RICOMINCIAMO DA QUI
Febbraio è stato un mese particolare; potrei definirlo
malinconico e doloroso per quello che mi ha tolto, ma, allo stesso
tempo, sento che mi stia donando la forza di rinascere, finalmente.
Così, quando quella mattina mi sveglio, mi sento carica della
voglia che ho di riprendere la mia vita in mano e ricominciare.
Mi impongo l'obiettivo di andare avanti: se io affronto le cose con la
giusta grinta, sono sicura che possano assumere una prospettiva
diversa.
Mi avvicino alla finestra di camera mia e spalanco le imposte,
lasciando trapelare la luce calda e luminosa del sole. La giornata
comincia a prendere da sùbito una nota positiva. Poi giusto
perché sento che non sia mai abbastanza, prima di cominciare a
prepararmi, collego il cellulare alle cuffie bluetooth, mettendo su
della buona musica, e facendo in modo che si propaghi per l'ambiente.
La musica ha sempre avuto un effetto rigenerante su di me; da sempre,
quando mi sono sentita giù di morale, demoralizzata, ascoltare
qualcosa che mi mettesse carica, è l'ideale. Oggi non mi
è difficile ritrovare il buonumore, sarà perché
sento di trovarmi su una nuvoletta immaginaria, spensierata e felice.
Sento che, piano, piano, tutto si possa sistemare.
Così mi preparo, canticchiando e muovendomi a ritmo sulle note di Swam Song.
Quando, finalmente, sono pronta, indosso il mio cappotto caldo, sistemando la sciarpa attorno al collo, ed esco di casa.
Devo imparare a farmi scivolare tutto addosso...
Improvvisamente mi ritrovo a sospirare di soddisfazione: quando ti
senti sicura di te stessa, sembra davvero che niente riesca a
scalfirti. Luca ha avuto ragione quando mi ha detto di non curarmi di
loro e, incredibilmente, sembra proprio che il mio atteggiamento
indifferente, riscuoti un certo successo: i sussurri persistono ma ho
come la sensazione che siano sorpresi dal mio non curarmene.
Mi chiudo la porta dello spogliatoio alle spalle, e mi rendo conto che
io non sia sola. Le mie colleghe sono radunate qui, e per un attimo, mi
sfiora il pensiero di non riuscire a sorbirle così, tutte
insieme. Arianna non c'è ancora e vorrei averla qui, qui con me.
Mi volto, allora, nella loro direzione, rendendomi conto di aver fatto calare un
certo silenzio nell'ambiente. Ognuna di loro ha messo da parte
qualsiasi azione stesse compiendo e i loro sguardi si posano su di me,
meccanicamente, prendendo a fissarmi guardinghe. Mi sento
accerchiata.
Poi ripenso a Luca e alle sue parole: la loro è tutta invidia,
queste pettegole non fanno che sparlare di me, quando vorrebbero solo
potersi trovare al mio posto. Adesso capisco perché in questi
anni io non abbia intrapreso un rapporto di amicizia con nessuna di
loro.
Così mi porto le braccia al petto, ricambiando le loro occhiate e inarcando un sopracciglio.
"Beh?" domando, facendo passando lo sguardo su ognuna di loro, ripetutamente. "Non avete altro da fare?!"
Non mi aspetto una reale risposta, vorrei solo che la smettessero di additarmi.
Nessuna delle streghe osa replicare, così, cercando di malcelare
una sorta di soddisfazione, raggiungo il mio armadietto. Le osservo di
sottecchi lanciarsi delle occhiate stranite prima che anche loro
tornino a prepararsi per il lavoro. Devo davvero pensare che mi
lasceranno in pace?.
Sono
contenta di averla qui con me, perché per la prima volta,
mi sono sentita un pesce fuori d'acqua. Negli anni, l'unica amica che
ho davvero potuto considerare come tale è stata Maria e, oltre
lei, ho fatto amicizia con davvero pochi dei miei colleghi. La mia non
è mai stata superiorità, chiariamoci, sentivo solo che
non potessi fidarmi. Gli unici colleghi con cui ricordo di aver
simpatizzato anche un minimo, adesso, sembrano avermi voltato la faccia
e mi evitano come se
avessi una malattia infettiva. Fino a qualche giorno fa non
sarebbe
stato un problema, perché avevo il mio ufficio dove rifugiarmi.
