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Autore: Shikayuki    02/03/2019    0 recensioni
Keith è il professore di Difesa delle arti oscure di Hogwarts ormai da anni, ma continua a pensare al suo amore perduto e trova rifugio nello Specchio delle Brame, trovato per caso in una stanza remota del castello.
[Harry potter!AU ~ Sheith]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Kogane Keith
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al COWT9 di Lande di Fandom

 

Settimana: 3

Missione: M1

Prompt: AU+ANGST+FLUFF

Wordcount: 1586

Rating: SFW

Fandom: Voltron

Pairing: SHEITH

Avvertimenti: Harry potter!AU, main character death


Keith si sentiva in colpa a fare quello che stava facendo, ma non riusciva a non farlo. Ogni volta si ripeteva che era l’ultima, ma poi si ritrovava sempre a sgattaiolare nel cuore della notte, il mantello dell’invisibilità addosso, forse a coprire la sua debolezza più grande. Erano passati ormai anni da quando aveva perso Shiro, il suo compagno di vita, in quella maledetta guerra contro le forze oscure e la sua mancanza continuava a bruciare sempre come il primo momento in cui aveva capito che aveva esalato il suo ultimo respiro. Aveva pianto per settimane nel cuore della notte, diventando lentamente insonne e iniziando a girovagare nel castello senza sosta, per non rimanere in quel letto che troppo gli riportava alla memoria.

 

Si erano conosciuti quando lui era solo uno studente e Shiro da poco un professore. Gli aveva insegnato la Difesa contro le arti oscure, lo aveva visto crescere, affrontare le difficoltà di essere un orfano mezzo sangue in un mondo ancora troppo impostato sulla purezza del sangue e gli aveva insegnato a non arrendersi mai. Era Keith adesso a insegnare la Difesa contro le arti oscure a una nuova generazione cresciuta nella tranquillità e nella speranza per il futuro, e aveva dovuto ricoprire quell’incarico solo perché Shiro non c’era più e la cosa gli pesava ogni sacrosanto giorno.

Ricordava ancora quando era un giovane mago appena diplomato a Hogwarts che era stato preso al Ministero della Magia come apprendista Auror. Ricordava il sorriso largo di Shiro, ricordava ancora la frase che gli aveva sussurrato, stringendolo tra le braccia felice, mentre indossava quella divisa ancora troppo grande per lui, ma che sperava che presto gli sarebbe calzata a pennello.

Keith gli aveva tirato un pugno leggero nel fianco, mettendo su il broncio e dicendogli che tanto ci sarebbero voluti diversi decenni prima che Shiro avrebbe rinunciato a fare la cosa che amava di più al mondo: insegnare e trasmettere la sua passione con entusiasmo. Shiro aveva riso, gli aveva scompigliato i capelli, e poi lo aveva baciato dolcemente, stupendolo.

Lo aveva baciato di nuovo, Shiro, e il giorno dopo tutte le cose di Keith erano già stipate nella piccola e pittoresca abitazione del professore, mentre loro facevano per la prima volta l’amore alle prime luci del tramonto. Era stato magico e Keith ogni tanto ripensava a quel giorno con nostalgia, il cuore che gli si stringeva in una morsa dolorosa.

 

Keith ormai non aveva più bisogno di luci per attraversare il castello, i suoi piedi si muovevano da soli per quei corridoi deserti e avvolti dal silenzio, ormai troppo abituati a quella strada che percorreva e ripercorreva, sentendosi sempre più in colpa. Camminava quasi sempre come in una sorta di trance, riprendendosi quando ormai era arrivato a destinazione, incurante dei quadri che chiacchieravano mesti o giocavano a carte tra loro o delle statue guardiane che si voltavano sospette al suo passaggio, senza però riuscire ad individuarlo, protetto come era dall’invisibilità. Il cammino era lungo, doveva inoltrarsi nelle parti più remote di quell’enorme e secolare castello, ma ormai non aveva più paura dei segreti del maniero, in fondo Shiro gliene aveva insegnati molti a suo tempo e i suoi anni come Auror gli avevano insegnato che neanche la morte era più qualcosa da temere, soprattutto quando ormai si perdeva la propria anima gemella.

Arrivò alla porta che ormai conosceva a memoria, scura, decorata da fregi delicati e coperta da uno spesso strato di polvere. Automaticamente estrasse la bacchetta ed eseguì un incantesimo di apertura, senza neanche il bisogno di pronunciarlo. La porta si spalancò quasi completamente, ruotando silenziosa sugli antichi cardini che Keith si premurava sempre di oliare per bene, per evitarne il malfunzionamento. L’oggetto dei suoi desideri lo aspettava placido al centro della stanzetta circolare, un telo bianco a tenerlo coperto e protetto dalla polvere che ruotava silenziosa nell’aria. Keith si tolse il mantello dell’invisibilità, lasciandolo scivolare a terra in un mucchietto fluido e argenteo, mentre con un movimento sinuoso della bacchetta faceva richiudere la porta per bene.

Il ragazzo sospirò profondamente, prima di allungare una mano e lasciare cadere il candido telo bianco, che si riversò a terra in mucchietto di tessuto, rilasciando una spessa nuvola di polvere.

