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Autore: KatherineFreebatch    02/03/2019    6 recensioni
Brian e Roger subito dopo aver aperto la 91a cerimonia degli Oscar.
Il silenzio era leggero, un silenzio confortevole che solo gli amici da una vita erano in grado di creare e sostenere senza dover aggiungere parole. Il silenzio era, anche, accompagnato dai ricordi di notti e situazioni che parevano essere accadute millenni prima.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Roger Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer:  Amo Bri e Roger con tutto il cuore, quindi va da sè che questa storia non voglia mancargli d’un rispetto in nessun modo. Non ve lo devo dire che niente di quello scritto qua sia mai successo nella realtà, vero? L’unica cosa vera è lo smoking di Brian e boy, oh boy, quanto era bello quello smoking?
 



The Millionaire Walz
 


La scarica di adrenalina era stata pesantissima. Vedere l’intera platea di attori alzarsi in piedi per applaudirli era stato qualcosa che mai si sarebbe aspettato. Brian era senza fiato ed il cuore che gli batteva furioso nel petto non lo aiutava di certo a scendere con i piedi per terra. Avrebbe voluto rimanere in quel momento, cullato da quelle sensazioni per ore, anni, addirittura secoli. Ma Roger era di un altro parere.

“Allora?” Chiese.

“Allora, cosa?” Rispose Brian con il fiatone.

“Allora, com’è stato?” Ribattè pronto Roger, le mani sui fianchi ed un ghigno furbo e compiaciuto ad increspargli le labbra.


Il chitarrista rise, lasciandosi andare contro la porta del camerino appena chiusa.

“Rog, mi stai davvero chiedendo se mi è piaciuto?” Chiese inarcando un sopracciglio come a voler porre l’accento sul doppio senso nella frase ed il batterista sogghignò, compiaciuto.

“Ah, tesoro. Lo so che con me ti è sempre piaciuto...” fece, sornione, beandosi dell’espressione a metà tra l’imbarazzato ed il nostalgico dell’amico.

“Questo era il genere di battute che stavo cercando di evitare, Rog.” Rispose Brian, scuotendo la testa e fingendo un disappunto che in realtà non provava. L’altro non si fece distrarre, ma alzò le spalle e cominciò a slacciarsi il gilet dicendo:
“Lo sai che per queste cose puoi sempre contare su di me.” Si grattò la barba ed aggiunse. “E comunque hai cominciato tu.” Risero di gusto entrambi prima che il silenzio scendesse nel camerino mentre cominciavano a cambiarsi e a prepararsi per poter raggiungere le rispettive compagne nell’auditorium del Dolby Theatre.

Il silenzio era leggero, un silenzio confortevole che solo gli amici da una vita erano in grado di creare e sostenere senza dover aggiungere parole. Il silenzio era, anche, accompagnato dai ricordi di notti e situazioni che parevano essere accadute millenni prima.

I ricordi erano annebbiati, confusi dalla stanchezza, dall’alcol e dall’adrenalina causata da un concerto di successo di decenni prima.

 

Sia Roger che Brian riuscivano, però, a ricostruire quasi perfettamente la sensazione delle labbra dell’altro sulle proprie.

 

Non avrebbero saputo spiegare cosa li aveva spinti la prima volta a rotolarsi insieme sul pavimento di un camerino in Giappone; non sapevano se era stata colpa dell’eccitazione derivata dal primo vero tour; se era stato Fred, con il suo modo di fare estroso ed eccentrico, a spingerli ad essere loro stessi e ricercare la consacrazione dei loro desideri più nascosti; o magari, semplicemente, un bicchiere di troppo.

 

Fatto sta che quando Fred si era dileguato con un fan e John era uscito per prendersi una boccata d’aria, loro due si erano guardati, presi in giro ed un istante più tardi era rovinati a terra. Avvinghiati, labbra contro labbra ed il respiro mozzato. Si erano diverti, insieme, ed avevano raggiunto il culmine così, sul pavimento, un po’ per gioco e quasi per sbaglio. Non se ne erano mai vergognati e quasi mai ne avevano parlato.

Ma quella era diventata la loro routine post concerto. Era così che in un primo momento scaricavano l’adrenalina. E quando dal camerino erano passati ad un letto vero e proprio, quando da un contorcersi l’uno sull’altro senza senso e senza ritmo, si erano evoluti in incontri di ore, languidi ed intervallati da baci interminabili, si erano detti che era solo un modo per sentire meno la nostalgia di casa, per avvertire del calore umano e sentire che valevano di più della musica che creavano ogni sera sul palco.

