso si vada contro ad alcun regolamento se per questa volta la sollevo da un incarico, non crede? >>. Sherlock riconosce nel suo tono quell’inflessione sensuale che tanto piace alle donne.
<< Faccia pure >> dice la donna. << Vorrà dire che sarò io ad aspettarvi fuori >> aggiunge e i suoi passi strascicati la accompagnano alla porta insieme al suo profumo troppo forte.
<< Non avevo dubbi del fatto che saresti stato un pessimo paziente >> dice John sganciando i quattro punti freddi che avvertiva sul torace. Prende poi qualcosa da una busta e la agita espandendo uno sgradevole odore di detersivo scadente e amido. << Ora collabora. Distendi le braccia davanti a te >>.
<< Perché sono completamente nudo? >> domanda mentre John fa passare il camice dalle sue braccia.
<< Per via degli elettrodi che avevi attaccati al torace. È la procedura per chi è andato in arresto cardiaco. Il fatto che tu sia caduto nel Tamigi, poi, ha fatto sì che fossi bagnato dalla testa ai piedi. Ho trovato più opportuno restarti accanto piuttosto che andare a prenderti un paio di boxer e un cambio d’abito a casa. Ok, ora girati verso di me e metti i piedi per terra >>.
Sherlock esegue mentre John fa il giro del letto portandosi alle sue spalle per legare il camice.
<< Grazie >> sussurra. Le mani laboriose del dottore si fermano così come il suo respiro. << Ti sei buttato nel Tamigi per salvarmi. Ti sei bagnano anche tu eppure sei rimasto qui >>.
<< Non potevo mica lasciare questi poveri infermieri in balia delle tue minacce una volta che ti fossi svegliato >> ridacchia riprendendo ad annodare il camice. << Scherzi a parte, uno di loro mi ha dato una divisa >>.
John torna al suo fianco e traffica con qualcosa che gli piazza davanti. Sherlock allunga il piede fino a toccare una struttura solida dal forte odore di gomma mista ad acciaio.
<< Una sedia a rotelle >> sbuffa. << Non mi piace l’idea di sedermi e farmi spingere chissà dove da quella donna >>.
<< Sì, concordo che andare in giro su questi cosi non sia il massimo, soprattutto quando si possono usare le gambe. È, però, il metodo più comodo e veloce e in questo caso anche sicuro. Avanti, prendi le miei mani e lasciati guidare >>.
Sherlock si sente in imbarazzo. Sono coinquilini da sei mesi ed è sempre stato John ad occuparsi di tutto a casa loro (dalla spesa alle pulizie). Certo il dottore ogni tanto si lamenta, ma non lo ha mai obbligato a prendersi davvero la responsabilità di collaborare e per questo lui non si è mai sentito in colpa e neppure in dovere. Ora, però, l’idea che debba dipendere dalle sue cure e che si debba occupare in questo modo di lui, gli provoca vergogna. Non può, però, fare altro che mettersi in piedi, lasciarsi guidare vicino alla sedia ed essere aiutato a centrarla.
<< Tieni questo >> gli dice John, mettendogli tra le mani il ferro freddo del porta flebo. << Io ti spingo fuori dalla porta poi lascerò che sia l’infermiera a continuare e ti camminerò accanto >>.
Sherlock annuisce e accetta il passaggio del testimone senza proferire verbo. Per distrarsi dall’ansia crescente all’idea di sapere come stanno i suoi occhi, si concentra sui sensi restanti. Dietro al pungente odore di disinfettante ce ne sono tantissimi altri, che, nel buio fitto che ha davanti agli occhi, aprono file di possibili deduzioni. I rumori lo aiutano ad ampliare queste ipotesi e benchè non siano che indizi secondari in effetti non sono da buttare via. Certo, sarebbe tutto più semplice e veloce se riuscisse a usare la vista.
<< Eccoci arrivati >> cinguetta l’infermiera. La sente aprire al porta e fa sbattere un po’ le ruote della sedia contro gli stipiti, mentre lo spinge dentro lo studio. La stanza ha il forte odore del dopobarba dell’oculista, che non riesce, però, a coprire quello acre e naturale del suo corpo unito a quello di tabacco scadente. Il dottor Wylde ha evidenti problemi di sudorazione e tabagismo e Sherlock si augura non siano legato all’ansia, perchè quel che gli ci vuole è proprio un medico ansioso per completare l’opera.
<< Buonasera John >> dice con voce arrochita dalle sigarette che fuma e che gli rendono l’alito pesante. Lo rassicura sapere che questo Wylde conosce John. Il suo dottore non lo lascerebbe mai curare da un collega del quale non si fida.
<< Buonasera Oliver >> ricambia John entrando nella stanza. Sherlock sente le loro mani stringersi e riconosce nel loro modo di salutarsi una vera stima reciproca.
<< Buonasera signor Holmes >> lo saluta posando la mano grande e asciutta sulla sua spalla sinistra. << Mi dica, per favore, come sta >> gli chiede rimanendo fermo al suo fianco.
<< Mi fa male la faccia. E’ come se mi piantassero aghi roventi ad ogni movimento. Anche gli occhi. Il dolore è concentrato prevalentemente lì. E mi fa male la testa >> dice portando la mano alla nuca, là dove avverte una costante pulsazione. << Fatico a respirare e… ho perso molti ricordi importanti >>.
<< Quello è a causa della botta che ha preso alla testa cadendo. Ne parlerà approfonditamente con il neurologo. A me interessano principalmente i suoi occhi >> gli dice portandosi alle sue spalle. << Ora faremo una visita accurata >> aggiunge spingendo la sedia. << Mentre era incosciente ho effettuato una prima visita e ho rilevato una causticazione corneo congiuntivale unita ad un edema palpebrale che ha interessato entrambi gli occhi. Le ho fatto questo bendaggio lieve con garza vasellinata trattata con antibiotici. Ora toglieremo la benda. Non apra gli occhi finche non glielo dico, mi raccomando >>.
