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Autore: L S Blackrose    02/03/2019    2 recensioni
Eric è uno dei leader degli Intrepidi. Freddo, calcolatore, spietato e crudele.
Ma non è sempre stato così. Cosa lo ha portato ad odiare a tal punto i Divergenti?
In questo prequel di Divergent, il suo destino si intreccerà a quello di Zelda, una ragazza tenace e potente come una freccia infuocata.
Può un cuore di ghiaccio ardere come fuoco?
Un cuore di pietra può spezzarsi?
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dal capitolo 4 (Eric)
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Sto per aprire bocca, per invitare le reclute a dare inizio al loro cammino negli Intrepidi, quando un movimento al limite estremo del mio campo visivo mi obbliga a voltare il capo.
Ormai davo per scontato che le disgrazie fossero finite, invece una figura esile si lancia dall’ultimo vagone del treno e fende l’aria come un proiettile.
A causa della luce del sole che mi arriva dritta in faccia, in un primo momento metto a fuoco soltanto una macchia indistinta, blu e nera.
Nella frazione di secondo che segue, sono costretto a spingere l’autocontrollo al massimo della potenza per non mostrare nessuna emozione, per mantenere la mia posa autorevole e l’espressione gelida.
Perché sono talmente esterrefatto da non riuscire a credere ai miei stessi occhi.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio, Zeke
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Zeric - Flame of ice'
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Capitolo 53

 


 

So with the fire still burning bright
I wanna gaze into your light
If I could see my fortune there
You know how flames can hypnotize

(Cradled in love – Poets of the Fall)





 

Zelda

 

Quando il cuore comincia a rallentare la sua folle corsa, faccio un respiro profondo ad occhi chiusi. E mi sorprendo a ridere, dandomi della sciocca per tutte le ansie che avevo accumulato finora nell'immaginare questo momento.

Ancora leggermente intontita, stiracchio i muscoli delle braccia. - Oh, Eric, è stato davvero...-.

- Un completo disastro -, sbotta lui, battendo un pugno sul materasso.

La sua ira mi fa sussultare, scaraventandomi giù di colpo dalla nuvoletta di beatitudine su cui mi stavo crogiolando. Alzo gli occhi sul suo viso e capisco immediatamente che le rughe profonde che gli solcano la fronte non promettono nulla di buono.

Attenzione, gente. Il Re delle paranoie è tornato!

Con uno sbuffo mi scosto alcune ciocche di capelli dalle guance. Cerco anche di mettermi seduta, per fronteggiare il mio ragazzo con la giusta esasperazione, ma non ci riesco. Il mio corpo non intende collaborare; i muscoli non rispondono ai miei comandi e mi sembrano della stessa consistenza della gelatina. In più, ad ogni più piccolo spostamento, avverto delle fitte per niente piacevoli al basso ventre.

Accidenti.

Lo sforzo di mettermi seduta mette alla prova i miei nervi ancora intorpiditi. Devo stringere con forza le labbra per non lasciarmi sfuggire un lamento. Ed Eric ancora non mi guarda: è fermo immobile e tiene la testa tra le mani come se stesse meditando di staccarsela dal collo. Mi è seduto accanto, eppure avverto una distanza abissale tra noi, neanche fossimo su continenti differenti con un oceano in mezzo a separarci.

Ha definito quello che c'è stato tra noi “un completo disastro”. Cosa diamine gli prende? Soltanto un minuto fa credevo che non esistesse niente di più perfetto della nostra unione, fisica ed emotiva, e adesso mi sembra di avere vicino una statua di ghiaccio, estranea ed inavvicinabile.

Altri due minuti così e gliela stacco io quella testa di rapa, penso, sentendo sopraggiungere una vampata d'irritazione. Secondo gli standard, dovrei essere io quella piagnucolante, non lui. Ero io l'inesperta, la vergine, tra noi due. Dopo aver condiviso tutte quelle sensazioni così nuove per me, dopo aver percepito quanta dolcezza nasconde inconsapevolemente nel profondo di sé, non mi aspettavo di certo questa sua improvvisa freddezza.

Le lacrime che sono riuscita a trattenere finora mi scivolano sulle guance. Eric tiene ancora la testa bassa e non si volta verso di me nemmeno per sbaglio. Ferita e mortificata, mi impongo di raggiungere il bagno per non rendere la situazione ancora più imbarazzante. Prima di tornare alla carica - leggi: prenderlo a sberle -, devo rimettermi in sesto e far sparire queste dannate lacrime.


 

*



 

Eric


 

Il rumore di una porta che si chiude mi fa alzare la testa di scatto. Perso com'ero a maledirmi col pensiero, non ho nemmeno fatto caso ai movimenti di Zelda, che al momento è sparita, senza una parola, oltre la porta del bagno.

Prima di rendermene conto, sono già in piedi, la mano stretta attorno alla maniglia. Dall'interno proviene solo il rumore dell'acqua che scorre, poi il lieve click della manopola del lavandino, infine un fruscio. Aspetto pochi secondi, poi apro piano la porta.

L'unica fonte di luce è il faretto posto sopra allo specchio del lavandino. Zelda è seduta sul piccolo sgabello accanto alla doccia, i capelli sciolti che le coprono il viso e il seno. Si sporge per afferrare uno degli asciugamani puliti, riposti in uno degli scomparti del mobiletto al suo fianco.

