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Autore: VenoM_S    26/02/2019    0 recensioni
In un paesaggio sconvolto da una piaga inimmaginabile, Yamatonokami e Kashuu si ritrovano improvvisamente separati.
[Zombie!AU] [Kashuu Kiyomitsu / Yamatonoami Yasusada]
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kashuu Kiyomitsu, Yamatonokami Yasusada
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom
Settimana: terza
Missione: M1
Prompt: AU, Angst, Fluff
N° parole: 2236
Even if the sun sets, I will wait with you

Tutto quello che Yamatonokami riusciva a vedere era polvere. Grosse nuvole biancastre che si innalzavano dal terreno riarso, coprendogli la vista ed infilandoglisi in gola, ostruendogli i polmoni. Iniziò a tossire cercando di coprirsi la bocca ed il naso con la sciarpa azzurra che aveva legato al collo più o meno da quando tutto quel casino era iniziato. Sembrava assurdo quanto la vita potesse improvvisamente cambiare dopo una notizia di cronaca degna più che altro di un film.
 
Quella mattina, Kashuu stava comodamente disteso sul divanetto in soggiorno cercando, concentrato come suo solito, di rimettersi lo smalto rosso fiammante sulla mano destra, dato che a suo dire lavando i piatti la sera prima se l’era rovinato. Ovviamente, Yamatonokami non ci vedeva nulla di diverso dal solito, ma l’atro l’aveva subito rimbrottato
«Lo dici solamente perché tu non ti curi abbastanza, come pretendi che gli altri facciano affidamento su di te e non su qualcun altro se non ti trovano perfetto?»
Lui era sempre stato così, fin da quando si conoscevano, ma era una di quelle cose che amava. Sorridendo, Yamatonokami finì di abbrustolire due fette di pancetta croccanti, mettendole poi sui piatti insieme al pane tostato e alle uova strapazzate. 
«Se hai finito di farti bello per gli altri, la colazione è pronta e in tavola. Stamattina qualcosa di sostanzioso!» rispose dolcemente mettendosi seduto al suo solito posto vicino alla finestra. La tv era accesa a volume basso sul mobiletto di fianco al piccolo tavolo rotondo, lasciata come sottofondo a quella domenica mattina lenta e uggiosa. Qualcosa però attirò l’attenzione di Kashuu subito dopo essersi seduto, tanto che prese velocemente il telecomando per alzare il volume intimando all'altro di voltarsi. Sullo schermo si alternavano immagini di persone che fuggivano in massa dal quartiere dell’ospedale, mentre due file di militari in divisa antisommossa si posizionava al centro della strada. Il giornalista inviato sul posto parlava in maniera veloce e concitata, sembrava spaventato

«Non sappiamo bene quale sia la situazione reale all'interno dell’ospedale cittadino, sono giunte voci pochi minuti fa di alcuni pazienti divenuti molto violenti nel corso delle prime ore del mattino che avrebbero seminato il panico tra il personale di turno. Le persone che stiamo vedendo proprio ora fuggire sono tutti abitanti del quartiere, che a quanto pare sta venendo evacuato. Che si tratti di una malattia epidemica?»

I due ragazzi si guardarono smarriti, dopotutto il quartiere dell’ospedale era a poche centinaia di metri dal loro appartamento. Forse sarebbe stato più saggio allontanarsi, ma ancora non era stato diramato nessun comunicato, quindi non sembrava il caso di allarmarsi troppo. Continuarono a seguire con attenzione la diretta, curiosi di sapere cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Istintivamente, Kashuu poggiò la sua mano sopra quella del compagno, mentre tornavano ad osservare il giornalista che, adesso, si era spostato più avanti lungo la strada cercando di avvicinarsi il più possibile alla schiera di militari per carpire nuove informazioni.