Arianna mi coglie alla sprovvista, abbracciandomi di slancio e, quando
scruto Giorgio passarci accanto, capisco che il suo gesto non sia poi
così casuale. È protettivo, di vicinanza.
Lui lascia posare il suo sguardo su di noi, scrutandoci come se fossimo
delle nullità al suo confronto. Osservo i suoi occhi rimanermi
addosso e macchiarsi di quella luce malevola che lo caratterizza, prima
che lui si volti, per proseguire nella direzione opposta.
"Sei stata grande, Anita" ammette allora Arianna, facendo ricadere la
mia attenzione su di lei. "Non si fa che parlarne, tutti dicono che tu
abbia zittito quelle quattro streghe" aggiunge, ridacchiando,
soddisfatta.
Appoggio le mani sulle sue spalle, scuotendo il capo e accennando a un sorriso.
"È stato fin troppo facile, non sono sicura che rimarranno in silenzio per tanto tempo" le faccio presente.
Arianna storce il naso, colpendomi scherzosamente a una spalla.
"Suvvia, adesso che gli hai fatto capire che non ti importa niente di loro, non avranno tanto da parlare".
Annuisco, anche se non sono sicura che siano le pettegole il problema, bensì Giorgio.
Non ho molto tempo però per risponderle perché, prima che
possa dire qualcosa, il dottor Visconti arriva ad interrompere la
nostra conversazione.
Lo osservo avvicinarsi, cercando di non mostrarmi intimorita dalla sua
presenza. Ma nonostante ciò, non posso fare a meno di pensare
che sia preoccupata al riguardo. Che abbia, ancora, qualcosa da
rimproverarmi?
"Dottoressa"proferisce, una volta che mi è vicino, facendoci voltare nella sua direzione.
"Potrebbe venire un attimo?".
Arianna incrocia il mio sguardo, spettatrice della scena, e riesco a scorgere nella sua espressione la mia stessa confusione.
Così, osservando Visconti al mio fianco, in attesa di una mia risposta, annuisco.
"Bene!" ammette lui, risoluto. "Mi segua".
Lancio un'ultima occhiata ad Arianna, che alza i pollici
all'insù per infondermi coraggio, e prendo a seguirlo nel
corridoio.
Gli
cammino di fianco, seguendolo a ruota; il mio tutor non accenna a
proferire parola, ed è solo lo scalpitio dei nostri passi a
interrompere questo silenzio. Così, incuriosita dalla sua
reticenza, sono io la prima a parlare.
"Dottore, è successo qualcosa?" gli domando, a mezza bocca, cercando di far breccia nella sua espressione indifferente.
Visconti, a quel punto, si volta nella mia direzione, assottigliando lo
sguardo, come a voler soppesare le mie parole. Vorrei quasi rimangiarmi
la mia domanda. Ma, poi, come se si fosse reso conto del mio disagio,
sulle sue labbra si insinua l'ombra di un sorriso. Sottile, appena
accennato, che porta il presagio di una tregua.
"Stia tranquilla, dottoressa, non sono qua per farle una ramazina" mi
fa presente, tornando a guardare davanti a sé, di nuovo serio e
composto.
Ma, mentre ricomincio a seguirlo verso il suo studio, mi ritrovo a sospirare di sollievo.
Annuisco, lievemente, cercando di capire di chi possa trattarsi.
Abbasso la maniglia, lentamente, ma ansiosa di appianare ogni dubbio.
Mattia è qui, mi dà le spalle e io mi ritrovo a reprimere
un sorriso, intenerita dalla scena. Stringe il suo zainetto sulle
spalle, torturando le fibie che pendono dai lati con le dita. Sembra
più piccolo della sua età.
"Mattia ha qualcosa da dire" mormora Visconti dietro di me, facendomi
ricordare che sia ancora qui, poi richiude la porta dietro di sé.
