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Autore: VenoM_S    05/03/2019    1 recensioni
L'umanità ha abbandonato la superficie della Terra da anni ormai, sommersa dagli oceani sotto chilometri d'acqua, trovando rifugio nelle profondità delle grotte sottomarine. Ora però, i calcoli degli studiosi dicono che da qualche parte sopra il mare potrebbe essere risalite le prime Terre Emerse, ed è ora che una spedizione di ricercatori, di cui fa parte anche la giovane recluta Kevin, parta per il viaggio più lungo mai tentato.
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom
Settimana: quarta
Missione: M2
Prompt: Partire per un lungo viaggio
N° parole: 3080
 
Terre Emerse
 
Kevin non aveva mai visto la luce del sole. Nato e cresciuto a Soumarine, per diciassette anni non aveva fatto altro che osservare le lampade artificiali, la roccia scura e le case piccole e vicine tra loro. Da piccolo, ogni volta che i ricercatori tornavano in città con i loro sottomarini si accalcava insieme agli altri bambini per ascoltare le loro storie su quella calda luce accecante, il vento fresco, la pioggia e la notte, che persino in assenza del sole risplendeva di mille piccole luci. Ma forse entro pochi giorni le cose sarebbero potute cambiare, almeno per lui.
Era entrato nell’Accademia da circa sei mesi, intenzionato ad entrare in un sottomarino entro l’anno, per vedere finalmente la superficie.
Ormai nessuno viveva più sopra il livello del mare da almeno trecento anni, e lui nell’arco della sua vita aveva sentito centinaia di volte le storie sul loro popolo, scritte sui libri o raccontate dagli anziani intorno al fuoco, e avrebbe saputo recitare a memoria quelle sulla Caduta della civiltà, avvenuta molto tempo addietro.
 

L’uomo una volta occupava tutta la Terra ed in ogni angolo, da Nord a Sud, le sue città prosperavano e si allargavano a dismisura senza sosta, la tecnologia e le industrie la facevano da padrone. Ma la sovrappopolazione, il riscaldamento dell’atmosfera e tante altre piccole gocce erano andate accumulandosi, finendo pian piano per far traboccare il delicato vaso che era la natura. Il livello degli oceani aveva iniziato a salire sempre più in fretta, divorando ogni anno nuove regioni e nuove città, metro dopo metro prima, chilometro dopo chilometro poi.
Si era cercato in ogni modo di correre ai ripari, erigendo grandi barriere contro le onde, cercando di spostare la popolazione sempre più nell’entroterra, ma ovviamente in milioni avevano perso la vita cercando di raggiungere gli ultimi posti sicuri, le ultime mega-città in cui le persone vivevano ormai ammassate le une sulle altre.
Poi anche quelle erano cadute, una alla volta gli oceani avevano finito per inghiottirle nel loro stomaco profondo e buio. Con il passare degli anni, mentre tutto questo accadeva, molti ricercatori, ingegneri e scienziati in giro per il mondo cercarono di assicurare la sopravvivenza dell’umanità costruendo strutture galleggianti in grado di convertire i raggi solari in energia elettrica ed il petrolio rimasto sotto il mantello terrestre in carburante per le imbarcazioni, unico mezzo di trasporto ormai utilizzato. Scoprirono inoltre, in profondità, diverse grotte in cui si erano formate sacche d’aria che impedivano all’acqua di entrare, fornendo così un rifugio sicuro da quell’inarrestabile piaga che entro breve avrebbe ricoperto anche gli ultimi lembi di Terra.
L’umanità quindi si spostò in basso, in un pellegrinaggio lento e difficoltoso, mentre gli ultimi rimasugli di superficie venivano sommersi da metri e metri d’acqua, e fu così che nacque Soumarine insieme ad un'altra ventina di città sparse intorno al globo, ultimi rifugi per la razza umana ormai più che decimata.
Adattarsi alla nuova vita non fu affatto facile, furono molte le persone che non vollero scendere nelle grotte sotterranee preferendo vagare alla deriva sulle proprie imbarcazioni, convinti che prima o poi avrebbero trovato un’isola in cui ricominciare, anche se ovviamente questo non accadde mai.
L’assenza del sole era stata certamente la cosa peggiore, il freddo e l’umidità persistenti fecero ammalare molti di loro, mentre altri finirono per impazzire. Ma con il passare degli anni le persone trovarono una loro nuova dimensione, le città si espansero lungo i cunicoli delle grotte, sfruttando l’energia fornita dalle piattaforme galleggianti per alimentare grandi lampade poste ovunque in modo da riscaldare abbastanza l’ambiente ed il carburante per consentire a piccoli sottomarini di scandagliare le acque per pescare. L’agricoltura era ovviamente impossibile da praticare sulla nuda roccia, quindi l’apporto di vegetali si ridusse al solo consumo di diverse varietà di alghe che crescevano rigogliose al di fuori delle grotte, dando vita nel tempo a veri e propri campi coltivati. Anche l’allevamento di animali divenne marginale ma almeno in minima parte presente, vennero selezionate durante gli anni linee di bestiame sempre più in grado di digerire la nuova tipologia di vegetali per produrre latte e carne, anche se meno succulenta di quanto si diceva fosse una volta quella che si mangiava in superficie.
Gli anni passavano, diventando decenni e poi un secolo. Nuove generazioni di studiosi si susseguirono, chini sui libri che i loro avi erano riusciti a portare in salvo nelle grotte e scrivendone di nuovi man mano che le esplorazioni sottomarine si facevano sempre più audaci sia in profondità che in estensione.
Una nuova teoria iniziò a serpeggiare a quel punto tra le grandi menti, in cui si asseriva che passato il primo secolo il livello dell’acqua avesse smesso di salire e che si fosse invece abbassato di qualche centimetro appena, ma tanto bastava a lasciar spazio ad una nuova speranza. Se l’acqua iniziava a scendere, forse la situazione ambientale stava iniziando a migliorare, forse entro qualche altro anno sarebbe stato possibile avvistare un lembo di terra riemerso o neoformato grazie alle eruzioni dei vulcani sottomarini. Ma i calcoli andavano perfezionati ancora e gli oceani monitorati, e così passarono altri centocinquant’anni prima che qualcosa nella città iniziasse a muoversi davvero.

