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Autore: Pervinca95    02/03/2019    10 recensioni
Gea e Deimos sono tornati.
Gea, una semplice ragazza dello Iowa la cui vita è stata stravolta in una notte, e Deimos, un ragazzo tanto affascinante quanto misterioso che non conosce i buoni sentimenti, si ritroveranno a lottare insieme per mantenere un equilibrio che rischia di saltare.
Un ottovolante di azione, misteri, colpi di scena, poteri che si intrecciano come rampicanti e emozioni che sbocciano come fiori di pesco ove meno ci si aspetta.
Tutto questo è "I misteri del tetraedro", l'inizio e non la fine.
*
È necessario aver letto "I poteri del tetraedro" per poter capire.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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Capitolo 7





Quando Gea si risvegliò il sole era già stato sepolto dietro una vasta montagna. Le stelle brillavano come diamanti incastonati in una tela e l'aria era leggera e fresca mentre le accarezzava il viso. 
I suoi occhi si ritrovarono a guardare fuori dalla vetrata accanto al divano su cui era adagiata. 
Pensò di essere morta quando il suo sguardo si allungò sull'immensa distesa di pini, abeti, rocce e fiumi sotto di lei. Era chiusa in una casa, eppure le sembrava di aver scalato un'intera montagna per godere di quello spettacolo mozzafiato. 
Il blu del cielo, con i suoi mille sfavillii, incorniciava uno scenario fatto di natura incontaminata, essenze pure e vita. 
Era uno dei posti più belli che avesse mai avuto il privilegio di vedere. Ed era lì, praticamente sotto i suoi piedi. 
Ruotò gli occhi per studiare lo spazio circostante.
L'unica luce della stanza proveniva da un grande camino in pietra, al cui interno scoppiettavano scintille di vivido fuoco e dove la legna si depositava in cenere.
Il pavimento era in legno, il soffitto a travi e spiovente, e le pareti bianche come lenzuola. Non era un ambiente grande, ma così accogliente e caldo da farle desiderare di non abbandonare più quel posto. 
In tutto questo, cercò Deimos con lo sguardo. Si alzò lentamente dal morbido divano, accusando un momentaneo capogiro, ed ispezionò la piccola baita in cui si trovava. 
Per ultimo salì le scale e si fece strada attraverso una porta socchiusa.
Quando l'aprì rimase senza fiato.
Era la camera da letto più bella che avesse mai visto, ma non per la mobilia, quella era semplice e nel rustico stile di tutta la casa. Era l'enorme vetrata davanti al letto che lasciava a bocca aperta. 
Da lì si poteva godere di una vista aerea su tutta la valle. 
A Gea sembrò di essere su un parapendio e di star facendo una passeggiata nel cielo. Volava con gli occhi in mezzo alle stelle, e poi giù in picchiata tra le insenature delle montagne, e di nuovo su a sfiorare le cime pungenti degli alberi.
Sentiva il battito della terra scandire il tempo assieme al suo. Intrecciati come i fili del disegno attorno al suo ombelico. 
Quando udì la porta d'ingresso sbattere, sbarrò un attimo gli occhi per lo spavento. Poi, al pensiero che si trattasse del ragazzo, si precipitò fulminea giù per le scale.
Se avesse osservato per un altro po' oltre la vetrata, si sarebbe resa conto di come le sue emozioni influissero sullo scenario naturale sottostante. Gli alberi si muovevano tutti secondo lo stesso movimento, come onde di un mare verde e frusciante.
Gea arrestò il passo sul penultimo gradino, le gemme ambrate fisse negli zaffiri di lui.
<< Ciao >> gli disse, il cuore in tumulto.
Avrebbe voluto colmare la distanza che li separava e abbracciarlo, ma si trattenne. 
Se ripensava a quando, invece, avrebbe voluto colmare quella stessa distanza solo per colpirlo con violenza, le scappava un sorriso. 
Deimos rimarcò il viso di lei attraverso un rapido quanto attento sguardo. Le rivolse solo un secco cenno del capo, dopodiché avanzò in direzione del salotto.
Gea aggrottò la fronte. 
Di certo non si aspettava che lui la inondasse di parole o che corresse a stringerla tra le braccia, ma neanche quella totale indifferenza. 
Cercò di non darci troppo peso e lo seguì a ruota. 
<< È un posto bellissimo >> gli disse indicando il paesaggio oltre la finestra. << Dove siamo di preciso? >> 
<< Deer Valley >> rispose laconico, entrando in cucina. 
La ragazza lo pedinò anche stavolta. Si appoggiò coi palmi al bancone al centro della stanza e si dondolò sui talloni mentre lui si riempiva un bicchiere d'acqua dal rubinetto. 
