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Autore: Phantasia_19    05/03/2019    5 recensioni
Parigi, 1482
In una Parigi del XV secolo, dove la Chiesa impone la propria austera autorità e caccia senza pietà i clandestini zingari dalla città, quattro giovani fili sono destinati ad intrecciarsi tra loro in quella che sarà una disperata ribellione alla ricerca di un’agognata libertà che è stata negata.
In una città spezzata tra il Sacro e il Profano, piegata in un’interminabile lotta tra Bene e Male che da ormai troppo tempo domina quelle strade, e con gli imponenti Angeli della gotica cattedrale a custodirne il cuore e i cori colorati degli ammalianti gitani a ravvivarne l’anima, ecco che a voi si aprono le Porte di Parigi.

Dal testo:
Avvolto da quel sacro silenzio, si ripromise che mai più, in quella sua monotona vita mondana, avrebbe rivolto tali bei pensieri a qualcuno che non fosse quell’angelica creatura. E mentre si trovava lì, sulla riva umida della Senna, decise che, per quella sera, contemplare quell’aggraziata visione divina, sarebbe stato più estatico che guardare a quella bugiarda della Luna.

[Maylor & Deacury]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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  Pergamena I

 
Era la mattina del 5 gennaio 1482. Le vie lastricate della bella Parigi scintillavano sotto i raggi del Sole che, quella fresca giornata d’Inverno, il divino Apollo aveva gentilmente concesso alla popolazione parigina, lasciando che questa si beasse di quel piacevole torpore, dopo giorni nei quali si era contratta tra le spire dei gelidi abbracci invernali.
Le strade erano affollate più del solito quel giorno, gremite di merci e bancarelle com’erano, e brulicavano di persone, piccoli pesciolini in movimento in un dispersivo oceano colorato, dove meravigliose ghirlande di fiori profumati, festoni ricamati e pesanti stendardi variopinti, vasi dalla manifattura pregiata e tappeti provenienti dai più esotici luoghi governavano indisturbati come supremi sovrani.
Un pallido giovane biondo si avvicinò a stenti ad una bancarella stracolma di frutta, puntando lo sguardo affamato su quella che sembrava una succulenta mela rossa. – Quanto vuoi per questa? – domandò con una certa diffidenza alla donna che si trovava dietro al bancone, mentre si torturava una manica larga della blusa che stava indossando. La mercante lo guardò dall’alto verso il basso e, non senza aver emesso un verso di stizza, come se la stesse infastidendo, allungò una mano avida, già pronta a ricevere quanto richiesto: - Sono dix franc à cheval.    
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, senza capire come potesse quella città avere dei prezzi così elevati.
 – Non è un po’ troppo, per una sola mela? – domandò dubbioso, un sopracciglio chiaro alzato e una mano piegata verso la donna, come a voler sottolineare l’ovvietà della propria domanda.
La signora lo guardò male e lo allontanò con un gesto della mano, quasi come stesse scacciando via una mosca. Il biondo la guardò di sottecchi e sollevò le spalle: - Non ho più fame.
Si allontanò lentamente dalla bancarella, ma, testardo qual era, decise che sarebbe rimasto lì nei dintorni, in attesa, con lo sguardo puntato verso quella mela succosa, come fa un avvoltoio famelico con la sua malcapitata preda.
Sorrise sornione quando, sovrastata dalla richieste, la signora si voltò per recuperare altra merce.
Si avvicinò silenzioso alla bancarella e, approfittando della confusione creatasi tra quel gruppetto di persone indaffarate e della distrazione della signora, agguantò la mela tanto agognata con una certa maestria e subito dopo entusiasta scivolò veloce tra la folla, non senza aver prima rivolto una linguaccia a quella donna che lui avrebbe definito tanto fastidiosa.
Camminò velocemente per qualche passo e, quando si assicurò di essere ben lontano da quella bancarella, cominciò a muoversi con calma in quel grande scompiglio, accostandosi ad un modesto arco in pietra che si trovava lungo la parete della stradellina che stava percorrendo. Si alzò sulla punta dei piedi e sollevò la testa, mentre cercava con lo sguardo i due ragazzi con i quali era giunto in città. Sbuffò spazientito. Allungò nuovamente il collo e assottigliò maggiormente la vista: un lieve sorriso sollevato spuntò sul suo volto quando li individuò non molto lontani da lui.
Un ragazzo zingaro stava tentando di farsi largo a piccoli passi e lievi spinte in quella massa informe di persone, cercando disperatamente di non essere travolto o addirittura schiacciato in tutta quella confusione.