Il suo gesto richiama l'attenzione del ragazzino che, velocemente, posa lo sguardo su di me.
"Matt"gli sorrido.
"Ciao, doc" replica lui, lasciandosi dondolare sui talloni. Sembra sia
imbarazzato. "Mi hanno dimesso e tra poco vado via" aggiunge,
arricciando le labbra in una smorfia divertita.
Muovo un passo nella sua direzione per avvicinarmi a lui. Gli arrivo accanto e gli scompiglio i capelli.
Lui sbuffa, roteando gli occhi al cielo, fingendosi infastidito dal mio gesto.
"Sono contenta per te" ammetto, allora, lasciando scivolare la mia mano
sulla sua spalla. Lui abbassa lo sguardo, puntandolo sulle mie dita che
puntellano sulla sua scapola.
"Mi hanno detto che volevi dirmi qualcosa..."gli faccio presente, mettendo su un sorriso per incoraggiarlo.
Lui annuisce lievemente: "Sì..."sussurra a bassa voce.
Poi rialza lo sguardo verso di me, prendendo a torturarsi le mani,
nervosamente. Capisco cosa voglia dirmi da ogni suo più piccolo
gesto. Ma comprendo che non sia il caso di mettergli pressioni, deve
riferirmi ciò che si sente.
Così, senza che me lo aspetti, Mattia stringe le sue braccia
attorno al mio corpo. In un abbraccio, di slancio, da cui traspare la
sua voglia di aggrapparsi a qualsiasi cosa, lui soffoca il suo viso sul
mio petto, trattenendo un singulto. Le sue mani artigliano il mio
camice e io, dapprima sorpresa dal suo gesto, mi premuro di stringerlo
a me, cullandolo tra le mie braccia. Mattia ha bisogno di
rassicurazione e dolcezza e io sono qua per lui.
"Ho deciso di parlare con i miei, doc. Gli dirò tutto, tutto quello che mi succede" mi confessa, a mezza bocca.
A quel punto, appoggio le mani sulle sue spalle, per sorridendogli, commossa dalla sua scelta.
"Sono fiera di te, Mattia"ammetto.
Lui ricambia il mio sorriso, gonfiando le guance, come se fosse un bambino.
"È tutto merito tuo, doc, grazie" aggiunge lui, aprendosi in un occhiolino.
"Ah, Mattia, Mattia" appoggio le mani sulle sue guance, pizzicandole scherzosamente.
"Ehi, doc, ma o sai che quando fai così, nun me piaci proprio?!" replica, sottraendosi e sbuffando sotto al mio tocco.
Poi, entrambi, ci lasciamo andare a una risata, complici.
"Dai, andiamo" gli faccio presente, appoggiando una mano dietro la sua schiena, " ti accompagno dai tuoi".
Oggi,
i genitori di Mattia, ci sono entrambi. Suo padre, da cui ha ripreso i
capelli biondi e gli occhi verdi e vivaci, è un uomo alto e
austero. Sul suo viso però ci sono segni del duro lavoro, di chi
per quel lavoro vive, ma che non lo fa riposare bene la notte.
Mattia, notando la figura di suo padre, si irrigidisce. Nonostante
riesca a leggere nei suo sguardo l'ammirazione che prova per lui,
sembra che ne sia, allo stesso modo, intimorito. Come se avesse paura
di sfigurare ai suoi occhi. Davanti al suo gesto, allora, gli lascio
una carezza sulla schiena, come a volerlo rassicurare.
Gli sguardi dei suoi genitori, vedendoci arrivare, si posano su di noi.
"Mamma, papà" Mattia è il primo a prendere parola. "Lei è la mia dottoressa, Anita".
Gli occhi di suo padre si posano su di me, scrutandomi curiosi, e mi ritrovo a sostenerli con una certa fierezza.
"Piacere di conoscervi" ammetto, sfoderando un sorriso cordiale e ponendo una mano verso di loro, affinché la stringono.
La prima a farlo è la mamma di Mattia, che ricambia il mio sorriso, gioviale.
