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Autore: Simo_Dowaze    02/03/2019    3 recensioni
- Con le parole che vengono usate quotidianamente, si fanno molteplici cose: si ride, si scherza, si chiacchiera, si dimostra il proprio affetto, si fanno discorsi sia lunghi che brevi.
Tuttavia, non servono solo a tali sopracitate cose. Purtroppo, esse hanno altresì la capacità di far soffrire, di far piangere, di ferire, di affondare qualcuno nell'oblio della tristezza e del dolore.
Credo che, spesso, le parole diventino armi taglienti, delle quali non è assolutamente da sottovalutare l'effetto: si devono saper maneggiare con cura, sempre. -
Cit. Simo_Dowaze
Buona lettura.
Dio vi benedica ♡
Genere: Generale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Blaze the Cat, Shadow the Hedgehog, Silver the Hedgehog
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '☆Insieme Contro Il Bullismo!'
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L'effetto delle parole (seconda parte)

- Hai visto Aurora? - domandò Tiger, mentre Dowaze chiudeva il suo armadietto.
- È andata un attimo al bagno. - rispose, cominciando ad incamminarsi verso la sua aula.
- Sta ancora male, non è vero? - chiese ancora, osservando l'amica.
- Già. - soffiò lei, con lo sguardo rivolto verso l'alto, assorta.
Abbassò gli occhi per guardare davanti a sé e incrociò Alex che parlava con un suo amico, muovendo di tanto in tanto la sua folta coda da volpe.
D'impatto, le sue pupille si fecero furenti e serrò mascella e pugni con forza, nel tentativo di non commettere azioni controproducenti.
Quel ragazzo la irritava, le faceva venire il sangue amaro!
Lui si girò un attimo e la vide, seria come sempre. Fece qualcosa che scatenò in Dowaze una collera tale da non potersi più trattenere: un sorriso e un gesto di mano come saluto.
Incavolata com'era, si avvicinò a grandi falcate nella sua direzione e vani furono i richiami di Tiger per cercare di fermarla, nella speranza che si calmasse e ritrovasse il lume della ragione. Ma sembrava che quest'ultimo, purtroppo, si fosse momentaneamente spento.
Fermatasi a pochi centimetri da lui, alzò la testa, poiché la sua 'altezza' non la aiutava, e sibilò:
- Come puoi anche solo minimamente pensare di poter sorridere, dopo quello che hai fatto, me lo spieghi?! -
Alex era rimasto scioccato dalla sua reazione e ciò potevano confermarlo le sue ipotetiche sopracciglia sollevate.
- Non credevo che i miei sorrisi facessero questo effetto! - cambiò espressione in un istante e un ghigno malizioso e divertito prese posto sul suo viso.
Dowaze lo guardò allibita e le venne un tic isterico all'occhio destro.
Alzò la mano e la scagliò contro di lui, pronta a colpire la sua guancia.
Alex, però, fu più svelto e la afferrò appena prima dell'urto, senza interrompere il contatto visivo.
Lei sgranò lievemente gli occhi, ma si accigliò subito dopo, assottigliando lentamente lo sguardo.
- Non osare toccarmi. - sussurrò lui, con autorità.
Dowaze, allora, decise di mettere in atto ciò che avrebbe voluto fare sin dall'inizio.
- No! - esordì.
L'arto, che il riccio verde teneva ancora stretto, si surriscaldò intensamente ed egli, a contatto con quel calore, si ustionò, ringhiando un "Ahi!" e lasciando la presa su ella, allontanandosi. Mentre osservava la parte lesa, con la schiena curva, lei gli rispose a tono:
- Tu non osare toccarmi! Né me né Aurora, ti è chiaro? -
Chiuse la mano a pugno, fissando la ragazza. Era paurosamente aggressiva e se n'era reso conto solo in quel momento; aveva commesso un grandissimo errore nel sottovalutarla, ma non per questo si sarebbe lasciato intimorire dall'ibrida. Quest'ultima lo squadrò ancora un attimo, con sufficienza, poi girò i tacchi e si diresse verso la sua classe.
- Cappero! Ma dove hai trovato tutto quel coraggio? - chiese il gatto blu notte, sconvolto.
- Dovevo farlo per Aurora. - rispose solamente, seria ed enigmatica. In momenti del genere ricordava molto suo padre: preciso e concentrato, sapeva sempre in che maniera agire, senza perdere mai il senno.
Salutò Tiger ed entrò nell'aula. Si accomodò all'ultimo banco, dove era già seduta Aurora.
Prima ora: chimica.
"Che modo meraviglioso per cominciare la giornata scolastica!" pensò sarcasticamente Dowaze. Non rientrava nelle sue materie predilette, anche perché, spesso, si ritrovava a non capire la lezione e se la faceva spiegare e rispiegare, fin quando non afferrava bene i concetti. Sebbene non avesse un buon rapporto con quella materia, non significava che non la studiasse o non si applicasse come avrebbe dovuto. Al contrario, ci metteva più impegno e, a dirla tutta, i risultati non erano nemmeno insoddisfacenti! Per ironia della sorte, venne interrogata proprio lei.
