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Autore: Seventh_Wave    24/02/2019    0 recensioni
Kim è una ragazza dai capelli rossi e con la testa sempre piena di pensieri. Ha passato un anno difficile a fare i conti con la fine di una storia d'amore e mentre rimetteva insieme i pezzi, si è accorta che in fondo, quella non era la vita che voleva. Che aveva immaginato per lei. E che nonostante l'orgoglio ferito e la tristezza, lui non è mai stato davvero l'uomo per lei. Per ritrovarsi e ricominciare non c'è niente come una vacanza in un'isola greca con le due amiche di sempre. Ma...c'è sempre un ma. In questo caso, in carne ed ossa. E se te lo trovi davanti ogni giorno, in un'isola grossa poco più di una moneta sulla cartina, significa proprio che ci devi fare i conti. E lui li deve fare con te. La vita sbaglia spesso modo e tempi,cara Kim. Spesso, ma non sempre.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Dopo 5 ore e mezza di volo inscatolata come una sardina e con la schiena a pezzi, Kim scende la scaletta dell’aereo e respira la sua prima folata di aria greca. Rodi. Un gioiello incastonato nell’Egeo. L’aria sa di umido, caldo, benzina e fumi di scarico. Ok, non e’ proprio come me l'ero immaginata, pensa togliendosi il giubbotto. Che qualcuno mi spieghi perché sull’aereo bisogna mettere il giubbotto e bisogna levarselo all’uscita. Non dovrebbe essere il contrario?
Bah.
Si avvicina alla fila del controllo passaporti e poi dopo a prendere la valigia. La vera valigia, non quella specie di scherzo cabin size. Forse ho un tantino esagerato stavolta. 
Lo ammette solo a se stessa smoccolando e con notevole sforzo, mentre tira giu’ il proprio armadio quattro stagioni dalla pedana dei bagagli. 
Ecco i risultati di tutto il workout che non ho fatto perché ero troppo scazzata dopo il lavoro. E un sospiro pesante le esce dalle labbra, mentre gli occhi scuri vagano per la sala dell’ aeroporto. Ha appena piovuto e si sente ancora tutto l’umido e il caldo che non sono stati spazzati via dalla pioggia. Vede le grosse gocce d’acqua nel cielo nero delle undici di sera. E poi la luna, gigante, nitida e bianca. Che con un cielo così come ha fatto a piovere poco fa, pensa. Una luna così vicina che ci si potrebbe infilare dentro un cucchiaino ed assaggiarla, per sapere che sapore ha. Fiordilatte e caramello, forse. Probabilmente si. 
Si succhia il labbro inferiore mentre si avvia all’uscita e cerca di capire cosa fare per trovare un taxi. Ma a Rodi non sei tu che trovi i taxi, sono i taxi che trovano te. 
Due fanali si accendono e si spengono e un sorriso bianco e un inglese elementare le chiedono se le serva aiuto. 
“Si grazie”, e  sfoggia il suo migliore sorriso per convincere il taxista a caricare tutto il bagaglio nell’auto. Ehi, tu sei uomo, io sono una indifesa e povera e ingenua ragazza venuta qui ad assaporare le meraviglie di Rodi, pensa. Più o meno, dai. 
L’aria che entra dai finestrini non la aiuta a rinfrescarsi, e dal taxista, che non ha ben capito come si chiama, parte una quantità di informazioni che il suo cervello fa fatica ad elaborare. Che ci fai qui, sola, sei con qualcuno, dove vai a mangiare, puoi affittare una macchina, il mare e’ bello, stai attenta a dove vai, se hai bisogno devi giusto chiamare. Ah e benvenuta a Rodi. 
“Beh grazie” mormora soffocando uno sbadiglio. Ragazzo. Sono partita dall’Irlanda, ho passato i controlli, mi sono imbarcata in quella specie di aereo coi sedili di un bus, due ore di fuso orario, 15 gradi in più . Puoi davvero pretendere che mi ricordi tutti quei nomi che finiscono in -is o -os senza che io batta ciglio. Suvvia. 
“Perché non facciamo una bella cosa, Agostino”
“Augustinus”
“Scusa. Dicevo.. Perché non facciamo una bella cosa”
“Cosa?”