Sherlock avverte sul viso le mani del medico, asciutte e dal forte odore di nicotina. Scioglie la benda e toglie i due tamponi posizionati sulle palpebre. L’odore acre di quello che sembra un disinfettante lo investe .
<< Sto per passarle della soluzione glucosata molto fredda sugli occhi >> gli dice per poi agire. Per quanto sia un’operazione fastidiosa, avverte un immediato benessere. L’oculista si occupa diligentemente di un occhio e poi dell’altro prima di allontanare le mani dal suo viso.
<< Bene. Ora piano piano provi ad aprire le palpebre >>.
Sherlock resta immobile. Ora che la benda e tolta e gli occhi curati aprire le palpebre lo spaventa. Agli occhi della mente gli giunge l’immagine di un vaso percorso da tante crepe. Basterebbe un nonnulla per mandarlo in frantumi. Si rende conto di essere come quel vaso in questo momento. Il nonnulla che lo manderebbe in mille pezzi sarebbe lo scoprire di essere cieco.
Le mani di John si posano sulle sue spalle contratte. Lo stringono appena infondendogli coraggio senza dire una sola parola. Sherlock si rilassa un po’, prende un bel respiro e piano piano le sue palpebre si distanziano tra loro.
<< Mi fanno male >> dice richiudendole immediatamente.
<< Ha un’ustione di secondo grado al volto. Guarirà in una decina di giorni e non lascerà alcuna cicatrice >>.
<< Al diavolo le cicatrici! È la vista quella che mi interessa! >> sbotta afferrando con forza i braccioli della sedia. Nel silenzio che segue percepisce i respiri dei due dottori. Staranno scambiandosi sguardi che non può vedere e l’idea che provino pena per lui lo manda in bestia.
<< Le chiedo di fare uno sforzo, signor Holmes. Ho bisogno di esaminare i suoi occhi >>.
Sherlock apre le palpebre lentamente. La prima cosa che gli viene in mente è che abbiano spento la luce per evitare che questa gli ferisca gli occhi più di quanto già non lo siano. Poi, però, si rende conto che anche fosse così scorgerebbe almeno la sagoma dell’uomo che ha di fronte.
<< E’ tutto buio >> sussurra affranto. Le mani di John si serrano ancor di più sulle sue spalle.
<< Le sue cornee hanno subito un brutto trauma. Prima di scoraggiarsi, però, me le faccia controllare >> gli dice picchiettandogli la guancia con fare paterno. Percepisce uno spostamento d’aria e qualcosa viene posizionato dinanzi al suo viso. << Appoggi il mento qui, così >> lo guida Wylde. << Ora tenga aperte le palpebre il più possibile >>.
Sherlock si rende conto di come non sia per nulla facile quella semplice operazione. Molte volte gli hanno detto di essere inquietante nella capacità di mantenere lo sguardo fisso a lungo, senza battere ciglio. Ora, invece, il dolore e tale da togliergli il respiro.
<< Abbiamo quasi finito >> gli dice l’oculista percependone il disagio.
Accoglie con sollievo la fine della visita. Chiude gli occhi e fa per posarvi sopra la mano ma ancora una volta John la intercetta.
<< Non è proprio il caso, Sherlock >> gli dice in tono bonario. Non ha la forza di fare altro che annuire e sospirare. John gli stringe la mano, sicuramente stupito del vederlo così remissivo.
<< John mi ha detto che i suoi occhi sono caratterizzati da eterocromia >>.
<< Sì. Ho fatto tanti controlli da bambino, ma non hanno riscontrato cause tali da far temere la presenza di glaucomi. Cosa c’entra con la cecità attuale? >>.
<< E’ un’informazione in più per la mia anamnesi. In secondo luogo mi permette di fare delle ipotesi. I suoi occhi al momento sono spenti, anche nel colore. Gli effetti della capsicina svaniscono nel giro di 40 minuti e di solito non lasciano danni a lungo termine. Lei dopo tutte queste ore, invece, presenta una cecità bilaterale. Indubbiamente, i suoi occhi, signor Holmes, sono traumatizzati >>.
<< Dai traumi ci si può riprendere, no? >>.
<< Del tutto o in parte, certo >>.
<< Quindi è una situazione passeggera? >> gli chiede e il silenzio che segue la sua domanda poco gli piace, così come i respiri di entrambi i dottori che si interrompono per un breve istante.
 << La cecità si verifica quando qualcosa ostruisce il passaggio della luce attraverso la cornea, che è la membrana trasparente davanti all’iride e alla pupilla, al cristallino e quindi nell’umor vitreo, che è la sostanza gelatinosa che riempie il bulbo oculare. Lei non ha solo subito un attacco ravvicinato con una sostanza urticante, ma è anche caduto battendo la testa nella zona della corteccia occipitale. Il trauma cranico ha generato un’amaurosi bilaterale, che è data dall’interruzione della corrente sanguigna alla corteccia visiva causata da un’embolia. L’amaurosi può essere completa o temporanea e nel suo caso solo il tempo saprà dirci dinanzi a quale delle due ci troviamo >>.
<< Lei mi sta dicendo che dovrei semplicemente aspettare e vedere cosa succede? >>.
<< Esatto. E mentre aspetta deve portare avanti una cura a base di nifedipina. Se col tempo dalla cecità passerà ad avvertire lampi continui di luce, offuscamento o altri disturbi simili sarà un buon segno. Non le garantisco il ritorno ai dieci decimi, nel caso si tratti di un amaurosi temporanea, ma in questo momento penso sia il male minore per lei sapere di aver perso qualche grado >>.
<< Direi proprio di sì >>  .
