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Autore: Darlene_    04/03/2019    2 recensioni
Lontano da Gotham, Harvey Bullock è un giornalista di successo. In un giorno come tanti qualcosa sconvolge la sua vita e quella del suo collega James Gordon.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harvey Bullock, Jim Gordon
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per la Valentine/Carnival challenge 

Fandom: Gotham
Prompt: Au 
JimxHarvey







 








 


REPORTAGE DI SANGUE




Non potevano essere lacrime quelle che gli scendevano copiose sul viso e quella fitta al cuore doveva essere una ferita, non di certo il dolore provocato dal quel corpo steso a terra, ricoperto di sangue. Nella sua vita aveva incontrato molto spesso la sofferenza: aveva perso la casa, la famiglia e certe volte addirittura la dignità, poi aveva scoperto che il liquore riusciva a renderlo vuoto ed impermeabile alle emozioni e così aveva cominciato ad usarlo per rilassarsi, per sentirsi meglio, a volte anche per dimenticare se stesso. E allora perché si sentiva dilaniato dall’orrore? 
 
QUALCHE ORA PRIMA

Era stata l’estate più calda dell’ultimo decennio e, nonostante settembre fosse ormai giunto, l’afa non accennava a diminuire. 
Le pale del ventilatore producevano un rumore ritmico, nell’intento di donare un briciolo di refrigerio ai giornalisti del National Magazine. 
James Gordon era seduto alla sua scrivania, gli occhi puntati sullo schermo del suo computer. Non una goccia di sudore imperlava la sua fronte e la camicia inamidata profumava ancora di bucato. Harvey lo guardava di sottecchi mentre cercava, invano, l’ispirazione per l’incipit della sua storia. La sua, di camicia, odorava di sudore e di whisky scadente. 
“Ehi, Jimbo, credi di riuscire a scegliere quelle foto prima del prossimo decennio?” Adorava stuzzicarlo, lo faceva tutte le volte che ne aveva l’occasione, ma il suo collega non sembrava mai accogliere le provocazioni. Anche quel giorno non staccò gli occhi dal suo lavoro e con voce pacata rispose: “Credo di aver scelto quella di copertina, ma tu dovresti impegnarti un po’ di più, questa sera abbiamo la consegna e scommetto che non hai nemmeno cominciato a scrivere.”
Harvey storse il naso, come sempre il collega aveva lasciato emergere il suo lato da boy scout. 
James era stato assunto solo qualche mese prima incantando la direttrice delle risorse umane con la sua educazione e i modi gentili. Tutte le mattine entrava in ufficio con una camicia pulita, un sorriso stampato sul volto e cinque minuti buoni di anticipo. Si sedeva alla scrivania e svolgeva il suo lavoro con passione. A differenza degli altri non si lamentava mai per i turni, le scadenze troppo imminenti o per la macchinetta del caffè guasta e Harvey lo detestava per questo. Odiava i suoi modi da bravo soldatino e quelle gentilezze gratuite per chiunque gli passasse accanto. Ovviamente per qualche diabolica legge di Murphy erano stati abbinati: lui scriveva gli articoli e James scattava le fotografie. 
I tacchi della direttrice Sarah Essen distolsero Bullock dai suoi pensieri. In un attimo il ticchettio delle tastiere si interruppe e lei ebbe l’attenzione di tutti i giornalisti.
“Un aereo è appena precipitato abbattendo un edificio nella zona sud di Manhattan. Si tratta di una tragedia di portata colossale, un evento di cui si parlerà a lungo, perciò vi voglio tutti sul campo. Pretendo aggiornamenti in tempo reale, fotografie da ogni prospettiva e materiale per produrre un numero vertiginoso di articoli. So che è una tragedia, ma dobbiamo metterci al lavoro.”
In un attimo la redazione si svuotò. Harvey afferrò svogliatamente il suo cappello, non era nei suoi piani uscire a quell’ora calda del pomeriggio, ma non aveva scelta. Raggiunse Jim che era già salito in macchina pronto a sfrecciare verso il quartiere dell’incidente. 

Una nuvola di fumo si alzava nera verso il cielo. Le sirene dei soccorsi ululavano come lupi smarriti, ma ciò che colpiva di più erano le persone: piccole formiche in quel caos, urlavano, alla ricerca di parenti, amici, conoscenti. Molti di essi giacevano su barelle o sotto le macerie. 
Mentre la gente scappava lontano da quel luogo di morte, James e Harvey avanzavano a fatica, cercando di trovare un punto adatto per poter controllare la situazione. Era difficile mantenere un comportamento distaccato di fronte a tanta sofferenza. Il più giovane si chinava spesso ad aiutare qualche ferito, la macchina fotografica in mano, ancora inutilizzata. 
Quando furono abbastanza vicini all’edificio la folla era ormai diradata, evacuata dai soccorritori. 
“Jim credo che da lì riusciresti ad avere qualche bello scatto.” Propose Harvey, senza ottenere risposta. Il suo collega stava in piedi, la testa voltata da un lato, assorto. 
“Jimbo?” Ripeté ad un tono maggiore. 
“Lo senti anche tu, vero?” Ripose l’altro, restando immobile in quella scomoda posizione.
Harvey aggrottò le sopracciglia, non aveva voglia di gestire un novellino sconvolto dalla miseria umana. 
“Non c’è nulla, andiamo.”
Prima di poter terminare la frase il partner stava già correndo in direzione dell’ingresso dell’edificio, urlando qualcosa a proposito del pianto di un bambino. Con uno sbuffò lo seguì, arrancando tra le macerie e i cadaveri. 

