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Autore: cut_wing    26/02/2019    0 recensioni
"Quando ancora vivevo nel dojo di Kondou, tra gli estenuanti allenamenti e le sfuriate di Hijikata, c’era una cosa che riusciva sempre a risollevarmi il morale: il cibo. Mangiavo molto e velocemente, tanto che Toshizou mi sgridava con frasi come: “Ti verrà mal di pancia” o “La prossima volta cucini tu”, ed io mi limitavo ad annuire, facendo finta di aver realmente preso in considerazione le sue parole. La prima volta che cucinai veramente venni bandito dalla stanza. Ma che colpa ne avevo io se mi piacevano le cose saporite?
All’epoca era solo un modo per compiacere le mie papille gustative.
Ora non è più così."
Okita Souji è cambiato. Ciò che prova è cambiato. Il sapore del sangue lo segue ovunque, ma presto ne arriverà un altro decisamente più dolce.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Saitou, Souji Okita
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Sapori

Quando ancora vivevo nel dojo di Kondou, tra gli estenuanti allenamenti e le sfuriate di Hijikata, c’era una cosa che riusciva sempre a risollevarmi il morale: il cibo. Mangiavo molto e velocemente, tanto che Toshizou mi sgridava con frasi come: “Ti verrà mal di pancia” o “La prossima volta cucini tu”, ed io mi limitavo ad annuire, facendo finta di aver realmente preso in considerazione le sue parole. La prima volta che cucinai veramente venni bandito dalla stanza. Ma che colpa ne avevo io se mi piacevano le cose saporite?

All’epoca era solo un modo per compiacere le mie papille gustative.

Ora non è più così.

 

Tossisco violentemente, sentendo una goccia di sudore scendermi dalla fronte fino all’occhio destro. La bocca si riempie di sangue che preme contro la lingua per uscire, ma deglutisco e riesco a rimandarlo giù con un suono gorgogliante. Rimango piegato in avanti ancora qualche secondo, per essere sicuro che la crisi sia passata, e poi mi passo una mano fra le ciocche sudaticce. Quanto odio questa situazione! Sento in bocca il sapore del ferro, che mi spinge a chiamare Chizuru.

“C’è qualcosa da mangiare?” le chiedo, dopo averla salutata con il solito ghigno stampato in faccia. Lei annuisce, sorridendo. “Sono appena andata a comprare dei dango. Ora te li porto.” Squittisce, uscendo.

La ragazzina è sempre felice ma, quando mi viene a trovare, nei suoi occhi color terra riesco a scorgere una scintilla di preoccupazione. Odio quello sguardo, quasi si aspettasse che io possa morire da un momento all’altro. Odio il fatto di non poter combattere e nemmeno uscire da queste quattro mura di cui ormai conosco ogni singola crepa. Odio non poter uccidere. Forse è questa la cosa che mi manca di più. Vedere gli sguardi spaventati delle persone, capire che quella paura la provano per causa mia… mi fa sentire potente. Ora, sono solo un povero malato che non riesce nemmeno a reggersi in piedi, gracile e bisognoso di protezione. È così che mi vedono tutti, lo capisco. Pure Kondou, anche se lui è più bravo degli altri a non farlo notare.

Tossisco di nuovo, questa volta più debolmente, ma continuo a sentire il gusto del sangue. In quel momento Chizuru mi raggiunge con un sacchetto di dango appena fatti, su cui mi avvento con falsa ingordigia. Me ne infilo in bocca uno, ed il suo aroma mi fa dimenticare per un attimo il sapore della malattia. Lei mi osserva con attenzione, contenta di vedermi mangiare, ed io, involontariamente, sorrido.

 

Sembra siano passati anni dall’ultima volta che ho mangiato qualcosa, ma ho lo stomaco completamente chiuso. Ormai il sangue lo sento dappertutto: in bocca, nelle narici, sulle mani… Ho smesso di sperare che il semplice odore del cibo me lo faccia dimenticare, così faccio buon viso a cattivo gioco.

Hijikata non viene spesso, lo so che non sopporta di vedermi in queste condizioni: pelle pallida tirata sugli zigomi, costole sporgenti, perennemente sudato e con due occhiaie scure sotto agli occhi. Gli altri passano quando possono ma sono molto impegnati in questo periodo, a parte Saitou che cerca di venire quasi ogni settimana, e a me sta bene così. Sono l’ombra di me stesso e non voglio che mi vedano per ciò che sono diventato. Ho paura: che abbia smesso di lottare? Che mi stia veramente abituando al mio status di moribondo? No, non voglio crederci. Io non mi sono MAI arreso, non ho MAI smesso di lottare. Perché dovrei farlo ora? Perché adesso?