<< Anche la casa è molto bella >> continuò per colmare il pesante silenzio. << C'eri già stato? >> 
Deimos si voltò a guardarla. << Una volta. >> 
Lei annuì mentre tamburellava le dita sul pianale. Non capiva il perché di quel suo atteggiamento tanto scostante. Era dal giorno prima, da quando si era ripresentato all'alba, che le rivolgeva a malapena la parola ed evitava i suoi sguardi. 
In cosa aveva sbagliato? 
Aveva creduto che dopo l'allenamento le cose avrebbero ripreso la solita piega, invece, se possibile, erano persino peggiorate. 
Il ragazzo piantò gli occhi sulle sue dita che picchiettavano contro il bancone, infastidito. << Smettila. >>
<< Mi spieghi cosa ti succede? >> gli domandò, ignorando la sua richiesta. << Cosa ti ho fatto per meritarmi tanta indifferenza? >> 
Lui sollevò un sopracciglio. << Ti aspetti un trattamento diverso solo perché abbiamo condiviso il letto? >> 
Gea tirò indietro la testa senza fiato. Il modo affilato con cui le aveva rifilato quelle sprezzanti parole le trinciò il cuore a metà. 
Le fece più male di qualsiasi altro colpo le fosse stato inferto. 
Sentiva lo stomaco sconquassato, le gambe pesanti e la mente appannata dal caos.
Non poteva credere che stesse succedendo per davvero. E soprattutto in modo tanto repentino. 
Strinse gli occhi e scosse debolmente la testa, non comprendendo la brutale freddezza degli zaffiri che la fissavano. Possibile che fossero tornati davvero indietro nel tempo? 
Sentiva che qualcosa non andava. 
Si passò due dita sulle tempie doloranti, di cui una ancora fasciata, e fece appello a tutto il suo autocontrollo per non lasciarsi sfuggire neanche una lacrima. << Che cosa ti è successo? >> insisté seria. 
<< Sono sempre lo stesso >> scandì lui, incrociando le braccia sul petto. << Smetti di voler vedere qualcosa di diverso. >> 
<< No, accidenti >> sbottò la ragazza, battendo una mano sul pianale. << Sei tu che devi smetterla di non vedere niente di buono in te. >>
Lo stomaco di Deimos ebbe una fitta. 
Buono. Un termine che non faceva parte del suo vocabolario e che non si sarebbe mai immaginato di sentirsi rivolgere. 
Qualcosa di buono in se stesso... Al solo pensiero gli venne la nausea.
<< La tua ingenuità è imbarazzante >> sputò riluttante.
<< Ah davvero? Eppure ti conosco abbastanza bene da sapere che il tuo atteggiamento è l'anticamera di qualcos'altro. >> Gea si sporse sul bancone, le gemme ambrate ridotte a due fessure. << Da cosa stai scappando, Deimos? >> 
Avvenne tutto in un battito di ciglia. 
Lui si teletrasportò ad un passo da lei; era così vicino che Gea poté sentire il suo respiro agitato sul viso. << Non sai niente di me. E ti conviene restarne fuori >> le intimò minaccioso, lo sguardo talmente affilato da darle quasi l'impressione di esserne graffiata.
Un sopracciglio di Gea scattò in alto. << Altrimenti? >> 
<< Basta >> marcò lui tra i denti. 
La ragazza retrocesse di un passo. << Deimos io non ho paura del tuo passato, e non ho paura di te. >> 
<< Perché credi che non sarei capace di fare le stesse cose? Credi che sia cambiato?  >> la schernì con un sorrisino maligno. << Svegliati, umana. >> 
<< Io non voglio cambiarti >> contrattaccò lei, seria. << E non vorrei che tu diventassi qualcun altro. >> 
Il ragazzo le studiò il volto in silenzio. Le sue pozze ambrate erano ardenti e severe, i suoi morbidi lineamenti tesi. Notò che un serie di graffi le coprivano un lato della mandibola.
<< Allora non provocarmi >> le disse tagliente. << Rispetta i tuoi confini. >>
Gea sgranò gli occhi in un lampo. << Rispettare i miei confini? Sei stato tu a trattarmi come uno zerbino per non si sa quale motivo. Ed io non dovrei permettermi di cercare una spiegazione? >> vociò su tutte le furie.
Il bicchiere nell'acquaio tremò assieme agli altri utensili della cucina, la luce sfarfallò per qualche secondo. 
<< Perché non provi ad essere sincero con te stesso per una dannata volta? >> sbottò da ultimo. 
Nel momento in cui picchiò una mano sul pianale, il boato di un tuono si propagò per la silenziosa valle. 
Deimos strinse la mandibola talmente forte da rischiare di farsi saltare un dente, i suoi zaffiri sprizzavano lampi di rabbia. << Non provocarmi >> ripeté lentamente. 