Era impossibile credere che quel mucchio di cemento solo poche ore prima fosse un edificio: pareti sventrate, lampadari suntuosi ormai sfracellati al suolo e oggetti quotidiani come spazzolini, libri, abiti, tutto era sparso alla rinfusa su ciò che ormai sembrava una discarica. Harvey strizzò gli occhi cercando di abituarsi al buio. Con un piede schiacciò una paperella di gomma che emise un fischio. Adesso poteva udirlo anche lui il pianto di un bambino. Guidato da quel rumore si addentrò maggiormente all’interno. 
Non riuscì a compiere che pochi passi prima che una scossa di assestamento facesse cadere una pioggia di cemento. Si riparò la testa con le braccia, cercando di non respirare la polvere dei calcinacci. Dopo un tempo che parve infinito tutto tornò alla quiete. Lo spazio era diventato molto più buio, probabilmente le macerie avevano chiuso l’entrata. Per un attimo l’uomo si sentì soffocare, erano stati sepolti vivi. Provò a chiamare il suo collega, ma come risposta non ottenne altro che gemiti. Accese una torcia. 
James giaceva a terra, ricoperto da quelli che dovevano essere i resti del pavimento del primo piano. Poco distante da lui un bambino ancora in fasce. Prima di tutto controllò le condizioni del piccolo, ma non vi era più battito.
Con aria mesta si chinò accanto al fotografo, cercando di rimuovere con delicatezza le macerie. Il viso di Jim era contratto in una smorfia di dolore, ma cercava di non lamentarsi. Ripeteva che non era nulla, di occuparsi del piccolo, ma Harvey sembrava sordo davanti a quelle proteste. 
“Il bambino sta bene, adesso ti libero e ce ne andiamo da qui.” Provò a consolarlo, tenendo per sé il pensiero che forse non sarebbero mai riusciti ad uscire. 
Gli liberò la testa e passò un fazzoletto sul volto bagnato. Si tolse la giacca e la mise sotto il capo di James. 
Rimboccandosi le maniche trasse un respiro profondo, doveva togliere la lastra di cemento che comprimeva la gabbia toracica. Tentò di sollevarla, ma era troppo pesante, perciò optò per farla scivolare lentamente di lato. 
Quando l’operazione fu terminata si accorse che numerose costole erano fratturate e sgorgava sangue da una grossa ferita sullo stomaco. 
“Ehi, Jimbo, adesso fermo l’emorragia, poi dovremo solo aspettare i soccorsi.”
L’altro annuì, cercando di volgere lo sguardo verso il bambino che credeva essere ancora in vita. 
“Dovresti portare fuori lui. La madre sarà disperata, dobbiamo…” Un colpo di tosse gli stroncò la frase. 
Harvey stava comprimendo la ferita per limitare il flusso di sangue, ma scostò una mano per carezzare il viso dell’amico. 
“Non parlare, andrà tutto bene.” 
Jim provava a resistere con tutto se stesso, ma il dolore era straziante e le palpebre diventavano sempre più pesanti. Chiuse gli occhi.
Nonostante la pressione esercitata il sangue continuava a scorrere copioso dalla ferita e un rivolo rosso uscì dalle sue labbra. Le costole rotte avevano perforato i polmoni, provocando un’emorragia interna. Non appena Harvey si accorse che i gli occhi azzurri avevano smesso di fissarlo si strofinò le mani sporche sui pantaloni e cominciò a schiaffeggiare il volto del ferito.
“Guardami stupido boy scout! Apri gli occhi non puoi dormire.” E ancora “Resta sveglio, non ti preoccupare, risolveremo tutto”. Come in una litania. 
James riuscì, con molta fatica a scostare nuovamente le palpebre. “Harvey” La sua bella voce ormai arrochita.
“Non parlare, non devi sforzarti, rilassati.”
“Ho freddo.”
Il giornalista, senza un attimo di esitazione, si tolse la giacca e la avvolse con delicatezza attorno al corpo dell’amico. Poi si stese accanto a lui, incurante del gelido pavimento e lo avvolse tra le sue braccia per trasmettergli maggior calore. 
“Sei stato… Sei stato un buon amico.” 
Harvey usò una mano per fargli voltare il viso nella sua direzione. “Anche tu, partner. Ti ho detestato così a lungo perché ti invidiavo, sei così pieno di sogni, speranze, una volta anche io ero così. Tu sei sempre pronto ad aiutare gli altri, quante volte ti ho detto di non fare l’eroe?” La sua voce risultava calma, anche se dentro aveva solo una tempesta. Ricacciò indietro le lacrime, non poteva dare segni di tristezza. 
“Quando ti ho visto per la prima volta…” Un colpo di tosse, un altro e gocce di sangue che dalla bocca stillavano sul terreno. “Ho pensato che fossi un uomo che aveva perso le speranze. Harvey tu non sei un ubriacone scorbutico, promettimi che da domani cambierai.”
Restarono qualche secondo a guardarsi, il silenzio rotto solo dai respiri irregolari, sempre più frenetici. Si stavano ancora fissando quando l’azzurro vitale delle iridi di Jim si spense. 

Quando i soccorsi liberarono l’entrata era ormai troppo tardi. Trovarono Harvey seduto a terra, il corpo dell’amico stretto tra le braccia, come a proteggerlo. 
Il giorno dopo tutto sarebbe cambiato. Quella tragedia avrebbe segnato molte persone e a lungo si sarebbe parlato di quel fatidico pomeriggio di un afoso settembre, ma per Harvey quella data rappresentava il momento in cui aveva scoperto di non essere l’uomo insensibile che credeva, perché quello era il giorno in cui aveva capito di essere ancora in grado di amare. 
  
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