Non dà segno di aver notato la mia presenza, nonostante me ne stia impalato accanto alla porta aperta, quindi ci sono solo due opzioni: o è persa nei propri pensieri, oppure mi sta volutamente ignorando. Propendo per la seconda, data la postura rigida delle sue spalle. Prima che possa parlare, la sua voce mi arriva alle orecchie, metallica e piatta come quella di un robot. - Non ora, per favore. Dammi cinque minuti - dice soltanto, ma mi fa lo stesso effetto di una secchiata d'acqua gelida.

Tento di dire qualcosa, quando la vedo alzarsi dallo sgabello e fare una smorfia, come se stesse soffrendo. Alle orecchie mi risuona il suo gemito di dolore di poco fa e mi irrigidisco. Non soltanto perché mi sento in colpa per averle fatto male, ma anche perché, non appena la luce del faretto la colpisce in faccia, noto gli occhi lucidi e le guance striate di lacrime.

Muovo automaticamente un passo verso di lei. - Zelda... -.

Il suo pugno arriva inaspettato e mi colpisce dritto allo stomaco. Con forza sufficiente a farmi boccheggiare. E per fortuna non ha mirato una decina di centimetri più in basso, altrimenti mi starei rotolando al suolo in agonia.

- Idiota - ringhia lei, puntandomi l'indice contro il petto.

Sono seriamente tentato di indietreggiare, ma, al di là della furia con cui mi affronta, noto le lacrime che le scendono sul mento. - Era tutto perfetto fino a pochi minuti fa, poi in due parole rovini tutto -. Zelda si passa le mani sul viso e tira indietro i capelli. Fa un sospiro e poi mi fissa dritto negli occhi. - Perché hai detto che è stato un disastro? Per caso io...ho fatto qualcosa che... -.

- No! - esclamo, interrompendola. Non voglio nemmeno che completi quello che stava dicendo, non voglio che pensi nemmeno per un secondo che sia in qualche modo colpa sua. - Dannazione, no. Certo che no! -. La afferro per le spalle e la tiro verso di me, abbracciandola stretta. - Hai ragione, ho rovinato tutto. Doveva essere una serata speciale, invece io...ti ho fatto male. Sapevo che ti stavo facendo male e non mi sono fermato. Avrei dovuto... -. Deglutisco, imprecando tra me per la mia stupidità.

Dopo qualche attimo di silenzio, la risata di Zelda mi scuote il petto. Prima che possa chiederle cosa ci sia di così divertente nella conversazione, lei si scosta per potermi guardare in faccia. Mi accorgo con sollievo che ha smesso di piangere. - Dopotutto non sei così idiota come pensavo - dice, allungandosi per sfregarmi le labbra sulla guancia. - Mi hai appena dato ragione -.

- Anche un idiota sa riconoscere una sconfitta - replico, salvo poi ammutolire quando la sua bocca si sposta sul mio collo. E lì rimane per parecchio tempo, finché Zelda non scioglie la solida presa delle mie braccia e fa un passo indietro.

I suoi occhi si spostano verso il basso e la sua espressione si fa colpevole. - Scusa per il pugno. E' stato un gesto meschino da parte mia -.

Ora tocca a me ridere. - Ma figuriamoci, me lo sono più che meritato. Dovresti colpirmi più spesso, così magari la finirei di comportarmi da idiota -. Le accarezzo il viso, soffermandomi con i pollici sugli zigomi, prima di darle un bacio. - Ti giuro che mi sono impegnato per rendere speciale la tua prima volta. Mi dispiace che il risultato sia stato così...deludente -.

- Ecco che ci risiamo - replica lei, scuotendo la testa. - Non capisci? Ti dispiaci per le cose sbagliate -. Si dà una veloce occhiata allo specchio, poi recupera l'asciugamano che aveva appoggiato al mobiletto. Solo allora mi accorgo che il lavandino è pieno d'acqua. La mia ragazza vi tuffa dentro la stoffa e poi riprende posto sullo sgabello.

Non posso fare a meno di lasciar scorrere gli occhi sul suo corpo, la pelle nuda che mi attira come farebbe una calamita con un magnete. La mia occhiata di apprezzamento non passa inosservata: Zelda risponde inclinando il capo con un movimento sensuale. - Potresti darmi una mano? -.

- Anche tutte e due - replico in automatico, e lei ride di nuovo.

Mi chiede di frugare nello scomparto dei medicinali alla ricerca di un tubetto rosa. Ci metto un po' a scovarlo: era nascosto dietro vari flaconi di antidolorifici e scatole di garze sterili. Non l'avevo mai notato, non so nemmeno cosa contenga. Lo giro per esaminare l'etichetta e aggrotto le sopracciglia. - A cosa ti serve una pomata... -. La domanda rimane sospesa perché, non appena mi volto per passarle il tubetto, mi accorgo di cosa sta facendo. E mi irrigidisco.

Zelda sta strofinando l'asciugamano bagnato tra le cosce e ha ancora quella smorfia di fastidio sulle labbra. La raggiungo subito e mi inginocchio sul tappeto. - Posso? - chiedo, appoggiando i palmi sulle sue cosce.

Lei alza le sopracciglia sorpresa, ma poi lascia che prenda l'asciugamano.