La stretta del padre è, invece, forte e vigorosa. A dimostrazione della persona quale è. Serio e composto.
Cerco di non mostrarmi sorpresa dalla sua presa, ricambiando allo
stesso modo. Poi, dopo che ognuno di noi, ritorna al proprio posto,
facendoci piombare in uno stallo imbarazzante, è Mattia a
riprendere parola.
Lui abbassa lo sguardo, stringendo le mani davanti a sé.
"Mamma, papà..."
"Cosa c'è, Matti? Qualcosa non va?" domanda sua madre, lasciando
trapelare una certa preoccupazione dalla sua voce. Nei suoi occhi
riesco a percepire tutto l'amore che prova verso suo figlio.
Lui rialza lo sguardo per incrociare il mio sguardo, sotto gli occhi
confusi e indagatori dei suoi genitori. Mi premuro di sorridergli per
incoraggiarlo.
"È solo che io, io...devo dirvi una cosa"ammette lui, alla fine, fiocamente.
"Siamo qua, puoi dirci tutto" lo sprona suo padre, incrociando le
braccia al petto. Improvvisamente, posto di fronte all'evidente
imbarazzo e titubanza di Mattia, la sua maschera di serietà
sembra scalfirsi, facendolo sciogliere in un accenno di sorriso.
Il ragazzino deve cogliere l'incoraggiamento che si nasconde dietro il
suo gesto perché rilascia un sospiro profondo e ricomincia a
parlare.
"Mamma..."volge il suo sguardo verso di lei, con un'espressione
contrita e vulnerabile. Ho come l'impressione che Mattia stia
trattenendo dentro di sé un turbinio di emozioni che potrebbero
sopraffarlo.
E io sono qua, spettatrice di silenziosa di questa situazione e sento che vorrei poter fare di più.
"Io ti ho mentito. In verità, ho mentito a tutti e due, non sono
stato coinvolto in una rissa o peggio l'ho scatenata..." la sua voce
assume un tono incrinato, "...mi hanno picchiato" confessa, abbassando
lo sguardo per nascondere gli occhi lucidi.
"Oh, tesoro" sua madre ha la voce fioca e commossa e corre a stringerlo
tra le sue braccia, mentre lui protetto dal suo abbraccio si lascia
andare.
Da sopra la spalla della sua mamma, Mattia incrocia lo sguardo di suo
padre. Sul viso del commissario Donati sembrano susseguirsi molteplici
emozioni. Ma, guardandolo, comprendo che improvvisamente si senta in
colpa per essere stato così cieco davanti al problema. E, quando
anche lui, spogliandosi di ogni barriera, si avvicina a sua moglie e
suo figlio per inglobarli tra le sue braccia, comprendo sia arrivato il
momento di andare. La mia presenza qui, adesso, è superflua,
perché Mattia, ora, ha tutto quello di cui ha più
bisogno: il sostegno della sua famiglia.
Le mie labbra si arricciano in un piccolo sorriso che dimostra
pienamente il mio stato d'animo. Mi sento grata e utile per quello che
faccio e mi prometto che niente, niente, niente possa scalfire tutto
questo.
Così, quando incrocio lo sguardo di Giorgio faccio in modo che
nemmeno i suoi occhi fissi su di me, guardinghi, possano farmi
abbassare la testa.
Io lo vedo avvicinare ma non sono preoccupata all'evenienza; siamo in un luogo pubblico e lui non può farmi niente.
A differenza di ciò che pensavo, Giorgio mantiene lo sguardo su
di me, ma nonostante non ammetta parola, sulle sue labbra si insinua
l'ombra di un ghigno irrisorio. Poi, prima che me ne renda conto, lui,
di proposito, mi scivola affianco, dandomi una spallata.
Lo scontro mi porta ad incrinare il mio equilibrio, così, mentre
mi porto una mano a massaggiare il punto dolente, mi volto nella sua
direzione, ma lui mi dà già le spalle, allontanandosi fiero
di sé.
Non posso abbassare la guardia...
Maria mi affianca nel lavoro, rivelandosi, come sempre, una spalla e un'amica.
