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Autore: PawsOfFire    06/03/2019    2 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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“Mi piacerebbe…essere uno struzzo, si!
Sarebbe fantastico poter infilare la testa sottoterra e fottermi di ciò che succede intorno a me…
Sarei un fottuto uccello di due metri che corre veloce come il vento…insomma, sarei un dannatissimo carro armato vivente!”

 
 

Ero sbronzo.
Davvero molto, molto sbronzo.
Abbastanza…da non essere sobrio.
Sentivo freddo, avevo bisogno di caldo, estate. Anche se eravamo a luglio, agosto…non lo so cosa fosse. Iniziavo a temere il freddo.
Non un altro inverno.
No.
Avevamo trovato degli alcolici. Una bottiglia mi era spettata di diritto, così la scolai senza troppe cerimonie in una sola boccata, avidamente, lasciando che il liquido mi scivolasse sul mento e mi macchiasse la divisa lurida che avevo indossato per la prima volta anni fa e che mai mi ero tolto.
Tanto cosa importava? Niente.
Un altro inverno no, non lo avrei sopportato.
Mi sentivo…bene? Mi sentivo un cazzo di albero, di quelli alti che sembrano resistere ad ogni intemperia. Perché tutti gli altri erano davvero piccoli.
Bassi ragazzini di…anche dodici anni! Dei giocattoli a corda. Li hanno caricati per bene e adesso tac, tac, tac, camminano dritti e fieri dal nemico e muoiono in piedi, onorevolissimi giocattoli.

 

 
“Oh, che peccato. E’ morto. Adesso ne arriverà un altro. Uguale, forse più piccolo…tac, tac, tac. Con buona pace della madre che, brava donna, dovrebbe farne un altro, uguale…uguale”
“Capitano, la smetta. È ubriaco…”

Tom mi prese per le spalle, guardandomi dritto negli occhi. Ridendo, con due dita, camminai sulle sue spalle, sulla sua testa, come se fosse un piccolo omino.
“Tac, tac, tac. KATIUSHA! Ed è morto. Secondo te succhiava ancora il latte…?”
“Capitano, non la riconosco…”


“Lei sarebbe un Capitano? Dove è finito l’onore?”
Innegabilmente, siamo una gabbia di vermi. Potremmo essere tutti solidali nella nostra infinita sfortuna, invece adoravamo farci belli con gli altri, dei novelli Ercole con la pelle di leone addosso. Pazienza. A qualcuno non piacquero i miei deliri alcolici, così passai una notte in galera, in una cantina adibita a tale, a meditare sulle mie parole oscene e sovversive che, evidentemente, avevano irritato qualcuno.
Idea molto interessante, per altro. Niente turni di guardia, potevo pisciare all’angolo come un cane e dormire sul pavimento, grattandomi le orecchie con i piedi come il pulcioso che ero diventato.
Ma. Non ero solo.
C’era un tizio. Non so chi fosse. Diceva di aver scritto un libro.
“Perché la libertà di espressione è sbagliata” si intitolava. Tre pagine, scritte da un giovanotto pagato tre marchi per la trascrizione sotto dettatura e morto ad Albareale* lasciando il manoscritto incompiuto.
Nonostante a nessuno, nemmeno agli americani, piacesse la libertà di espressione, le tre pagine vennero additate come pericolose e il suddetto scrittore venne arrestato fin quando non si sarebbe schiarito le idee. Per quanto fosse rivoluzionario, sovversivo, anarchico, sembrava possedere i due requisiti fondamentali per essere un buon soldato: un braccio sinistro e un braccio destro, entrambi muniti di mani con cinque dita ciascuna, per altro!


Iniziammo a conversare.
O meglio, quel tizio era un gran paroliere ed io troppo stanco per negargli la parola, nonostante fosse vietata dal suo scritto.
“Perché domani, Capitano mio, mi chiederanno cosa ne penso della libertà di espressione.
Ed io, con tono solenne, dirò: “La libertà d’espressione?” e mi faranno uscire, felicemente, dove morirò trafitto da un proiettile in gola. A quel punto…non sarà più importante il mio pensiero”