Strofino il più dolcemente possibile la stoffa sulla pelle arrossata, lenendo il dolore ed eliminando quel che resta del sangue e del mio... Impreco tra i denti. - Sono davvero un idiota -.

- Perchè? -.

- Non ho usato un preservativo. Maledizione -. Piego l'asciugamano e lo passo sull'altra coscia. - Devo procurarti un contraccettivo d'emergenza. Vado subito da Elizabeth -.

Zelda tossicchia, come se si stesse soffocando con la sua stessa saliva. Quando le scocco un'occhiata interrogativa, le sue guance diventano di un bel rosso acceso. - In realtà ci ha già pensato Damien -. La mia espressione si fa confusa, così si affretta a spiegare: - E' stato così gentile da farmi recapitare uno dei nuovi ritrovati degli Eruditi -, mi indica il ripiano più basso del mobile, - che ho iniziato a prendere circa una settimana fa. Quindi niente problemi per quanto riguarda dei possibili bambini...per il resto è un altro discorso -.

Capisco immediatamente a cosa si riferisce. Ora tocca a me tossicchiare. - Max ci impone un check up completo una volta al mese. Finora ho sempre usato il preservativo quindi, ecco, niente malattie. Se non avessi saputo di essere sano al cento percento, non ti avrei mai...sì, insomma... -.

- Direi che siamo a posto, allora - decreta Zelda, interrompendo saggiamente il mio patetico monologo. Mi sfiora le labbra con un rapido bacio, poi mi toglie dalle mani la salvietta e la getta in un catino poco distante. - A quello penso domani. Ora passami la pomata -.

Ne spreme un po' sulle dita, prima di spalmarla con delicatezza tra le cosce. Mi elenca i vari ingredienti che compongono quel gel rosa - tutta roba naturale a sentire lei - che scopro trattarsi di un altro dei regalini di Damien. Ma che gentile. Prima o dopo dovrò pure ringraziare il mio caro cognatino per tutte queste premure, a quanto pare. - Serve a lenire il dolore e a far guarire più in fretta la pelle. Elizabeth lo usa spesso, specialmente se deve trattare ferite superficiali o scottature -.

Il suo tono da maestrina mi fa sorridere. Però l'accenno al dolore che credo stia ancora provando fa tornare a galla il senso di colpa. Una volta conclusa l'operazione col gel, le rubo il tubetto e lo ripongo nel mobile.

Avverto addosso gli occhi di Zelda, che mi stanno squadrando da capo a piedi, attenti ad ogni mia mossa. Conoscendola, è talmente perspicace da aver già intuito cosa sto cercando di nascondere dietro la mia maschera impassibile.

- Okay, qui siamo a posto. Ora torniamo in camera e parliamo da persone civili. Prometto di non alzare le mani, questa volta -

Come volevasi dimostrare.

- D'accordo, piccola -. Le mie labbra si piegano in un ghigno. - Lascia che ti porti io -.

Senza darle il tempo di avanzare una qualche protesta, la prendo in braccio e la riporto a letto. Una volta sistemati comodamente tra le lenzuola, Zelda appoggia la schiena alla testiera e osserva assorta le lucine che pendono dal soffitto. Rimango a fissare il suo profilo per quella che mi pare un'eternità, finché lei non si gira verso di me con un sorriso. - Quelle luci mi piacciono un sacco. Possiamo tenerle? -.

Il suo tono allegro e quella richiesta mi spiazzano. Credevo stesse per suonarmele di santa ragione – verbalmente parlando. - Certo, se ti fa piacere -.

Eccome se le teniamo. Resteranno esattamente dove sono e nessuno dovrà toccarle, nemmeno Bruce, con i suoi guanti gialli stile maniaco delle pulizie. Anzi, domani torno dal tizio che me le ha procurate e ordino almeno un'altra dozzina di fili. Tutto, pur di vederti sorridere come stai facendo adesso.

Zelda inclina la testa per premere la bocca sulla mia spalla. - Grazie. Perché ogni volta che le guardo mi viene voglia di toglierti di dosso tutto, anche le lenzuola -. Deglutisco, mentre le sue dita mi scorrono sul petto. - Per poter ammirare la luce dorata che si fonde con l'inchiostro dei tuoi tatuagggi. Uno spettacolo di qui solo io potrò godere -.

Invece di ringraziarla, o ricambiare il complimento, emetto uno sbuffo dal naso. - Te l'ho già detto e non mi stancherò mai di ripeterlo: io non ti merito -. Con una mossa rapida mi siedo al suo fianco e le impedisco di ribattere chiudendole le labbra con le mie. Faccio scivolare una mano sulla sua nuca, l'altro braccio che le circonda la vita per avvicinarla a me. Mi concentro sulla sua bocca per un bel pezzo, fino a sentirla languida e abbandonata tra le mie braccia.

Lasciandole il tempo di riprendere fiato, mi sposto per farle appoggiare la guancia al mio petto, i lunghi capelli che mi solleticano la pelle. Prendo un respiro, prima di iniziare a parlare. - Ti ho fatto male - dico, puntando lo sguardo nel suo. - Tanto da farti piangere. Non so cosa dire, se non che mi dispiace. Vorrei essermi fermato, vorrei aver aspettato e ...-.