<< Oltre alla nifedipina, dovrà portare il bendaggio di garze vasellinate per almeno una settimana, cambiandolo con cura ogni giorno. C’è qualcuno che puoi occuparsi di lei e aiutarla a portare avanti la cura? >>.
<< Me ne occupo io, Oliver >> dice prontamente John. << Siamo coinquilini >> aggiunge, sempre con quel suo maledetto bisogno di sottolineare la tipologia del loro rapporto, affinchè non si generino equivoci imbarazzanti.
<< La fortuna di convivere con un medico >> ridacchia Wylde dandogli un altro fastidioso e paterno buffetto sulla guancia. << Le indicazioni per la cura delle ustioni sicuramente le sai, ma ti prescrivo comunque i farmaci più adatti per una zona delicata come questa >>.
Sherlock sente il graffiare della penna sulla carta. Una carta dura, appoggiata sul ripiano della scrivania. Le mani di John sono ancora ferme sulle sue spalle. Il loro calore lo aiuta a rilassarsi, benchè non ci sia nulla di rassicurante in quel che ha appena sentito. Si trova sospeso su un cinquanta per cento di possibilità: da una parte il recupero della vista, dall’altro la cecità permanente.
“Gli imprevisti del mestiere” gli dice ironico la voce di suo fratello. La scaccia via con un gesto rapido del capo.
<< Tutto bene? >> gli domanda John posando una mano tra i suoi capelli.
<< Mycroft >>.
<< Oh, sì. Tuo fratello mi ha chiamato non appena siamo arrivati qui. Al momento si trova a Hong Kong. Voleva sapere cosa fosse successo e mi ha detto che sarebbe venuto qui appena possibile >>.
<< Mi auguro proprio che non gli sia possibile >>.
 << In condizioni simili il supporto della famiglia è importante, signor Holmes >> borbotta il medico consegnando la ricetta appena compilata a John.
<< Voglio andare a casa >> sussurra Sherlock. Si sente improvvisamente stanco e spossato, cosa che non è per nulla da lui.
<< Dovrà prima sottoporsi alla visita neurologica >> lo informa il dottore. << Chiamo l’infermiera per farle rifare il bendaggio >>.
<< Me ne occupo io, Oscar >> dice prontamente John.
I passi pesanti e veloci annunciano l’uscita di scena del dottore. Il bisogno di nicotina si è fatto sentire. Le mani delicate ed esperte di John si posano sul suo viso tumefatto. Le sente applicare una pomata dall’odore forte sulle ustioni che gli ricoprono il volto.
<< John, ho bisogno che tu mi descriva l’entità del danno >> gli chiede. Le mani del dottore si fermano per poi riprendere con movimenti più lenti. << Ti prego >> aggiunge per incoraggiarlo.
<< Hai un arrossamento. Come fossi stato parecchio sotto il sole, tutto qui >>.
<< John, lo sai come funziono >> ribatte scuotendo il capo. << Non tentare di proteggermi, tanto peggio di così non può andare. Descrivi con dovizia di particolari, come stessi raccontando il caso a un tuo collega >>. John  sospira e dal movimento dell’aria pare anche stia scuotendo il capo, poco convinto di quanto gli sta chiedendo.
<< L’ustione interessa la zona della fronte, le palpebre, il naso e il labbro superiore >> dice con tono professionale e distaccato. << È classificabile come di secondo grado. La pelle è gonfia, arrossata e presenta delle vescicole, come tu fossi caduto a faccia in giù in un cespuglio di ortiche rese ancora più cattive dal sole caldo di mezzogiorno >>.
<< E’ la prima cosa che ho pensato quando mi sono risvegliato >>. John ridacchia nervoso e lui lo imita distrattamente. << E… i miei occhi come sono? >> dice aprendo le palpebre. Punta lo sguardo là dove immagina sia il volto di John e questi trattiene il fiato.
<< La… la sclera è arrossata. I capillari sono evidenti. Le iridi sono… molto chiare >>.
<< Quanto chiare? >>.
<< Quasi bianche. Le pupille appaiono velate >>.
<< Velate? >> lo stomaco di Sherlock si chiude e un brivido lo scuote. << Come… come quelle dei cadaveri? >>.
<< No! >> esclama John. Ha risposto troppo in fretta e con troppa enfasi. Indubbiamente sta mentendo.
<< John… >>.
<< Più simili a una cataratta >> sbotta il dottore allontanando le mani dal suo volto. Restano in silenzio. Il respiro concitato di John ne descrive il suo nervosismo.
<< Devo essere uno spettacolo orribile da vedere >> sussurra Sherlock.
<< L’ustione è fresca. Guarirà e non resteranno cicatrici. I tuoi occhi… >>.
<< Erano già spaventosi prima >>.
<< Ma che cosa vai dicendo? Io li ho sempre trovati affascinanti >>.
La nota di imbarazzo nella voce del dottore lo contagia. Improvvisamente sente la sedia a rotelle farsi fin troppo scomoda.
<< Grazie >> sussurra abbassando lo sguardo, automatismo abbastanza inutile dal momento che tanto non ci vede. << Immagino che ora non lo siano affatto >> ridacchia portando la mano al volto. John la intercetta anche questa volta. La stringe forte con entrambe le mani.
<< Dai loro il tempo di guarire e vedrai che torneranno allo splendore di sempre >>.
Gli immagina sul volto il sorriso dolce che a volte gli rivolge e alza la mano libera per cercarlo. Si rende conto di quanto sta facendo solo quando le sue dita sfiorano il viso di John. Avverte il calore della sua pelle sotto i polpastrelli, che gli rimandano molte più informazioni di quante siano soliti fare. Un velo di barba ricopre le guance solleticandogli le dita. Un piacevole formicolio gli percorre la mano propagandosi per il braccio man mano che sfiora il viso familiare che ora sta ‘vedendo’ in un modo nuovo.
