Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Glance    05/03/2019    1 recensioni
Ciò che resta di una storia, galleggia tra cose non dette e sensazioni che restano indelebili.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Le parole tagliano, le parole schiacciano, le parole consumano; quelle non dette scavano vuoti incolmabili, quelle pronunciate troppo in fretta sono come elastici che si tendono.
Le parole non smettono di tornare, una volta pronunciate, non si dissolvono, galleggiano nei gesti, nei pensieri, cercano, scavano, lasciano tracce che diventano cicatrici indelebili; tornano nei sogni da raggiungere, nelle promesse disattese.
Diventano ricordi, rimpianti.
Le parole sono ciò che mi hai detto, che sono diventate la nostra favola, sono quelle che non raccontavano la verità, le piccole bugie che ti dicevi, a cui hai creduto, che hai fatto diventare la tua realtà dissonante e distorta, perché guardavi attraverso un vetro appannato, sporcato da tutto quel dolore che ti portavi dentro.
Non eri tu, quello non sei mai stato tu.
Le tue risate, erano sempre sorrisi appena accennati, i tuoi occhi accarezzavano con sguardi dolenti e malinconici, come se dovessi sempre chiedere scusa.
La tua voce portava i graffi di quei demoni che sono sempre stati il tuo tormento.
Quante parole per non dire mai niente, per trattenere quella parte di te che ti consumava da dentro.
Quante parole solo per farti del male, per punirti di colpe non tue.
I silenzi, la solitudine che ti circondava anche quando non eri da solo, erano pieni di tutte le parole che hai deciso di non pronunciare e di tenere per te.
Le parole disperate, quelle arrabbiate, erano sempre vestite di calma, velate di malinconia.
Non hai mai accusato nessuno, semmai giustificato.
Ti sei arrabbiato, ma sempre con te stesso.
Quando hai gridato, non era rabbia, ma richieste d’aiuto che non sono mai state comprese, raccolte.
Sei sempre stato un naufrago alla deriva da se stesso, e stranamente tutto quel dolore ti ha sempre reso bello, distante e irraggiungibile.
Le tue parole, ora, sono il mio ricordo e il mio rimpianto, per non essere riuscita a strapparti ai tuoi tormenti, guidato attraverso le tue fragilità.
Non ho saputo riconoscere quel pericolo che incombeva.
Guardavo il riflesso di te, senza comprendere.
Ti vedevo volare e tu invece stavi precipitando.
E tra noi continuavano ad esserci parole che la maggior parte del tempo non ho compreso, a cui non ho dato il giusto significato.
Parole per non dire niente e tutto.
Poi sono arrivati i silenzi, che non sono mai stati vuoti, perché anche quando rimanevi in silenzio hai sempre continuato a parlare, a raccontare di te.
Hai sempre raccontato altezze irraggiungibili dove sapevi rifugiarti, distanze da cui osservavi quello che era veramente importante.
Le  cose importanti le hai sempre guardate con un sorriso di una tristezza infinita, perché sapevi che tutto quello che volevi, era in un altrove che ogni tanto ti aveva accolto, ma che non aveva saputo trattenerti.
La tua inquietudine, non ha mai smesso di parlarti, di raccontarti di un altro luogo, di un approdo.
Era la tua terra promessa, il tuo riscatto.
Sapevi raccontare i tuoi sogni con una dolcezza che lacerava fino alle lacrime.
I tuoi sogni, erano appigli scivolosi a cui ti aggrappavi.
Sei scivolato tante volte, e tante volte le acque tempestose della tua anima si sono richiuse sopra di te.
Quando ti ho incontrato, eri appena approdato sulla ennesima spiaggia, dopo l’ennesima tempesta che ad ondate ti ha sempre travolto.
Ti sei aggrappato alla mia mano, hai camminato con me continuando ad annusare quelle tempeste  a cercarle e sfidarle.
Le tue tempeste ti rendevano vivo, erano il tuo racconto.
Quando sei scivolato dal tuo ennesimo approdo, ti sei aggrappato alla mia mano con tutte le tue forze e mi hai quasi trascinata con te, ho visto le profondità dei tuoi tormenti e le acque agitate richiudersi sopra di noi.