 – Secondo te dove si sarà cacciato? – gli chiese la ragazza che lo stava precedendo con una lieve nota di preoccupazione nella voce. Sembrava essere insofferente a quella marmaglia di gente che la stava opprimendo, mentre quasi saltellava sulla strada, con al fianco una trotterellante capretta bianca come il latte. Il ragazzo sospirò e scosse la testa in disapprovazione. – Non ne ho idea. Nei guai sicuramente. Quando lo troviamo mi sentirà.
La giovane annuì, ma non ebbe modo di replicare, perché venne travolta da un piccolo tornado biondo che le spuntò da dietro alle spalle: – Voici, mes amis. Je suis revenu.
– Dove eri finito? – domandò la ragazza, gli occhi neri come carboni che lo scrutavano indagatori e i lunghi capelli bruni che le ricadevano sciolti sulle spalle e sulla fronte. Gli puntò un dito sul petto, inarcò un sopracciglio e arricciò le labbra. – E da quando ti interessi così tanto al francese?  
Il biondino sorrise e strizzò un occhio, poi sollevò le spalle: – Le demoiselles francesi sono molto interessate a me. Dicono tutte che sono très beau.
La ragazza sospirò e lui, per tutta risposta, staccò un morso dalla mela che stava mangiando e masticò con la bocca aperta. – E quella dove l’hai presa? – indagò nuovamente lei.
– L’ho comprata. – disse semplicemente lui, con noncuranza.
– Ah, davvero? L’hai comprata? – gli ridomandò lei.
– Si, l’ho comprata – asserì scocciato il biondo con uno sbuffo.
– Va bene, l’hai comprata. E con quali soldi? – chiese, il principio di una risata nella voce.
Il ragazzo sbuffò e si avvicinò al suo orecchio. – E va bene. Forse l’ho rubata. – asserì.
– Roger! – lo riprese la giovane, con le mani sui fianchi.
– Che vuoi? – domandò innocentemente lui, fingendo di non capire il motivo del rimprovero della compagna. Tirò un altro morso alla mela e un rivolo di succo gli ricadde dalle labbra e gli scivolò lungo il mento, che Roger prontamente si asciugò con il bordo della manica. – Che schifo! – esclamò schifata lei con una smorfia in viso.
- Mi domando come facciano queste giovinette francesi ad essere tanto attratte da lui – rise l’altro ragazzo, portandosi una mano alla bocca. Occupato com’era nel prendere in giro l’amico, non si accorse che la capretta della ragazza, Djali, gli si era avvicinata. Si allontanò con un balzo scattante e quasi urlò quando questa gli si accostò accanto e gli sfiorò le lunghe gambe magre con le corna. – Dovevi proprio portarti questa cosa con noi? Perché, dico io: perché proprio una capra? Non potevamo avere, non so, magari un gatto? Loro sì che sono creature meravigliose e affascinanti.
Roger scoppiò a ridere e Esmeralda, con le guance gonfie per l’offesa che era appena stata arrecata alla sua adorata capretta, intimò loro di muoversi, frustrata dall’atteggiamento infantile dei due gitani. E dire che sarebbe dovuta essere lei la minore dei tre!
Non avevano ancora superato un miglio di strada, che già nell’allegro trio erano affiorati i primi lamenti. – Argh! Malfattore di un Dio! – Roger esalò esasperato, i grandi occhi azzurri, nascosti dietro alle palpebre semichiuse, rivolti verso l’alto e una mano pallida scivolata in maniera platealmente drammatica tra i lunghi capelli biondi: – Donarci questo caldo infernale mentre siamo incastrati qui, tra tutta questa confusione. Ah, non lo sopporto! Zozza di quella pu-
– ROGER! – lo interruppe pudica la ragazza, arrestandosi di colpo e voltandosi verso di lui con uno sguardo di rimprovero, le mani ancorate sui fianchi. – Non mi sembra il caso.
Il ragazzo biondo, preso com’era dal suo vivace turpiloquio nei confronti del caldo di quella giornata, non si accorse che la fanciulla si era fermata e le ci scontrò contro: ridusse gli occhi a due fessure e le rivolse uno sguardo truce.
– Ma che ti prende?! Come se già questa confusione non fosse abbastanza seccante di suo, ti ci metti anche tu, che decidi di fermarti in mezzo alla strada senza un motivo! – sbraitò lui.
Esmeralda sbuffò spazientita e gli tirò uno scappellotto dietro alla testa, sulla nuca.
– Ahia! – strillò isterico lui, guadagnandosi occhiate alquanto indiscrete dai vicini passanti.
– Sei impazzita, per caso? No, che dico? Tu sei proprio impazzita, Ma definitivamente! Cos’è? Le vacche ti hanno mangiato il cervello o te lo sei bevuto tu? – continuò ad urlare, mentre dolorante si massaggiava con una mano la zona colpita sulla nuca.
Lei lo guardò male e lui le soffiò contro, imitando una voce pericolosamente simile a quella della ragazza: – Gli dei hanno per caso deciso di privarti del dono dell’intelletto?