L'ibrida, allora, alzati gli occhi dal libro sul quale stava dando una ripassata, cominciò a ripetere l'argomento, cercando di articolare un discorso decente. Rispose a tutti i quesiti che la professoressa le porse, riuscendo ad essere disinvolta e attiva, facendo, infine, una buona interrogazione e la valutazione della professoressa, un armadillo bianco panna dalla corazza rosa, che indossava un completo blu scuro, fu più che positiva. La docente continuò il giro di interrogazioni, arrivando a cinque studenti, finché non suonò la campana dell'ora successiva.
Dopo due ore intense ed esaustive di matematica, arrivò la ricreazione. Molti ragazzi uscirono dalla propria classe, e con essi il professore, altri vi rimasero dentro, tra cui le due amiche.
- Come ti senti? - chiese la gatta-riccia alla sua compagna di banco.
- Insomma. Hai visto cos'hanno fatto durante le ore di matematica, no? - fece tristemente, distogliendo lo sguardo dall'ibrida e fissando un punto indefinito.
In quelle due ore, Alex e altri compagni - con il cervello di dimensioni estremamente ridotte, probabilmente più piccole di quello del ragazzo mezzo riccio mezzo volpe - le avevano tirato delle palline di carta, con il solito messaggino all'interno che recitava:
"Hey, Shark fins!"
oppure
"Ciao, Shark fins! Ahahah!", parole dette anche oralmente quando la ragazza, colpita, si girava alla ricerca del colpevole, e pure Dowaze la quale, non sapeva se erroneamente o volutamente, riceveva anch'ella quei bigliettini accartocciati; dentro, però, non era stato scritto nulla. Sapevano perfettamente chi fossero i responsabili, facilmente sgamabili, dato che ridacchiavano la maggior parte del tempo come degli scemi.
- Certo! Come potevano sfuggirmi quelle insulse pallinacce che ci tiravano? Che babbei che sono, quei ragazzi! -
Aurora annuì, poggiando una mano sulla testa, torturandosi con le dita l'orecchio sinistro, disinteressata.
La viola capì che non aveva più voglia di parlare, quindi stette in silenzio, addentando il suo panino e dandone un pezzo pure all'amica, che accettò.
Successivamente, però, la riccia rosa le chiese di andare in bagno. Lei asserì con un cenno di capo, alzandosi quasi in sincronia con Aurora e uscendo dall'aula.
Una volta finito, fecero per ritornare in classe, ma Dowaze si fermò, facendo sì che anche l'altra, incuriosita, arrestasse la sua camminata. La campanella non era ancora suonata e alla gatta-riccia non poteva che andare a favore, in quel momento, per ciò che aveva intenzione di fare. Dopo essersi congedata con uno sbrigativo "Arrivo subito", si assicurò che l'amica fosse rientrata. Quindi, non perse tempo a dirigersi verso il suo obiettivo, un certo riccetto dalla coda da volpe. Si trovava vicino agli armadietti e aveva appena smesso di parlare con un suo presunto amico.
- Alex! - lo chiamò, finendo di avvicinarsi a lui.
- Ma quale onore, principessa! - fece ironico e divertito.
- Sta' zitto e non chiamarmi così davanti a tutti! - lo rimproverò, a denti stretti.
- Altrimenti che mi fai? - chiese spavaldo lui, guadagnandosi un'occhiataccia dall'ibrida.
Sospirò e gli comunicò:
- Seguimi. -, sforzandosi di ignorare il suo comportamento irritante. Lui le venne appresso fino al laboratorio di scienze naturali, che a quell'ora era assolutamente inoccupato. Vi entrarono e la ragazza chiuse la porta. Si posizionarono l'uno di fronte all'altra, quest'ultima incrociando le braccia al petto.
- Stammi bene a sentire! - iniziò lei.
- Voglio che tu la smetta di infastidire sia Aurora che me! Mi sembrava di essere stata chiara questa mattina, ma a quanto pare, con quelli come te, bisogna ripetere una cosa cento volte! - lo ammonì, rivelando nella parte finale della frase una nota di sarcasmo e di fastidio. In risposta, Alex sorrise di sbieco, alzando un angolo della bocca; poi, in un gesto veloce, prese Dowaze da dietro la schiena con un braccio e la attirò a sé, mentre la ragazza strabuzzava gli occhi dalla sorpresa. Rimanendo ancora con quella faccia sconvolta, che accentuò il ghigno del ragazzo, quest'ultimo le prese il mento con le due dita della mano libera e le sussurrò, guardandola dritta negli occhi:
- Io non prendo ordini da nessuno, neanche da te, Kittyhog! -
Lei continuò a fissarlo in silenzio, sostituendo l'espressione del volto in una contratta, studiando attentamente quegli occhi di ghiaccio misteriosi.
- Che cosa c'è? Sei diventata improvvisamente docile? Dov'è finita la tua sfrontatezza? - la schernì, facendola ridestare dalla sua indagine. Scosse impercettibilmente il capo e tornò a guardare il riccio verde, con la fronte corrugata.
