Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: mido_ri    03/03/2019    2 recensioni
Allison Harvey, ereditiera di un'azienda di giocattoli di fama internazionale, conosce il ricco e affascinante Kim Seokjin, divenuto intimo collaboratore di suo padre in breve tempo.
Il Signor Kim, però, ha fin troppi riguardi per la giovane Allison, che si ritrova a dover fronteggiare situazioni al limite della sopportazione umana. Perché il Signor Kim la tratta in questo modo? Gode già dei favori del padre di Allison e presto, grazie alla collaborazione con lui, anche la sua azienda sarà all'apice della fama nel continente americano.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Seokjin/ Jin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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princess

 

A volte penso che mi basterebbe un po' di silenzio per stare bene, ma no, non è possibile. O almeno non qui, non ora.

- Ally, che diavolo stai scrivendo?

Sbuffai e chiusi il diario con un movimento brusco della mano.

- Ci conosciamo da anni, Felix. Dovresti saperlo.

- Brr! Hai ragione, ma non ricordavo che fossi così fredda.

Tentai di concentrarmi sulla lezione, con la motivazione che almeno era l'ultima ora. Nel frattempo il mio compagno di banco, nonché mio secolare e insostituibile migliore amico, continuava a scimmiottarmi scrivendo frasi romantiche sul banco. Non me la presi, ero abituata. Proprio perché era il mio migliore amico, poteva prendermi in giro quanto voleva: sapevo che lui era l'unico in grado di capirmi. Non che ci fosse chissà cosa capire, fondamentalmente ero un libro aperto. Un libro molto noioso. E se non fosse stato per lui, che aveva portato nella mia vita tutta la vivacità di cui era in possesso, la mia attività giornaliera sarebbe stata pari a quella di un vegetale.

L'ultima campanella suonò e tutti gli studenti si alzarono emettendo un sospiro di sollievo all'unisono, me compresa. Non vedevo l'ora di tornare a casa e stare a mollo nella vasca da bagno per almeno quaranta minuti. Ma Felix rovinò tutti i miei piani, come era suo solito.

- Stasera hai da fare?

- Perché?

Risposi, mentre tentavo in tutti i modi di infilare un enorme raccoglitore nell'armadietto.

- Perché penso proprio che dovresti venire a casa mia.

- A fare?

Felix sbuffò sonoramente e sbatté l'anta del suo armadietto, nonostante fosse vuoto come sempre.

- La principessa non può lasciare il castello stasera?

Mi lasciai sfuggire una risatina a cui non seppi dare un senso neanche io. La realtà era che mi infastidivano quelle sue continue allusioni a quanto fosse ricca la mia famiglia e, di conseguenza, anche io. Naturalmente lui non pronunciava quelle parole con malizia, ma era capace di mettermi sempre a disagio: sapevo che la sua condizione era ben diversa dalla mia, anzi, completamente opposta. Ma io non potevo farci nulla e, al contempo, lui non cercava la mia compassione.

- Questa sera la principessa è disponibile per il suo ammiratore, ma desidera fare un bagno caldo prima di uscire.

Il biondo sorrise e si beccò una carezza sul capo da parte mia.

- Scusa, dimenticavo che sei una ragazza.

- Sta' attento a come parli. Posso essere molto più virile di te, quando voglio.

Una volta a casa, feci come promesso a me stessa. Non persi neanche un secondo prima di cominciare a riempire la vasca da bagno e spogliarmi. 
L'acqua era calda e piena di bolle, come piaceva a me. Era da tanto che non dedicavo un po' di tempo a me stessa e, visto che il sabato mattina la scuola era chiusa, potevo farlo con tutta calma soltanto il venerdì sera. Salvo imprevisti o Felix.

Allungai un braccio e afferrai il cellulare che avevo lasciato sullo sgabello accanto alla doccia; a scuola non avevo avuto modo di accenderlo, neanche a pranzo. Tutto per colpa dell'interrogazione di chimica che mi aveva costretto a ripetere in ogni attimo di libertà, perfino in bagno. 
Trovai svariate notifiche da applicazioni dimenticate ed e-mail di pubblicità. Nulla di nuovo. D'altronde era comprensibile, non avevo amici al di fuori di Felix; non perché fossi antipatica o considerata sfigata, o almeno non da tutti, ma perché stavo bene così. Felix era il fratello che avevo sempre desiderato e, allo stesso tempo, il migliore amico che potessi trovare. Sorrisi: non lo avrei abbandonato per nulla al mondo. Nulla.