"Sono contenta di sapere tu stia meglio" ammette l'infermiera, mentre camminiamo, fianco a fianco, per il corridoio.
"Già"le replico, accennando un sorriso nella sua direzione "piano, piano, sto imparando a superare questa cosa".
Maria mi lancia una lunga occhiata, aprendosi, poi, in un sorriso malizioso.
"Scommetto che questo sia merito anche del dottor Franzese"
Il suo braccio subito dopo mi circonda le spalle, e lei mi stringe a
sé, soffocando una risata, divertita, e finendo per coinvolgere
anche me.
"Beh, sì" ammetto, cercando di nascondere un certo imbarazzo.
"È anche merito suo. Luca mi sta aiutando tantissimo in questa
situazione, mi fa sentire...protetta".
Maria interrompe i nostri passi per voltarsi verso di me e accarezzarmi una guancia, amorevolmente.
"Sono felice di sapere che tu abbia il suo sostegno in tutto questo,
sai?" mi fa presente. "Soprattutto, adesso, che sembra Giorgio voglia
remarti contro".
"Oh..." abbasso lo sguardo, annuendo, "già, lui è..."
Riesco a notare l'espressione di Maria indurirsi, improvvisamente.
"È una persona meschina, Anita, ma guai a lui se osa torcerti un
capello!" mi fa notare, dimostrando quanto la situazione gli provochi
apprensione.
Così, come a volergli dimostrare tutta la mia gratitudine, la stringo a me, abbracciandola forte.
"Grazie, Maria. Ti voglio bene"le sussurro.
Lei, in risposta, prende a stringermi più forte a sé, rilasciando un sospiro sulla mia spalla.
"Anche io".
Rilascio un sospiro,
spensierata; adesso nemmeno l'idea di essere rimasta sola in questo
spogliatoio mi scalfisce, eppure sento che mi manchi sempre qualcosa.
Così,
apro la schermata della chat di whatsapp con Luca e l'idea di
mandargli un messaggio mi sfiora. Continuo a fissare la barra del
testo, cancellando e riscrivendo parole che, però, non verranno
mai inviate. Pigio, allora, sull'icona del suo profilo, dove campeggia
una dolcissima foto che raffigura Luca e Sofia stretti in un abbraccio
e ne sfioro i contorni, arricciando le labbra in un sorriso. L'immagine
di Luca e sua nipote è tanto adorabile.
All'improvviso,
però, la porta dello spogliatoio si apre e si richiude
dietro di sé, violentemente, facendomi sussultare, spaventata.
Osservo l'immagine che lo specchietto del mio armadietto mi
restituisce, scorgendo, preoccupata, la figura di Giorgio sulla soglia.
Mi irrigidisco sul posto, avvertendo i battiti del mio cuore aumentare, inesorabilmente.
La mia
mano stringe l'anta dell'armadietto con forza, controllando che Giorgio
mantenga le distanze. Lui rimane fermo lì, appoggiato alla
porta, con le mani al petto e un'espressione seria e imperscrutabile a
campeggiare sul suo viso.
Prima
che me ne renda e senza che lui mi veda, pigio sulla cornetta del
contatto di Luca e lascio scivolare il cellulare nella tasca, sperando
che lui accetti la mia chiamata e corra in mio aiuto.
Fai in modo di non rimanere da sola con lui...
Nonostante
io sia scappata spesso da questa eventualità, adesso che questo
presagio è diventato reale, ho paura. Non sono sicura riuscirei
a gestire la situazione, soprattutto quando non posso prevedere quali
siano le intenzioni di Giorgio.
Mi volto
verso di lui, meccanicamente, cercando di controllare le mie emozioni e
rilascio un sospiro profondo. Forse, mi dico, se riuscissi a nascondere
la mia paura, lui non sarà capace di sovrastarmi.
"Cosa
vuoi, Giorgio?" gli faccio presente, sostenendo il suo sguardo. "Questo
è lo spogliatoio femminile, te lo sei dimenticato?"
Lui abbassa lo sguardo, sogghignando, poi i suoi occhi, glaciali, ritornano su di me.
