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Autore: Corvi1D    06/03/2019    0 recensioni
"-Secondo te se ne sono andati?- domandò l'uomo, stringendo saldamente la pistola, cercando di farsi coraggio ma, temendo, che quello sarebbe stato anche il suo ultimo giorno di vita. Serrò le labbra, tenendosi il fianco ferito a causa di un proiettile nemico.
-Lei non si deve preoccupare, la proteggerò io, come ho sempre fatto... o quasi.- rispose l'androide, sussurrando l'ultima parte, sentendosi ancora in colpa per aver permesso che quel proiettile lo colpisse.
-Oh, smettila di sentirti in colpa, sono stato io ad espormi troppo, non avrei dovuto, eppure l'ho fatto. Se ti ricordi, io non ti ascolto mai.- precisò, accennando un sorriso per mascherare il dolore.
-Ora però resti qui. Mi dia retta e rimanga qui al sicuro, io mi occuperò di tutto!-
-Nines, non fare stronzate, te ne prego...- mormorò l'uomo ma l'androide se n'era già andato.
Quella fu l'ultima volta che gli parlò. Avrebbe voluto parlargli di più, tutto ciò che gli passava per la testa ma era troppo tardi. Nines non c'era più."
Gavin, dopo aver passato l'ultimo periodo in depressione, decide di mettere su carta i propri pensieri, raccontando ciò che era accaduto quella notte.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Connor/RK800, Elijah Kamski, Gavin Reed, Hank Anderson, RK 900
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Giorno cinquantasette, sono ancora qui. Qui ma solo, cercando un modo per rimettere insieme i pezzi della mia vita sparsi per la città o, per essere più precisi, sparsi in quel cazzo di luogo che mi ha strappato via tutto." 

Sospirai, guardando il foglio davanti a me dove avevo scritto solo tre misere righe rispetto a quanto mi era stato prescritto dallo psicologo eppure, per quelle misere parole, ci avevo messo circa quaranta minuti. Pensandoci bene, per scrivere la mia giornata, ci avrei messo esattamente una vita. Ripresi la penna che avevo poggiato sul tavolino, ricominciando a scrivere tutto quello che mi passava in testa, non volendo spendere altro tempo su una cosa così stupida ed inutile.

"Anche oggi ho provato a ricominciare, ad alzarmi per andare al lavoro ma, ogni cosa che faccio, mi riporta a lui, al suo sguardo freddo e analitico. Mi ricorda il suo modo di spiegarmi le cose, in modo così saccente e tremendamente irritante, per non parlare di come riusciva a togliermi la terza tazza  di caffè della mattina. Beh, che dire... mi manca... questa è la verità, lui mi... manca... e..."

Posai nuovamente la penna, non avendo la forza di continuare, non trovando neanche le parole giuste. Ogni termine che mi veniva in mente mi sembrava banale, stupido, inutile e inappropriato per descriverlo. Sospirai, passandomi le mani sul viso, abbandonandomi poi sul divano, affondando il viso nel cuscino nel tentativo disperato di soffocare un urlo di disperazione e rabbia. Quello stupido e dannato psicologo! Credeva davvero che mettendo su carta i miei pensieri riuscissi a liberarmi dal peso delle mie colpe? Era impossibile, tremendamente impossibile! Mettere i miei pensieri su carta non faceva altro che costringermi a ripensare a ciò che era successo, cosa che volevo vivamente scordare e non stampare nero su bianco.

"E... e non so cosa fare senza di lui. Sono confuso e spaventato, tremendamente spaventato. Le mie certezze sono state ridotte in polvere e le mie paure sono diventate più forti. Ogni tanto, la sera, quando mi sdraio e chiudo gli occhi, spero di non riaprirli più, non senza ritrovarmi il suo viso accanto. Nines..."

Lasciai cadere la penna, non riuscendo ad andare oltre a causa del forte dolore che provavo. Il mio cuore batteva all'impazzata e il mio respiro era spezzato, come se mi mancasse l'aria anche se, in quella stanza, era più che ovvio che ve ne fosse a sufficienza. Mi alzai, abbandonando tutto sul tavolino per andare in bagno, nella vana speranza che i miei pensieri si sistemassero o, meglio, sparissero completamente. Raggiunsi il bagno, aprendo lentamente la porta che cigolò spaventosamente, come se non venisse aperta da una vita, cosa impossibile. Forse non ci avevo mai fatto caso dato che la mia casa non era mai stata silenziosa come quel momento. C'era sempre un rumore di fondo che non mi faceva notare dei suoni così spaventosi. Alle volte sentivo i miei gatti miagolare, cercando l'affetto mio o dell'androide. Altre volte c'erano le pentole o il rumore della cucina in generale ma, la maggior parte del tempo, c'era la sua voce. Alle volte mi insultava pesantemente, altre mi faceva domande oppure, semplicemente, mi aggiornava sul lavoro e sulle mie funzioni vitali. Il discorso di cui parlavamo più spesso riguardava la mia dipendenza dal caffè. Accennai un sorriso, ricordando uno dei nostri litigi. Sembravamo due bambini. Io giravo con la terza tazza di caffè sopo una nottata in bianco, parlando al vuoto, come se avessi un interlocutore invisibile davanti. Lui mi seguiva, cercando di farmi calmare e di portarmi a letto, avendo finito di lavorare. Io, ovviamente, non gli diedi retta, cominciando a lamentarmi e ad insultarlo. Ricordavo che, all'improvviso, mi ero messo a parlare di Detective Pikachu, senza alcuna ragione pratica, solo perché era la prima cosa che mi era passata per la testa. Mi paragonai a lui e alla sua voglia irrefrenabile di caffeina, solo a pensarci mi viene da ridere eppure... 

Mi guardai allo specchi, poggiando le mani sui bordi del lavandino, facendo presa per appoggiarmici, notando come nella mia espressione vi fosse solo... il vuoto. Solo ed unicamente il vuoto, niente di più. Neanche un sorriso, neanche un minimo accenno di gioia a quel ricordo. Abbassai lentamente lo sguardo, notando che non avevo neanche più un lacrima da versare, avevo esaurito tutto. Scossi il capo, aprendo il rubinetto per bagnarmi il viso, cercando di riprendermi senza alcun successo. Forse quel pezzo di merda di uno psicologo aveva ragione, forse, scrivere come mi sentivo, cosa provavo, mi avrebbe aiutato... forse...

Mi asciugai le mani, correndo verso il divano, convinto a fare ciò che mi era stato chiesto senza, per una volta, impormi troppo. Accartocciai il foglio che stavo scrivendo prima, buttandolo a terra e afferrandone uno nuovo, prendendo la penna pronto a scriverci sopra. Ma non avrei parlato dei miei sentimenti, no, non ne ero mai stato capace. Avrei raccontato ciò che era accaduto, la sequenza di eventi che mi aveva portato al momento più doloroso della mi esistenza. Avrei raccontato la settimana che mi aveva portato alla morte dell'androide RK900, conosciuto anche come Nines.

   
 
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