“Perché non mi lasci davanti al mio airbnb - tieni, questo e’ l’indirizzo, veditela tu, e per tutto il resto ne riparliamo domani?”. 
“Troppe parole?”
“Troppe parole” e sorride ancora sorniona. 
“Ma non penserai davvero di fare le vacanze qui da sola”.
“No, macché ”. L’idea mi tenta eccome, pensa. “ Ho un paio di amiche che mi raggiungeranno nei prossimi giorni. Intanto mi godo il silenzio e magari faccio anche qualche foto decente, se mi scappa”. 
La macchina arriva davanti alla casa, Augustinus l’aiuta a scaricare i bagagli, si offre di portarglieli su per la scala di granito, oltre le piante di lime e i rampicanti, il dondolo, il cancelletto e fino alla porta di quella che per le prossime settimane sarà la sua casa. La loro casa. Sente profumo di agrumi e di mare, di caldo e di sole che scalda le tegole di terracotta, di sapone da bucato. Di vita. 
Si fa una doccia quasi fredda, si toglie la polvere del viaggio dalla pelle ed esce sul balcone a respirare quel vento teso famoso nell’isola. 
Rodi. 
Inseguita per tanto tempo, bramata e poi messa nel cassetto. Adesso non ho più scuse, pensa. Adesso siamo solo io e te. E il mare. E questa luna così bianca che la sorprende. 
Accende il condizionatore e sgranocchia dei crackers retaggio del volo in aereo. Si sdraia di traverso sul letto di quella che sarà la sua camera, e di colpo tutto si fa buio e denso, in un scivolare lento e languido verso un sonno tanto bramato quanto necessario. 
Dormire. Tutto quello di cui ho bisogno ora. 

Un raggio di sole puro filtra dalla tapparella. Oh non ci credo, una tapparella. Oh non ci credo, il sole. Apre un occhio, e poi anche l’altro. Guarda l’ora. Considerevolmente presto per il fuso orario irlandese, relativamente tardi per quello greco. Quindi, che cacchio di ore sono? Il tempo di fare un reboot veloce al sistema operativo nascosto sotto i capelli e si rialza dal letto, le linee diagonali del copriletto sulla sua faccia, un’altra doccia perché 15 gradi in più sono sempre 15 gradi in più sul groppone. Occhiali da sole e macchina fotografica, shorts di jeans e maglietta a maniche corte, ed esce di casa. Non sono un granché io con l’orientamento, diciamo pure che faccio proprio schifo. Che posso fare per tornare a casa? Un suono di clacson e due denti bianchi come la luna sorridono sotto un paio di finti Ray Ban proprio dietro di lei. Sta per alzare il dito medio, poi si ricorda che è in vacanza e che quello è Agostino.
“Agostino!” 
“Augustinus” la corregge lui. 
“Scusa - e sorride - . Dove sto andando?”
Il taxista ride, i denti grossi e bianchi, la testa ben rasata imperlata di sudore del lavoro di meta’ mattina.
“Se continui dritto vai a Rodi, ma e’ lunghina da qui” e ride. 
“Insomma devo andare dall’altra parte”, e una smorfia di disappunto le appare sulla faccia. Ovvio che tu stia andando dall’altra parte, Kim. Quando mai tu non prendi la direzione sbagliata. 
“Salta su che ti porto in centro”. 
“Ma.. “
“Ci devo andare comunque, dai. Hai fame?”
“Beh ecco. Si”.
“Allora ti porto nel posto giusto”
Due o tre vie minuscole le sfilano intorno, Augustinus smoccolando in greco accosta la macchina per farne passare un’altra così a ridosso di una casa che lei riesce persino a vedere oltre le tende - le tende!- e addirittura il frigo, il tavolo e la cucina. 
“Strettine le vie qui eh?”
L’autista ride. “Ma no, vanno bene”. 
Certo, se passano due in bici c’è il caso che ci si sfiori solo il gomito. 
Poi una via più larga, inondata di sole, di marciapiedi bianchi e bassi, e di cubi chiari con tante sedie fuori. Mi sa che ci siamo, pensa Kim, mentre sente il suo stomaco brontolare. 