Quando finalmente raggiunge le labbra si ferma stupito. Si rende conto di aver trattenuto il fiato e il respiro che prende lo avverte carico di una strana emozione. Percepisce un movimento sotto le dita. I muscoli del volto di John si sollevano e le labbra sulle quali sono posate le sue dita si incurvano.
<< Stai sorridendo >> dice stupito mentre percorre con le dita il sorriso di John per studiarlo, memorizzarlo nei suoi polpastrelli. Avverte una strana vibrazione nella pancia. Un calore improvviso e piacevole.
<< Anche tu >> gli dice John e il movimento della mascella, dei muscoli facciali e delle labbra lo sorprende ancora di più. Quanto ha detto gli giunge con qualche secondo di ritardo. Si rende conto, in effetti, di stare a sua volta sorridendo. Forse per una sorta di imitazione inconscia, anche se è abbastanza insolito, dal momento che i neuroni a specchio sono attivati dalla vista. È possibile che lo stesso effetto lo si ottenga tramite i polpastrelli? Oppure la motivazione è un'altra. Il sorriso è dato dalla piacevolezza di poter finalmente avere una scusa per accarezzare questo volto tanto amato.
Allontana la mano in modo quasi brusco.
<< Scusami >>.
<< Per cosa? >>.
<< Mi sono preso la libertà di toccarti insistentemente il viso >>.
<< Le dita saranno i tuoi occhi finchè questi non si riprenderanno, Sherlock. Hai bisogno di reperire informazioni e penso non ci sia nulla di male. Se ti dovesse capitare di dover ‘vedere’ con le mani chi non conosci è meglio se chiedi il permesso prima. Con me non farti di questi problemi >>.
Come a sottolineare quanto ha appena detto, John gli sfiora la guancia con la mano. Non è il fastidioso buffetto paterno datogli poco prima dall’oculista. È una vera e propria carezza, piacevole al punto da fargli vedere tutti insieme quali possano essere i risvolti positivi di questa triste situazione.
“Solo uno stupido come te potrebbe perdersi in simili baggianate” irrompe Mycroft acido tra i suoi pensieri. Scuote il capo infastidito e John allontana svelto la mano interpretando quel gesto come rivolto a lui.
<< E’ vero, scusami. Io sì che mi sono preso una libertà di troppo >>.
L’ingresso dell’infermiera gli impedisce di ribattere spiegandogli a chi fosse realmente rivolto il suo moto di fastidio.
<< E’ ora di andare a conoscere il neurologo >> cinguetta quella fastidiosa donna riportando nella stanza il suo orribile profumo fruttato.
Sherlock si ritrova nuovamente spinto lungo un corridoio pieno di voci, odori e rumori sui quali si concentra. Non solo per sedare l’ansia di quella nuova visita, ma anche per allenare quei sensi che usa senza accorgersene, ma che ha sempre ritenuto secondari rispetto alla vista. Concentrasi su questi genera reazioni fisiche nuove che scuotono il suo mondo emotivo. In un certo senso è come se fosse stato cieco fino a quel momento e solo adesso finalmente aprisse gli occhi. Occhi diversi, fatti di onde sonore, recettori olfattivi e sensazioni tattili. Tutta la sua pelle è come stesse diventando un unico grande occhio e il fatto che ciò accada nel breve tragitto da uno studio medico ad un altro lo sovraccarica.
<< Tutto bene? >> gli domanda John avvicinandosi al suo orecchio. L’infermiera ha bussato alla porta dello studio del neurologo. Dal suono che i colpi hanno prodotto deduce sia una porta di compensato ricoperta da una pellicola di resina plastificata. Al di là di questa si avverte un chiacchiericcio. Il dottore pare essere impegnato in una discussione telefonica molto accesa.
<< Troppe informazioni, John >> risponde portando la mano al volto. Questa volta ci sperava che John la prendesse nella sua. << Gli altri sensi. È come se avessero deciso di dare il massimo tutti insieme e all’improvviso. E’… troppo >>.
<< Ok >> sussurra John facendosi più vicino. << Datti il tempo di abituartici, Sherlock >>.
La porta si apre e un nuovo odore lo investe. Un’acqua di colonia costosa e raffinata. Nessuna traccia di fumo, solo l’odore del caffè bevuto da poco.
<< Buongiorno John, Oliver mi ha detto che sareste arrivati. Accomodatevi >> dice con una cordialità reale, nonostante la chiamata appena conclusa.
<< E’ un piacere per me conoscerla, signor Holmes >> gli dice posandogli anche lui la mano sulla spalla. Sembra sia quello il modo di salutare un cieco. << Sono un fan del blog di John e trovo i suoi metodi deduttivi assolutamente fantastici >>.
<< E io concordo con lei, dottore. Ha un amante. Lo lasci perdere e si rifaccia una vita con chi sappia essere in grado di accettare i turni massacranti del lavoro che così tanto ama >>.
Il respiro del neurologo si blocca un attimo per poi esplodere in una risata nervosa.
<< Beh, la privazione momentanea della vista pare proprio non essere un problema per la sua capacità deduttiva >> dice dandogli una pacca più vigorosa sulla spalla.
<< Momentanea? >> domanda Sherlock stupito. << L’oculista ha detto che solo il tempo saprà dire se la mia è un’amaurosi temporaneo o completa >>.
<< Oliver tende sempre a esagerare >> dice il neurologo e dallo spostamento d’aria che avverte Sherlock deduce abbia mulinato la mano a minimizzare le sue preoccupazioni. << La sua risonanza magnetica conferma la presenta dell’embolia che ha generato l’amaurosi bilaterale e la temporanea infiammazione che ha determinato la rottura dei capillari che ostruiscono il passaggio della luce attraverso la cornea al cristallino. A mio parere ci vorrà più tempo per recuperare la vista rispetto a una normale esposizione allo spray, ma questa tornerà. Nel frattempo potrà esercitarsi ad usare gli altri sensi, anche se mi ha appena dato una dimostrazione pratica di come questi siano già ben sviluppati >>.