Gea lo ignorò. Era così arrabbiata da volerlo quasi prendere a schiaffi. << Te lo dico io da cosa stai scappando >> continuò imperterrita. << Da te stesso. È quello che fai sempre quando qualcosa sfugge al tuo controllo. Ma sei... >> 
<< Sta' zitta >> gridò lui, furioso. 
Gea sobbalzò per lo spavento. Non lo aveva mai sentito alzare la voce in quel modo. Avevano discusso tante volte, anche in maniera accesa, ma quella era la prima volta che esplodeva con una tale irruenza. 
Così diverso dai toni graffianti, calcolati e freddi con cui contrattaccava nei primi tempi in cui litigavano. 
<< Sono stanco di sentire le tue assurde supposizioni. Sono stanco di averti sempre tra i piedi >> eruppe lui. << Non hai minimamente idea di quanto ti detesti. >> 
La ragazza accusò ognuna di quelle stilettate con apparente imperturbabilità. 
Per quanto quelle parole le avessero scavato un solco nel cuore, frantumandolo, la rabbia che provava era superiore alla delusione. Voleva spingerlo a parlare, a fargli confessare il reale motivo per il quale aveva issato una corte di ferro tra loro. 
<< Sei stanco delle mie assurde supposizioni? Allora parla tu >> lo invitò con un gesto della mano. << Cosa ti frena? Hai detto di odiarmi, no? Sei libero di vomitarmi addosso tutto il tuo disprezzo. >>
I loro occhi si fusero in uno sguardo turbinoso. 
Gea rimase catturata dall'intensità felina dei suoi zaffiri.
Pensò che snodarsi tra quelle sfumature blu fosse come spingersi nelle profondità dell'oceano, là dove tutto è buio e indistinguibile. Ed una volta scesa era difficile sapere da che parte andare, ricostruire la corrente dei suoi pensieri. 
Ma sapeva che là, in quella fitta oscurità, si celava il suo passato. Un passato dal quale, era sicura, spesso cercava di fuggire. 
Leggeva quello sforzo nei suoi occhi pieni di rabbia e frustrazione, lo intuiva dalla posa rigida del suo corpo, lo esplicitavano i tagli sulle sue nocche. 
E mentre la mente le sciorinava pensieri, il ragazzo la stupì con la sua azione: le diede le spalle e mosse dei passi per allontanarsi.
Si sarebbe aspettata un altro urlo in faccia, un'altra minaccia, ma mai che battesse in ritirata. 
In quel momento capì quanto la questione per la quale stavano discutendo fosse per lui gravosa. Non sapeva di cosa si trattasse, ma il fatto che si ostinasse a tacere le fece capire quanto gli fosse difficile sputare il rospo. 
Gran parte della rabbia che provava si sgonfiò come un palloncino.
<< Tu pensi di non meritare niente di diverso da quello che hai avuto per tutta una vita >> gli disse, il tono fermo e pacato. 
Deimos si bloccò sul posto, le spalle rigide. 
<< E quindi scappi per riassumere il controllo, proprio come hai fatto due notti fa. Ma tu non sei un mostro >> concluse decisa.
Ciò che avvenne dopo si consumò nel fugace spazio tra due secondi. 
Il ragazzo ritornò rapidamente sui suoi passi, le si piazzò davanti e la chiuse tra il suo corpo ed il bancone, le mani artigliate al pianale per bloccarla. 
I suoi zaffiri lanciavano saette di rabbia. Erano così carichi di emozioni da essere la perfetta descrizione di un oceano rimestato dalla tempesta. << La vuoi sapere una verità davvero scomoda al tuo ragionamento? >> le ringhiò ad un centimetro dal viso. << Ho ucciso io il tuo predecessore. Sono stato io. Pensi ancora di conoscermi? Con quanta sicurezza adesso diresti che non sono un mostro? >>
A Gea mancò il pavimento sotto i piedi. Si sentì svenire, crollare come un corpo morto.
A tenerla in piedi furono solo i nervi, perché la mente le si era svuotata. 
Il cuore le batteva all'impazzata, le tempie le martellavano, i palmi le sudavano, lo stomaco le si stringeva come per intimarle di vomitare. 
L'unica cosa che il suo cervello continuava a ripetere era: non è vero, non sta succedendo davvero. È un incubo.
Il dolore che stava provando era devastante. Se l'avessero pugnalata dritta al cuore avrebbe sofferto meno, perché il pensiero che la persona che amava avesse stroncato la vita di un innocente era deleterio. 
Un innocente che aveva sentito familiare fin da subito e a cui lei doveva tanto. 
Le lacrime le riempirono gli occhi. 
Gli doveva quel potere enorme, gli doveva la voglia di vivere, gli doveva ogni goccia di sudore che aveva versato per scoprire se stessa, di cosa fosse capace, gli doveva tutto.  