Nacque quindi, in seguito alla richiesta dei ricercatori di iniziare a scrutare la nuova superficie, l’Accademia di Soumarine, una struttura in cui giovani volontari venivano addestrati ed istruiti per poi venir mandati in esplorazione sopra il livello del mare.
All’inizio le spedizioni furono fin troppo brevi, per non dire disastrose. In primo luogo, tutti quegli anni di vita nel sottosuolo avevano reso gracile il corpo umano, la pelle diafana non riusciva a resistere a contatto con le radiazioni solari dirette ed i polmoni abituati all’aria filtrata dalle rocce non riuscivano a sostenere quella più satura ed ancora inquinata della superficie, e successivamente la lunga e lenta ridiscesa negli abissi si scontrava con l’enorme cambiamento di pressione che nella maggior parte dei casi finiva per sopraffare i corpi già provati di quei primi avventurieri. Con il tempo, e dopo molti tentativi falliti nel testare varie apparecchiature di protezione, si arrivò finalmente a mettere a punto il giusto equipaggiamento ed il giusto iter di addestramento per le reclute. Durava tra i sei mesi e l’anno a seconda delle capacità individuali dei ragazzi, e consisteva in sessioni di estenuante allenamento per migliorare la forma fisica, studio delle maree, dei venti conosciuti prima della Caduta e di quelli nuovi studiati dagli avventurieri nei cinquant’anni di spedizioni dell’Accademia, sessioni in camere appositamente studiate per simulare la salita in superficie e la successiva ridiscesa, con le variazioni di pressione che queste comportavano, studi di meccanica di base e, per i più dotati tra loro, avanzata così che sapessero gestire la manutenzione dei sottomarini e nel caso ce ne fosse stato bisogno anche delle piattaforme di rifornimento di energia.
 