Almeno un caffe’. 
Augustinus accosta sul marciapiede, che qui significa salirci sopra almeno con una ruota sola, e la invita a scendere davanti ad un locale piuttosto grosso, tutto aperto sul davanti, con divanetti bianchi, un bancone immenso, tavoli da biliardo e un retro grande almeno il doppio. 
“Siamo arrivati”, le dice col solito sorriso bianco. 
Kim scende dalla macchina e per la prima volta da quando e’ arrivata, il sole di Rodi la bacia e la asciuga. Caldo, giallo, e dritto sulla sua testa. Augustinus non la aspetta, va direttamente al bancone a parlare con quello che lei identifica come il proprietario. Altro sorriso bianco, occhi nocciola e capelli scuri, le da il benvenuto e le dice di scegliersi pure un tavolo. 
Kim si aggiusta gli occhiali da sole e si siede su un divanetto beige. Armeggia con la sua macchina fotografica e poi da un’occhiata al menu.
“Vediamo cosa abbiamo qui - le dice una voce ridente-. Non mi sembri irlandese”
Lei impreparata a questo tipo di conversazione si volta di colpo verso la sorgente del suono, e non con la sua espressione più intelligente. Lo guarda al di sotto degli occhiali da sole che le sono caduti un po’ sul naso. 
“Eh?”
Il suo interlocutore ride. 
“Buongiorno. Che cosa prendi?”
Kim arriccia il naso. 
“Vediamo cosa abbiamo qui - e lo squadra - . Tu mi sembri proprio greco invece”. 
“È perche’ lo sono!  - risponde lui con un sorriso fiero -. E tu di dove sei?”
“Mezza italiana, mezza olandese, ma vivo in Irlanda del Nord ora. Quella con le sterline e la Regina e la Brexit. Sono arrivata ieri sera. E ho fame. Mi puoi aiutare?”
Dal torace dell’uomo esce una risata. 
“Oh, penso proprio di si. Hai anche un nome?”
“Kim. Tu?”
“Il mio nome ha tante vocali e tante consonanti. Chiamami Chris”. 
Kim ride. 
“Andata - poi si guarda intorno - è un bel posticino qui, Chris. Tuo?”
“Mio - e sorride sghembo -. Nostro. Di mia moglie, figli, fratelli, cugini”.
“Uh. Affollato insomma”.
Chris ride ancora. 
“Che ti porto?”
“Che ne so? Fai tu, sei tu il greco tra noi. Basta che in mezzo ci metti anche del caffè”. 
Un altro sorriso sghembo e Chris. 
Augustinus finisce di parlare al bancone e se ne va, la saluta con un cenno della mano e con un occhiolino. Sei in buoni mani, sembra dirle. 
 
Kim sorride. Qualcuno che non la conosce si sta prendendo cura di lei. È una bella sensazione. Poi sente un profumo nascosto da qualche parte, tra quello del caffè e della carne arrosto. Inspira qualcosa di familiare in quell’aria. Limone, vite, sole, caldo, terracotta e qualcos’altro di pungente e di aspro. Salino. Mare. Ecco cos’e’.
Scatta un paio di foto al locale e controlla la luce fuori. Poi il cellulare, il maledetto aggeggio che vibra nella sua tasca. 
Dopo aver fatto sapere a tutti che è viva e che non morirà almeno per i prossimi giorni, decide di abbassare la guardia e si toglie gli occhiali da sole. I capelli corti arruffati per il vento costante, quel vento caldo e teso che non porta nessun granello di polvere e di sabbia negli occhi o nella bocca. Indossa i suoi occhiali da vista e mentre lo fa, vede due occhi scuri quasi come i suoi, farsi trasparenti ai riflessi della luce che viene di fuori. Quegli occhi un po’ obliqui e dalle ciglia lunghe, appartengono ad un viso di uomo. E’ al bancone e la sta guardando con indifferenza, mentre prepara quello che sembra un frappè marrone. Ha i capelli corti, il profilo del naso forte e un labbro superiore un po’ arricciato. Ha le mani dalle dita affusolate. Kim si perde in quel particolare ma uno sguardo laterale di fastidio la blocca e la costringe a cambiare soggetto. Non pensavo di essere stata tanto invadente. Guardavo e basta. 