- Leva le tue sudice mani da me, immediatamente! - sibilò, severa e impassibile.
Lui, per dispetto, strinse ancora di più la presa, infastidendola ulteriormente con quel gesto. Tentò di dimenarsi, ma la sua stretta rimaneva ferrea e decisa e lei percepì la mano dietro la sua schiena salire. Cominciò a sudare freddo, temendo ciò che le sarebbe potuto accadere.
Inarcò la schiena all'indietro, arretrando anche di un passo, cercando disperatamente la maniglia della porta, ma la sua iniziativa venne bloccata dalle mani, ambedue appena liberate, del riccio, che le immobilizzarono i polsi, mentre lui la spinse bruscamente contro il muro. Manteneva quel sorrisetto beffardo sulle labbra e, nonostante Dowaze ce la mettesse tutta per restare calma anche in quella situazione di natura incerta, Alex notò attraversarle un'ombra di paura nello sguardo. Si avvicinò al suo orecchio, obbligandola a posare la testa sulla parete.
- Non credere che non mi sia accorto delle tue spine dietro la schiena. Non sono tanto stupido, se è ciò che pensi. - terminò, ridacchiando malignamente.
- A-Alex, lasciami! - affermò, tentando di risultare convincente, ma la sua voce tremante la tradì spietatamente.
- Che ti prende, Kittyhog? Hai forse paura di me? - domandò, con finto tono ingenuo e dispiaciuto.
- No! - punta nell'orgoglio, concentrò tutte le sue forze nelle braccia e lo allontanò quel poco che bastava per riuscire a spingerlo via da lei, stupendo il ragazzo per l'azione inaspettata. Quest'ultimo cadde col sedere per terra e lei gli comunicò, mirandolo con superiorità:
- Io non ho paura di niente, né tanto meno di un gradasso come te! Ti avverto, stai lontano da me e Aurora, hai capito? -
Si rialzò dal pavimento, ripulendosi il dietro dei pantaloni con le mani, tornando a guardarla. Sbuffò divertito.
- Te lo ripeto, Kittyhog: io non prendo ordini da nessuno, faccio quello che mi pare. -
- Attento a non provocarmi, riccio-volpe! - lo apostrofò lei, puntandogli contro l'indice.
- Non mi faresti mai del male. -
- Tsk! Come no! E l'ustione di prima cos'era? Un gesto d'affetto? - chiese, sarcastica.
- Intendevo dire che non mi faresti mai del male serio. Né a me né a nessun altro. - sembrava abbastanza sicuro di ciò che affermava. Dowaze fu colpita da tale convinzione, al punto che rimase immobile di fronte a lui, che in quel momento aveva affondato le mani nelle tasche dei jeans.
- Come fai a dirlo? - proferì lentamente, assottigliando lo sguardo.
- Perché tu non sei cattiva. -
Ma pareva volesse continuare quella frase; era come se l'avesse lasciata intenzionalmente a metà e avesse voluto omettere qualcosa di importante, come se il resto avesse voluto lasciarlo intendere all'ibrida. Infatti, ella, grosso modo, era riuscita a comporre l'intera proposizione: "Perché tu non sei cattiva, come me."
Pensò che quell'inaspettato cambio di comportamento non fosse da lui: un attimo prima era un meschino della peggior specie e quello dopo diventava quasi ... fragile?
Calò un silenzio un po' imbarazzante tra i due e fu la campana che annunciava la fine della ricreazione a salvarli.
Dowaze uscì dal laboratorio, non voltandosi per vedere se lui stesse seguendo il suo stesso esempio, e fece ritorno alla sua aula.
- Era ora! - esclamò Aurora, una volta vedutala. L'ibrida si sedette al suo posto, sistemandosi la chioma.
- Ce ne hai messo di tempo; dov'eri finita? - chiese, insistente.
La guardò un istante per poi distogliere l'attenzione dalla riccia rosa.
- Dovevo sbrigare ... alcune cose lasciate in sospeso. -
La viola sollevò la testa e lo vide entrare: si fissarono per un frangente di secondo l'un l'altro, poi posarono gli occhi altrove, mentre il riccio dalla coda da volpe si dirigeva verso la propria postazione.
- Che genere di cose? - interloquì ancora l'altra.
- Cose mie. - tagliò corto la gatta-riccia, assente. La rosa continuò a parlare, ma Dowaze, dal canto suo, ignorò platealmente ciò che le stava dicendo e nella sua mente si focalizzava un unico pensiero: Alex.

- Te l'avevo detto che è strano! - a pronunciare quella frase era stato Tiger, che stava percorrendo, come suo solito, la strada di casa assieme alla principessa. Lei gli aveva raccontato, durante il tragitto, cosa era successo alla ricreazione col riccio verde e ciò l'aveva sorpreso molto, in quanto non si aspettava un comportamento simile da lui.
- Già. - sospirò lei.
- Comunque, ci hai parlato? Con Alex, intendo. - gli domandò, girando leggermente il capo verso l'amico.