---

Mi sistemai la treccia sulla spalla un'ultima volta, mentre attendevo che il mio amico aprisse la porta. Il vento era gelido e gli alberi spogli gettavano ombre inquietanti sul vialetto davanti alla casa.

- Eccomi!

Esatto, eccolo. Il solito Felix già in pigiama alle nove di sera, con del ramen confezionato in una mano e delle bacchette di legno nell'altra.

- Attento alla salute come sempre, eh?

- Stasera non ho voglia di cucinare!

- Che strano. Dici così ogni volta che vengo a trovarti.

Mi chiusi la porta alle spalle e mi accomodai sul divano, posizionato di fronte al televisore acceso e connesso a un canale che trasmetteva un bizzarro survival show.

- Ne vuoi un po'?

Il biondo prese posto accanto a me con un tonfo e riprese a mandar giù quegli strani spaghetti speziati.

- Lo sai che non mi piace quella roba.

Si mise una mano sul cuore e finse di essere sconvolto.

- Smettila di offendere la mia cultura.

- Quale cultura? Sei più americano di me, devo ricordarti il modo imbarazzante in cui parli?

- Oh, scusami. Non ho ricevuto un'educazione perfetta come la tua.

Alzai gli occhi al cielo e gli circondai le spalle con un braccio.

- Brr! Non ricordavo fossi così freddo.

Rise con me e appoggiò il capo accanto al mio.

- Allora, cosa vuoi guardare?

- Mi hai invitato per guardare la televisione?

Felix mise il broncio e posò la confezione ormai vuota sul tavolino di fronte al divano.

- Volevo un po' di compagnia e...

- Sì, lo so. Da quando Vernon si è fidanzato non ti calcola più.

- Già... Neanche per le partite online il venerdì sera, ti rendi conto?

Gli rivolsi uno sguardo sinceramente dispiaciuto e gli accarezzai la schiena con delicatezza.

- Ma ti vuole ancora bene. E nel dubbio... C'è la tua adorata principessa.

- Credici!

Mi morse un braccio e mi spinse via, ritrovandosi però, poco dopo, un mio piede sul viso.

- Ah! Che schifo! Almeno li hai lavati?

- Sì! Ho fatto il bagno poco fa, non ricordi?

- Ah, giusto. A proposito, non hai cenato, vero?

- No, ma sono a dieta.

Felix scosse la testa, manifestando il suo totale disaccordo.

- Non sei grassa.

- Ehi! Infatti non ho mai detto di esserlo... Ma qualche chilo in meno mi farebbe comodo.

- Ah... Le ragazze. Pensa a quando sarai così magra che le poche tette che hai spariranno. Roba da film horror.

- Dài!

Gli diedi un'ultima spinta con il piede, poi mi accoccolai con il capo sulle sue cosce e presi possesso del telecomando, mentre Inu - il tanto grazioso quanto fastidioso cane di Felix - continuava a leccarmi insistentemente una caviglia.

- Solo per stasera. Sono stato chiaro?

Cercai di trattenere una risata mentre gli davo una risposta affermativa.

---

Il mattino seguente mi risvegliai a causa di un dolore improvviso a una spalla, come se avessi ricevuto uno schiaffo. Poi sentii una botta.

Aprii gli occhi di scatto e vidi Felix a terra, che si massaggiava il fondo schiena con una mano, mentre nell'altra stringevda uno straccio per la cucina. Alzai le sopracciglia, confusa, ma allo stesso tempo pronta ad ascoltare lo stupido motivo per cui era finito in quel modo.

- Ti ho detto mille volte che il caffè ti dà alla testa. Dovresti berne di meno.

- Non è per quello! C'è una mosca!

Alzai gli occhi al cielo e mi lasciai sfuggire un verso di disperazione, rigettandomi sul divano.

- Scusa se ti ho sbattuto lo straccio addosso, ma si era posata sulla tua spalla...

- Okay, okay. Ci penserai più tardi. Che ne dici di fare colazione fuori?

Felix sgranò gli occhi e per qualche attimo pensai che mi sarebbe saltato addosso per la gioia.

---

- Ah! Baffi!

Il biondo indicò il mio viso imbrattato di schiuma di cappuccino e mi pulii immediatamente, imbarazzata.

- Potresti evitare di urlare davanti a tutti?

- Fammi indovinare. Ho una reputazione da portare avanti.

- Sì... una cosa del genere.