- Non sarebbe cambiato nulla -. La sua mano smette di tracciare i contorni dei miei tatuaggi, ma lei non distoglie gli occhi dai miei. - Sì, mi hai fatto male. Ma non nel modo in cui pensi tu -. Alla mia occhiata scettica, Zelda risponde con un mugugno indecifrabile. - Accidenti, Eric, era la mia prima volta. Sapevo che avrebbe potuto fare male, ero preparata. Ho letto quasi l'intera biblioteca di mio padre, e ti assicuro che non contiene romanzi comici o d'avventura. Dopo tutti quei tomi di anatomia, posso dire con sicurezza di saperne più di te sul piano teorico. Giusto? -.

Grugnisco un assenso. - Ovviamente, ma... -.

- Ti sembro una ragazza debole? Che non sa sopportare il dolore? Che non è capace di difendersi? -. Lei continua il suo discorsetto incurante del mio cenno negativo. - Ti ho detto di non fermarti perché davvero non volevo che smettessi. Non perché mi sentivo obbligata, o che altro, ma perché ti volevo, e ti voglio ancora. La mia prima volta doveva essere con te, perché nessun altro, a parte te, vale quel dolore -. Sorride trionfante davanti alla mia espressione sbalordita. - Quindi, se proprio vuoi dare la colpa a qualcuno, dalla pure a me. Non mi offenderò -.

A Zelda non serve ricorrere alla violenza fisica per mettermi al tappeto: ci riesce egregiamente a parole. Come fa a dire sempre la cosa giusta al momento giusto? Come fa a sapere cosa dirmi per farmi calmare, per scongiurare uno dei miei attacchi di rabbia, per placare l'odio che provo verso me stesso?

Ignara di avermi appena messo fuori uso il cervello, lei strofina il naso contro il mio collo. - Quello che mi ha ferito veramente è stato sentirti così distante dopo. Voglio dire, lo so che non è stato semplice nemmeno per te, ma... -.

- Ti amo -.

Non mi rendo conto di averlo detto ad alta voce finché Zelda non alza il viso con aria stranita, quasi credesse di avere le allucinazioni. Prendo il suo viso tra le mani, tenendolo come se fosse la cosa più preziosa al mondo. Perchè lo è. Tutto di lei è di inestimabile valore, per me. - Ti amo, Zelda. Non me la cavo bene con i discorsi, so dire solo questo -. Chiudo gli occhi per un istante, l'immagine di lei in lacrime impressa nella mente. - E sono arrabbiato con me stesso perché volevo che la tua prima volta fosse speciale, indimenticabile, come lo è stata per me. Sentirti, stare dentro di te, è stato... -. Non trovo la parola adatta a descrivere la valanga di emozioni che ho provato.

- Perfetto -. Zelda posa le sue mani sulle mie, ancora ferme sul suo viso. Solo ora mi accorgo che ha gli occhi lucidi. - E' stato perfetto. E la prossima volta sarà ancora meglio -.

Sentirla parlare di una “prossima volta” mi riempie di sollievo. Mi sfugge una breve risata. - Dovrei essere io a dirlo. Tu avrai anche ampie conoscenze teoriche, ma sono io quello esperto nella pratica. O almeno così credevo prima di stasera -.

La risata di Zelda si unisce alla mia. - Preparati, perché sto per dire qualcosa che demolirà il tuo famoso ego una volta per tutte -.

- Fai pure, ormai ci sono abituato - replico, abbassando la testa per baciarle la gola. Indugio con la lingua sul tracciato di una vena, sentendola pulsare dolcemente.

Lei inclina il capo, lasciandomi campo libero. - Non sei così esperto come tutti credono, vero? -.

- Piccola, non credere alla metà delle stronzate che sparano gli Intrepidi. Dovrebbero inserirlo come avvertimento sul manifesto della fazione - ribatto, con un ghigno sulle labbra. - Ti avevo già accennato che la mia reputazione non corrisponde del tutto alla realtà. Ho avuto le mie esperienze, ma non così tante come si dice in giro. E, tanto per la cronaca, la mia prima volta è stata terribile -.

La mano di Zelda, che scorreva su e giù lungo la mia schiena, si blocca all'altezza delle scapole. - Davvero? Mi dispiace -.

Scrollo le spalle. - Niente di tragico. Più che altro è stata un'esperienza umiliante. Un giorno o l'altro te la racconterò -.

Capisco dalla sua espressione che si sta trattenendo dal chiedermi ulteriori informazioni: la curiosità è stampata a caratteri cubitali sul suo viso. Tuttavia non cerca di forzarmi: semplicemente, mi invita ad appoggiare la testa sul suo seno, dove risuona il battito del cuore. - La tua poca esperienza non è un problema, anzi. Almeno su questo saremo quasi alla pari -. Mi massaggia la nuca con i polpastrelli, ed è talmente piacevole che per poco non mi metto a fare le fusa. - Imparerai con me. Impareremo insieme -.

- Alla pari? - bofonchio, alzando mentalmente gli occhi al cielo. - Noi due non saremo mai alla pari, in nulla. Tu sei sempre un passo avanti a me, in ogni cosa -.

Il mio tono imbronciato la fa ridere. - Beh, in questo caso avrò bisogno che qualcuno mi guardi le spalle - mormora al mio orecchio. - E io mi volterò sempre verso di te, non ti lascerò indietro -. Quando china la testa per darmi un bacio sulla guancia, i suoi capelli mi piovono sulla spalla come una cascata di seta. - Perché anch'io ti amo, Eric -.