E adesso, anche per Kevin sembrava tutto pronto.
Si era iscritto volontariamente in Accademia da appena sei mesi, e subito le sue abilità erano saltate all’occhio dei suoi superiori. Aveva un’ottima resistenza e la mente sveglia, tanto che era stato uno dei quattro cadetti prescelti quell’anno per essere istruiti sulla meccanica avanzata. Quel giorno si trovava nell’officina e si stava esercitando nella riparazione dei pannelli solari, per cercare di battere il suo stesso record di velocità, quando il Capitano assegnato alla sua sezione lo interruppe per portarlo nello studio del Comandante dell’Accademia. Kevin in un primo momento rimase interdetto, pensò di aver fatto qualcosa di sbagliato, o che magari avessero scoperto che un paio di sere era sgattaiolato fuori con alcuni suoi compagni per andare a vedere i nuovi sottomarini in costruzione e che quindi volessero fargli una bella lavata di capo, magari addirittura retrocederlo. Mentre percorreva i lunghi corridoi dietro il Capitano, che non proferiva parola, non faceva altro che torcersi le mani guardando in basso.
«Di qua, prego» la voce del suo superiore lo riportò alla realtà, e Kevin si accorse di essere di fronte alla grande porta di ferro che conduceva allo studio del Comandante. Fece un profondo respiro, dopodiché entrò a testa alta deciso a non farsi vedere in nessun modo turbato da quella chiamata inaspettata, e fermandosi di fronte alla scrivania di legno scuro inondata di scartoffie salutò l’uomo più alto in grado della struttura come le regole imponevano.
«Buongiorno, Signore. Mi ha fatto chiamare?»
«Ah recluta Kevin, perfetto sei stato come al solito veloce e puntuale, molto bene. Vieni avanti e siediti»
Il ragazzo obbedì, sempre impettito per cercare di non far trasparire la sua agitazione, anche se era fermamente convinto che il Comandante non avrebbe si sarebbe mai bevuto quella sua finta compostezza.
L’uomo lo guardò negli occhi per qualche secondo, poi girò lo schermo del computer che aveva davanti in modo che anche il giovane potesse osservarlo. Una lunga lista di dati scorreva davanti ai suoi occhi, di orari, risultati dei test e misurazioni corporee raccolte nel tempo, le sue.
«Ho ritenuto opportuno chiamarti nel mio ufficio, Kevin, per comunicarti che il tuo periodo di addestramento può considerarsi concluso seduta stante»
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, pensando che fosse davvero finita, che non fosse stato ritenuto dopotutto abbastanza in gamba per dedicare la sua vita alle esplorazioni. L’Accademia non era nuova ai rifiuti dopotutto, più della metà delle reclute di ogni anno veniva rimandata alle proprie abitazioni entro pochi mesi.
«Ma Signore, veramente…» si accinse ad iniziare, per cercare di capire cosa avesse sbagliato, ma il Comandante lo fermò alzando una mano.
«Ragazzo, forse hai frainteso la situazione. I tuoi dati sono ottimi, sei probabilmente una delle reclute più promettenti per l’Accademia degli ultimi quindici anni. Il tuo addestramento è finito, sì, perché tra due giorni partirai per la tua prima spedizione, che si preannuncia essere probabilmente la più importante della storia dopo la Caduta»

Kevin, pensando a quella conversazione avuta la sera prima, stentava ancora a credere a quelle parole. Quasi non ricordava cosa fosse accaduto dopo, cosa avesse risposto e quando fosse uscito da quella stanza per tornare nella sua, come se si trattasse di un sogno che non riusciva più a mettere a fuoco. Ma il nuovo distintivo appuntato alla sua camicia continuava a confermargli che era tutto vero, e che il giorno dopo finalmente sarebbe partito per la spedizione più lunga mai tentata alla ricerca di vecchie o nuove terre emerse, a bordo di un sottomarino appena costruito e messo a punto per i lunghi viaggi. Doveva solo fare le ultime commissioni, andare a ritirare il suo equipaggiamento di base e tornare per un giorno a casa così da poter salutare i suoi genitori.
La sala dei rifornimenti era piccola ed angusta, o almeno la parte in cui si trovava lui. Era in pratica un corridoio stretto che si interrompeva bruscamente davanti ad un muro, su cui si apriva un’apertura dalla quale veniva passato il sacco degli equipaggiamenti a chi ne facesse richiesta. Quello che si trovava dall’altra parte del muro era impossibile da vedere, e nell’Accademia erano sempre girate un sacco di storie a riguardo, come se fosse un luogo segreto ed oscuro. Tutte scemenze, aveva sempre pensato lui, ma almeno quei racconti erano utili a far passare una serata in allegria.
«Soldato semplice Kevin, ecco il tuo equipaggiamento per la missione. Ti sono stati assegnati due pacchetti base vista la durata del viaggio, ognuno composto da una tuta completa per proteggerti dalle radiazioni solari, un paio di lenti oscurate per la forte luce in superficie, una maschera per filtrare l’aria ed alcuni oggetti utili per sopravvivere che ti torneranno utili in caso di bisogno. Tienili con cura mi raccomando, avrai solo questi a prescindere da quando tornerai»
Kevin annuì, prendendo le due grandi e morbide buste e ringraziando l’addetto che gliele aveva procurate, incamminandosi poi verso l’uscita dell’Accademia.