- Uhm... A proposito di vita sociale. Che fai stasera?

- Una delle solite cene di famiglia. Purtroppo questa volta non posso andarmene con la scusa di Sharon che ha un calo di zuccheri al parco.

- Magari puoi inventare che siete andate a finire in un fosso con la macchina.

- Ma non ha la patente!

- Forse perché non esiste? Non potevi inventare un'amica più inutile di lei.

- Grazie... E comunque è una cena importante. Non posso mancare.

Felix sbuffò e si lasciò andare sulla sedia, con il capo al di fuori dello schienale.

- Non puoi uscire con Vernon?

- Vernon? Figurati! Sarà impegnato con quella.

- E allora? Altre volte ti ha invitato a uscire con loro, no?

- Ah, sì? Grazie, ma non ci tengo a diventare un palo vivente.

- Come vuoi... Cercherò di tenerti compagnia per messaggio.

- Grazie, Ally. Ti adoro.

Mi mandò un bacio volante che ignorai prontamente.

---

- Allison, sei pronta?

Ero lì, davanti allo specchio, vestita in modo impeccabile e, naturalmente, anche in una posa impeccabile. Non più Ally, ma Allison Harvey, l'ereditiera di una delle imprese più fruttuose del continente. Una maledetta azienda di giocattoli che da bambina ammiravo e di cui sarei voluta divenire capo al più presto. Ma quella passione era svanita piuttosto in fretta non appena avevo realizzato quanto fosse complesso e sfiancante gestire un'impresa e non vedevo l'ora di fuggire da quel triste futuro, sebbene la considerassi una cosa più che difficile. 
Qualcuno bussò alla porta e non ci fu bisogno di chiedere chi fosse; era indubbiamente mia madre che reclamava la mia presenza in soggiorno.

Era da un po' di tempo che i miei genitori non invitavano qualcuno a cena e, tutte le volte che accadeva, era come se stessero accogliendo la regina in persona in casa loro. Solitamente eravamo noi a essere invitati ovunque, dal momento che molti imprenditori non vedevano l'ora di fare affari con la grande azienda di mio padre. E io, come loro figlia, venivo sballottata ovunque e costretta a partecipare a noiosissime cene, durante le quali usare la forchetta sbagliata mi sarebbe costato la paghetta per un anno intero.

- Tesoro, sei bellissima. Ma penso che questo vestito non si abbini con il contesto.

- Il... contesto?

- Sì, certo!

La donna alzò gli occhi al cielo e allargò le braccia, come a voler sottolineare una cosa già ovvia.

- Preferirei che indossassi un vestito più scuro, magari sul blu. Sì, decisamente. Si abbinerebbe perfettamente con i fiori che ho comprato ieri.

Feci scorrere gli occhi sul mio vestito rosa, che effettivamente mi stava malissimo; ma ricordavo ancora le parole di mia madre quando me lo aveva comprato, ossia che avrei dovuto metterlo in un'occasione importante. 
Ma a quanto pareva aveva cambiato idea, quindi scrollai le spalle e le feci cenno di uscire. 
Sbadigliai ampiamente mentre guardavo la mia immagine riflessa nello specchio. Il vestito blu mi stava decisamente meglio, anche se mi metteva parecchio a disagio: avevo la schiena scoperta, e uno scollo fin troppo evidente, per non parlare degli strati di tessuto in tulle trasparenti. Ma era quello che mia madre voleva, e avrei fatto di tutto pur di non sorbirmi le sue inutili lamentele e far passare in fretta quella serata.

Inutile dire che, quando arrivai in soggiorno, mia madre mi rivolse un caloroso applauso con un sorriso a trentadue denti stampato sulle labbra.

- Ma guardati! Ormai hai imparato a vestirti e truccarti da sola... Sembri proprio una principessa!

"Ci credo. Dopo anni e anni passati a tenermi in ostaggio nella tua cabina armadio... "

- Il nostro ospite sarà qui a momenti, avresti anche potuto sbrigarti però!

Si avvicinò sbattendo i tacchi vertiginosi sul pavimento da poco tirato a lucido e mi diede una sistemata ai capelli fuori posto.

- Il nostro ospite? Pensavo...

- No, no. Tesoro, questa volta non si tratta della solita famiglia noiosa che vuole immischiarsi negli affari di tuo padre. Riceveremo un uomo molto importante e voglio che sia tutto perfetto.

- Oh, avresti potuto dirmelo! Non avevo capito.