Sento bussare. “Avanti.” Dico, falsando un sorriso sarcastico a cui ormai nessuno crede più. Prima entrano Chizuru e Kondou, poi Harada, Shimpachi, Heisuke, Sannan, Saitou e Hijikata, e tutti portano dei piatti pieni di roba. “Ci siete tutti?!” Esordisco. “Qual buon vento?” “Pensavamo, visto che non puoi uscire e che ultimamente non hai molta fame, di mangiare qui con te.” Mi risponde Kondou, posizionandosi alla mia destra ed offrendomi una palla di riso. Io la accetto con un sorriso, invitando gli altri a sedersi. Hijikata lascia stranamente libero il posto vicino a Kondou, accomodandosi vicino a me. “A cosa devo l’onore?” Scherzo. “Voglio tenerti d’occhio, per evitare che t’ingozzi.” Mi risponde con un sorrisetto che solo io e Kondou sappiamo cogliere. Iniziamo a mangiare, e sembra di essere tornati ai bei vecchi tempi, quando Heisuke e Shimpachi lottavano per il cibo senza badare a nessun altro tranne che al proprio stomaco, quando Sano beveva fino a non poterne più e poi i tre si mettevano a litigare per chissà cosa, quando Chizuru rideva senza un’ombra di preoccupazione sul viso, quando Sannan e Kondou parlavano del più e del meno con Hijikata, che più che altro annuiva una volta ogni tanto per farli contenti, e quando Saitou nascondeva il suo sorriso dietro alla ciotola di cibo per mantenere intatta la sua reputazione. Ed io, che facevo? Come mi comportavo quando ero solo un ragazzino cresciuto con la spada in mano, un burlone seccante ed a volte inquietante che si divertiva a spaventare gli altri? Non riesco a ricordarlo. Aggrotto la fronte cercando di rammentare la mia solita allegria, gli scherzetti a discapito di Hijikata, il mio modo di sorridere… sembra tutto svanito dietro ad una coltre di nebbia nera come la morte. Come… cosa sentivo quando andava tutto bene? Che sentimenti provavo quando ero ancora… io? Ma… chi sono io???

Improvvisamente sento l’impellente bisogno di piangere e non posso fare a meno di vergognarmene; nemmeno da bambino l’ho mai fatto, nemmeno quando quei bulli mi picchiavano tanto duramente da farmi sanguinare. Perché dovrei farlo adesso?

So di star rovinando tutti i loro sforzi per passare una serata normale, ma nonostante tutto non riesco a controllare il tremito che mi percuote. “Souji, stai bene?” Mi chiede Hajime, lasciando trapelare una sfumatura allarmata nel suo tono solitamente calmo. Tutti si voltano verso di me, inquieti, ed io mi sforzo di sorridere. “Perdonatemi.” Mi scuso, mortificato. “Sono solo un po’ stanco.” “Non hai toccato cibo.” Protesta Toshizou, quasi per rimproverarmi. “Ho lo stomaco sottosopra, credo che non riuscirei a mandare giù niente. Grazie comunque per tutto quello che avete fatto per me.” Questa volta sorrido sinceramente, anche se con un po’ di fatica per le labbra sempre screpolate e piene di tagli. “Ma figurati…” Esordisce Heisuke, sbuffando. “Beh, ti lasciamo solo. Cerca di riposarti.” Si raccomanda Kondou, scompigliandomi i capelli con una delle sue manone e facendomi l’occhiolino. Annuisco, osservandoli uscire uno dopo l’altro. “In questi giorni non faccio altro.” Penso. Poi, la solita contrazione dei polmoni precede una crisi di tosse che mi lascia boccheggiante con una mano sporca di sangue sulla bocca. Dovrei averci fatto l’abitudine, ma il suo sentore ferroso e sgradevole mi fa sempre storcere il naso. Sento una mano appoggiata sulla schiena, che la accarezza con piccoli movimenti concentrici. Mi giro, trovandomi faccia a faccia con Hajime. Lui si inginocchia di fronte a me, prendendomi la mano che tenevo di fronte alla bocca tra le sue. “Come stai?” Mi chiede, ripulendola con un fazzoletto. Io osservo i movimenti delicati delle sue dita, che sanno anche maneggiare la spada con grande forza e maestria, scoprendole fredde e morbide sulla mia pelle. Solo dopo qualche istante di silenzio mi rendo conto che mi ha fatto una domanda. “Bene.” Rispondo, distogliendo lo sguardo. Lui non dice niente, ma continua ad accarezzarmi il palmo, anche se ormai è pulito. “Perché sei qui con me? Non dovresti essere con gli altri?” Mormoro.