La luce lunare entrava fioca dalle strette finestrelle della stanza, ma tanto bastava a Keith per vedere perfettamente lo specchio enorme che gli si parava davanti e il suo riflesso in esso. La superficie argentea e lucida era incastonata in una cornice di legno intagliata finemente, strane rune e simboli che si dipanavano tra i nodi naturali del legno. Poggiò una mano su quel piano riflettente e freddo, sospirando e fissando il suo riflesso dritto negli occhi, aspettando come sempre che la magia facesse il suo corso. I suoi lineamenti nello specchio iniziarono a tremolare, allargandosi, sfocandosi, per poi trasformarsi definitivamente in dei lineamenti che non avrebbe mai scordato per tutto il resto della sua vita.

«Ciao.»

La figura nello specchio gli sorrise dolcemente e allungò una mano, quasi a volerlo accarezzare sulla guancia. Keith piegò la testa, come a ricevere davvero quel tocco.

«Mi sei mancato, sai?»

Shiro gli sorrise triste da dentro lo specchio e poggiò una mano contro la superficie, invitandolo a fare la stessa cosa. Keith lo fece e come sempre la sua mano era leggermente più piccola di quella dell’altro, forte e mascolina, contro la sua delicata e dalle lunghe dita affusolate. Stette un po’ in quella posizione, prima di lasciarsi scivolare a terra, sedendosi rannicchiato.

«Sai, quest’anno i nuovi arrivati sono molto interessanti. C’è un ragazzo molto dotato, probabilmente ti sarebbe piaciuto averlo come alunno...»

Si perse nei racconti sui suoi studenti nuovi e vecchi e Shiro lo ascoltava interessato, seduto a gambe incrociate nello specchio, un gomito su un ginocchio e il mento poggiato sulla mano chiusa a pugno. Assorbiva ogni parola dell’altro, totalmente assorto, annuendo di quando in quando e dissentendo quando serviva. Lo lasciava parlare, lo lasciava sfogarsi, proprio come aveva sempre fatto quando era con lui.

«… e niente, uno del terzo anno alla fine ha ben deciso di far esplodere il molliccio, preso dal panico all’improvviso e il risultato è stato solo un molliccio infuriato e un’intera classe nel panico. È stato abbastanza divertente e caotico e… mi sarebbe piaciuto averti lì, per sistemare il tutto e riderne poi, insieme.»

Gli occhi grigi e allegri del ragazzo nello specchio si rabbuiarono a quelle parole e l’espressione sul suo volto divenne triste. Era esattamente identico a come Keith lo ricordava, non una ruga turbava quella pelle compatta, non un capello bianco gli striava i capelli, al di fuori del suo caratteristico ciuffo niveo, dovuto ad una maledizione mal finita. Era bello e perfetto come sempre, proprio come era la mattina del giorno in cui era morto.

«Forse dovrei lasciarti andare, smetterla di venire qui….»

Shiro annuì tristemente nello specchio, gli occhi ormai lucidi. Keith sapeva consciamente che quello nello specchio era solo una sua proiezione mentale di Shiro, che qualsiasi cosa che quel riflesso faceva o mostrava, era un qualcosa che lui desiderava nel profondo, eppure per lui era come se quello Shiro fosse reale, senziente… per lui era come se tramite quello specchio Shiro fosse ancora vivo.

Ogni tanto ripensava al modo in cui aveva trovato quella stanza e quello specchio, a come ci era incappato in uno dei suoi momenti più bui e di come avere di nuovo una sorta di Shiro di fianco lo avesse aiutato molto e si ripeteva che probabilmente aveva trovato quello specchio per un motivo. Allo stesso tempo, però, non riusciva a non pensare a quanto fosse sbagliato rimanere aggrappato a una proiezione della sua mente, fermo, ancorato, senza possibilità di andare avanti, mentre parlava e si confidava praticamente con se stesso nello specchio.

«Mi mancherai, lo sai? Mi hai aiutato molto in questi anni, ma sento come che tutto questo sia tremendamente sbagliato per me.»

Il ragazzo nello specchio annuì serio, dandogli ragione.

Keith non era andato lì con l’idea di dirgli addio, ma mentre raccontava di come il suo lavoro lo stesse soddisfacendo, all’improvviso aveva avuto come una sorta di epifania, di illuminazione. Shiro gli mancava da morire, ma allo stesso tempo stava continuando a vivere. Non lo avrebbe mai dimenticato, lo avrebbe portato sempre con sé nel suo cuore, avrebbe trasmesso i suoi insegnamenti e così avrebbe continuato a farlo vivere, non ricreando una sua pallida imitazione distorta da una magia e dai suoi desideri egoisti.

Non sapeva se era davvero pronto per lasciarlo andare, ma sapeva di doverlo fare.

«Ti amo. Ti amerò per sempre.»

Si concentrò e in qualche modo riuscì a proiettare anche un’immagine di se stesso nello specchio insieme a Shiro e vide il suo riflesso e quello dell’altro sorridersi felici, per poi abbracciarsi e baciarsi teneramente. Erano così felici insieme, ma la loro visione faceva male a Keith, che si voltò, recuperando il suo mantello e agitando la bacchetta, per coprire per sempre quello specchio e quello che vi aveva visto dentro.

«Addio, Shiro, aspettami nella prossima vita.»

La porta si chiuse dietro di lui e il buio del lungo corridoio lo inghiottì. Camminò per ore a vuoto, prima di decidersi a tornare verso la sua stanza, ma proprio in quel momento si trovò a passare davanti a una finestra e le prime luci dell’alba, con il loro violetto e rosa tenue catturarono il suo occhio. Keith sorrise, ricordando quante albe aveva aspettato con Shiro e una lacrima gli rotolò lungo la guancia. Quella era l’alba della sua nuova vita.

  
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