Non poteva essere vero. Era troppo brutto perché lo fosse. 
<< Che... che dici? Non... >> Le mancò il fiato per continuare, perché nello sguardo in cui si stava specchiando lesse la spaventosa sincerità che non avrebbe mai voluto trovare. 
Non era una bugia. 
Lo stomaco le si compresse di nuovo. Nel terreno della vallata sottostante si spalancò una voragine.
<< Perché? >> chiese, le labbra che tremavano, il volto cianotico. << Perché l'hai fatto? >> Scavò nei suoi impenetrabili zaffiri con urgenza. << Perché, Deimos? >> Il suo tono si alzò di qualche ottava. << Perché?! >> gridò infine, scagliandosi contro il suo petto con dei pugni. 
A quel punto esplose a piangere in singhiozzi così forti da scuoterle le spalle. 
Deimos la sorresse per i gomiti mentre lei si lasciava scivolare a terra, l'espressione fredda. 
<< Perché? >> ripeté lei, coprendosi la fronte con i palmi, la testa appoggiata allo sportello contro cui era appoggiata e lo sguardo perso sul soffitto. << Era innocente. >> 
<< Era debole >> disse lui, seduto sui talloni davanti a lei.
A quel punto Gea atterrò con lo sguardo sul ragazzo. << Debole? >> Quella parola le sdrucciolò sulle labbra tremolanti, come se ripetendola potesse acquistare un significato diverso. << Tu gli hai tolto la vita perché secondo te era debole? >> 
Un singhiozzo le risalì dalla gola. 
<< Davvero, Deimos? Perché era debole? >> 
Il giovane si limitò ad osservarla mentre lei si passava le mani sul viso e veniva scossa da un singhiozzo dopo l'altro. 
<< Esiste qualcosa a cui dai valore?! >> scoppiò la ragazza, inforcandolo con i suoi occhi rossi e gonfi di lacrime. 
Per la prima volta, lo stomaco di Deimos si serrò in una morsa.
<< A cosa dai importanza, eh? Solo al tuo potere, alla forza, al controllo, alla disciplina? Ma spiegami, Deimos, spiegamelo! Cosa sarebbe tutto questo senza la vita? >> urlò picchiando una mano per terra. << Hai idea di che regalo sia aprire gli occhi ogni mattina? Hai mai pensato che disponi del dono più grande in assoluto? O è tutto scontato? >> Buttò gli occhi al soffitto e inspirò dalla bocca mentre le lacrime le planavano sulle gambe. Poi scosse il capo e ripiantò le sue gemme ambrate negli zaffiri di lui. << La vita è un dono che non fa differenze di alcun genere, non importa se sei debole, fragile o solo! >> Batté un altro pugno a terra, la voce rotta dal pianto. << È concessa generosamente e ognuno ha il dovere di rispettarla. >> 
Deimos rimase in silenzio. Lì, appoggiato sui talloni, gli occhi incollati al volto stravolto della ragazza e l'espressione impassibile, come se nulla riuscisse a toccarlo. 
Ma il fatto che ad ogni lacrima che vedeva versare alla ragazza, la sua mascella si irrigidisse, il fatto che il suo stomaco fosse accartocciato come una pallina di carta e che il senso di colpa che nei giorni precedenti si era solo accennato ora lo stesse schiacciando senza che lui gli resistesse, erano una prova che non era rimasto del tutto immune alle parole di lei. 
<< Avevi detto... >> Un singhiozzo strozzato le spezzò il respiro. << Avevi detto che lui si è tolto la vita, che tu non puoi eliminare nessun elemento. >> Aveva un disperato bisogno di sapere che non era vero, che lui non aveva fatto niente di tutto ciò che diceva. Non riusciva a rassegnarsi. Neanche una cellula del suo corpo riusciva a farlo.
<< Ho insinuato il terrore nella sua mente, dopodiché ho distrutto il suo punto alfa. Si è ucciso in preda alla pazzia e al dolore >> confessò il giovane, il tono distaccato. 
Gea sbiancò. 
Sarebbe una morte lenta e consapevole. Quando avrai bisogno di energie non le troverai. Il tuo corpo verrà annientato internamente dal peso di un potere che per sopravvivere divorerà ogni briciolo di energia che possiedi. Un organo dopo l'altro sopperirà, impazzirai di dolore fin quando il tuo potere non risucchierà anche l'ultimo battito.
Il ricordo di quelle parole le spezzò gli ultimi frammenti ancora intatti del suo cuore. 
Le girava la testa, vorticava così forte da farle provare il forte impulso di vomitare. 