Cosa diavolo ho fatto per meritarmi tutto questo?, mi chiedo, l'emozione che mi si condensa in gola sotto forma di un macigno che mi rende difficile deglutire.

Sciolgo lentamente l'abbraccio, sollevando la testa dal suo seno per darle un bacio. Un bacio lungo e profondo, da cui emergiamo col fiato corto e le labbra brucianti. A cui ne segue un altro, e un altro ancora, finché non mi stacco da lei, ansimante e con l'autocontrollo che minaccia di sfuggirmi di mano.

E Zelda non collabora: invece di riportarmi in carreggiata, mi ha trascinato sopra di sé e mi stringe i fianchi tra le gambe. Qualche altro secondo in questa posizione e non risponderò più di me.

Meglio mettere un freno alla passione, subito, prima di creare ulteriori danni alla mia psiche. - Ci sarà una prossima volta, piccola, ma non adesso. Qualche ora di sonno farà bene ad entrambi - decreto, la voce che mi esce di bocca a stento. Le scosto alcune ciocche di capelli dalla fronte, passando i pollici sugli zigomi arrossati. Storco le labbra in una smorfia ironica. - Specialmente a me, così magari la prossima volta durerò di più e non farò di nuovo la figura del pivellino -.

Alla mia affermazione Zelda sgrana gli occhi, per poi scoppiare a ridere di gusto. Mi libera dal suo abbraccio e aspetta che mi stenda accanto a lei, prima di appoggiare la testa e il palmo sul mio petto. - Come sempre ti preoccupi delle cose sbagliate - sostiene, tamburellando le dita sui miei tatuaggi. - Vederti perdere il controllo è stato fantastico. Se è questo l'effetto che ti faccio, non posso che esserne lusingata -.

Il suo tono estremamente compiaciuto mi fa roteare gli occhi e sorridere allo stesso tempo. Zelda non ha nemmeno una vaga idea di quale potere eserciti su di me, di cosa sarei disposto a fare per lei. Di cosa stia pensando di farle ora.

Stringo la presa sul suo fianco. - Lasciami riprendere le forze e ti mostrerò la vera portata di questo effetto -.

La sua risata mi accompagna nel mondo dei sogni come la più delicata delle ninne nanne.




 

* * *




 

Zelda


 

Un calore piacevole risale il mio corpo, avvitandosi come una spirale dal basso ventre al petto.

Per un attimo mi convinco di star ancora sognando, poi sento il fruscio delle lenzuola e qualcosa di ruvido sfiorarmi il braccio. Socchiudo le palpebre con cautela, chiedendomi se gli eventi di stanotte siano effettivamente avvenuti o se sia stato tutto un parto della mia immaginazione. Okay, le lucine sono ancora al loro posto, ma potrei anche...

Un ansito mi sale alle labbra, bloccando prontamente il pensiero che stavo formulando. Apro del tutto gli occhi e metto a fuoco un paio di labbra, accessoriate di piercing, che stanno risalendo il mio fianco in un'umida carezza.

Scatto a sedere sul letto neanche avessi preso la scossa ed Eric sorride, senza sollevare il viso dalla mia pancia. - Ben svegliata, piccola -.

Batto le palpebre, rimanendo a fissarlo come inebetita. Sondo la sua espressione, alla ricerca di possibili ricadute nelle paranoie della sera prima, ma il suo sguardo è tranquillo e il sorriso che mi rivolge è sincero e divertito.

Grazie al cielo, penso, esultando tra me. Perché al momento sarei incapace di affrontare di nuovo una discussione come quella di stanotte. È già tanto aver trovato l'energia necessaria a mettermi seduta sul materasso: sento dolore dappertutto, in modo particolare tra le gambe e in vari muscoli che non immaginavo neanche di possedere. - Buongiorno a te - bofonchio, strofinandomi gli occhi assonnati. Mentre cerco di riprendere un contatto col mondo, le labbra di Eric proseguono nella loro perlustrazione, soffermandosi sulla pelle sensibile sopra il seno.

I suoi occhi grigi catturano infine tutta la mia attenzione. Li rivedo accesi di passione, mentre lui si muove con decisione sopra di me, dentro di me...

Un momento. Abbasso lo sguardo e inarco un sopracciglio. - Sei vestito - lo accuso, osservando con astio tutti quei centimetri di tessuto e cuoio nero che mi separano dal suo corpo. - Non avevi detto che Max ti aveva esonerato dal lavoro? -.

- E' così -.

- Allora spogliati e torna a letto con me -.

- Lo farei con molto piacere, ma William mi ha mandato a chiamare. Ha bisogno di me al Centro di controllo tra un'ora -. La mia occhiata di disapprovazione lo fa scoppiare a ridere. Mi fa scorrere la punta delle dita dalle spalle al collo, per poi infilarle tra i miei capelli spettinati. - Mi accompagni a colazione? O preferisci che te la porti qui? -.

Mi lascio tentare dalla seconda proposta per qualche istante. Poi scuoto la testa e mi alzo dal letto, diretta in bagno. - Vengo con te. Così dopo posso passare a vedere come sta James -. Una veloce occhiata allo specchio mi fa capire che rimettere ordine nel cespuglio arruffato che mi ritrovo in testa impiegherà più tempo del previsto. - Ehm, va' pure avanti. Ti raggiungo tra dieci... -.