Esmeralda lo guardò spazientita: – Ti comporti sempre come un bambino. Dovresti smetterla. Voglio dire, hai diciotto anni. Non è necessario che-
– E invece è necessario! È necessario, eccome! – sentenziò lui, regalandogli una linguaccia indispettita e voltandosi dall’altra parte.
La gitana lo guardò a metà tra l’irritato e il divertito. – Farrokh…? – cercò con lo sguardò l’altro ragazzo, il più grande e alto dei tre, che sino ad allora non aveva proferito parola in quell’ennesima discussione. – Farrokh? – lo richiamò nuovamente lei, vedendolo perso con lo sguardo altrove, rivolto in avanti, con i pensieri che vagavano chissà dove tra le sue argute fantasie. Esmeralda si sollevò sulla punta dei piedi, scuotendogli lievemente il braccio per ridestarlo. Lui si volse verso di lei, la postura slanciata, e le rivolse un sorriso divertito, mettendo in mostra i denti sporgenti, in contrasto con i sottili occhi scuri, affilati come quelli di un felino. – Non affannarti, gioiellino. Non ne vale la pena. Non con lui, almeno. Sprecheresti solo fiato prezioso. – esclamò strizzandole un occhio e lasciandosi andare ad una rumorosa risata liberatoria, a cui si unì poco dopo anche la bruna.
Roger li guardò di sottecchi e, una volta deciso che fulminarli con lo sguardo sarebbe stata un’ottima scelta, li superò a grandi passi con finta altezzosità, rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi e ricominciando, per questo piccolo incidente, a lamentarsi.
– Vi detesto! Siete insopportabili! – lanciò un sassolino con il piede – Voi e le vostre prese in giro. – un altro sassolino lanciato – E detesto anche –
Si fermò, con le parole che gli erano morte in gola, le labbra rosate semiaperte e i grandi occhi azzurri spalancati in un’espressione di puro stupore, nell’osservare quella meraviglia che si parava dinnanzi a lui: lì, sulla Place du Parvis-Notre-Dame, nell’ Île-de-France, si ergeva, imponente e maestosa, la Cattedrale di Notre-Dame.
Ma è meravigliosa! – esclamò estasiato il biondo, allargò le braccia e fece una giravolta, come a voler accogliere tra le proprie braccia la solenne struttura. – Non credo di aver mai visto qualcosa di più bello! – Gli occhi cristallini gli si illuminarono: sembrava un bambino a cui era stato appena dato il primo balocco di Natale da scartare.
Si avvicinò ai due ragazzi, scuotendoli energicamente. – Farrokh! Esmeralda! Avete visto che meraviglia? È bellissima! – Il corpo gli fremeva e aveva il respiro corto a causa dei saltelli.
– Stupenda… - mormorò ancora, lo sguardo che vagava oltre le torri possenti. I due giovani annuirono, sorridenti.
Marmorea, eterea, quello era, quella maestosa opera di Dio. Con quella struttura grandiosa, dalle alte torri, sfarzose, da cui filtrava quella luce celestiale, che quasi sembrava la facesse risplendere di luce propria. I tre portoni massicci, le grandi finestre bifore, le statue colossali che ne riempivano l’arcata e il maiestatico rosone che troneggiava nel centro, plasmavano un incastro così tanto preciso di meraviglie, che davvero quasi la cattedrale sembrava rasentare la perfezione.
– Per me è bellissima – concedette Farrokh, mentre scrutava la gigantesca piazza circostante, gli occhi felini ridotti a due fessure. – È praticamente perfetta. Apriremo le danze qui, domani.
– Qui? Domani? – si lasciò sfuggire Esmeralda, con il tono di voce più alto del normale.
– Vuoi esibirti in piazza? Domani? Mentre ci sarà quella… com’è che l’hanno chiamata? Ehm… Ah sì! La Festa dei Folli. – mormorò scettico Roger, un sopracciglio biondo inarcato.
– Farrokh, attento. – lo avvertì la ragazza, mentre si dondolava indecisa da un piede all’altro.
– Clopin non ne sarebbe felice. Non vuole che ci…notino troppo, ecco. – Djali si era avvcinata alle gambe della ragazza e lei le aveva concesso una carezza sul muso, nervosa.
Roger seguì in religioso silenzio la lieve discussione tra i due amici, leggermente preoccupato per quella situazione e non propriamente a suo agio, dato che non sapeva bene cosa replicare.
– E invece no. – decretò serio il maggiore – Noi ci esibiremo. E ci faremo notare. Non dobbiamo nasconderci. N-Non è giusto, capite?
I due gitani lo guardarono, con una speranza che ardeva nei loro giovani petti.
Farrokh alzò il mento, fiero, i lunghi capelli corvini svolazzanti e negli occhi uno strano bagliore. Orgoglio, ambizione…forse? Roger ed Esmeralda non seppero dirlo.
Domani saremo noi i Folli… Saremo noi i Re della Festa!