Era così assuefatta dal dolore e dalla disperazione che non si rese conto di come le tremassero le labbra e le mani. E con lei anche una larga fetta di terra, molto più estesa di quanto fosse mai stata in precedenza.
In un luogo dopo l'altro si aprirono faglie profonde e strette, esattamente come le tante ferite che le stavano trinciando l'anima.
Strinse i capelli così forte tra le dita da rischiare di strapparseli. << Dimmi che non è vero. Dimmelo, ti prego >> la voce le si spezzò mentre la consapevolezza che, invece, fosse tutto reale la coltellava. 
Il petto e lo stomaco le dolevano come se avesse ricevuto dei calci. E la sua mente, come per un brutto scherzo, non faceva che immaginare un'ipotetica scena in cui il ragazzo che amava guardava implacabile il suo predecessore morire. 
<< Non ti penti di nulla? >> gli chiese, il sapore salato delle lacrime sulla lingua. 
Deimos la fissò dritta negli occhi. 
Che cos'era il pentimento? Lui non era mai tornato sui propri passi, incerto di un'azione. Quando agiva lo faceva con la certezza che fosse la cosa giusta. Giusta per lui, per come gli era stato insegnato ragionare.
E non esisteva il ripensamento, era tutto basato su regole, leggi impartite, confini ben precisi. 
Erano quelle gemme ambrate che stavano mandando tutto all'aria, perché per la prima volta non era più sicuro di cosa fosse giusto o sbagliato. 
Giusto per lui, per come stava ragionando.
<< Non cambierebbe nulla >> asserì soltanto. 
<< Ti sbagli >> replicò Gea, intanto che un singhiozzo le scuoteva le spalle. << Lui non tornerebbe in vita, ma sarebbe ricordato con dignità. >> 
A quel punto lei adagiò la nuca allo sportello dietro di sé ed abbandonò lo sguardo sul soffitto, la testa che le martellava e le lacrime che continuavano a scendere copiose. 
Deimos rincorse il percorso di una di quelle gocce lungo il profilo della sua mandibola, poi spostò gli zaffiri sulle sue pozze d'ambra liquida.
Non le aveva mai visto un dolore tanto grande dipinto sul volto, quella luce spenta, quella fragilità così apertamente esposta. 
E allora provò rabbia. 
Si sollevò rapidamente in piedi, con la medesima velocità con cui Gea sgranò gli occhi nell'intuire la sua volontà di allontanarsi. 
Con notevole fatica, viste le gambe deboli, si tirò su e lo agguantò per il polso prima che lui girasse i tacchi. 
I duri zaffiri di Deimos si incagliarono nelle pozze supplicanti di lei. 
<< Non andartene >> lo pregò, la voce ridotta ad un sussurro. 
Il ragazzo strinse gli occhi e le si avvicinò lentamente per chiuderla tra lui ed il bancone. 
La guardò fissa in volto, inclinando il capo per cercare di capirla. << Cosa c'è che non va in te? >> sibilò, il respiro concitato. << Dovresti urlarmi che sono un mostro, che merito di scomparire dalla faccia di questo pianeta, che... >>
<< No, no >> disse velocemente lei, scuotendo la testa come se non sopportasse quelle parole. Gli prese il viso tra le mani tremule e congelate. << Tu non sei un mostro. Smettila di ripetertelo, smettila di farti del male. >> Un'altra lacrima le solcò le guance.
Detestava il crimine di cui si era macchiato, ma il fatto che lui dovesse conviverci non le dava ugualmente tregua. 
Perché lo vedeva dalla luce colpevole nei suoi occhi, lo aveva capito dal modo in cui aveva voluto tenerglielo nascosto, lo aveva intuito dalla sua risposta: lui era pentito. 
Come doveva essere vivere con un peso di quel genere? Sopportarlo da solo, sforzandosi giorno per giorno di relegarlo in un meandro buio, senza mai concedersi di sbarellare. 
Adesso capiva che il rigore con cui cercava di tenere tutto sotto controllo, quel suo modo di ragionare freddo e implacabile erano una protezione. Perché se si fosse concesso di abbassare la guardia, di far penetrare la luce nella sua mente attraverso le emozioni, il carico del passato lo avrebbe sommerso.
Deimos strinse forte i denti. << Sono uguale a mio padre, identico a chi ho odiato. >> Strinse i pugni sul bancone mentre una caterva di orribili ricordi gli offuscava la vista.
Gli sembrò di sentire puzzo di bruciato e la pelle in fiamme, di percepire i gelidi occhi di suo padre che lo osservavano mentre impazziva di dolore, e poi rivedeva se stesso, anni dopo, mentre ascoltava le urla della sua vittima con lo stesso sguardo di suo padre. Implacabile, mostruoso. 