Neanche il tempo di terminare la frase che mi ritrovo Eric alle spalle, armato di spazzola. Oh, già, mi ero scordata delle sue doti di parrucchiere. Se con una pistola in mano è formidabile, con un pettine e un elastico è capace di operare magie. In meno di due minuti realizza un perfetto chignon e, quando si accorge del mio sguardo adorante, si limita ad una scrollata di spalle. - Visto? Non ci voleva molto -. Detto questo esce dal bagno e chiude la porta, per lasciarmi qualche minuto di privacy mentre finisco di prepararmi.

Sorrido tra me, per la piega presa dagli eventi. Ora siamo davvero una coppia, due persone unite da un rapporto fisico e da un forte sentimento. Che condividono gli spazi. Che discutono, si azzuffano, ma poi trovano comunque il modo di riconciliarsi.

- Mi ha detto che mi ama - ripeto più volte a bassa voce, rivolta al mio riflesso allo specchio. Non me lo sarei mai aspettata; pensavo che per lui fosse troppo da dire, che gli ci volesse molto più tempo per aprirsi, dato che ormai lo conosco bene e so come ragiona. Invece mi ha stupita, parecchie volte nel corso di questa notte, e, nel ripensare a tutto quello che abbiamo fatto e detto, le mie guance prendono colore.

Melanie e Leslie impazziranno quando glielo racconterò. Ovviamente omettendo qualche dettaglio troppo privato, che conserverò gelosamente solo per me. E finalmente potrò tappare la bocca a Josie, quando oserà rilasciare commenti poco carini riguardanti le doti amatorie del mio ragazzo. Eric non ha nulla da invidiare a James, o a chiunque altro. Lui è perfetto per me: non mi serve andare a letto con altri - come mi ha velatamente consigliato Josie - per capirlo.

Pulita e pettinata, mi vesto in fretta con le prime cose che trovo: jeans scuri e una maglietta nera a maniche lunghe che mi lascia scoperte le spalle. Il tessuto aderente attira subito lo sguardo del mio ragazzo, che mi si avvicina con lo stesso cipiglio di un leone a caccia. Un leone a pancia vuota che ha appena avvistato una preda succulenta.

Eric china la testa per baciarmi e mi solleva tra le braccia, facendomi appoggiare la schiena contro la porta. Con le gambe strette attorno alla sua vita, rispondo al suo assalto con la stessa eccitazione, finendo quasi per strappargli di dosso la giacca. Lui smette di baciarmi soltanto per darmi un leggero morso sul collo. Ridacchio sottovoce. - Mi sembri particolarmente affamato stamattina -.

Lui rispolvera il suo celebre ghigno. - Già, sarà meglio andare a fare colazione, o finirò per mangiare te -. Mi rimette in piedi e, dopo una rapida sistemata ai vestiti, usciamo dalla stanza.

Mentre camminiamo fianco a fianco lungo i corridoi, diretti in mensa, parecchi occhi si posano su di noi. Non ci teniamo per mano, non ci tocchiamo nemmeno, eppure le persone che incrociamo ci guardano come se fossimo nudi, o, peggio, ricoperti di ghirlande di fiori come dei Pacifici.

Eric non pare farci caso: tira dritto senza fermarsi a ricambiare i vari saluti e cenni del capo. Io, invece, vengo placcata ogni due o tre passi da ex pazienti, loro familiari e altra gente che conosco di vista. Quando mi libero dalle loro chiacchiere, mi accorgo che il mio amato ragazzo mi ha distanziata di parecchio. È appoggiato alla parete del tunnel quasi mezzo chilometro più avanti e mi tiene puntato addosso uno sguardo sarcastico finché non lo raggiungo. - Sempre troppo buona - sentenzia, passandomi un braccio attorno alla vita.

Mi tiene ancorata a sé per il resto del tragitto, scongiurando i tentativi di conversazione degli altri membri della fazione. In mensa c'è parecchia gente, ma la coda per il buffet non è tanto lunga. Mi piazzo alla fine della fila, rifiutandomi di saltarla grazie ai privilegi di cui gode il mio ragazzo.

Dall'occhiata che mi lancia, credo che Eric stia meditando di prendermi in spalla e trascinarmi dentro, tanto per sottolineare il proprio ruolo di macho. - Provaci, e ti giuro che mi siederò vicino a Quattro ad ogni pasto, per tutto il prossimo anno - sibilo, e la serietà della minaccia pare fare effetto.

Lui borbotta qualcosa, ma alla fine mi si incolla addosso e aspetta pazientemente il proprio turno. Gli altri Intrepidi continuano ad osservarlo con curiosità e con un pizzico di timore, come se fosse un felino apparentemente innocuo, ma fossero comunque consapevoli che basterebbe il minimo fastidio a portarlo a scoprire le zanne.

Meglio dare da mangiare al nostro leone prima che si sbrani qualcuno, mi dico, cominciando a riempire il vassoio. Prendo il caffé per Eric, il té per me, una valanga di biscotti e alcune fette di pane tostato. Poi mi ricordo che mangeremo in tavoli separati e perdo un po' della mia allegria. Allungo una mano per prendere un altro vassoio, ma Eric scuote la testa e mi precede ad un tavolo vuoto.