Il rumore del tritaghiaccio nasconde il suo rimuginare. E dopo qualche minuto arriva Chris sorridendo con un vassoio enorme pieno di roba da mangiare. 
“Allora. Qui hai una insalata greca, pita a parte, pesce grigliato, un assaggio di carne, frappè di caffè, e se ti serve aiuto dimmelo”.
Kim e’ sconcertata. 
“Ma.. È solo per me?”
“Certo” e gli occhi nocciola di Chris brillano di sfida. 
“Ma.. È una porzione per uno?”
“Benvenuta in Grecia, Kim”. 
E se ne va, a salutare e ad accogliere altri clienti. 

Ook, pensa lei guardando tutti quei piatti color argento che brillano sulla tavola. Ce la posso fare. Fai come se fosse una gara di mangiatori. Pensa. Da cosa inizierebbe un mangiatore professionista? 
Ma la mente bacata di una ragazza di trent’anni scivolata come un pacco postale sul piano inclinato dell’Europa alla ricerca di pace e serenità, e di quella se stessa che ultimamente non era più, non le risponde. Nessuna risposta al suo ping.  
Si gratta la testa e si guarda intorno. Sente Chris ridacchiare da dietro il bancone, accovacciato sui gomiti e con i suoi occhi nocciola che guardano divertiti la scena. 
Kim ride. 
“La prossima volta scelgo io” gli dice. 
Caffè. Caffè. Caffè. Inizia con quello, le dice il povero criceto esausto nella sua scatola cranica. 
E caffè sia, che qui devo uscirne viva. Il frappè e’ buonissimo. Cremoso, amaro, pungente, freddo e caldo assieme. È come baciare un uomo, che usa una colonia di gran classe e ha ancora sulle labbra il sapore di tabacco. È come farsi un bagno in una vasca piena di sali amari e petali di rosa dolci. È qualcosa di incredibilmente sensuale e buono. Stranita, guarda il bicchiere. È solo un bicchiere con del ghiaccio e della schiuma di frappè al caffè e latte. Ti ha rintronata ben bene quel viaggio in aereo, pensa sorridendo da sola. 
Poi alza ancora la testa e rivede quei due occhi un po’ obliqui dietro al bancone, chiusi come tapparelle di una finestra, che stanno pestando qualcosa in un mortaio. 
Dimmi che non lo hai preparato tu, ti prego. Perché lo conosco il mio cervello malato. Non avrà pace fino a quando non avrò scoperto chi sei e come cazzo fai a fare di un frappè al caffè un’opera d’arte. 
“Chris, ne posso avere un altro?”
Sente la sua voce ma non si è accorta di parlare. Si vede come in un film. Il criceto è stato più veloce di lei anche stavolta. Adesso vorrà osservare il bancone e vedere chi lo fa, questo frappè . Se è occhi obliqui, sono fritta. 
Ma quando alza lo sguardo di nuovo, occhi obliqui non c’è più. C’è Chris che armeggia col tritaghiaccio e tutto il resto, e poco dopo le porta un altro bicchiere colmo di quel nettare. Lo assaggia, avida. È buono, ottimo. Ma non come l’altro. Manca qualcosa, manca una spezia, un profumo nascosto, una traccia. Stavolta il suo cervello non decolla. Ok, era solo l’astinenza, il cambio d’aria, calmati. Va tutto bene. Non sei qui per correre dietro a chi ti fa i frappè , sei qui per goderti una vacanza e goderti Rodi soprattutto. Non partire per la tangente. Non ti riconosco nemmeno più . Così non va bene ragazza, così non va proprio bene. 
E sospira mentre attacca a mangiare un ottimo pesce alla griglia e un’ottima insalata greca e mordicchia un pezzo di ottima pita. Tutto ottimo, ma già dentro di lei sente la nota amara di un frappè che le ha lasciato il segno, sciacquato la bocca, il cervello e anche qualcos’altro. 
Occhi obliqui, sei stato tu a farmelo? 
Dubbio, atroce dubbio. 
   
 
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