"Stai cercando di fare la spiritosa, Anita? Perché non lo sei affatto..." sputa fuori, aspramente.
"Allora, cosa vuoi?!" ribatto, inarcando un sopracciglio.
Giorgio,
a quel punto, arriccia le labbra in un sorriso sardonico: "Solo fare
due chiacchiere con te" ammette con un tono che mi mette i brividi.
Lui, purtroppo deve rendersi conto che alle sue parole sia trasalita perché prende ad avvicinarsi, sempre di più.
Di riflesso, indietreggio, facendolo ridacchiare di soddisfazione.
Nel
frattempo il tempo scorre e avverto il panico assalirmi. Sono davvero
sola, qui, con lui. E se Luca non venisse in mio aiuto? Non posso
controllare che abbia risposto, altrimenti Giorgio se ne accorgerebbe.
Devo, però, pensare a qualcosa.
Mantieni la calma, Anita, mantieni la calma...
"Cos'altro
vuoi da me?! Ti sei preso il mio studio, il mio posto...tutto. Lasciami
stare, Giorgio, vattene!" gli urlo contro, impattando con il muro
dietro di me.
Lui socchiude gli occhi, scrutandomi con una certa sufficienza.
"Hai fatto tutto da sola, Anita..."
Nel frattempo aggiro la panca posta in mezzo allo spogliatoio, ponendo
quanta più distanza tra di noi. Sussulto spaventata quando la
mia spalla impatta contro gli armadietti dietro di me. Giorgio sembra
insolitamente calmo, mentre porta le braccia al petto e prende a fissarmi di
sbieco.
"Hai paura di me, Anita?" domanda, prendendosi gioco di me.
Ma io non lo sto ascoltando, non faccio che pensare che ora lui sia
lontano dalla porta e devo approfittarne per scappare. Mi muovo a
piccoli passi, tenendo le mani salde alla parete dietro di me. Ho paura...
"Che
stai cercando di fare, Anita?" Giorgio mi inchioda sul posto,
assottigliando lo sguardo. "Non ci riuscirai!". Avverto dal suo tono di
voce che si stia arrabbiando. Poi abbassa lo sguardo, fingendosi quasi
dispiaciuto dalla mia reticenza. "Te l'ho detto,voglio solo fare quattro chiacchiere..."
Continuo
a mantenere lo sguardo su di lui, come a controllare qualsiasi suo
gesto, e approfittando della sua distrazione, corro verso la porta,
impattando contro di essa e cercando di aprirla, nonostante
l'agitazione.
Ho, però, commesso un errore di valutazione,
perché non considero che lui possa essere più veloce
di me e con uno scatto felino mi raggiunga, arpionandomi per le spalle.
"Non
puoi scappare!" sibila, allora con il fiato sul mio collo e
stringendomi forte, così forte da farmi male. Trattengo un
gemito di dolore, dimenandomi.
"Lasciami o mi metto a urlare!"
Giorgio
soffoca una risata, lasciando scivolare le sue mani lungo le mie
braccia, lentamente. Nonostante io tenti di divincolarmi, la sua presa
su di me è troppo forte per liberarmene. Ora che anche le mie
braccia sono immobilizzate, comincio a scalciare con le gambe, facendolo spazientire.
"Chi ti
sentirebbe, Anita? Ma, soprattutto, chi ti crederebbe?"sussurra al mio
orecchio, facendomi rabbrividire. Sono davvero in trappola. Poi, prima
che me ne renda conto, la porta si spalanca e Luca compare sulla
soglia, facendomi sospirare di sollievo. Luca respira in affanno, come
se avesse fatto una corsa e quando i suoi occhi si posano su di noi, osservo la sua mascella contrarsi duramente.
"Anita?!"dal suo tono riesco a riconoscere tutta la sua preoccupazione.
"Luca..."esalo, sopraffatta dalle mie emozioni.
Lui intercetta Giorgio alle mie spalle e corre ad avventarsi su di lui, afferrandolo per il colletto della maglietta.