Sherlock prova un senso di sollievo dinanzi al parere più possibilista del neurologo. Solleva la mano per porgergliela e questi la stringe con vigore. Una mano ferma che indica determinazione e sicurezza.
<< Dal momento che la so nelle sicure mani di John le firmo il foglio per le dimissioni. Mi raccomando, non si affatichi troppo. Il riposo è la migliore cura. Ci vediamo tra una settimana per il controllo. Qualunque cosa accada alla sua vista non esiti a comunicarmelo >>.
John saluta a sua volta il collega e spinge la sedia a rotelle fuori dallo studio.
<< Possiamo fidarci di Howard. E’ scrupoloso nelle sue diagnosi e impeccabile nel lavoro >> gli dice John avvicinandosi al suo orecchio.
Giungono nella stanza e appena John mette il fermo alla sedia Sherlock si alza, insofferente a tutta quella immobilità.
<< Ti ricordo che sei pratilmente nudo >>.
<< Dove sono i miei vestiti? >>
<< Sul letto >>
Sherlock si muove a tentoni. Percepisce lo sguardo di John addosso e gli è grato che lo lasci fare senza impuntarsi nell’aiutarlo. Raggiunge con le mani la superficie del letto e la percorre tutta fino a trovare i suoi vestiti. Riconosce la camicia azzurra dalla consistenza del cotone leggero e pregiato, i pantaloni e la giacca più pesanti e resistenti e i boxer. Hanno un odore per nulla piacevole, lo stesso delle lenzuola e già al tatto sente che hanno usato una temperatura troppo alta che ha rovinato i suoi preziosi abiti.
<< La lavanderia dell’ospedale >> sbotta disgustato.
<< Non è il massimo, lo so >> dice John. Lo sente a sua volta spogliarsi della divisa che gli hanno prestato e indossare i suoi vestiti. << Ma l’alternativa sarebbe stata lasciarti qui ad aspettarmi di ritorno con un cambio fresco e profumato >>.
L’idea che John si sia appena cambiato a pochi metri da lui gli accappona la pelle. Cerca, però, di ridarsi un contegno per evitare situazioni che risulterebbero imbarazzanti. Si affretta a indossare i boxer, accertandosi che non siano ripiegati verso l’esterno. Con le dita cerca l’etichetta che indica il retro, li indossa con movimenti più lenti rispetto al solito, ma ritiene di aver fatto un ottimo lavoro.
Senza che glielo chieda John si porta alle sue spalle e inizia a sciogliere il camice. Sherlock se ne libera e lo getta con malagrazia sul letto. Indossa i pantaloni e litiga per un po’ con i bottoni della camicia. Più volte percepisce John pronto a domandargli se per caso non voglia il suo aiuto, cosa che lo rende ancora più nervoso e impacciato.
<< Fatto! >> esclama soddisfatto quando anche l’ultimo bottone è abbottonato nella corrispondente asola. Sistema la camicia nei pantaloni e li abbottona. Se per i bottoni della camicia poteva aspettarsi qualche difficoltà, non ha invece pensato quanto possa essere difficile allacciare una cintura. Impreca a gran voce, usando parole molto volgari contro il foro della cintura che non ne vuole sapere di farsi centrare. Porta le mani ai capelli esasperato e sente il pianto prendere il sopravvento. John gli posa una mano sulla schiena.
<< Facciamolo insieme, vuoi? >> gli propone e lui si limita ad annuire. John si porta alle sue spalle e raggiunge con le mani la cintura. << Posa le mani sulle mie >> gli dice e lui esegue. << Con la sinistra tiriamo la cintura. Ora con l’indice destro conti ad alta voce il numero dei fori dal più lontano al più vicino >>. Sherlock esegue e comprende il meccanismo che gli sta proponendo. << Ora porta il pollice sinistro sull’ultimo foro e cerca con la mano destra il gancio >>. Esegue e poi prende in mano la situazione. Dirige il gancio verso il foro e non può fare a meno di lasciarsi sfuggire un’esclamazione di trionfo quando si rende conto di averlo centrato.
<< Bravissimo! >> lo incoraggia John battendogli la mano contro il fianco. Si sposta lasciandogli libertà d’azione. Sherlock assicura la cintura ai passanti e poi si volta verso di lui regalandogli un sorriso vittorioso. John risponde con una pacca sulla spalla.
<< Sei pronto per affrontare i lacci delle scarpe >> gli dice e il consulente impreca nuovamente. << Ehi, credevo di essere io lo sboccato. Alcune delle parolacce che hai detto fin’ora neppure le conoscevo >>.
<< Questo perché non hai un passato da tossico >> ridacchia Sherlock sedendosi sul letto per mettere i calzini. Indossarli nel verso giusto è anche quella impresa non facile, per non parlare poi, come anticipato da John, dell’allacciare i lacci. Dopo nuove e folcloristiche imprecazioni, una mezza crisi di nervi e tanti consigli (e infinita pazienza) da parte di John l’impresa e compiuta. E questa era la parte più semplice.
<< Posa la mano sulla mia spalla. Ti guiderò io in caso di ostacoli o gradini >> gli suggerisce John dirigendo la sua mano sinistra sulla spalla.
<< Devo ritenermi fortunato del fatto tu sia stato un medico militare. È lì che hai appreso questi ‘trucchi’ per sopravvivere in caso di cecità >> deduce Sherlock muovendo i primi passi lentamente e in modo incerto. John si adegua al suo ritmo. Non lo strattona, né gli mette fretta. Lo sente sospirare e esitare alcuni istanti prima di ribattere.