- Sì. Ma non mi ha dato retta proprio per niente. Mi ha liquidato con un: "Io non prendo ordini da nessuno". - lo scimmiottò, muovendo le dita di una mano, come ad imitare qualcuno che parlava.
Voltò interamente la testa verso di lui, con un cipiglio sul viso.
- Mi ha detto la stessa cosa! - portò una mano sotto il mento, pensierosa.
- Forse, è per questo che si è comportato in quel modo, con me. - ipotizzò, indagatrice.
- Può darsi. - concordò Tiger.
- Come ti è sembrato? - continuò il gatto blu notte.
- Quello di sempre: stesso sorrisetto, stessa faccia da prendere a schiaffi, stesso atteggiamento da presuntuoso ... lui, insomma. - declamò lei, non curante.
- E se lui-- no, no! - pensò ad alta voce, pentendosene subito dopo.
Gli scoccò un'occhiata stranita, inarcando un possibile sopracciglio.
- Sputa il rospo. - sentenziò, incuriosita.
- No, no. Meglio di no. - si rifiutò lui, nervoso.
- Dimmelo. -
- No. -
- Dimmelo! -
- No! -
Dowaze gli si parò davanti, bloccandogli la strada.
- Ti ho detto: dimmelo! -
- Ti arrabbieresti. - la avvertì, piano.
- Non puoi saperlo. Dimmelo e lo scoprirai. - incalzò lei, mettendo le mani sui fianchi. Tiger prese un respiro profondo.
- E se lui fosse innamorato di te? - buttò tutto d'un fiato, con le palpebre abbassate, per poi alzarne una, spiando la reazione dell'altra.
Ella sgranò gli occhi, che per poco non le uscirono dalle orbite, e si strozzò con la sua stessa saliva, tossendo violentemente, con la solita mano chiusa a pugno all'altezza della bocca, e piegandosi in due.
- Tutto okay? - chiese con premura, chinandosi verso di lei.
- Certo, mai stata meglio! - fece ironica, ma appena due istanti dopo ...
- Che non ti salti più in mente di dire una cosa del genere! - scattò rabbiosa, aggredendo con quelle parole il povero ragazzo, il quale mise istintivamente le mani davanti a sé, in segno di resa.
- Mi hai fatto quasi venire un colpo, sai? - proseguì lei, con un leggero fiatone.
Poi, però, sospirò pesantemente, stringendosi nelle spalle. Si sfregò una mano su un braccio, adagio.
- Scusami, non volevo alzare la voce. - mormorò, a disagio.
- Tranquilla, Dow. - la rassicurò lui, mettendole una mano sulla spalla.
- Non ce l'ho con te, è solo che ... non lo so, sono molto frustrata, in quest'ultimo periodo. - confessò, amaramente.
Tiger la guardò: sapeva quanto stesse in pena per la situazione in cui si trovava Aurora e la presenza di Alex, di certo, non aiutava nessuna delle due.
- Vieni qui. - le disse, allargando le braccia per accoglierla in un'amichevole stretta. Non se lo fece ripetere due volte e accettò l'invito, lasciandosi avvolgere da lui.
- Andrà tutto bene, Dowaze. - la compatì, carezzandole la testa. Lei annuì contro il suo petto, inspirando profondamente. Poi, sentì il torace di lui fare dei movimenti, prima di parlarle:
- A pensarci bene, queste rassicurazioni le dovrei fare ad Aurora: è lei quella che viene bullizzata, non tu, tecnicamente. - rise lievemente e la principessa gli diede un pugnetto sul petto.
- Sì, ma io sto male per lei! Lo sai quanto ci tenga ad Aurora, no? - ribatté, sorridendo di poco e alzando il capo verso Tiger.
- Sì, certo. So quanto tu le voglia bene e, beh, sì le voglio bene anche io. - rispose lui, leggermente in imbarazzo.
Lei sorrise. Lo sapeva eccome, e se li immaginava stare benissimo insieme, come una coppia. Peccato che nessuno dei due si decidesse a fare il primo passo!
Slegarono l'abbraccio e ripresero a camminare. Non spiccarono parola lungo tutto il tragitto, finché non giunsero presso la dimora dell'ibrida.
- Io sono arrivata. - disse, una volta fermatasi davanti al portone del suo palazzo.
- Ci vediamo domani, Tiger! - lo salutò, con un cenno di mano; lui ricambiò e se ne andò, non prima di averle sorriso.
Spinto l'infisso, lo richiuse alle sue spalle ed entrò. Pranzò con la famiglia, parlarono un po' e poi si ritirarono ognuno per conto proprio.

Una settimana dopo, Aurora non andò a scuola, a causa di un malessere allo stomaco, venutole realmente, stavolta.
E si sapeva che una sofferenza esteriore poteva gravare su quella interiore.