<< No, Deimos. >> Gea lo accarezzò delicatamente sugli zigomi coi pollici. << Tu non sei lui. >> Le sfuggì un singhiozzo dalle labbra mentre quegli zaffiri la guardavano con la solita perforante intensità, eppure con una sfumatura nuova. Una sfumatura che apriva un varco nella sua interiorità. 
E fu attraverso quel piccolo spazio che intravide una fragilità celata con inclemenza. Vide un bambino piccolo, solo e massacrato di allenamenti. Lo vide seduto in un angolo, con le piccole gambe al petto e la pelle piena di lividi e ferite, senza che un adulto si curasse di lui, gli porgesse una carezza. 
Intravide un dolore così desolante e vivido da pugnalarle il cuore.
Gli gettò le braccia al collo e lo attirò a sé in maniera protettiva. << Tu non sei lui >> ripeté tra le lacrime. 
Da principio Deimos restò rigido, così inesperto di quel genere di dimostrazioni. Poi, però, si lasciò guidare da ciò che provava. E così chiuse gli occhi ed abbandonò la fronte sulla spalla di lei in un gesto del tutto arrendevole. 
<< Perché io l'ho visto >> proseguì Gea, il tono concitato. << Ho visto quanto di buono ci sia in te. E non sono stata io a volerlo vedere, sei stato tu a mostrarmelo. >> Gli accarezzò i capelli, gli occhi persi sul soffitto. << Tu stai ancora permettendo a tuo padre di derubarti della vita. Io... >> Si morse un labbro, le lacrime che sgorgavano senza sosta. << Io lo so che quando fuggi lo fai perché credi di non meritare nulla, neanche una risata. Ma non è così. Tuo padre non ti conosceva, ha voluto farti entrare con la forza il suo stesso vestito. E... e quando scappi dimostri quanto quel vestito non ti calzi, perché tu non sei come lui. Tu sei molto di più, molto più di un potere. >> Lo strinse forte a sé e continuò a dargli quelle carezze che non aveva mai ricevuto. 
Dalle labbra del ragazzo uscì un sospiro tremulo. 
Si sentiva come se qualcuno lo stesse spronando a nuotare contro corrente, ma più avanzava e più si sentiva leggero, un peso dopo l'altro cadeva nelle profondità del mare.
<< Come fai a vedere tutto questo in me? >> le chiese, il tono basso. 
Girò appena il viso, gli occhi ancora chiusi, ed accostò la fronte contro il suo collo. Ne inspirò il profumo, si rifugiò in quel piccolo antro caldo. 
<< Perché guardo te, Deimos >> rispose piano Gea, tirando su col naso. << E non il falso riflesso che ti hanno costretto a vedere. >> 
Pensò che il loro passato fosse, per certi versi, simile. I suoi genitori le avevano inculcato il pensiero di essere un'incapace, sempre un gradino sotto agli altri. Era stata così tanto plagiata da quelle parole che aveva finito per identificarsi come qualcuno che non era. Similmente, ma in maniera più brutale, il ragazzo aveva subìto la stessa violenza psicologica capace di alterare la sua visione di sé.
Passò le dita sulla sua nuca e lo strinse ancora a sé. 
Avrebbe voluto schermare la sua mente e proteggerlo da quel passato che ogni giorno lo feriva. Avrebbe voluto rimpiazzare ogni suo brutto ricordo con uno bello e mostrargli il lato meraviglioso della vita. 
Perché non gli era stato insegnato neanche quel valore, nemmeno quando si trattava della propria di vita. 
Ma come poteva un bambino imparare il valore della vita quando veniva puntualmente portato ad un passo dal perderla? 
Qualcuno si era mai curato del fatto che lui, piccolo e solo, potesse aver paura anche solo di svegliarsi, sapendo cosa lo aspettava ogni giorno? 
E allora capì che crescere in quel modo non faceva vedere la vita come un regalo, ma  come una condanna. 
Un'altra lacrima le scivolò giù per la guancia. Chiuse gli occhi e rifugiò il viso sulla sua spalla mentre lo stringeva forte.
Deimos allungò le mani e le cinse i fianchi, ghermì la sua maglietta come se temesse che lei potesse scomparire. 
Quel che provava in quel momento era la cosa più strana e insolita che gli fosse mai capitata di provare. Gli sembrava di essere entrato in una stanza calda, permea di un calore così piacevole da indurlo a sentirsi a casa pur non sapendo cosa questo significasse, la porta chiusa e al di fuori tutto ciò che lo opprimeva. E solo in quella stanza riusciva a sentirsi leggero, sereno, realmente in pace.
Restarono in quella posizione per alcuni minuti, senza che nessuno dei due muovesse un muscolo per spostarsi. 
<< Deimos? >> lo chiamò ad un tratto lei. 