<< Avevo un… caro amico sotto le armi. Una granata gli esplose a pochi metri e alcune schegge gli colpirono gli occhi rendendolo cieco. Non la prese bene, ovviamente, e io cercai di fare il possibile per aiutarlo >>.
John non è solito raccontare dei suoi trascorsi da soldato. Le poche volte che ha provato a chiedergli aneddoti si è mantenuto sul vago cambiando subito argomento o dicendogli apertamente che non voleva parlarne. Questo a seconda di quanto fosse insistente o, come lui preferiva dire, assillante. Per questo il suo tirare in ballo questo ‘caro amico’ lo stupisce. Proprio come lo scoprire Harry essere sua sorella e non suo fratello.
A Baker Street la signora Hudson li accoglie con finta nonchalance, ma Sherlock coglie ogni singolo singhiozzo trattenuto. Il suo sguardo preoccupato riesce quasi a vederlo, nonostante le bende, tanto è intenso.
<< Vi lascio salire, sarete stanchi >> dice scappando nel suo appartamento. Mentre sale i 17 gradini appoggiandosi alla parete, Sherlock la sente soffiare il naso. Uno strano senso di colpa lo assale. Arrecare dispiacere alla sua cara padrona di casa lo ferisce e questa è una cosa nuova alla quale non aveva mai pensato. Tante volte è tornato livido dei pugni presi durante una rissa, o in un inseguimento. Molte altre è quasi svenuto sulla soglia di casa stremato dai lunghi giorni di digiuno trascorsi senza chiudere occhio dietro un caso. La donna lo ha sempre guardato con occhi preoccupati e ha tentato anche di dire qualcosa, ma lui l’ha sempre prontamente zittita. È strano come abbia avvertito il senso di colpa proprio ora che la situazione gli ha risparmiato di assistere al suo ennesimo sguardo disperato. La privazione del senso principale sta acuendo non solo gli altri quattro, ma anche qualcos’altro, a quanto pare.
Recuperare la mappa del loro appartamento dal suo Mind Palace è un gioco da ragazzi. Non ricordando gli avvenimenti degli ultimi giorni non può sapere se sia stato lasciato qualcosa in giro sul quale possa inciampare, ma tutto sommato riesce a muoversi senza alcun problema all’interno del suo posto sicuro.
<< Fantastico >> sussurra John.
<< Lo hai detto ad alta voce >> ridacchia lui.
<< Scusami ma… è davvero fantastico, Sherlock. Non hai dovuto prendere misure, mandare a memoria gli oggetti presenti e le distanze tra loro… avevi già tutto nel tuo Mind Palace. Dovresti insegnarmi come si usa, potrebbe tornarmi utile >>.
<< Per ricordare il nome delle tue innumerevoli conquiste, ad esempio? >> lo punzecchia accomodandosi sulla sua poltrona.
<< Molto spiritoso >> ribatte John sedendo alla propria. << Ma devo dire che sarebbe utile, sì >>.
<< Notizie da Lestrade sul caso? >>
<< Vuoi continuare l’indagine? >>.
<< Certo! Ho un conto in sospeso con quel bastardo, non vorrai mica che lasci tutto nelle mani di quegli incapaci degli Yardes? >> dice tra i denti.
<< Greg mi ha scritto solo per chiedermi di te >>.
<< Digli che sto bene e che anche da cieco vedo meglio di tutti loro messi insieme >>.
<< Penso che mi limiterò a dirgli di ritenerti ancora sul caso >> dice e lo sente digitare veloce sui tasti del telefono << E’ mio dovere, però, ricordarti quanto detto da Howard: il riposo è la cura migliore nel tuo caso >>.
<< La cura di ogni male per me è il lavoro, John. Sai bene come sono quando non ho un caso sul quale stare >>.
<< Fin troppo bene >> lo sente soffocare uno sbadiglio. << Ho bisogno di dormire, altrimenti svengo. << Ho detto a Greg di telefonarti, in caso di necessità >> gli dice mettendogli il suo smartphone tra le mani.
<< Il mio cellulare immagino sia andato perso nel tuffo non previsto nel Tamigi >>.
<< Proprio così. Useremo il mio finchè non avremo il tempo di procurartene un altro >>.
<< Benissimo. Mi auguro di non ricevere nel cuore della notte la telefonata di una delle tue spasimanti. Sarebbe imbarazzante pensasse che sei a letto con un uomo >>.
<< Non accadrà, Sherlock. Non ci sono spasimanti in questo periodo e comunque ci mettono poco le donne a capire che vivo con un uomo dagli orari impossibili che aiuto nel suo lavoro impossibile! >>.
<< Allora è tutto a posto. L’uomo impossibile farà una bagno prima di andare a dormire.  Puzzo peggio del Tamigi >>.
John esita qualche istante, ma poi decide di rinnovargli la buonanotte e dirigersi alla sua camera.
Come al solito Sherlock non ricambia il saluto. Resta con il cellulare in mano e ascolta i passi strascicati di John, prima verso la porta poi su per le scale. Un passo stanco, segno che è stato seduto a guardarlo per tutto il tempo, in attesa che lui riprendesse conoscenza. Gliela deve questa notte di riposo e poi lui ha un caso sul quale riflettere. Vuole cercare nel suo Mind Palace la porta dietro la quale si sono rifugiati i ricordi di quelle ultime giornate.
<< Nella vasca da bagno, questa volta >> dice annusando disgustato la propria pelle.
Entra nel bagno e ride di se stesso quando si rende conto di cercare a tentoni l’interruttore della luce sulla parete. Si libera dei vestiti ormai rovinati e li ripone nel cestone dei panni sporchi. Apre il rubinetto e fa scorrere l’acqua nella vasca. Aspetta che si scaldi appoggiandosi al lavandino, come è solito fare.