Il tuo dolore, la mortificazione di non avermi saputo tenere al riparo, il senso di colpa per quel te stesso che non hai mai voluto parte di te.
Mi hai sempre ripetuto che non dipendeva da me, che quello semplicemente, forse, era solo il tuo destino.
Non era una mia responsabilità.
E allora perché mi sento responsabile?
In fondo mi sono sempre sentita come se non avessi fatto abbastanza, come se c’era altro da poter fare e dire.
Se non era, una mia responsabilità, perché me?
Non può essere capitato per caso, niente capita per caso, il caso sono indizi che vanno letti.
Ho cercato di leggere, tra le tante parole pronunciate, ho cercato di non lasciarti andare.
Il vento delle tue tempeste però, ha sempre continuato a soffiare, quietandosi solo a momenti e quei momenti sono i miei ricordi più belli.
Quando i venti si sono alzati furiosi dopo una lunga bonaccia, hanno reclamato il loro conto.
Non hai detto basta, non ti sei ribellato, non hai fatto pressioni, semplicemente hai assecondato, annuito, avvolte sorriso, forse, dei fraintendimenti.
Cercavi una modo per prendere la distanze da ciò che eri, e la forza l’avevi trovata in quello che avevamo, che eravamo l’una per l’altro.
Ho la certezza assoluta che non amerò più nessuno come ho amato te e che nessuno mi amerà più come mi hai amato tu.
Ci sono amori, però, talmente disperati e intensi, da sublimarsi nel loro stesso dolore.
Il dolore non passa, semplicemente diventa un abitudine, certi dolori scavano immense voragini e ti disancorano dal terreno.
Il tuo dolore lo sentivo in ogni gesto, in ogni parola, in quel non volerti bene mai, nel non voler accettare che eri importante per me per il solo fatto di essere come eri, ma non potevi credere che qualcuno potesse amarti, di meritare che qualcuno ti amasse.
Te lo ripetevo fino allo sfinimento, ti tenevo stretto a me quando il tuo cielo diventava pesante come piombo .
Ogni volta cercavo di raggiungerti, ma c’erano ferite che dentro di te non avrebbero mai smesso di sanguinare.
Mi chiedevi di non abbandonarti, ma facevi in modo che la storia si ripetesse, perché era l’unico modo che conoscevi, come se non volessi far finire il tuo dolore.
So che non amerò di nuovo, perché con te è stato desiderare cose che non avevo mai pensato per me. Quando sei andato via, mi hai chiesto un ultimo bacio e l’ho sentito adagiarsi dentro di me, con il tuo sapore e il tuo odore.
Forse non smetterò mai di piangere questo pianto silenzioso.
Non smetterò di aspettare un altro bacio, di pensare  a te, a noi, ma per te andare via era l’unico modo, lo hai detto anche tu.
L’amore sa anche lasciare andare.
Hai voluto liberare il mio orizzonte da tutte quelle nuvole minacciose che vi si erano addensate.
Eri la mia direzione; l’ago della mia bussola puntava sempre verso te, le parole tra di noi sono sempre state poesia.
Definirci adesso solo un ricordo di quello che siamo stati fa male, e cerco quelle parole in me, tra le pieghe della mia anima.
Le parole sono in quelle canzoni che ascoltavamo abbracciati ad occhi chiusi, e sono la musica che accompagnava le tue carezze sulla mia pelle.
C’è una parte di me che non dimenticherà mai l’amore tra di noi, quelle notti in cui sentivo di strapparti al tuo inferno anche solo per quelle poche ore.
Sono state conquiste che non mi hanno permesso di vincere la guerra.
Quando hai deciso di abbandonare la mia mano per tenermi al sicuro, avrei voluto lasciare tra di noi altre parole che non ho saputo regalarti.
Perché non volevo per me altre parole se non le tue, o un altro nome sulle mie labbra e un altro odore sulla pelle.
Il mondo adesso è un posto sconosciuto, dove continuerà a sorgere e tramontare il sole e i giorni si susseguiranno, ma io non riuscirò ad amare di nuovo perché non riesco a smettere di tenerti stretto a me.
 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Glance