Ebbi del gran tempo, per riflettere.
Eravamo delle bestie, dei buoi, dei cani. Forse degli sciacalli. Quindi dormii.
Arrivarono gli inglesi. O i francesi. O i russi.
Anzi, erano proprio i russi. Con gli aerei…che volavano bassi, fischiando e bombardando.
Ma ero sotto, sotto e sotto la terra, in una cantina. E sentivo i suoni sopra di me.
Boom. Bom. BOOM!
Come al cinema! Avevo quattordici anni ed erano gli anni Trenta.
E…vedevo le figure che si muovevano. E parlavano. Per davvero! Nella mia ingenuità vidi lo stesso film due volte. Gli attori fecero le stesse cose, dissero le stesse parole.
Stessa cosa. Era un film visto troppe volte, quello degli aerei che bombardavano le cose. Tremava la cantina e la gente moriva. Non importava più cosa avessi detto, scritto e fatto. Essere un rosso bastardo che legge Tolstoj non ti salva di certo se sei nato oltre il Don. I russi queste cose mica le sanno.
Io ero qua sotto. Alla fine, avrei potuto anche battere le mani e chiedere il bis ma ops, non avevo mica pagato il biglietto per lo spettacolo.
Forse li avevano venduti tutti. E nessuno sarebbe mai tornato ad aprirci.

 

L’indomani ci liberarono.
Scoprii che non era successo assolutamente niente. Zero bombe, morti o feriti. I russi erano stati nel loro recinto a pascolare come agnelli.


“Vede, capitano Faust” disse il mio carceriere mentre, svogliatamente, rigirava una chiave nella serratura della mia cella, facendola scattare con un “click” : “Ha la fortuna di essere ancora intero, di avere due braccia e due gambe, particolari non trascurabili in guerra. Anche se ha perso qualche rotella non è importante...come sa, quando si ha sete, anche il piscio diventa vino!”

 

Mi ricongiunsi con i miei uomini.
Avevo freddo. Fottutamente freddo.
Nonostante fosse estate e le nostre maniche sporche fossero arrotolate alla meglio sopra i gomiti.
Un tempo, si parla di anni, ci trattavano con cura, come le belle bamboline con cui giocano le bambine. Avevamo un cambio estivo e uno invernale. I nostri stomaci erano pieni. Ovvio, non pieni veramente ma riuscivano ad assicurarsi almeno un pasto al giorno. Non riuscivo a pensare ad altro.
Mangiare e dormire. I bisogni umani, velocemente, sembravano assottigliarsi tragicamente fino a ridursi all’osso. Stavo diventando come il vecchio Gerste senza rendermene conto.
Quelle poche ore di sonno che riuscivo affannosamente a comporre, ripercorrevo lo stesso sogno.
Le mie mani erano artigli, la mia bocca una tenaglia affilata e correvo come il vento. Non soffrivo il freddo, nonostante ci fosse sempre la neve, nei miei sogni. Ero un agile e potente predatore.
Quando vedevo una preda, un cervo, le saltavo addosso, affondando i denti nel suo collo e gli artigli nel suo ventre, straziandola sotto il mio stesso peso. E mangiavo!
A sazietà, infilando le mie fauci in quel banchetto caldo, fetido e rosso.
Quando mi svegliavo, di soprassalto, mi rendevo conto di essere una creatura diversa.
Debole e nuda, senza canini e senza unghie, troppo goffa per acchiappare un topo, troppo lenta per stanare un coniglio. Saremmo anche bestie superiori ma la testa non funziona se la pancia è vuota. La natura, in questo senso, fa abbastanza cagare.

 

Un buon giorno era un giorno con meno di dieci chilometri persi.
I russi oramai nemmeno si preoccupavano più di cercarci. La benzina nei nostri carri si misurava in gocce e se anche di grazia fossimo riuscivi ad arretrare fino a Berlino, ci saremmo ritrovati con graziosi suppellettili rumorosi al posto dei carri armati. A maggior ragione, ai rossi, interessava prendere anche qualche prigioniero vivo come souvenir, da utilizzare come manodopera gratuita. Nel caso più fortunato sarei morto e, come ben preciso, avevo fatto, in merito, numerose prove. Altrimenti...beh, sarei morto lo stesso ma in maniera più creativa.
I miei uomini iniziavano a preoccuparsi. Sembravano persi e confusi mentre, giudicandomi da capo a piedi, mi chiedevano cosa mi turbasse.
Perfino Fiete sembrava curarsi del mio stato d’animo.