- Lo so, ma non volevo metterti pressione addosso. Per questo non ti sono stata con il fiato sul collo come faccio di solito, so che è stressante.

Tirai un sospiro. Mia madre, per la prima volta nella sua vita, aveva riconosciuto il suo fastidiosissimo modo di fare e si era posta dei limiti, ma ciò non aveva contribuito a farmi stare meglio, anzi, ero ancora più ansiosa. Non ero pronta e l'idea che un mio errore, seppur minimo, avrebbe potuto far crollare gli affari fra mio padre e quell'uomo, mi terrorizzava. 
Presi a camminare avanti e indietro nella grande sala da pranzo per smaltire il nervosismo, facendo finta di ammirare la disposizione dei tovaglioli sul tavolo. Quando il campanello suonò, mi fermai all'improvviso e strinsi leggermente i pugni. Sentii mia madre avvicinarsi alla porta di corsa e poi esclamare qualcosa.

- Benvenuto, Signor Kim! Sono molto onorata di riceverla questa sera. Prego, mio marito la sta aspettando nella sala da pranzo.

Ruotai gli occhi e rivolsi uno sguardo confuso a mio padre, intento a osservare il suo orologio da polso, acquicstato poche ore prima.

"Kim? Chi diamine è? Pensavo fosse un uomo importante"

Non avevo mai sentito parlare di un collaboratore di mio padre con quel cognome, nonostante di Kim nel mondo ce ne fossero a bizzeffe. E io conoscevo il novanta per cento degli affari dell'azienda di mio padre, visto che partecipavo a tutti gli incontri. 
Mi lasciai andare su una delle sedie e sbuffai. Si trattava sicuramente del solito individuo serio e noioso, il cui unico interesse era stendere gli artigli sui guadagni di mio padre. Quel cognome non mi diceva niente, o almeno così pensai finché non vidi il nostro ospite fare il suo ingresso nella sala.

- Venga, Signor Kim. Si accomodi, la cena sarà servita a momenti.

La figura di mia madre, stranamente tesa e insicura, fu seguita da quella di un uomo alto, con i capelli scuri e le spalle molto ampie -prima cosa che notai-.

"Signor Kim? Quel tizio avrà sì e no tre anni in più di me! Come diavolo fa a essere il CEO di solo-lui-sa-cosa?"

Purtroppo il galateo che i miei genitori mi avevano premurosamente insegnato, mi impediva di rimanere lì seduta ad aspettare che qualcuno mi mettesse del cibo nel piatto, quindi mi alzai indossando il sorriso più falso che trovai in repertorio e mi presentai all'attesissimo ospite. 
Ogni parte del suo corpo sembrava recitare la parola noioso; eccetto le sue spalle larghe. 
E i suoi occhi neri e profondi. 
E le sue labbra carnose. 
E un sorrisetto ammiccante stampato sulla sua faccia. 
E naturalmente anche la sua pelle liscia e bianca come l'avorio.

- È un grande piacere conoscerla, Signor Kim. Sono Allison Harvey.

- Il piacere è tutto mio, Allison.

Okay, quel Kim era davvero un gran bel pezzo d'uomo ma, come tutti, era sicuramente noioso e interessato soltanto al lavoro. 
E poi, che diavolo aveva da guardare? Potevo sentire il suo sguardo trafiggermi la schiena quando mi voltai, anche se non lo vedevo.

Finalmente mia madre mi diede il via libera per sedermi con uno sguardo angosciato ma, prima che potessi anche solo toccare la spalliera della sedia, l'uomo percorse la distanza che ci separava con un solo passo e trascinò indietro l'oggetto, invitandomi a prendere posto. 
Tentai di ringraziarlo, ma dalla mia bocca uscì soltanto un suono rauco e indistinto. E pensare che mettevo la sciarpa ogni giorno. 
Lui sembrò aver capito lo stesso e mi fece l'occhiolino.

"L'occhiolino? Questo metodo di abbordaggio risale al duemilasette. Ma andiamo! Però... Che gambe lunghe!"

Ringraziai la natura del fatto che gli uomini non avessero il dono di leggere nella mente, così il mio bipolarismo poteva manifestarsi in tutta tranquillità.

Smisi di pensare a tutte quelle cose futili, in particolare alle enormi mani del signor Kim, quando mia madre mi mise sotto il naso uno dei piatti che preferivo di più. Purtroppo il già nominato galateo mi impediva anche di fiondarmi sul cibo come un cane randagio, perciò mi armai di forchetta e coltello e cominciai a tagliare in piccoli pezzi la mia gloriosa bistecca.