<< Mm? >> 
<< Io vorrei... vorrei andare sulla tomba del mio predecessore >> gli confessò, la voce incrinata dal pianto. 
Lui allentò la presa sulla sua maglia e si tirò su dritto per guardarla negli occhi. Li trovò rossi e lucidi come uno specchio d'acqua, pieni di quel desiderio che gli aveva appena espresso, pieni di accorata speranza.
E così annuì. 
Scivolò col braccio fino ad avvolgerle il polso, per poi sentire le dita della ragazza che si facevano strada lungo il suo palmo e gli ammantavano la mano in maniera soffice. 
Lo stomaco gli diede una stilettata.
Abbassò gli zaffiri sull'insolita situazione in cui si trovava la sua mano. 
Notò come le esili e fredde dita della ragazza si alternassero alle sue, ne percepì la fragilità e la forza con cui si aggrappavano alla sua mano, quasi come se temesse di cadere. 
Poi sprofondò nelle pozze ambrate di Gea.
Il cuore della giovane impennò ulteriormente di fronte all'intensità di quegli zaffiri che sembravano voler scandagliare i suoi pensieri.
Ma poi lo scenario cambiò. Si guardò intorno mentre il suo cervello registrava quel repentino cambiamento. 
Delle fioche luci proiettavano sbiaditi bagliori su un tappeto d'erba da cui si ergevano innumerevoli lapidi. 
Gea pensò che in quel luogo le lancette avessero smesso di misurare lo scorrere del tempo, complice il chiarore della luna che pareva una ragnatela stesa su tutto lo spazio.
Lasciò che i suoi occhi abbracciassero tutta l'area visibile. Lesse alcuni nomi incisi sulla  fredda pietra delle lapidi, osservò le foto che li ritraevano sorridenti. E pensò che, probabilmente, quando si erano lasciati scattare quelle foto avevano progetti, sogni nel cassetto, la certezza di avere tempo per realizzarli. 
<< Capisci quanto sia preziosa la vita? >> bisbigliò continuando a guardarsi intorno. 
Deimos stese lo sguardo nella direzione di quello della giovane. 
<< Loro darebbero tutto per riaverla >> la sentì dire mentre tirava su col naso. 
Gli zaffiri del ragazzo ispezionarono quel luogo.
Nuvole di umidità si sollevavano dal terreno fresco di pioggia per volteggiare nel buio della notte. Il debole fruscio dell'erba smossa dal vento ed il frinire dei grilli riempivano uno spartito altrimenti vuoto.
E poi vide la foto di un ragazzo dai lineamenti sottili e lo sguardo sorridente. Ricordò quegli stessi occhi che lo guardavano con terrore. 
Indurì la mascella. << È là. >>  
Gea seguì la sua indicazione con la testa. << Ti va se ci avviciniamo? >> Cercò i suoi zaffiri, per poi notare che erano ancora fissi sulla lapide del suo predecessore.
E con questo fece caso anche alla sua postura più rigida, alla tensione che gli attraversava il volto, alla forza del suo sguardo. 
E allora capì che in quel momento la sua mente era assorta in ricordi pieni di dolore. Capì che quei ricordi gli stavano facendo del male. Capì che la mole di quel passato lo stava sommergendo per essersi permesso di provare il senso di colpa. 
Si rifugiò contro di lui e chiuse gli occhi mentre appoggiava la guancia sul suo petto, la mano ancora più stretta nella sua. << Andiamo? >> gli chiese piano. 
Voleva portarlo via da quel dolore, lontano da ciò che lo feriva. 
<< Torniamo a casa >> aggiunse puntellando il mento sul suo torace per guardarlo. 
Deimos abbassò gli occhi in quelli rossi e lucidi della giovane. 
Una sensazione diversa da quella opprimente che stava provando si fece strada dentro di lui. Percepì la tensione mollare la presa, sostituita da un calore strano, capace di propagarsi per ogni centimetro del suo corpo e di farlo sentire più leggero. 
Come se una casa lui ce l'avesse veramente. 
Il tempo di rilasciare un respiro che erano di nuovo nella piccola baita di Deer Valley.
Gea gli sorrise dolcemente nella penombra della camera, per poi incollare la fronte contro il suo petto ed emettere un sospiro stremato. 
Le bruciavano gli occhi come se ci avesse versato gocce di benzina, le doleva la testa e sentiva le gambe pesanti come colonne di cemento armato. 
<< Vai a letto >> le ordinò spiccio il ragazzo.
Eppure, nonostante tutto, il suo cuore non riusciva a non battere più forte per lui. 
<< Solo se vieni anche tu >> gli disse. 
Deimos la esplorò con lo sguardo. 
Nonostante quello che le aveva confessato, lei persisteva a non respingerlo. E più cercava di capirla, più si ritrovava ingarbugliato in interrogativi che non aveva mai avuto per nessuno. 