Prendo posto al suo fianco e gli sorrido. - Ti ricordi il giorno delle visite? Quando ti sei seduto con me a colazione? -.

Lui mi passa la tazza di té, annuendo. - Sembra sia trascorso un sacco di tempo -.

- Beh, sono cambiate molte cose da allora -. Mescolo con calma il té, aspettando che si raffreddi. - Avresti mai detto che saremmo finiti insieme? -.

- No. All'inizio mi imponevo di non restarti vicino più del necessario - replica, posando una mano sul mio ginocchio e facendomi trasalire. Le sue dita risalgono lungo la mia coscia in una lenta carezza. - Poi ho capito che sarebbe stato impossibile. Specialmente dopo averti vista affrontare i tuoi fratelli per difendere me. Una delle azioni più coraggiose a cui abbia mai assistito -.

Vengo percorsa da un brivido, quando la scena si affaccia alla memoria. Per distrarmi metto in bocca un pezzo di biscotto. - Pensa che non mi ero neanche resa conto di star flirtando con te finché non me l'hanno fatto notare i miei amici -.

- Oh, piccola - risponde lui, dopo aver bevuto un sorso di caffé. - Io ho cominciato a flirtare con te non appena sei scesa da quel treno -.

Gli rivolgo un'occhiata scettica. - Bel modo di flirtare, allora - ribatto, ripensando alle sue punizioni, ai suoi sguardi di disprezzo. - Non facevi che urlarmi contro -.

- E' il risultato che conta, no? - mi provoca, dando un morso al pane tostato.

- Tu sei proprio un... -.

- ...Capofazione? -.

Non era questo il termine che avevo in mente, ma la voce di Felix mi interrompe prima che possa terminare l'insulto. I due gemelli sono fermi a poca distanza dal nostro tavolo, entrambi con un punto di domanda dipinto in viso.

Xavier guarda prima Eric, poi il vassoio che stiamo condividendo. - Cosa ci fa un Capofazione al nostro tavolo? - chiede, con lo stesso tono che userei io se mai dovessi imbattermi in un Abnegante con i capelli tinti di viola.

Eric gli riserva un'occhiata di sprezzante sarcasmo. - Per tua fortuna non sono armato - replica, e scorgo un guizzo sul volto di Felix. Come se stesse trattenendo un sorriso. - Ti conviene approfittarne, bamboccio -.

Xavier apre la bocca per parlare, ma suo fratello lo previene con una gomitata. - Dai, sediamoci. Leslie e Melanie arriveranno fra poco -.

Invece il primo ad arrivare è Quattro, che non batte ciglio nel notare uno dei leader lontano dalla solita postazione. Lui ed Eric si scambiano un rigido cenno del capo, il massimo dell'interazione civile che ci si possa aspettare da loro.

Beh, perlomeno non si stanno squadrando come due belve assetate di sangue.

Il sopraggiungere di Melanie ci toglie dall'imbarazzo. Mentre lei ci aggiorna sulle condizioni di James, Felix va a procurarle la colazione. - Elizabeth dice che sta visibilmente migliorando, ma non ha ancora ripreso conoscenza del tutto -. Sospira, sconfortata. - Da domani devo tornare a pattugliare la recinzione. Spero che si risvegli entro stasera, così potrò sgridarlo come si deve per avermi fatto spaventare in questo modo -.

Con la coda dell'occhio vedo Eric annuire. - Si rimetterà. James ha la testa dura -.

I gemelli si voltano verso di lui ad occhi sgranati, neanche stesse per improvvisare uno spogliarello in piedi sopra al tavolo. Quattro continua a mangiare come se niente fosse, mentre Melanie sorride con gratitudine al Capofazione.

Dopo un po' i miei amici cominciano a scambiare pettegolezzi - segno che la tensione iniziale è scemata - e cercano pure di coinvolgere Eric nella conversazione. Osservo con soddisfazione il mio ragazzo mentre discute con i gemelli, senza far volare insulti o minacce. Melanie mi strizza l'occhio con complicità dall'altra parte del tavolo. Quattro non parla molto: si rivolge ad Eric solo quando gli passa accanto per uscire dalla mensa, dicendo qualcosa su una minaccia sempre valida. Il mio ragazzo gli risponde con un mezzo ringhio. Io faccio rimbalzare lo sguardo dall'uno all'altro, senza osare chiedere spiegazioni.

Preferisco concentrarmi su Melanie, che mi sta illustrando il piano per la prossima maratona di shopping. Coinvolge anche Leslie, non appena prende posto accanto a lei, alla quale non rimane altro che annuire mentre mastica il proprio muffin.

Alzo gli occhi al soffitto. - Con tutto il lavoro che ho da fare, è già tanto se trovo il tempo per dormire e mangiare. Altro che shopping -. Sotto lo sguardo affilato di Melanie, mi affretto a riformulare: - Però sono in riposo fino a domani. Possiamo andare subito, tanto non ho impegni prima di pranzo -.

Poi spero di potermi rinchiudere in camera assieme al mio ragazzo, sempre che William non trovi altre scuse per trattenerlo.

