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Autore: NyxTNeko    24/02/2019    3 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 5 - Un malinconico arrivederci -

10 dicembre

In casa Buonaparte si respirava un’atmosfera leggera: Letizia aveva ricevuto una lettera da parte del marito, nella quale c’era scritto che Carlo si era messo in viaggio e che sarebbe arrivato a breve. Questa notizia rincuorò i maggiori, contenti di sapere ciò, ma creò in loro un nodo alla gola e un senso profondo d'ansia e timore, che sarebbe culminato con la partenza verso la Francia. Ormai non potevano più sottrarsi al loro triste destino. 

Il cielo, terso di nuvole e di un azzurro intenso, accompagnò l’ultimo tratto del viaggio di Carlo - Monsieur Bonnapate vi comunico che siamo distanti dal porto di Ajaccio di circa 3 miglia marine - informò un marinaio francese con il busto chino, intento a svolgere il suo lavoro al meglio e di finirlo il prima possibile.

- Splendido! - urlò il corso entusiasta, colmo di emozione - Allora se le condizioni sono favorevoli potete aumentare la velocità della piccola caravella, marinaio - ordinò Carlo in francese gesticolando freneticamente.

- Come desiderate - rispose l’uomo, girò il timone verso destra e aumentò un paio di nodi la velocità. La piccola imbarcazione pareva scivolare sulle onde di quel mare cristallino e meraviglioso che aveva incantato persino quei marinai esperti, i quali credevano di conoscere più che bene l'immensa distesa d'acqua che separava la Francia dall'isola appena acquistata.

Carlo si mise sulla prua della nave, su cui era appesa una piccola polena raffigurante una splendida sirena ricoperta d’oro. Il vento era perfetto per la navigazione, l’aria pungente, fredda, ma accogliente e odorava del dolce profumo della patria natia. La caravella attraccò al porto della città e, al seguito dei suoi uomini più fidati, scese e cominciò a incamminarsi sulla spiaggia costellata da piccoli e taglienti sassi, coperta da una morbida e dorata sabbia marina.

- Finalmente! - emise Carlo gonfiando il petto e inspirando l'aria nei polmoni. "Chissà che reazione avranno quando mi vedranno dopo tanto tempo" pensò con gioia, sperando di trovare un'atmosfera serena nella sua amata famiglia. Era mancato quasi un anno, eppure sembrava che fossero passati secoli dall'ultima volta in cui aveva posato piede sull'isola: provava eccitazione ed emozioni al pari di un bambino curioso e ingenuo - Ecco - bisbigliò allegramente, contemplò la piazzetta, completamente vuota a causa del freddo che penetrava nelle ossa e nei polmoni, come piccole scagliette di ghiaccio - Da qui posso proseguire da solo - riferì ai suoi uomini.

Questi ultimi, dopo averlo osservato per un istante, presero a parlottare tra loro, e acconsentirono alla richiesta di Carlo. Si allontanarono per ritornare al porto dove c’era la nave che sarebbe stata utilizzata nuovamente per lui e i suoi figli, destinati a studiare nelle migliori strutture del regno francese.

Appena furono lontani, si strinse il mantello attorno alle spalle ed avanzò, spedito, a grandi passi, fino alla dimora; si ritrovò davanti la piccola e spoglia porta di legno, dalla quale si potevano ascoltare le discussioni che animavano l'ambiente. Pose una mano su di essa e l'accarezzò dolcemente, sentiva il legno grezzo sulle dita grosse. Bussò delicatamente con le nocche della mano e aspettò che qualcuno gli aprisse: avvenne pochi secondi dopo, avendo sentito dei passi svelti che diventavano sempre più percettibili e vicini.

I due coniugi si ritrovarono faccia a faccia per qualche istante senza proferire parola, e quando Letizia mise a fuoco la figura che si stagliava dinanzi a lei, istintivamente, gli si buttò addosso - Carlo! Amore mio sei tornato! - rivelò commossa, non era riuscita a trattenersi.

- Letizia! Mi sei mancata - esclamò stringendola forte, accarezzandole i capelli e fissando i suoi grandi occhi chiari, che rivelavano la sua immensa e straordinaria forza d'animo. Quel volto dai lineamenti delicati e rosei gli erano davvero mancati.

Rimasero a fissarsi per un tempo che sembrava infinito, fino a quando, i due figli più piccoli, raggiunsero la madre e le tirarono la gonna, piangendo, mentre Giuseppe tentava di staccarli con forza - Ma cosa? - chiese Carlo stupito rivolgendo il viso in direzione del ragazzino che lo stava guardando.

- Salve padre - lo salutò sorridendo e grondante di sudore il povero Giuseppe - Scusate ma non sono proprio riuscito a fermarli - aggiunse con un sorriso imbarazzato.