Soumarine nel tempo era diventata una città piuttosto grande, le cui case piccole e spartane fatte con la roccia delle grotte si alternavano lungo strette viuzze che formavano un dedalo quasi incomprensibile. Lui ci aveva messo anni, quando era più piccolo, ma ormai avrebbe saputo muoversi al loro intero anche bendato. La sua casa si trovava in prossimità del porto, quindi avrebbe potuto trattenersi con i genitori quasi fino all’ultimo momento prima della partenza.
Si fermò qualche secondo ad osservare i suoi dalla piccola finestra accanto alla porta. Non lo stavano aspettando, non erano stati avvisati da nessuno della sua imminente partenza, quindi si comportavano come se fosse un’altra normale giornata. Elise, sua madre, era in quel momento intenta a preparare il pranzo, ed il profumo delizioso che usciva dalle pentole sul fuoco si sentiva fin fuori dalle mura di casa. Stufato di pesce, sicuramente, il più buono che Kevin avesse mangiato nella sua vita, e non lo diceva solo perché quella era sua madre. Ogni tanto si girava verso Mark, suo padre, e sorrideva tirando su gli occhi, in risposta probabilmente a qualche sua battuta. Il padre lavorava come pescatore delle profondità da anni, e quattro volte a settimana lasciava sua moglie per avventurarsi insieme ad altri suoi compagni sui sottomarini da pesca, tornando poi con le ampie stive piene in modo da poter sfamare la città. Sorridendo per quella vista così pacifica e normale, il ragazzo busso leggermente un paio di volte alla leggera e chiara porta in legno della casa, sentendo subito i pesanti passi del padre dirigersi verso di lui. Quando aprì, la sua espressione incuriosita si trasformò all’istante in pura sorpresa, sciogliendosi infine in un caldo sorriso ed un abbraccio.
«Kevin! Perché non ci hai detto che stavi arrivando?»
«Volevo farvi una sorpresa, e credo proprio di esserci riuscito» rispose lui mentre, staccandosi dalle braccia possenti del padre, si spostava dall’altra parte della stanza per baciare delicatamente sulle guance la madre.
«Tesoro, sei arrivato giusto in tempo per il pranzo, scommetto che ti mancava la mia zuppa» disse lei sorridendo e facendogli un rapido occhiolino.
«Non puoi nemmeno immaginarlo, mamma»