- Allora, Kim, ho sentito che gli affari vanno a gonfie vele nella tua azienda, nonostante sia nata da poco.

- Oh, per favore, signor Harvey. Mi chiami pure Jin.

- Jin?

- Se ricorda bene, il mio nome completo è Kim Seok-Jin.

Mio padre sorrise e rivolse al suo ospite uno sguardo amichevole.

- A questo punto credo non ci sia bisogno di dirti che puoi chiamarmi Michael.

L'uomo annuì con apparente divertimento e addentò il suo ultimo boccone, non prima di avermi rivolto l'ennesimo sguardo indecifrabile. 
Cavolo, era sexy anche mentre masticava una foglia d'insalata non condita. 
Troppo presa dal fare quegli apprezzamenti mischiati a un pizzico di scetticismo, il boccone mi andò di traverso e cominciai a tossire. Sembrava che la mia lingua fosse in preda agli spasmi e la gola mi andava a fuoco. 
Fu nel momento in cui mia madre si alzò con i capelli fra le mani e un'espressione sconvolta, che capii che non mi era affatto andato il boccone di traverso.

- Ma... Mamma...

Lanciai un'ultima occhiata disperata al mio piatto, prima di ricominciare a tossire e a sventolarmi la faccia con le mani. 
Mi permetti i palmi contro le guance e percepii che erano orribilmente e spaventosamente gonfie. 
Ero in preda al panico e non riuscivo a far altro che continuare a toccarmi ovunque ed emettere strani versi simili a un lamento. 
La testa cominciò a girare vorticosamente, poi mi si offuscò la vista. Sentii mia madre parlare frettolosamente, molto probabilmente con il pronto soccorso. Poi più niente.

---

Mi risvegliai ignara di tutto, in una stanza sconosciuta e schifosamente bianca. Mi voltai, una luce opaca trapelava da un paio di tendine verdi. Sbattei le palpebre più volte e sentii una fitta alla testa. Tentai di portarmi una mano alla fronte, ma qualcosa me lo impedì. Un piccolo ago infilato nel mio polso sinistro. Fui colta da un conato di vomito, detestavo le siringhe, ma la prospettiva di sfilarmi quella roba dalla pelle di mia iniziativa era ancora più spaventosa, quindi la lasciai lì.

Non ci misi molto a comprendere che ero in un ospedale, ma ero ancora troppo stordita per capirne il motivo.

Sussultai quando qualcuno bussò alla porta, poi sentii una voce ovattata. Pochi secondi dopo Felix si catapultò nella stanza con un mazzo di rose appassite in mano.

- Ally! Ma allora sei viva!

- S-sì...

Una voce rauca e debole uscì dalla mia bocca, era come se non parlassi da giorni.

Il ragazzo appoggiò i fiori sul comodino e si sedette sul bordo del letto, squadrandomi da capo a piedi con i suoi enormi occhi castani.

- Non hai mai visto una ragazza in ospedale?

- Non una così bella.

Feci finta di essere sul punto di vomitare, anche se non si trattava del tutto di un'improvvisazione.

- Scherzavo, principessa. Come stai?

- Bene, anche se... Oddio.

Ecco. Il punto di non ritorno. 
Avevo appena ricordato il motivo per cui mi trovavo lì.
Una reazione allergica. 
E il signor Kim. 
Una reazione allergica davanti al signor Kim.

Felix spalancò gli occhi con aria curiosa e inclinò la testa di lato come a fare una domanda silenziosa. Una delle sue tante abitudini.

- Mia madre ha attentato alla mia vita!

Alzai le mani in modo teatrale e le lasciai ricadere sul letto subito dopo.

- Ma dài, sarà stata una distrazione!

Il biondo si soffermò un attimo a pensare, tenendosi il mento fra le mani, mentre io mi figuravo la scena della mia morte sociale ripetutamente.

- E poi, chi ha mai sentito parlare di una persona americana allergica alle noccioline?

- Che vorresti dire?

- Che non sei americana! Mi hai mentito per tutti questi anni, ammettilo, traditrice.

Sbuffai e ruotai gli occhi. Era raro riuscire a sostenere una conversazione seria con Felix, ma ero abituata.

- Dovresti provare il cibo coreano.

- Felix, non spacciarti per coreano soltanto perché i tuoi genitori lo sono. Mangi più schifezze di me e non sai nemmeno come sia fatto il cibo del tuo paese.