Tocca il viso sentendo il filo di barba che sarebbe ora di eliminare. Si rende conto che quello è un problema. Non ama i rasoi elettrici perché rendono la barba più dura e gli irritano la pelle più delle lamette. Lamette che da cieco non può usare senza rischiare di sfregiarsi. Sospira e porta la mano agli occhi incontrando l’ingombro delle bende. Le sfiora appena per la prima volta, percorrendo tutta la circonferenza che gli avvolge la testa. Sono aghi incandescenti che lo pungono ad ogni tocco, ma sente il bisogno di capire in che condizioni verte. Sotto le dita la pelle del naso, delle guance e del labbro superiore si presenta gonfia e impiastricciata della pomata che gli ha applicato John. Lo hanno rassicurato del fatto che non resteranno cicatrici e lui ora si concede di dirsi che lo spera davvero. Ha sempre prestato molta attenzione nel non causarsi ferite al volto.
Un viso pulito e in ordine è il miglior biglietto da visita!” era solito dire suo padre. Motto che ha poi ereditato suo fratello. Si rende conto di quanto sia influenzato dai loro pensieri, dalle loro convinzioni. Stringe forte i bordi del lavandino con le mani mentre lo stomaco gli si chiude e un calore forte gli riempie il petto e gli occhi.
“Non posso piangere, mi potrebbe fare male!” dice cercando di controllare il panico. Una nube di vapore caldo lo raggiunge e lo ridesta dai suoi pensieri. Era talmente lontano da non essersi reso conto dell’acqua divenuta troppo calda. Cerca a tentoni il tappo della vasca e lo posiziona nello scarico per poi modulare i rubinetti fino ad ottenere una temperatura ottimale. Appoggia l’asciugamano sul bordo della vasca e vi entra mentre l’acqua la riempie lentamente. Posa la testa contro l’asciugamano. Passa lieve la mano umida sulla  parte della nuca ferita e dolorante e cerca di rilassarsi, di lasciare andare la tensione, come è solito fare nei lunghi bagni che si concede alla fine di un’indagine. Solo che questo caso è ancora aperto ed è ora diventato molto più importante di tutti gli altri che ha seguito.
L’acqua raggiunge il torace e chiude il rubinetto. Nel caldo abbraccio dell’acqua tiepida congiunge le mani sotto il mento ed entra nel suo Mind Palace. Cerca informazioni su questi giorni dimenticati, in modo più approfondito di come non abbia fatto in ospedale. Non ottiene, però, alcun risultato e infuriato colpisce l’acqua generando mille spruzzi. Si siede al centro della vasca e prende la testa tra le mani. Non vuole cedere al pianto, né al panico e si forza di respirare lentamente. Per distrarsi cerca il suo bagnoschiuma tra le bottiglie posizionate sul mobiletto e porta a termine il bagno che non lo ha rilassato per nulla. Toglie il tappo, sciacqua via la schiuma e si asciuga prima di mettere piede fuori dalla vasca. Cerca attento il tappetino e, soddisfatto, vi poggia entrambi i piedi. Sta per congratularsi per essere riuscito a portare avanti in autonomia l’operazione, quando, fatto il primo passo fuori dal tappeto, scivola sulle piastrelle umide di condensa. Riesce per fortuna ad evitare di farsi male aggrappandosi prontamente al bordo vasca, ma col piede urta il mobiletto dal quale cadono le troppe cose che sono soliti appoggiarci.
Sherlock impreca forte. Per la paura che gli ha causato questo scivolone, per il rumore che desterà sia John che la signora Hudson, facendoli accorrere preoccupati, e per la conferma di come il suo sia un problema serio. Siede per terra sul tappetino, l’asciugamano a coprirgli i fianchi e il capo appoggiato al bordo della vasca.
“Non ce la farai mai!” gli dice suo fratello e gli occhi gli bruciano avvolti dalle lacrime.
<< Sherlock >> esclama John che ha sentito scapicollarsi giù dalla sua stanza per correre a vedere cosa gli fosse successo. << Sei scivolato >> gli dice facendogli notare l’ovvio. Gli viene da ridere. Una risata nervosa. << Ti sei fatto male? >> gli domanda inginocchiatosi accanto a lui sul tappeto umido.
<< Non più di quanto già non stia, John >> dice tra le risa. << A chi voglio prendere in giro? Non sono in grado di fare nulla in queste condizioni. Se resterò cieco dovrò dire addio al mio lavoro e… non lo so cosa potrò fare. Non so fare nient’altro >> singhiozza apertamente.
John sospira e gli posa la mano sulla spalla destra. La stringe forte e tentenna qualche istante prima di attirarlo a sé. Sherlock si aggrappa a lui, come cercasse di scomparire dentro il suo dottore. Appoggia la fronte sulla sua spalla e si lascia andare al pianto, sentendo gli occhi bruciare, gli aghi roventi trafiggerli ma non riesce a smettere. John lo sostiene, accarezzandogli i capelli. Silenzioso, perché tanto in questo momento qualunque cosa dicesse non servirebbe. Ora c’è solo questa esplosione. Distruttiva come quelle del maledetto dinamitardo.
John si accinge a parlare solo quando sente il pianto placarsi. Il ritmo finora regolare del respiro si spezza e sembra valutare per un po’ cosa dire.
<< Ricordi quando stamattina ti ho parlato dei tuoi sensi sviluppati più di chiunque altro? >> gli chiede e lui annuisce tirando su col naso. << Sherlock, posso immaginare come tutto ora ti sembri impossibile. Abbiamo detto che il panico ci sta, che è il minimo >>. Annuisce nuovamente tossicchiando. << Anche io mi sono sentito perso quando mi hanno detto che non avrei potuto più operare a causa del tremore al braccio sinistro ferito dalla pallottola. Eppure, come vedi, è tornato stabile e non zoppico più. Certo non è come prima, ma la situazione è comunque migliorata, perché può anche succedere questo, Sherlock: non deve andare per forza sempre tutto male! >>.