Era una routine che era andata avanti per decenni, non un impegno, ma un piacere personale che perseguivano quando ne sentivamo entrambi la necessità, senza mai sentirsi in colpa. Con gli anni la frequenza era calata, ma non l’intensità delle emozioni e delle sensazioni. Avevano imparato a conoscersi meglio di cinque altro, a riconoscere i desideri ed i bisogni l’uno dell’altro con uno sguardo, un sospiro.

 

Era il loro segreto non segreto. Tutti ne erano a conoscenza, ma nessuno ne parlava. L’unico a cui era concesso accennarvi, seppur solo con un sorriso ed uno sguardo complice, era stato sempre e solo Fred.

Ed era stata proprio la morte di Fred a metter fine a questa loro routine, tanto che si erano sentiti quasi in colpa quando, durante il tour con Paul, dopo il terzo concerto, si erano scambiati un bacio a fior di labbra, come se, riprendere le loro vecchie abitudini fosse uno smacco alla memoria di Freddie, come se stessero fingendo che non fosse successo nulla.

E allora si erano detti che non era più una cosa che gli interessava, che oramai erano diventati adulti, troppo vecchi per una relazione del genere. Ed ogni volta che i loro sguardi si incrociavano dopo un concerto, gettavano acqua su quelle braci ancora calde, pronte a riprendere fuoco se solo loro ci avessero gettato sopra un po’ di paglia.

 

Braci che restavano lì, tiepide, ma testarde in attesa di qualcosa.

Braci che parvero tornare a scottare quando Roger, ora vestito nel suo completo rosso, posò lo sguardo sull’amico: Brian era splendente nel suo smoking di velluto viola. Le spalle messe in risalto dagli Swarovski sparsi sulla giacca. E quei cristalli che gli brillavano sulle spalle e tra i capelli e sui polsi furono la paglia che incendiò Roger.

“Bri...” boccheggiò il batterista, completamente senza fiato. “Stai benissimo. Mio Dio, sei bellissimo.”

Il chitarrista si strinse nelle spalle, un timido sorriso gli increspò le labbra ancora perfette.

“Speravo ti piacesse tutto questo... eccesso.” Disse, fiero. E quando i suoi occhi verde-castano incrociarono lo sguardo ceruleo dell’amico, non lo lasciarono più andare.

“Mi stai dicendo quello che penso tu mi voglia dire, Brian?” Chiese Roger, facendo un passo avanti ed alzando una mano verso l’altro.

Brian afferrò le sue dita e se le portò al viso. Strofinò la guancia contro quel palmo morbido e sorrise, certo che a quel punto le parole fossero inutili.

Un istante più tardi le loro labbra si incontrarono, leggere e delicate. Sussultarono quando, per un attimo, gli parve come di tornare a casa, riconoscendo quanto, nonostante gli anni passati, poco fossero cambiati entrambi. A quel bacio ne seguì un altro ed un altro ancora finché i sorrisi ampi di entrambi non li obbligarono a fermarsi.

Le dita di Roger si fecero strada tra i ricci candidi di Brian, mentre con l’altra gli accarezzava una guancia.

Si guardarono negli occhi per un istante, senza dirsi nulla, poi Roger scoppiò a ridere.

“Siamo stati proprio bravi là fuori, prima.” Ed il chitarrista annuì, stringendogli i fianchi. Si leccò le labbra e Roger restò per un istante ipnotizzato.

“I migliori.” Decretò Brian abbandonando la sua proverbiale modestia per un istante. Assottiglio lo sguardo quando vide Roger prender fiato per parlare.

 

“Allora...” cominciò, titubante il batterista. “Stasera?” Aggiunse dopo un istante, le sopracciglia inarcate in una smorfia maliziosa.

Brian ride di gusto.
“Stasera,” borbottò, posandogli un bacio sulla fronte. “Sempre che non ci addormentiamo prima.”  

Si strinsero forte tra le risate e per un istante entrambi avrebbero potuto giurare di aver sentito la risata cristallina di Fred mentre sussurrava un:
 

Oh, tesori. Ce ne avete messo di tempo per mettere la testa a posto...”

   
 
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