- Giuseppe, figlio mio! - enfatizzò gioiosamente il padre squadrandolo dall’alto verso il basso con dolcezza e fierezza. I suoi cari figli stavano crescendo forti e tenaci anche senza di lui - Come sei cambiato in un anno...sei quasi un uomo...

Il ragazzino chinò lievemente la testa, arrossì violentemente e sussurrò fievole: - Vi ringrazio per il complimento, padre

- Allora tesoro entriamo? - gli propose Letizia accarezzandogli il mento appena rasato e pulito. Sembrava ringiovanito dall’ultima volta in cui era partito; nonostante la vita frenetica, Carlo era in forma, un po' rotondetto, lo si notava dagli abiti che stringevano leggermente nella zona della pancia, ma sempre scattante.

- Certo, comincio ad avere freddo, amore - Non immaginava che anche in Corsica il clima si fosse raffreddato. Cosa diavolo stava succedendo? Aveva letto sui giornali che il Nord Europa era praticamente invaso dal ghiaccio, le navi non potevano né attraccare né sbarcare; in Inghilterra si poteva pattinare sul Tamigi ghiacciato. Scacciando dalla mente questi pensieri entrarono in casa e l’uomo si staccò dolcemente dalla moglie, si tolse il cappello e il mantello, li appoggiò sulla sedia vicina al tavolo - Il piccolo Luigi come sta? - domandò serafico Carlo.

- Piagnucola come sempre, ma sta bene - rispose la moglie, con un tono tra il pacato e lo scocciato. Luigi aveva poco meno di un anno, a differenza dei suoi fratellini, però, non mostrava la curiosità tipica dei bambini: era timoroso di ogni oggetto che vedeva e di ogni suono che udiva.

- Adesso mi pare che stia dormendo - rise l'uomo poggiando la mano sull'orecchio - Dov'è Nabulio? - chiese poi non vedendolo nei paraggi.

- È in camera sua a leggere, e come ben sai, quando è immerso nei suoi libri non c'è niente che lo riesca a smuovere o distrarre - gli rispose Letizia facendo segno al piano superiore.

- Capisco, state tutti bene insomma - effuse con sollievo. Letizia gli aveva detto del supporto fisico e morale che Napoleone aveva dato a tutta la famiglia, assumendosi gran parte delle responsabilità. Riusciva a vivere in maniera abbastanza tranquilla, rinunciando ad eccessivi lussi e beni di consumo.

- Devo ringraziare il Cielo se ho avuto due figli splendidi e responsabili che mi danno una mano durante le tue assenze -  riferì sollevata.

Il marito annuì e si diresse verso la stanza del secondogenito per fargli una gradita sorpresa. Ruotò la maniglia lentamente e vide il figlio curvo su un grande libro illustrato che sfogliava con curiosità. Il ragazzino sussultò nel momento in cui scorse che qualcuno era entrato nella sua camera, senza bussare, stava quasi per urlare il nome del fratello Luciano, quand'ecco che si ritrovò dinnanzi il padre sorridente - P...padre - balbettò incredulo - Siete tornato...

- Ciao Napoleone! - esordì il padre avvicinandosi a lui - Non sei cambiato affatto, figlio mio... - in effetti mostrava ancora la delicatezza dei suoi tratti e la gracilità delle sue membra.

- È la prima volta che mi chiamate con il mio nome e non con il soprannome - gli fece notare Napoleone. Comprese che il tempo della partenza era ormai giunto.

- Dovrai farci l'abitudine - precisò con dolcezza. Si era accorto del mutamento emotivo del figlio - Cosa stavi leggendo con tanto interesse? - lo interrogò poi cambiando argomento; quel giorno non voleva essere per nessuno fonte di sofferenza e distacco.

- Un libro sulle evoluzioni delle armi, dalle più arcaiche, fino alle nuovissime da fuoco - rispose deciso. Puntò il dito sulle nuove tecnologie immesse nelle armi che le rendevano sempre più precise e sempre più temibili, dopodichè lo chiuse riponendolo al suo posto e ‎chiese con freddezza e distacco - Se siete tornato significa che io e Giuseppe dobbiamo partire per la Francia, non è così? Tra un paio di giorni?  

Conosceva già la risposta a quelle domande. Il volto di Carlo si era fatto cupo e serio: il figlio raramente aveva visto sul viso, giocondo e allegro del padre, quell’espressione. Lo scrutò con intensità e si rese conto che l'acume intellettivo, già incredibilmente sviluppato di Napoleone, era aumentato durante la sua lunga assenza e si stava chiedendo se quel figlio prodigio fosse mai stato bambino.

Fin dalla tenera infanzia si era allontanato dalle attività dei suoi coetanei, che si divertivano a rincorrersi o a lanciarsi sassi con la fionda, mostrando altri interessi come i giochi di strategia con i soldatini di piombo o la lettura solitaria in qualche angolo della città e della casa. Si era trovato dei posti lontani dal cuore cittadino dove poteva esercitarsi quando il tempo lo permetteva; non provava alcun disagio nella solitudine. Si sentiva se stesso.