Mi sento in colpa, non dovrebbe farmi da badante. A lui però non sembra pesare, perché mi prende il mento tra le dita e mi gira la testa verso di lui. Mi ritrovo a fissare un paio di occhi profondi e color mare. No, quello non è un mare: è un lago. Placido, sereno, profondo eppure cristallino. Nemmeno Hijikata –che, anche se lo prendo sempre in giro per i suoi haiku, con le parole ci sa fare- saprebbe trovare degli aggettivi adatti per descriverli.

“In questo momento credo che possano fare a meno di me.” Mi risponde. Tu no, sono le parole che rimangono sospese nell’aria, non dette, e che mi fanno crollare. “Dovete smetterla.” Sbraito. “Piantatela di trattarmi come un morto che cammina! Posso ancora respirare, posso ancora combattere e soprattutto posso ancora cavarmela da solo. Non ho mai chiesto la pietà di nessuno, men che meno...” “…la mia?” Prorompe Hajime. Io non posso fare a meno di voltarmi nella sua direzione. Lo osservo, notando con sgomento che è la prima volta che lo vedo arrabbiato, e quei due laghi che ha al posto degli occhi ora sembrano ancora più profondi. “O forse non hai mai voluto nemmeno avere a che fare con me? Con un randagio, un vagabondo, un errante, un MANCINO?” Sorride amaramente ed io ho voglia di togliergli quell’espressione dal viso con un colpo di katana, perché quella è la faccia di chi ormai si è arreso all’evidenza, di chi è sopravvissuto recitando la parte che gli veniva offerta, di chi non sa più chi è. Quella è la MIA faccia, e vederla sul suo viso fa male. Dannatamente male. “Come vedi, di soprannomi ne ho avuti a sufficienza. Vuoi affibbiarmene uno anche tu?” Continua, incrociando le braccia al petto. “Non era questo che volevo dire.” Sibilo io. “Se ci tieni tanto, però, un appellativo lo posso…” Ricomincio a tossire, maledicendo la tubercolosi in mille modi diversi, mentre lui mi si riavvicina. Mi volto dall’altra parte, tossendo sangue sul pavimento. “Che schifo…” Sussurro, pulendomi la bocca. Saitou mi guarda con un’espressione interrogativa ed io cerco di sdrammatizzare. “Il sangue mi fa ancora più schifo delle cipolle verdi.” Spiego. Lui mi si avvicina ancora di più e ci ritroviamo quasi a sfiorarci. “Ne hai un po’ qui.” Mormora, accarezzandomi piano un lato della bocca con il pollice. Io mi sento avvampare, ma successivamente ridacchio perché mi accorgo che tra di noi è lui quello più imbarazzato. Si nasconde dietro una ciocca di capelli color malva, distogliendo lo sguardo, ed è in questo istante che perdo la testa.

Senza sapere come mi ritrovo con la bocca appoggiata alla sua, consapevole di aver fatto una stupidaggine ma senza riuscire a vergognarmene.

Lui ricambia il bacio e l’unica cosa che riesco a pensare è che forse non è stata proprio una cattiva idea.

La mia mente va in corto circuito e riesco solo ad accorgermi che non avverto più il gusto del sangue.

L’unica cosa che sento è il sapore delle sue labbra sulle mie. Un sapore che non mi stancherei mai di gustare.

  

Angolino dell'autrice
Buongiorno a tutti! Sono tornata!!! *Tutti scappano.* Beh... è la prima volta che faccio cose del genere con due personaggi che nell'opera originale non stanno insieme, quindi gradirei sapere cosa ne pensate.
P.S. La dedico alla mia migliore amica che, anche se indirettamente, mi ha "introdotta" nel mondo dei siti di scrittura. TVTTTTB <3
   
 
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