Come la sua mano. Perché le dita di lei erano ancora avvolte alle sue? Perché non si era ancora ritratto? Non aveva ricambiato la sua stretta, non aveva quasi idea di come si facesse, ma non aveva neanche deciso di scacciarle la mano, con quello strano tepore che al momento gli stava riscaldando il palmo. 
<< Vai a letto >> comandò di nuovo, il tono più basso. 
<< Tu verrai? >> 
<< Vai >> le ripeté perentorio. 
A quel punto Gea emise un sospiro e fece scivolare via le dita da quelle di lui, poi montò sul letto a carponi, lanciò via le scarpe e crollò su un fianco. 
Quella sera i nervi le avevano risucchiato ogni energia. Ma, di nuovo, malgrado la stanchezza il suo cuore accelerò i battiti quando percepì il materasso piegarsi sotto il peso del giovane.  
Si ritrovò a sorridere mentre lo guardava sistemarsi un braccio dietro la nuca, come sempre. 
E così gli rotolò vicina, depose la testa sulla sua spalla e la mano sulla sua maglietta. E si sentì bene, come se fosse finalmente arrivata a casa.
Alzò il viso ed osservò il ragazzo, i cui zaffiri erano inchiodati al soffitto, persi in qualche pensiero. 
Si domandò se stesse ricordando il suo predecessore, che cosa avesse smosso in lui rivedere il suo volto in una foto. 
<< Come sapevi dove è sepolto? >> gli chiese in un sussurro. 
Deimos tacque per svariati secondi, nello sguardo un turbine di immagini. << È l'unico cimitero del paese in cui è morto. >> 
Gea annuì mentre la mente le si ingolfava di riflessioni. Pensò allo strazio che aveva sopportato la famiglia di quel giovane, a tutte le lacrime che forse stavano ancora versando. A quello che aveva dovuto provare sua madre. 
Ed insieme a quel pensiero, pensò ad un'altra di donna. Una avvolta nel mistero.
<< Perché non parli mai di tua madre? >> gli domandò d'impeto.
Deimos si voltò immediatamente a guardarla. 
Ben presto si ritrovò immerso in un lago di colori caldi, una fonduta d'ambra col potere di fargli dolere lo stomaco e scombussolare i pensieri. 
<< Non so chi sia >> asserì secco, prima di risollevare lo sguardo sul soffitto. 
Gea non deviò l'attenzione dal volto del ragazzo. 
Pensò che forse una madre avrebbe potuto dargli il calore che non aveva mai avuto, avrebbe potuto insegnargli che esistevano anche le carezze nel suo mondo fatto di violenza, che esistevano delle braccia da cui poter correre. 
Ma era stato privato anche di quello.
Abbassò la testa e si soffermò a guardare la sua mano sul petto di lui. 
Aveva ancora tante domande sulla punta della lingua, ma così poca forza per porle.
Gli occhi le si chiusero pesantemente. Si costrinse a riaprirli per poter dedicare un altro sguardo alla sua mano su di lui.
Poi, pian piano, sprofondò nel sonno. Si addormentò con quell'immagine dietro le palpebre, con la convinzione che le sue dita non si sarebbero mai allontanate dal suo cuore, che lo avrebbero custodito e protetto giorno dopo giorno.
Deimos percepì il respiro più pesante della ragazza. 
Calò con lo sguardo su di lei e la osservò per qualche minuto.
Esaminò la sua tempia fasciata, il suo viso delicato e piccolo, la sua mano aperta che gli procurava calore nel punto in cui lo toccava.
Inspirò profondamente e si mise a guardare oltre la vetrata davanti al letto, là dove in mezzo al buio risplendevano sprazzi di luce. 
Ripercorse le immagini di quella sera, impresse nella mente come marchi: le pozze ambrate della giovane sgranate e incredule, le sue lacrime, le sue mani che lo stringevano forte a sé, il suo sorriso stanco e poi la foto del ragazzo a cui aveva stroncato la vita. 
Esiste qualcosa a cui dai valore?
Quelle parole gli risuonarono nella mente come un'eco.
Spostò gli zaffiri sulla giovane che dormiva abbracciata a lui, li saldò sulla sua figura ancora una volta, ispezionò ogni centimetro del suo viso come se dovesse riprodurne un ritratto. 
Poi chiuse gli occhi, si concentrò sul lento respiro che le usciva dalle labbra. Esattamente come ogni altra volta che aveva deciso di dormire con lei al fianco, come se quel suono di vita fosse per lui una ninna nanna.
Si addormentò così, nelle orecchie il suo respiro.
Sul cuore, la sua mano. 
Esiste qualcosa a cui dai valore?























 

  
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