"Che cazzo stavi facendo, eh?La devi lasciare stare!" la sua voce
è rabbiosa; mi rendo conto di non averlo mai davvero visto
così furente. Io li guardo, osservo la scena, inerme,
sospirando,
però, ormai libera dalle mani di Giorgio. Proprio lui arriccia
le labbra in un ghigno provocatorio, sostenendo lo sguardo di Luca con
la stessa foga.
"Chiedilo a lei" ammette, maliziosamente.
Luca, allora, stringe la presa, abbassandosi in modo tale da parlargli a un palmo dal
viso. "Vattene prima che non risponda di me e non farti vedere mai
più accanto a lei. Hai capito?!"
Giorgio alza una mano in direzione di Luca, facendomi sussultare,
spaventata all'idea che possa aggredirlo, poi però l'abbassa,
divincolandosi dalla sua presa, con stizza.
"Ho capito, me ne vado, me ne vado. Ma tu toglimi le mani di dosso"
sibila, assottigliando lo sguardo e puntando un dito nella sua direzione
Luca lo lascia andare, allontanando le sue mani come se ne fosse
schifato e lo tiene d'occhio fino a quando Giorgio non esce dalla
stanza. Osservo le sue mani chiudersi a pugno, quando lui si fa troppo
vicino.
"Ciao, Anita..."sussurra nella mia direzione, poi, ostentando una certa non chalance, va via.
Mi rendo conto solo in un secondo momento che abbia tremato tutto il
tempo e quando Luca si avvicina a me, mi lascio stringere dalle sue
braccia, aggrappandomi bisognosa a lui."Sei qui..." gli sussurro. Mi
sento improvvisamente grata che lui sia arrivato in tempo.
Luca aumenta la sua presa su di me, carezzandomi la schiena. "Ho visto
la tua chiamata e quando ho provato a chiamarti di nuovo, non mi
rispondevi. Dio, Anita, ti ho cercato, ero davvero preoccupato"
ammette. Ho riconosciuto nei suoi gesti e nella sua voce la
preoccupazione di cui parla e avverto un certo calore propagarsi nel
mio cuore.
Poi lui appoggia le mani sulle mie spalle, facendo in modo di
incrociare il mio sguardo. "Anita, ti ha toccata, fatto qualcosa?" mi
domanda, serio come non mai.
Scuoto il capo, abbassando lo sguardo: "No..."
"Ehi..."Luca mi accarezza una guancia, cancellando una lacrima che
è sfuggita al mio controllo e cerca di abbozzare un sorriso. "Va
tutto bene, ok?"
"Ho avuto p-paura, Luca" ammetto, con la voce distorta dal pianto.
Ma lui torna a stringermi, dimostrandomi la sua vicinanza e
rassicurazione. "Sono qui, sono qui..."sussurra, cullandomi tra le sue
braccia.E io mi rendo conto che, adesso, saperlo vicino e stargli
accanto è davvero tutto ciò di cui ho bisogno.
ANGOLO AUTRICE:
Buon pomeriggio a tutti!
Finalmente riesco a postare un nuovissimo capitolo e ci tengo a
ringraziare con tutto il cuore chiunque continui a seguire questa
storia. Sappiate che mi date la giusta carica per andare avanti e
portare a termine questa storia. Anita, Luca e Lucia si meritano un
finale(che sia insieme o separati) e io mi impegnerò
affinché questo accada.
Detto questo, il capitolo mi è risultato un po' difficile da
scrivere, soprattutto quest'ultima parte. L'ho scritta e riscritta,
perché sentivo non fosse mai abbastanza e mi auguro che, nel
contesto, io abbia fatto un buon lavoro. Purtroppo, Giorgio rappresenta
un pericolo per Anita e lei deve stare attenta. Per fortuna c'è
Luca che arriva a salvarla da qualsiasi situazione.
Intanto, vi anticipo che nel prossimo capitolo faremo un piccolo salto
temporale maaa, udite, udite, rivedremo Lucia e scopriremo come se la
stia passando. Contenteee?
Non ho molto altro da dire, se non un innesimo grazie dal profondo del
cuore. Aspetto le vostre opinioni, vi abbraccio. Alla prossima!!