A differenza di Giuseppe, Napoleone non ebbe mai veri amici, a causa del suo carattere ribelle e schivo, della sua irruenza e ingestibilità: sempre pronto a litigare con qualcuno, a dimostrare le sue ragioni in maniera aggressiva, a sfidare le regole imposte. Senza dimenticare la sua formidabile intelligenza, che lo aveva reso sempre distante dai suoi compagni di gioco.

Quante volte, inoltre, aveva difeso suo fratello Giuseppe, prendendosi la colpa ed anche pesanti punizioni corporali, che sembravano non fargli assolutamente nulla. E quante altrettante volte Giuseppe si era sentito in colpa per lui e gli aveva chiesto scusa con le lacrime agli occhi. E Napoleone affermava che i dolori fisici servivano per irrobustire corpo e anima.

- Sì, Napoleone - disse riscuotendosi - Partiremo il 15 di questo mese, sono riuscito a procurarmi delle borse di studio per i vostri studi in Francia, grazie al conte di Marbeuf - rispose forzando un flebile sorriso.

- Capisco… - sospirò profondamente il ragazzino - Com'è la Francia, padre? - sussurrò, con una punta di angoscia in quella voce acerba e acuta, che stonava con la sua maturità precoce.

- Non è l'inferno che credi - emise subitamente il padre, avvicinandosi, gli accarezzò i capelli lunghi e arruffati - Riuscirai ad adattarti, figlio mio, ne sono sicuro - aggiunse, pur conoscendo il carattere difficile e scontroso del secondogenito, che si sarebbe certamente acuito durante il soggiorno in Francia.

- Lo spero, padre, il solo pensiero di convivere con il nemico mi provoca ribrezzo - riferì cercando di non cedere alla disperazione.

- Cerca di sorridere, figlio mio, aiuta molto nei momenti di difficoltà, fidati - gli consigliò dolcemente e comprese il disagio di Napoleone, tenuto forzatamente a bada.

- S-sì - rispose, abbassò lo sguardo e l'orientò in direzione dei suoi piedi e di quelli del padre; il suo spirito era troppo grande per il corpo, ancora acerbo, di un bambino.

- Nabulio, Carlo - chiamò Letizia con la porta spalancata - Venite di sotto, non isolatevi sempre come eremiti

- Arriviamo - risposero i due all'unisono.

15 dicembre

La fatidica data di partenza arrivò e Carlo si avviò insieme ai suoi cari figli, vestiti come dei perfetti sudditi francesi: la marsina di colore scuro, il corpetto di cotone, una piccola mussola bianca intorno al collo, le culottes, le calze di seta grezza, le scarpe nere e l'immancabile parrucca bianca che terminava con il codino - State veramente bene vestiti così - esclamò la mamma dopo averli sistemati.

- Sì, adesso assomigliamo a dei perfetti invasori francesi - borbottò a braccia conserte e sarcasticamente Napoleone.

- E dai Nabulio, non fare sempre il tragico - controbattè Giuseppe sconfortato - Non andiamo mica in guerra

- È peggio di una guerra - infervorò Napoleone, lanciò furiosamente quella disgustosa e fastidiosa parrucca dalla testa - Non ho alcuna intenzione di viaggiare con questa cosa...la rimetterò quando arriveremo in Francia... - Si allontanò da loro e raggiunse il padre che si trovava già al porto.

- Aspetta…dove vai? - urlò Giuseppe disperato rincorrendolo.

Camilla si mise le mani in testa e guardò la madre che sorrideva soddisfatta - Sono proprio i miei bambini! - esclamò orgogliosa. Anche se duramente, in cuor suo, sapeva che avrebbero superato la prova della vita, erano ormai pronti.

- Li raggiungiamo mia signora? - chiese la donna che si era rasserenata nel vedere la sua cara padrona sorridente e felice.

- Sì, ma con calma... - Camilla corse nella stanza di Letizia, le prese la mantellina e un cappello.

- Andate, ci penso io ai bambini - precisò la donna. Letizia sorrise e uscì avanzando a piccoli passi verso il porto.

Appena raggiunto il padre, i tre, accompagnati dagli uomini di Carlo, si imbarcarono sulla piccola nave che li avrebbe portati a contatto con un mondo difficile e diverso da quello nel quale i due figli maggiori erano vissuti fino a quel momento. In un luogo in cui avrebbero lottato con tutte le loro forze per emergere e primeggiare senza lasciarsi sopraffare.

"Spero che questo non sia un addio, mia amata Corsica, mia cara patria natia..." si disse Napoleone, con profonda tristezza e malinconia, a bordo della nave che prendeva il largo e che rimpiccioliva le figure della sua famiglia: sventolavano dei fazzoletti bianchi in segno di saluto.

   
 
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