«Sono riuscito ad avvicinarmi, l’ospedale si trova proprio dietro l’angolo rispetto alla mia posizione. I militari sembrano non aver intenzione di dirci esattamente cosa sta succedendo, ma da qui possiamo sentire chiaramente dei rumori davvero inquietanti, sembra che delle persone stiano urlando!»

Da lì in poi tutto si era succeduto come a velocità raddoppiata rispetto al normale. Il cameraman aveva ripreso nitidamente il momento esatto in cui la prima di quelle cose era sbucata dall’angolo di destra, correndo in maniera scomposta ad una velocità quasi inumana. Sembrava una donna, ma l’abito stracciato e la pelle grigiastra, quasi cianotica la rendevano difficile da identificare. Pochi attimi dopo era stata raggiunta da altre persone, prima una decina, poi sempre di più. Erano strane, il loro corpo sembrava quasi consumato e sporco, avvizzito, eppure correvano come se avessero una forza incredibile. Neppure vedendo quella fila di scudi trasparenti si erano fermati, e come un’onda avevano travolto la prima linea emettendo suoni spaventosi, avventandosi come animali sulle persone, due o tre per volta. La diretta si era poi interrotta quando la “donna” ripresa per prima dal cameraman si era voltata verso il giornalista, saltandogli addosso e buttandolo rovinosamente a terra, mentre con un morso gli strappava un grosso lembo di pelle dalla spalla sinistra. Lo schermo divenne nero per qualche secondo, prima che i due presentatori del telegiornale apparissero nuovamente, visibilmente sconvolti, ed annunciassero l’interruzione anticipata del programma. 

Dopo quel giorno le cose avevano iniziato a peggiorare sempre di più. Venne rivelato che una strana malattia infettiva aveva iniziato a serpeggiare tra gli abitanti della città, provocando la morte dei pazienti entro poche ore, o anche meno se questa veniva trasmessa in maniera più traumatica, seguita poi da un’incredibile ripresa dei parametri vitali che però sembrava non coinvolgere tutta l’area cerebrale, limitandosi ai centri che regolavano la fame, il movimento, la vista, l’udito e l’aggressività. Zombie, per intenderci. 
In poco tempo le case si erano svuotate e le strade si erano riempite di auto nel disperato tentativo di allontanarsi dalla malattia, i quartieri che si rivelavano infetti venivano uno dopo l’altro messi in quarantena mentre la paura di essere i prossimi si insinuava nella mente di tutti. Dopo poco meno di un mese la situazione non era cambiata molto. Kashuu e Yamatonokami avevano viaggiato per decine di chilometri, e l’unico risultato raggiunto era stato scoprire che la loro città non era l’unica colpita. 
I giorni si erano susseguiti tutti uguali in viaggio a bordo della loro piccola utilitaria grigia, finché non avevano trovato un posto in cui stabilirsi. Ai margini della città di Bostwick si era andato formando un piccolo avamposto, un luogo sicuro in cui le persone cercavano di ricominciare, di trovare di nuovo un senso alla propria vita che non fosse solo scappare e sopravvivere. Decisero quindi di fermarsi, intenzionati ad aiutare come meglio potevano. 

Quel pomeriggio erano andati in città per ispezionare il grande negozio di fai-da-te in cerca di qualche utensile di qualità per poter avviare un piccolo orto all’avamposto. Si erano spinti un po’ più lontano del solito, ne erano consapevoli, ma negli ultimi giorni la città sembrava essere più tranquilla e le esplorazioni durante il giorno si erano susseguite tutte senza incidenti. Fino a quel momento, si intende. 
Non si erano aspettati quel crollo, il lato a sud dell’edificio aveva ceduto tutto d’un tratto lanciando come unico avvertimento un forte rumore che preannunciava la rottura dell’ultima trave portante, dopo che il resto era stato distrutto durante il tentativo di repressione della prima massa di zombie. Lui e Kashuu si erano gettati fuori in due direzioni diverse, ed ora il ragazzo aspettava solo che tutta quella polvere si dissolvesse davanti ai suoi occhi per farsi un’idea della situazione. 
«Ehi Yamatonokami, riesci a sentirmi…?» 
La voce di Kashuu proveniva da dietro un grosso cumulo di macerie e calcinacci che sbarravano completamente la vista, impedendo al ragazzo di capire con precisione dove si trovasse. La sua voce però aveva qualcosa di diverso, sembrava debole.
«Sono qui, dietro questo mucchio di detriti! Devo fare il giro dell’edifico per venirti a prendere, è tutto a posto lì?» 
«Certo, figurati, sono un po’ scompigliato ma nulla di ingestibile, sbrigati a fare il giro mentre io intanto riprendo un po’ il fiato»