Dentro al nostro nuovo, vecchio macinino, l’odore dell’olio da motore, benzina, sudore e ferro caldo penetrava fin dentro le ossa. Nemmeno aprendo qualche sportello scampavamo alla flatulenza e alla sensazione di bollitura. Il fumo entrava dentro al cabinato condannandoci all’eterno tossire.
Tutto era...così sbagliato. Osservando l’orizzonte fischiettavo la Kalinka, sicuro che il motore avrebbe coperto quella melodia controversa.
Niente. Niente di niente.
Solo campagna bruciata e secca. Quelle poche volte che incrociavamo un ammasso di case da ispezionare, scoprivamo sempre essere state già rovesciate come calzini: i cadaveri scarnificati dei contadini nelle macerie dei fienili, grossi nidi di passeri tra i mattoni e divise verdiblu che penzolavano dai soffitti dall’operazione Barbarossa. Quando credevamo ancora che la guerra fosse una santa crociata bastava sputacchiare parlando sulle scarpe di un superiore per essere appesi.
Nessuno si sarebbe mai aspettato di tornare indietro.
In effetti, a ben pensarci, erano davvero pochi quelli che si potevano permettere il lusso di arretrare.
I più erano nuovi, giovanissimi, che davvero credevano in queste cose.
Cresciuti ed imboniti dell’idea che Gerusalemme andasse liberata, i loro piccoli occhietti giudicavano i teschi vitrei dei loro commilitoni condannati a morte, esclamando con sdegno: “ I traditori devono pagare la vigliaccheria con la vita”
Spesso, fin troppe volte, cercavo di ingoiare i sassi con la speranza di inghiottire le parole che desideravo vomitare loro addosso.
Fanculo, la razza superiore. Sono piccoli, pidocchiosi, magri e brunetti, con gli incisivi sporgenti che spesso fuoriescono dalle loro labbra, oltre i menti sottili ed efebici.
Devi essere un gran bastardo per illudere questi sacchi di carne di essere belli.
Siamo solo bestie inefficienti, tutto qua. Chissà sotto quale carena giaceva il mio orgoglio.
Il mio desiderio di vita era oramai ridotto all’istinto animale.
A volte, nei giorni più più, l’idea della diserzione mi trapassava il cuore come un proiettile.
Mandare tutto a fanculo e correre, si! Correre veloce e lasciarsi alle spalle la guerra, la fame, gli abiti stracci, toccare il terreno per correre più forte, libero dal senso del dovere, dall’orgoglio, pronto a riacquistare la mia dignità.
Pronto ad essere abbattuto al largo come un cervo.
“Che stupido che sei, Bastian” ripetevo a voce, scrollando la testa.
Devo cercare di resistere ancora un po’. Voglio tornare a casa anche se so che della mia bella Monaco non è rimasto nient’altro che cenere.
Se non per me lo devo a Stefan, che in questa guerra ci credeva per davvero. Forse...forse, per lui, è stato meglio così, morire giovane nella speranza della vittoria, che vecchio e stanco nel preludio della sconfitta.
E Alfred...probabilmente è morto anche lui. Non ho più sue notizie da tempo immemore.
Sono rimasto solo.
No...non solo. Ci sono i miei commilitoni, ancora. Se morirò, sarà con loro.
Tom, Klaus, Martin, Volker. Fratelli di armi, di sangue. Chissà quanto volte il mio si è mescolato con il loro. Non c’è niente di più intimo che condividere la morte.
E se succederà, sarà con loro, in questa vecchia carriola, trapassati a morte da un carro nemico, bruciando come fenici in attesa di una vita migliore.

 

Rinforcai gli occhiali da carrista per fare capolino fuori dal carro. Il sole era alto nel cielo, talmente caldo da rendere insopportabile la vista.
Niente di nuovo all’orizzonte. Solo grano secco e lunghe scie di terra arida e smossa da altri cingoli.
Ritirandoci lentamente tornavamo a casa.

Note:

*
Albareale: città ungherese o fronte d'Ungheria dove si svolsero diversi scontri sanguinosissimi.

Nota d'Autrice:

Lunghissima assenza, ahimè...non ho intenzione, nonostante tutto, di abbandonare questa storia.
Avrà una fine che, per altro, non è nemmeno molto lontana. Ed una revisione seria perchè, in quasi tre anni, sono cambiate tante cose.

 
   
 
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