Era rimasta distesa tutta la mattina, il dolore talmente forte da non riuscire ad alzarsi. Sua madre, Amy Rose, le aveva servito la colazione a letto e suo padre, Sonic The Hedgehog, l'aveva salutata con un bacio sulla fronte, per poi andarsene chissà dove. I suoi genitori non erano a conoscenza del fatto che la loro figlia venisse bullizzata a scuola. Vivevano a Mobius, loro tre, ma lei frequentava il liceo della Sol Dimension, la Dimensione Parallela al loro mondo. Nonostante le chiedessero ogni giorno come fosse andata la mattinata scolastica, lei riusciva sempre a celare la verità con un falso sorriso e la sua solita allegria. Non sospettavano di nulla, dato che era sempre stata una ragazza che sprizzava felicità da tutti i pori e negli anni precedenti di scuola il suo atteggiamento non era mai cambiato; se solo avessero letto più attentamente quegli occhi che, man mano, andavano spegnendosi. Se solo avessero notato come, prima di uscire di casa, lei si squadrasse da capo a piedi, ferma davanti allo specchio di camera sua. Se solo avessero saputo il disagio che lei provava nell'avere quegli aculei sulla schiena. Aveva sempre pensato che quelli fossero qualcosa che la distinguessero dagli altri e, in un certo qual modo, la rendessero speciale, ma da quando aveva sentito i commenti di Alex, li vedeva come una vergogna. Non poteva neanche nasconderli con una maglietta, poiché quella si strappava poco dopo averla infilata al busto - stessa cosa valeva per Dowaze.
Agguantò il cellulare, che aveva adagiato sul comodino, accanto al letto, e accese la connessione, navigando un po' su Internet e sui social.
Dopo essersi recata in bagno e aver preso delle pillole per alleviare il dolore, svolse qualche compito sdraiata e, poi, si concesse una pennichella. Venne svegliata all'ora di pranzo da suo padre. Scese dal materasso, con addosso una larga camicia da notte rosa cipria, che le arrivava alle caviglie, e si incamminò verso la cucina, dove mangiò a tavola insieme ai suoi genitori. Non appena finì, fece ritorno in camera sua, buttandosi a pancia in giù sul letto, nuovamente con il cellulare in mano. Inviò un messaggio al gruppo della classe, domandando che compiti avessero assegnato quel giorno. Attese qualche minuto e rispose alla sua richiesta l'unico che non voleva sentire, né tanto meno che le messaggiasse: Alex.
"Ma ciao, Shark fins!" primo messaggio.
"Come mai non sei venuta?" secondo.
"Sai, avevo in programma delle belle cosucce per te, oggi." terzo.
"Peccato!" quarto.
Aurora visualizzò e replicò solo a quello che chiedeva il motivo della sua assenza, non dando conto ai successivi.
"Stavo male."
e poi
"Hai i compiti?"
Ma si rese conto di aver fatto una domanda stupida: quando mai lui segnava i compiti sul diario? Infatti, egli ignorò bellamente quel messaggio e rispose al precedente.
"Oh, che ti è successo? Ti sei fatta male a una delle tue fins?" la derise.
"Qualcuno mi dà i compiti, per favore?" aveva notato, dalle info del gruppo, che gli altri stavano assistendo alla loro conversazione.
Le mani cominciarono a sudarle e anche tutto il resto del corpo. Si stava agitando e non era causato dal mal di pancia: non era buon segno!
"Ma che fai? Mi ignori? Guarda che mi offendo." scrisse Alex, ma Aurora capiva perfettamente che la stesse solo prendendo in giro.
Non gli rispose.
Lui, però, non volle darsi per vinto.
"Perché visualizzi e non rispondi?"
"Sai che è maleducazione?"
"Shark fins!"
"Heylà!"
"Sharky finnys!"
"Abbi almeno la decenza di rispondermi, no?"
"Sei proprio senza spina dorsale!"
"Anzi, senza pinna dorsale!"
Ed ecco ciò che non avrebbe mai voluto vedere: i suoi compagni risero di lei, mandando messaggi con l'onomatopea della risata, e alcuni lo incitarono e incoraggiarono, con frasi del tipo:
"Buona questa!"
"Vai così!"
"Ma sei serio? Ahahah!"
Aurora si sentì morire dentro. Anche la sua classe si era messa contro di lei. Non poteva crederci. Perché proprio a lei? Che cosa aveva fatto di male per meritarsi quel trattamento? Era sempre stata gentile con tutti, perché si stavano rivoltando contro di lei?
Nei giorni antecedenti, si era accorta come stessero iniziando a ridere di più e, per giunta, ad unirsi, a volte, alle battutine idiote di Alex, ma non pensava che sarebbero arrivati fino a quel punto, a farsi beffe di lei anche loro.
Le lacrime le scesero da sole, mentre leggeva altri commenti sgradevoli sul suo conto. Nonostante l'intervento di Dowaze, non scemarono, anzi, aumentarono. Decise di distogliere lo sguardo dal suo cellulare e oscurò lo schermo. Nascose la testa tra le braccia e pianse, tentando di soffocare i singhiozzi che emetteva. Non riusciva più a sopportare quell'atteggiamento di scherno nei suoi confronti; non le sembrava giusto che continuassero a prenderla in giro, senza una ragione valida. Si facevano trasportare da Alex, soltanto perché ne avevano paura e non avevano alcuna intenzione di ritrovarselo come nemico.