Il pranzo passò in tranquillità, tra i racconti di Kevin su quei sei mesi in Accademia e quelli dei genitori su come andassero le cose in città e cosa si dicesse in giro. Era però arrivato il momento di spiegar loro il perché di quella visita inaspettata, ed una frase di Mark consentì al ragazzo di prendere di petto quel discorso.
«Ragazzo, dicono che domani partirà la spedizione più lunga mai tentata dall’Accademia, ne sai qualcosa?»
«In realtà, sì. Ed è per questo che mi è stato accordato il permesso di uscire dalle mura dell’Accademia per stare qui con voi oggi, sono una delle reclute scelte per far parte di questa spedizione, salirò a bordo come soldato semplice e manutentore del sottomarino»
Elise si fermò a guardarlo, ed il ragazzo poté vedere distintamente il cambiamento leggero dei suoi occhi, su cui passò un’ombra di tristezza. Il padre, invece si dimostrò entusiasta a prima vista, nonostante sapesse quanto fossero difficili le spedizioni in superficie per i novellini.
«Questa è una grande opportunità per te, non è così? Ricordo ancora che quando eri piccolo non facevi altro che rincorrere i ricercatori dopo ogni spedizione, avevi una vera ossessione per loro» disse poi Mark, dando una vigorosa pacca sulla spalla di Kevin.
Il pomeriggio e la sera passarono tranquilli, sull’onda dei ricordi d’infanzia e della spensieratezza tipica della sua famiglia. Ogni tanto una piccola ala di tristezza sembrava scendere soprattutto sulla madre mentre parlavano del passato e del possibile futuro del ragazzo, ma veniva subito spenta dal travolgente entusiasmo si Kevin sulla nuova avventura in cui stava per imbarcarsi.
Il mattino seguente tutto era pronto finalmente per la partenza. Kevin aveva con sé due grandi borsoni di tela, contenenti diversi vestiti, scorte di cibo essiccato conservabile a lungo che la madre aveva prelevato dalla dispensa, i due sacchi di equipaggiamento ed alcuni dei libri sulla meccanica avanzata che il ragazzo aveva intenzione di continuare a studiare a bordo, per riuscire ad imparare nuovi metodi di riparazioni ed ampliare le sue conoscenze anche durante il viaggio. Sarebbe stato affiancato da meccanici esperti, ma non voleva rinunciare come suo solito allo studio in solitaria.

Il porto di Soumarine era decisamente grande, e comprendeva un mercato coperto in cui il pesce del giorno veniva venduto ai cittadini, un cantiere per la costruzione dei sottomarini e una grande banchina che costeggiava l’ampio bacino d’acqua salata su cui erano ormeggiate le imbarcazioni. Non fu difficile per Kevin individuare il suo obiettivo, il sottomarino Tempesta K70 si stagliava enorme proprio al centro di quella specie di grosso lago salmastro, con un lungo pontile che collegava i portelli di ingresso alla banchina gremita di persone. Proprio di fianco all’inizio della passerella, il Comandante dell’Accademia si stava apprestando ad iniziare il suo discorso di incoraggiamento per tutti gli uomini e le donne selezionati per quella missione, per cui erano stati scelti anche alcuni studiosi di grande fama che avrebbero seguito i calcoli messi a punto in tanti anni per cercare una rotta che non fosse del tutto casuale verso l’obiettivo della missione.
Mentre il Comandante parlava, Elise stringeva forte la mano del figlio, cercando di non pensare che avrebbe potuto non rivederlo mai più dopo quella mattina, guardando quell’enorme mostro di acciaio in mezzo all’acqua e vedendolo contemporaneamente come il luogo più sicuro e più pericoloso al mondo. Kevin, accorgendosi del nervosismo della madre, si voltò a guardarla con dolcezza, sfilando la mano dalla sua e poggiandola sulla sua guancia delicatamente.
«Mamma io tornerò, te lo prometto. Dovessero volerci anni, troveremo quel che stiamo cercando, e tornerò da te e da papà per portarvi finalmente in superficie, dove potrete ammirare il sole e le stelle, essere accarezzati dal vento e bagnati dalla pioggia. È questo il mio obiettivo, il mio sogno, e lo porterò a termine» disse con fermezza, abbracciandola poi più forte che poteva, cercando di trasmetterle la sua determinazione.
«Ti credo tesoro mio, e ti aspetterò» disse lei in un soffio, affondando tra le sue braccia.
Il discorso del Comandante era ormai finito, e per l’equipaggio del Tempesta era giunta l’ora di salire a bordo. Staccandosi dall’abbraccio di Elise, Kevin si rivolse al padre che gli strinse la mano guardandolo profondamente negli occhi.
«Io credo in te ragazzo, so che farai del tuo meglio. Stai solo attento, e fa in modo di tornare»

Annuendo, il ragazzo iniziò ad allontanarsi tenendo in spalla le grosse ed ingombranti borse. Attraversò la stretta e lunga passerella in legno, e poco prima di salire a bordo si voltò un’ultima volta, sorridendo ai suoi genitori e a sé stesso.
Il viaggio più lungo della sua vita poteva finalmente iniziare. 
  
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