Andare in giro per i negozietti della residenza non mi entusiasma, ma servirà ad entrambe come diversivo: a Melanie, per dimenticare per qualche ora la preoccupazione per suo fratello; a me, per non restare con le mani in mano durante l'assenza di Eric. Potrei – anzi, dovrei – mettermi a studiare seriamente i tomi di medicina che Elizabeth mi ha assegnato, ma solo al pensiero mi sale un tremendo mal di testa. Ho tutta l'intenzione di godermi questa breve vacanza: i libri possono aspettare.

Una volta terminata la colazione, Eric mi saluta con un bacio frettoloso e imbocca l'uscita per recarsi al Centro di controllo. Nemmeno Leslie e i gemelli possono accompagnarci nel tour di shopping: hanno i loro compiti da svolgere, niente esonero per loro. Morale: rimango sola nelle grinfie di Melanie.

Decido di non raccontarle quello che è successo tra me e Eric stanotte: meglio aspettare che ci sia anche Leslie, altrimenti dovrei ripetere due volte la stessa storia. E già so che sarà imbarazzante e che arrossirò come un peperone, non essendo troppo abituata a spifferare in giro i miei fatti privati. Ma devo dirlo a qualcuno, condividere con le mie amiche questo passo in avanti nella relazione con Eric.

Nella mente mi scorrono delle immagini di stanotte, neanche il mio cervello fosse diventato all'improvviso una sala proiezioni.

Il corpo di Eric che combacia col mio, la sua lingua che scorre sul mio seno, le sue mani che mi accarezzano le cosce...

- Stai bene? - mi chiede Mel, distogliendo per un momento gli occhi dai vestiti che sta valutando. - Sei diventata tutta rossa all'improvviso -.

Mi schiarisco la gola con un colpo di tosse. - Tutto a posto - farfuglio, facendomi aria con una mano. Il mio viso scotta come se fossi rimasta un intero pomeriggio sotto il sole. - Ho solo caldo -.

Capisco dal suo cipiglio di non averla convinta. Tuttavia Mel lascia perdere e torna a frugare in mezzo agli scaffali pieni di indumenti. - Mi piaci pettinata così. Ti ci vorrebbe un bel paio di orecchini e qualcosa che metta in risalto...ecco! - esclama, estraendo dal mucchio un top color vinaccia. È senza spalline, dalla forma assimetrica, e con una cerniera cucita in diagonale. Quando me lo sventola davanti so di non avere altra scelta: mi dirigo senza fiatare in uno dei camerini, consapevole che se iniziassi una discussione non ne uscirei da vincitrice. Obiettivamente il top non è neanche tanto male, mi piace la scollatura – provocante, ma non troppo – e si adatta al modello di jeans che indosso, lasciando scoperta una striscia di pelle sui fianchi.

Melanie approva, annuendo, e mi passa anche un paio di orecchini pendenti dello stesso colore del top, talmente lunghi che mi sfiorano le clavicole. Sto quasi per lasciarmi convincere a comprare tutto, quando sento una voce ben nota chiamarmi, il tono squillante che rimbomba tra le pareti del negozio.

Mi volto sorpresa, mentre Josie sopraggiunge correndo. Si ferma ansante davanti al camerino e le ci vogliono un paio di minuti per riprendere fiato.

- Vi ho cercate dappertutto - esordisce, gettando indietro i capelli che le si erano appiccicati in fronte. - James si è svegliato. Elizabeth gli sta togliendo le bende e mi ha detto di chiamarvi -.

A quelle parole Melanie lascia cadere a terra i vestiti che aveva ammucchiato tra le braccia. Senza degnare Josie di uno sguardo né di un ringraziamento, si precipita fuori dal negozio. Io mi lego in vita la maglia che avevo lasciato in camerino e allungo qualche gettone al tizio dietro al bancone. Poi sfreccio dietro ad entrambe, raggiungendo Josie dopo pochi passi. Incredibile – lei mi sorride raggiante. Roba che se non lo vedi non ci credi.

- Sembra vada tutto bene. Ci riconosce e parla, ha perfino fatto una battuta -. Josie scuote la lunga chioma ramata, poi mi lancia un'occhiata di sbieco. - Carino quel top. Certo, con quel poco seno che hai non gli rendi giustizia -.

Potrei offendermi, se non notassi il suo sorriso furbo e il tono tutt'altro che pungente. Josie è talmente felice da non riuscire ad apparire stronza come al solito. Se continuasse a mantenere questo atteggiamento, potrei quasi trovarla simpatica.

Quasi.


 








 

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Ciao e ben ritrovati, cari Burners!

Stavolta sono riuscita ad aggiornare in tempi relativamente brevi. La storia procede e non manca moltissimo alla conclusione. Poi ci sarà una seconda parte, ovvero Divergent e Insurgent dal punto di vista di Eric, ma sicuramente sarà più corta di questa. Corta ma corposa!

Voi cosa ne pensate? Vi piacciono questi nuovi sviluppi? Vero che mi lasciate un commentino piccolo piccolo, che mi fa sempre tanto piacere? E se vi dicessi che sto partendo con la riscrittura della storia per trasformarla in un vero e proprio romanzo originale?!
Come sempre vi ringrazio per il supporto che mi date, vi adoro!

Un bacione, al prossimo aggiornamento!

Lizz


 

p.s. la minaccia di Quattro potete trovarla alla fine del cap. 21. La canzone che dà il titolo al capitolo è dei Poets of the Fall, sanciti ufficialmente come band della coppia Zeric.

p.p.s. per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.

   
 
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