Il ragazzo accettò la sua sconfitta silenziosamente; ormai avevo perso il conto di tutte le volte in cui era stato costretto a darmi ragione.

- Be', magari la prossima volta che tua madre prepara da mangiare, ricordale che potrebbe ucciderti con mezza nocciolina. Anche se non sarebbe un male...

Il biondo incorniciò il proprio mento con indice e pollice, con finto fare pensieroso, poi sorrise mostrando tutti i denti bianchi e perfettamente allineati. Mi venne voglia di saltargli addosso e stritolarlo, ma era raro che cedessi a quei pochi attacchi d'affetto improvvisi, e in quel momento non ero affatto nelle condizioni adatte. La testa mi faceva malissimo e avevo soltanto voglia di sotterrarmi -più che altro per la figuraccia che avevo fatto con quello sconosciuto di cui, tra parentesi, non mi importava un fico secco-.

- Bene!

Felix si alzò e si batté i palmi sulle cosce.

- C'è tua madre qua fuori, mi sa che vuole vedere di nuovo come stai.

- Chissà, magari mi ha portato un bel pacco di noccioline tostate per festeggiare.

Ridemmo entrambi, poi rimasi sola.

---

- Oh, tesoro! Non hai idea di quanto sia dispiaciuta! Lo sai che non avrei mai fatto una cosa del genere volontariamente...

Alzai gli occhi al cielo mentre sbattevo la portiera dell'auto con la mia solita delicatezza. Entrai in casa con mia madre alle calcagna che continuava a sputare scuse di ogni tipo finché, dopo aver constatato che mi aveva seguito fino alla porta della mia stanza, mi voltai con gli occhi tanto spalancati da farla sussultare.

- Mamma, sono ancora viva, okay? So che non lo hai fatto di proposito, ora vorrei riposare, grazie.

Mi voltai di scatto, pronta a solcare l'uscio e a buttarmi a peso morto sul letto, ma mia madre mi richiamò con esitazione, ancora intimidita dalla mia precedente reazione.

- Tesoro... Oggi è venuto il corriere, o qualcosa del genere. Ti ha lasciato un pacco da parte di non so chi.

- Che vuol dire "un corriere, o qualcosa del genere?"

- Be'... Non ho mai visto un corriere con un completo elegante uscire da una limousine, sembrava quasi un agente di quelli che si vedono nei film d'azione...

In quel momento potevo giurare di aver visto gli occhi di mia madre assumere la forma di due cuori e, come impulso naturale, feci finta di essere disgustata dalla sua reazione.

---

Raggiunsi il mio letto tenendomi la testa dolorante fra le mani. Sul copriletto rosa era poggiato un pacco ben assicurato da più strati di nastro adesivo.

Rimasi imbambolata a fissarlo per qualche secondo, con le sopracciglia alzate, chiedendomi per quale motivo al mondo qualcuno avesse sentito la necessità di farmi un regalo. Poi mi sedetti sul bordo del letto e allungai una mano verso l'oggetto, continuando a guardarlo con tutto lo scetticismo che i miei occhi erano in grado di esprimere. Me lo rigirai fra le mani finché non mi decisi ad aprirlo. 
Ci misi un bel po' a rimuovere tutto quello scotch e quel cartone, imballato con così tanta cura che pensai che la scatola potesse contenere qualcosa di fragile.

Ma rimasi profondamente delusa quando mi ritrovai fra le mani una confezione formato famiglia di noccioline tostate.

"Ma mi stai prendendo in giro?"

Lanciai la busta dall'altra parte della stanza e la osservai schiantarsi contro il muro, per poi ricadere a terra intatta. Ripensai alla conversazione avuta con Felix nella stanza d'ospedale e mi sentii ribollire di rabbia.

"Quell'idiota ha davvero..."

Ma mi sbagliavo di grosso perché, non appena il mio sguardo si posò sul pacco apparentemente vuoto, notai un bigliettino nell'angolo.

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Ciao! Questa è la mia prima storia su un membro dei BTS, inutile dire che ho scelto Jin perché è il componente a cui mi sento più vicina e poi... Non ci si stanca mai di Jin in smoking. 
Spero che questa idea vi stia piacendo. Inoltre, non fateci caso se il biglietto è scritto in inglese, nella foto ho voluto "riprodurre" la scena e poiché i personaggi vivono in America, ho deciso di fare così!

  
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