Kashuu tossì un paio di volte dopo quell’affermazione, dandosi subito dopo dello stupido per non essere riuscito a trattenersi consapevole che questo avrebbe fatto allarmare ancora di più Yamatonokami. Guardandosi intorno, pensò che in qualche modo era stato davvero fortunato: a pochi centimetri da lui un grosso tubo metallico si era quasi conficcato nel terreno, mentre tutto intorno a lui i grossi blocchi di cemento avevano formato una specie di cavità che lo aveva in qualche modo protetto dal grosso del crollo impedendogli di finire schiacciato. Purtroppo però dovette ammettere a sé stesso che non era andato proprio tutto come nei suoi piani, mentre con una mano tremante tastava il proprio fianco sinistro squarciato da una grossa scheggia di vetro, ancora conficcata in profondità. Il dolore arrivò tutto insieme come una pugnalata, probabilmente libero dall’effetto dell’adrenalina che fino a pochi istanti prima lo aveva tenuto vigile. Mugolò leggermente, cercando di pensare a qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo nell’attesa: di certo non era pensabile estrarre quel frammento se non voleva rischiare un’emorragia ancora peggiore di quella già in atto, l’unica cosa che poteva fare era cercare di tamponare la ferita. Con estrema cautela, sopportando stoicamente le stilettate di dolore che ogni minimo movimento gli provocava, si tolse la felpa rossa con la zip e dopo averla ripiegata leggermente iniziò a premersela sul fianco, osservando il sangue scurire il tessuto. 
Alzando lo sguardo notò che la luce stava via via scomparendo, lasciando spazio ad un tramonto aranciato.
Le cose non si stavano mettendo bene. 

Yamatonokami era sempre più preoccupato. Aveva cercato un passaggio più breve passando dall’area est del negozio ma la via era del tutto sbarrata, lasciandogli come unica opzione fare tutto il giro dell’edificio per poter raggiungere quello sconsiderato del suo ragazzo, che di certo non gliela stava raccontando giusta sulle sue condizioni. Come se non bastasse, il sole aveva iniziato a tramontare e questo significava soltanto una cosa.
Dovevano sbrigarsi.
Aveva fatto più in fretta possibile, e quando arrivò da Kashuu aveva il fiato corto per la corsa. Quello che vide però gli fece perdere un battito, o forse più di uno. Il ragazzo era seduto contro un blocco di cemento, le mani premute spasmodicamente contro il fianco da cui spuntava un grosso pezzo di vetro, mentre sotto di lui un rivoletto di sangue stava iniziando ad espandersi. Si lanciò verso di lui, inginocchiandosi proprio di fronte alle sue gambe, prendendogli il viso tra le mani con uno scatto.
«Sei un’idiota, perché non mi hai detto che eri ferito?! Avrei fatto più in fretta, avrei trovato qualcosa di utile!» 
Yamatonokami continuava a guardarlo sconvolto, in cerca di uno sguardo rassicurante. Kashuu alzò gli occhi su di lui, lentamente, un po’ intontito dalla perdita di sangue.
«Mi dispiace. Immagino di non essere molto carino in questo momento, vero?» gli rispose in un soffio.
Con lo stomaco stretto come in una morsa, Yamatonokami gli accarezzò una guancia con il pollice, per poi avvicinarsi ancora di più e baciarlo dolcemente, a lungo, in un gesto che bastava più di qualunque altra risposta.