 
 
L’Angolino di Phantasia
Non so bene come mai io mi trovi qui, detto sinceramente. So solo che ho un’ansia tremenda di pubblicare questa cosa che la mia mente terribilmente malata ha deciso di dare alla luce.
Detto questo, piacere sono Phantasia e questa è la prima storia che pubblico, nonostante io ne abbia scritte tante altre prima di questa e che molto probabilmente non vedranno mai la luce del Sole, perché sono degli obbrobri tremendi. Che meraviglia!
Bene. Come avrete potuto vedere, se avete avuto il coraggio di leggere tutto e di arrivare sino qui, questa cosuccia dovrebbe essere una sorta di cross-over, nel quale i nostri quattro amati beniamini si trovano in una Parigi del XV secolo. La storia è ambientata nel 1482 e vede come ambientazione la Parigi descritta da Victor Hugo nel suo romanzo Notre Dame de Paris, che io – personalmente – amo. Perciò credo saranno numerosi i riferimenti all’opera originale e al meraviglioso musical omonimo realizzato da Cocciante.
Finito questo sproloquio, vorrei dire che credo di aver letto la maggior parte delle fanfiction presenti su questo fandom e che alcune le ho trovate davvero meravigliose, ma che non ho avuto né il modo né il tempo di poterle recensire, motivo per cui mi sento una persona orribile, perché davvero meritano tanto. Oltre alle persone che mi sono state vicino e che hanno dovuto subirsi i miei terribili scleri quotidiani, ringrazio proprio le autrici di queste storie e di altri scritti appartenenti ad altri fandom, che mi hanno convinto a prendere in mano qualcosa di mio e a pubblicarlo. Per cui, grazie, grazie davvero.

Ossequi,
Phantasia <3

 

P.S.: Non mi rimane che citare il solito, consueto e noiosissimo disclaimer:
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo
 

 
 
 
 
 
   
 
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