La voce di John è calda, resa incerta dalla commozione ed è così confortevole e rassicurante sentirla vibrare nel suo petto. Prova il brivido di questa vibrazione sulla pelle a contatto col suo torace. Lo stomaco contratto si scioglie e le tensioni lo abbandonano, colano via da lui piacevolmente. << La vista tornerà. Ho piena fiducia nella diagnosi di Howard, ma soprattutto ho piena fiducia in te. Forse non sarà più come prima, magari ti ritroverai a dover indossare degli occhiali… non possiamo saperlo. Quel che so per certo è che i tuoi altri quattro sensi ti aiuteranno a fare fronte a questo periodo. Io sono sicuro che riuscirai a portare avanti le indagini anche senza l’uso della vista. Come hai detto poco fa, ci vedi meglio tu in queste condizioni che tutti gli Yardes di Londra. Credici, Sherlock >> sussurra John al suo orecchio. Un altro brivido caldo gli percorre la schiena facendolo tremare. << Penso sia meglio rivestirti e filare a letto. Sono le dieci, Sherlock, ti rendi conto che hai passato più di tre ore in questa vasca? >>.
<< Stavo cercando di recuperare i ricordi nel mio Mind Palace >> si giustifica lasciandosi aiutare a tornare in piedi. Sente John sospirare e, dal movimento dell’aria, scuotere la testa.
<< Dopo il tuffo nel Tamigi e gli abiti umidi tenuti per troppo tempo addosso non vorrei ti prendessi un raffreddore. Non sarebbe proprio il caso >> dice aiutandolo a mettersi in piedi. Sherlock muove un passo e scivola di nuovo prontamente sorretto da John. L’asciugamano cade per terra lasciandolo nudo.
<< Continuo a scivolare, cazzo >> impreca. John gli getta attorno alle spalle l’accappatoio col quale lui si copre prontamente. In altre circostanze avrebbe sfruttato il restare accidentalmente nudo dinanzi a John per punzecchiare il suo lato omosessuale che troppe volte scorge, quando lo sorprende a guardarlo intensamente. In questo momento di debolezza e fragilità, invece, prova solo imbarazzo e vergogna.
<< E’ il tuo brutto vizio di girare a piedi nudi per casa, Sherlock >> gli dice il dottore, conducendolo in camera sua. << Uno scivolone simile ti sarebbe potuto capitare anche con gli occhi perfettamente sani >>.
<< E’ possibile tu abbia ragione >> sussurra sedendosi sul letto.
<< Oddio, Sherlock Holmes mi ha appena dato ragione. Devo segnarlo sul calendario >> scherza. Si interrompe e il respiro prima si ferma e poi si fa più incerto. << Vuoi che resti qui con te stanotte? >> gli  chiede. Sherlock si rende conto di aver stretto ancora di più l’accappatoio solo dopo averlo fatto.
<< Ti ringrazio, ma penso di potermela cavare da solo >> risponde voltando la testa nello sciocco automatismo di volgere altrove lo sguardo.
<< Questo lo so. Era più che altro per evitare rispondessi tu a eventuali telefonate da parte di mie spasimanti. In effetti sarebbe parecchio imbarazzante >>.
<< In questo caso sarebbe una menzogna, dal momento che staresti dividendo per davvero il letto con me >>. In fondo al cuore vorrebbe che lui si fermasse al suo fianco. Gli darebbe sicurezza sentirlo accanto mentre è lì nell’oscurità. Sapere di poter sostare tra le sue braccia accoglienti in caso il panico tornasse.
Il materasso cede e la presenza di John si fa più vicina.
<< Resto qui >> dice il dottore scegliendo per entrambi. Sherlock si limita ad annuire, mentre dentro sente il cuore esplodere dalla gioia. << Dove tieni il pigiama? >> gli chiede e arrossisce all’idea di dirgli che in realtà è solito dormire nudo.
<< Indosso solo i boxer >> ripiega sentendo il respiro di John fermarsi. << E’ un problema? >>.
<< No, perché dovrebbe? >> dice nuovamente troppo in fretta. Un’altra menzogna. Sente il materasso alzarsi, l’armadio aprirsi e John rovistare nel suo cassetto. Lo ha fatto talmente tante volte alla ricerca di chissà quale droga da sapere dove tiene l’intimo. Gli porge un paio di boxer e si porta dalla parte opposta del letto. Sherlock li indossa e lascia cadere per terra l’accappatoio per poi tornare a sedersi. John fa altrettanto.
<< Ehi, perché il tuo materasso è più comodo del mio? >> gli chiede sdraiandosi. << Lo sapevi e per questo hai insistito affinchè prendessi la stanza al piano di sopra, ammettilo! >>.
<< Come ti vengono in mente simili idee? >> gli domanda scivolando sotto le coperte.
<< Ho imparato a conoscerti, mio caro consulente >> ribatte John sistemando il cuscino. Sherlock si avvicina a lui attratto dal suo calore. Si ferma quando percepisce il suo respiro vicino.
<< Buonanotte, Sherlock. Cerca di dormire un po’, per favore >> gli dice accarezzandogli il viso. Si limita ad annuire per poi perdersi nell’armonia del respiro profondo del dottore, sprofondato in un attimo tra le braccia di Morfeo.
 
 
[1] Uno spray a getto basico ha un getto mirato concentrato e in grado di raggiungere una persona fino a 8 metri, ma dato che è diretto e non ampio, come il conico, bisogna avere un’ottima mira.
 
   
 
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