Dopo qualche secondo tornò a guardarlo, stavolta per esaminare meglio la situazione. Era davvero improbabile che Kashuu riuscisse a farcela con le sue sole forze fino all’avamposto, anche se Yamatonokami lo avesse sostenuto non era nelle condizioni nemmeno di alzarsi, probabilmente. Serviva una barella, o quantomeno qualcuno che li aiutasse.
«Ascoltami bene» disse Yamatonokami tornando a guardare intensamente le iridi color cremisi di Kashuu «dobbiamo segnalare agli altri che siamo in difficoltà, così verranno a prenderci»
L’altro scosse la testa, indicando con un cenno del capo il giorno che andava via via spegnendosi dietro di loro.
«Non puoi, sai cosa rischiamo se usiamo quel segnalatore, fa troppa luce e troppo rumore. Dovresti andare tu da loro, e poi tornare qui con il necessario. Io posso aspettarti»
Gli occhi di Yamatonokami lo squadrarono, come se non lo conoscessero. Kashuu era davvero impossibile, credeva davvero che lo avrebbe lasciato solo in mezzo al niente, ferito, con la notte in arrivo? Lasciare un cartello che recitava “cibo gratis” sarebbe stato meno immediato per quei mostri. 
Si sedette di fianco a lui con un tonfo, poi si sfilò dal collo la sciarpa azzurra. Lentamente, tolse le mani sporche di Kashuu dal suo stesso fianco, eliminando la felpa ormai impregnata di sangue quasi per metà e sostituendola con la sciarpa più pulita, riuscendo a legarla intorno al ragazzo ed a stringerla abbastanza da non dover essere tenuta con le mani. Kashuu chiuse gli occhi durante quell’operazione, sussultando ogni volta che Yamatonokami stringeva il nodo. Dopo aver completato quella dolorosa ma necessaria operazione, Yamatonokami tornò a stringere leggermente a sé il ragazzo, accarezzandogli dolcemente i capelli scuri e seguendone la lunghezza fino al codino che scendeva lungo la spalla. Non aveva il minimo dubbio su cosa avrebbe fatto.
«Io non ti lascio, per nessuna cosa al mondo. Resteremo qui, insieme, finché non verranno a prenderci. Anche quando sarà scesa la notte io non me ne andrò, ti proteggerò da qualsiasi cosa e questa è una promessa» disse tutto d’un fiato, prima di tornare di nuovo a baciare leggermente le labbra di Kashuu, che sospirò di rimando. 
Chiarita la questione, almeno da un lato, Yamatonokami si alzò e si diresse verso uno spiazzo poco distante assicurandosi che non ci fossero impedimenti tra lui ed il cielo rossastro sempre più scuro, e tirata fuori da uno dei borselli della cintura la pistola segnalatrice, sparò in aria un razzo arancione, che si alzò in verticale lasciando dietro di sé una lunga scia luminosa per poi esplodere in uno sbuffo colorato a qualche decina di metri d’altezza. Era fatta, ora dovevano soltanto sperare che gli altri lo vedessero.

Tornato vicino ad un Kashuu un po’ contrariato, prese la sua adorata felpa intrisa di sangue e la lanciò lontano, oltre il muro di macerie, sperando che questo potesse distogliere almeno per un po’ l’attenzione di qualunque cosa sarebbe potuta arrivare. Si sedette accanto al ragazzo, e con una mano scivolò lentamente lungo il suo braccio andando ad intrecciarsi con quella di Kashuu, stringendola più che poteva, poi sfoderò il lungo machete che portava al fianco e lo poggiò vicino ai suoi piedi, a portata di mano. 
Non rimaneva altro da fare che aspettare, insieme. 
  
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