Sentiva le loro sghignazzate alle sue spalle, quando il riccio dalla coda da volpe si prendeva gioco di lei; li guardava male, assieme a Dowaze, che il solo sguardo poteva incenerire vivi, in senso metaforico.
La morsa allo stomaco si fece più aggressiva, divorandola dentro, mentre le lacrime sgorgavano copiosamente dai suoi occhi e i singulti erano più frequenti.
E come se tutto quello non fosse abbastanza, qualche giorno prima avevano postato, su un social, un video dove inquadravano i suoi aculei sulla schiena e - con l'ausilio di un filo di nylon, teso ai due capi delle due colonne dell'uscita dall'edificio scolastico - la sua caduta dalle scale. Fortuna per lei che erano solo tre gradoni e non aveva subito alcun danno, salvo un livido sul braccio sinistro. Purtroppo, però, era finita a panciolle e le sue spine erano rimaste in bella vista.
Quel video umiliante era stato un colpo basso. Non era stato lui a riprenderla, bensì i suoi compagni le avevano giocato quel brutto tiro, ma sotto le indicazioni fornite, alcuni minuti prima, da Alex.
Aurora mise insieme tutti i pezzi ed arrivò, suo malgrado, a una conclusione schiacciante: non era ben accetta nella sua classe. Credeva che la odiassero e che non la volessero più tra i piedi. L'effetto delle loro parole e delle loro azioni era stato talmente devastante per lei da far sì che un oscuro pensiero avesse libero accesso nella sua mente.
Alzò la testa, si asciugò il viso con il lembo della veste e riprese il cellulare.
Mandò un messaggio a chi aveva la certezza che non l'avrebbe mai tradita:
~Addio.~
In qualche modo, pur avendo preso quell'orribile decisione, voleva che qualcuno la fermasse.
E si riferiva proprio a Dowaze.
Si era sempre fidata dell'ibrida, era stata la sua migliore amica sin da subito: sapeva di poter contare ciecamente su di lei.
Ogni gradino che scendeva, scandiva un attimo in meno che non avrebbe potuto più recuperare.
Non prestò ascolto alla madre che la richiamava: uscì, senza dare spiegazioni, richiudendosi la porta alle spalle e incamminandosi verso un posto appartato e isolato, dove nessuno l'avrebbe vista ... o rivista!
Nel frattempo, l'altra aveva ricevuto la notifica e ciò che i suoi occhi lessero la spaventarono.
Uscì di corsa dal palazzo, liquidando Silver con un "Ti spiego dopo, sono di fretta!" per andare ad avvertire Tiger. Una volta giunta davanti la sua abitazione, suonò il campanello e fu lui stesso ad aprirle.
- Hey, Dow. - vedendola respirare a fatica, alzò un ipotetico sopracciglio.
- Che succede? Perché hai il fiatone? - chiese in un misto tra il preoccupato e il confuso.
- Aurora mi ha appena inviato un messaggio d'addio! Dobbiamo andare subito da lei, temo il peggio! - disse frettolosamente lei, agitata e terrorizzata.
- Apri il portale! - la esortò lui, allarmato.
Lei estrasse dalle sue spine un Sol Emerald e, come per incanto, il cerchio si aprì. Vi si gettarono dentro e vennero catapultati a Mobius, vicino casa dell'amica. Bussarono ed Amy aprì loro, comunicando che sua figlia era appena andata via, senza spiccare parola e con il pigiama addosso. Ancora più allibita, l'ibrida spremette le meningi, per pensare a un luogo dove si sarebbe potuta cacciare, magari in disparte. Tra i suoi ricordi, uno in particolare attirò la sua attenzione, rammentandole quanto la rosa amava recarsi lì.
- So dov'è andata, Tiger! -
- Dove? - chiese Amy, straziata e sull'orlo del pianto.
- Non preoccuparti, Amy. Ti riporteremo Aurora sana e salva, ma dobbiamo sbrigarci! - "Prima che sia troppo tardi!"
Detto ciò, la riccia adulta annuì e i due ragazzi sfrecciarono via, con Dowaze in testa.
- Dove si trova? - domandò Tiger, alzando un po' la voce a causa dell'attrito.
- A Green Hill. - proferì decisa lei, aumentando la velocità e obbligando così il gatto blu a fare altrettanto.
Aurora si trovava ai piedi dell'altro lato di una delle tante colline, ove erano presenti delle rotaie e da lì a breve sarebbe passato un treno.
Giunsero finalmente in quel luogo e, dall'alto, la videro camminare adagio, con la camicia da notte che ondeggiava leggermente ad ogni suo passo. Dowaze, dopo aver dato una rapida occhiata, capì cosa avesse intenzione di fare!
- AURORA, NO! - urlò.
Le corse incontro il più velocemente possibile; i polpacci le cominciarono a bruciarle da matti, ma non se ne curò: la sola cosa che le interessava, era salvarla!
Vide la rosa accasciarsi a terra e mettere la testa tra la lunga asta del binario innanzi a sé.
La gatta-riccia accelerò: non poteva permettere che compisse un gesto simile!
Il treno stava per arrivare, l'ansia cresceva e la assaliva.
Il conducente del mezzo doveva aver fatto caso a quella ragazza sdraiata, poiché lo stava facendo fischiare con insistenza e, a pochi metri da ella, gli era praticamente impossibile frenare in tempo, data la velocità che aveva già acquisito il treno.
Successe tutto molto in fretta.
Arrivata da lei, l'ibrida la prese saldamente per la vita e fece allontanare entrambe dalle rotaie. Caddero col sedere per terra e Dowaze strinse la migliore amica a sé, con fare protettivo. Il mezzo passò davanti ai loro occhi, creando una forte folata di vento che mosse le loro chiome.
La principessa respirava affannosamente, mentre Aurora era immobile: la sentiva tremare sotto il suo tocco, ma non poteva vederla in faccia, poiché le dava le spalle.
- Ti rendi conto di quello che stavi per fare?! - la sgridò.
L'altra, però, non accennava a rispondere. La girò, guardandola in viso e la scosse per farla rinvenire dal suo stato di trance.
Tiger le raggiunse mentre Dowaze le diceva:
- Aurora, ti prego, riprenditi! Mi fai stare male ridotta così! - gli occhi le si fecero lucidi e le lacrime minacciarono di fuoriuscire.
- Dowaze! Come sta? - chiese il gatto blu notte, esitando su Aurora.
Inalò aria dalle narici e la rilasciò dalle stesse, comunicandogli, afflitta:
- Io ... non lo so. Non ... non reagisce ... -
Abbassò le orecchie e chiuse gli occhi, lasciando che quelle gocce amare scorressero sulle guance.
D'un tratto, sentì la mano della riccia posarsi sulla sua. Tale cosa fece stupire la ragazza viola scuro, al punto che le sue iridi scattarono verso l'altra.
- D-Dow ... - balbettò, sebbene il suo sguardo rimanesse ancora assente.
Non sapendo se farle una ramanzina coi fiocchi oppure essere entusiasta per il solo fatto che si era ripresa, la abbracciò teneramente, mentre si abbandonava a un silenzioso pianto.
Aurora mosse la bocca sulla sua spalla, biascicando:
- Mi dispiace. -
L'ibrida la strinse ancora più fortemente, asciugandosi, poi, le guancie, con il dorso della mano.
- È tutto finito, ora. - disse dolcemente.
Slegò l'abbraccio, mettendole le mani sulle spalle e, con lo stesso tono, la rimproverò:
- Non farlo mai più, capito? Lo sai quanto ti voglio bene; non sopporterei l'idea di doverti perdere. -
Il gatto blu osservava la scena con un sorriso commosso.
- No-non preoccuparti ... non lo farò mai più, p-promesso. - parlò finalmente, ancora un po' sotto shock.
La viola annuì e le sorrise lievemente.
- Riportiamola a casa. - intervenne lui.
Dowaze asserì nuovamente con un cenno di capo, alzandosi, e Tiger prese Aurora tra le braccia, dirigendosi verso la dimora della ragazza.
Arrivati alla meta, la fece scendere. Bussarono alla porta e i genitori della rosa, vedutala, l'abbracciarono come non mai, talmente erano stati in pensiero per lei.
- Scusatemi, davvero. Non volevo farvi preoccupare. Vi prometto che vi racconterò tutto. - disse, stringendo i suoi genitori, di nuovo.
Salutati i due amici, la famiglia rientrò in casa, mentre Tiger e Dowaze s'immisero nel portale appena riaperto, per fare ritorno alle proprie abitazioni. Cammin facendo, si misero a discutere sull'accaduto.
- Sono felice che tutto sia finito bene. - affermò il ragazzo.
- Già, anch'io. - ma pareva non fosse soddisfatta.
- Hey, non mi sembri tanto contenta! - dedusse lui, ponendosi davanti a lei, in modo che arrestasse la sua camminata; l'ibrida si mise a braccia conserte.
- Ecco, vedi: stavo ponderando su ciò che è successo in questi ultimi giorni e non posso che pensare ci sia un solo colpevole riguardo a quello che stava per fare Aurora. - gli espose, pensierosa ma risoluta.
- Ad essere sincero, riflettevo anche io sulla stessa cosa. - ammise lui.
-  Mh, bene. Allora, credo che sarai d'accordo con me, sul fatto che il responsabile sia ... - fecero una piccola pausa, prima di rivelare il nome.
- ALEX! - esclamarono all'unisono.
Erano certi che, se non fosse stato per quegli insulti su Aurora, lei non avrebbe mai tentato di togliersi la vita. Ma non era loro chiara ancora una cosa: per quale ragione se l'era presa con quella povera innocente? Che motivo aveva di farlo? Non capivano, purtroppo.

Il mattino seguente, arrivata a scuola, Dowaze, trovato Alex, si fermò davanti al suo armadietto, buttando lo zaino per terra, incavolata nera. Lui, nel vedere il suo strano comportamento, aggrottò la fronte, domandando:
- Hey, che ti è preso? Sei impazzita, forse? -
- Se c'è qualcuno che è pazzo qui, quello sei tu! - sbottò lei, indicandolo con il dito e mettendosi, poi, le mani sui fianchi.
La fissò, ancora più disorientato.
- Ma di che stai blatterando, Kittyhog? -
Lei stava per uscire fuori di sé dalla rabbia che teneva incamerata dentro.
- Com'è possibile che tu non ne sia al corrente? Non lo sai che, a causa tua, Aurora ha tentato di suicidarsi?! - esordì, a denti stretti.
Le voci circolavano velocemente ed era per quel motivo che, alla ragazza, parve molto strano il fatto che lui sconoscesse l'episodio  del giorno precedente.
Il volto del riccio verde si fece sconvolto, d'improvviso, sgranando gli occhi.
- Cosa?! Kittyhog, io ... io ... -
- Tu cosa? Il minimo che tu possa fare adesso è porgerle le tue più sentite scuse! - continuò lei, iraconda.
- Ti posso assicurare che non era nelle mie intenzioni farla arrivare a quel punto. -
- Beh, intanto l'hai fatto! - replicò, sprezzante.
- Credevo fossero solo degli scherzetti innocenti, non immaginavo che-- - provò a giustificarsi, ma non appena l'ibrida udì quelle parole, non ce la fece più ed esplose, furibonda, riversando su di lui tutto ciò che fino a quel momento aveva covato dentro di sé.
- Scherzetti innocenti?! SCHERZETTI INNOCENTI?! Come puoi definirli innocenti dopo quello che è successo? Quando capirai che queste tue stupidaggini fanno stare male davvero?! - quasi ringhiò, digrignando i denti e serrando la mascella con violenza. Aveva addirittura il fiato corto per quanto era arrabbiata; il suo petto si gonfiava e abbassava freneticamente e lei dovette riprendere il controllo del suo respiro, portandosi istintivamente una mano all'altezza del cuore.
- K-Kittyhog, io ... - proruppe lui, ma non sapeva cosa inventarsi.
- Non chiamarmi così! - lo ammonì, rivolgendogli uno sguardo omicida e, come accadde l'anno prima con Tiger, al tempo in cui era lei vittima di bullismo, nei suoi occhi fu come se fossero comparse delle fiamme vive e fameliche. Alex, a quella visione, trattenne il fiato, colpito dalla sua reazione.
Lo osservò qualche altro istante, con disprezzo e risentimento.
- Ti odio. - sibilò, inviperita.
Era sbagliato odiare qualcuno e lo sapeva, ma quelle parole le uscirono senza che lei fosse riuscita a porre loro un freno. L'avrebbe perdonato, certo, ma voleva far passare del tempo, poiché non era una cosa da nulla ciò che era accaduto per causa sua e lei voleva prima sbollire tutta la rabbia che aveva in corpo.
Lui strabuzzò gli occhi e rilasciò il sospiro. Non avrebbe mai immaginato che la ragazza gli avrebbe rivolto quella frase; si era meritato il fatto che lei fosse infuriata con lui, dopo il suo comportamento, ma quella proposizione, formata soprattutto da quel verbo, non credeva che lei sarebbe mai stata capace di pronunciarla.
L'effetto delle parole che lei gli aveva rivolto fu alla stregua di un dardo scagliato all'altezza del petto, che glielo trapassava con prepotenza, scalfendo la sua coscienza e forse ... qualcos'altro.
- Spero tu abbia capito, ora. - gli disse, con voce cupa, riducendo gli occhi a due fessure e facendolo ridestare dai suoi pensieri.
Fece pochi passi lontano da lui e si fermò, affermando di spalle:
- Ma forse non puoi, perché sei solo un bullo! - sputò velenosa, incamminandosi verso la sua classe, lasciando il riccio verde lì, spiazzato.









Angolo Autrice
Ed eccomi di nuovo qui, con la seconda parte di questa infinita one-shot! Come state?
Scusate il ritardo di un mese esatto, ma gli impegni scolastici mi stanno uccidendo e non so più dove sbattere la testa!! E perdonatemi anche per la lunghezza del capitolo, ma non mi ispirava l'idea di dividerlo in tre o quattro parti! ^^" Spero, comunque, che questa storia vi sia piaciuta. Ho fatto bene a mettere il rating giallo, secondo voi? Cosa ne pensate? Vi immaginavate che sarebbe finita così questa parte? Scrivetemelo in una recensioncina! :3
Come sempre, qualsiasi errore, ripetizioni, frasi sfasate, eccetera eccetera, fatemi sapere e io correggerò! Ringrazio ancora coloro che leggeranno e commenteranno questa storia e, con ciò, vi saluto!

Alla proxima! 

Ciao.

Dio vi benedica. 

Simo_Dowaze Bye ^.^
   
 
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