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Autore: A_Typing_Heart    06/03/2019    0 recensioni
Mentre la noia ha la meglio su tutti negli ambienti altolocati, l'uomo chiamato Crowley Eusford viene avvicinato da un uomo sconosciuto, che gli parla di un geode molto speciale custodito in un museo di storia naturale. La sua offerta in merito è così allettante che Crowley non pensa nemmeno di rifiutarla e lo accompagna in quella che spera essere una breve ma interessante distrazione.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Guren Ichinose
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La notte senza luna creava l'atmosfera ideale per uno splendido appuntamento segreto, o almeno era questo che Ferid Bathory stava pensando mentre guardava il cielo trapunto di piccole stelle. Si vedevano a malapena dato l'inquinamento luminoso della città e il panorama celeste gli venne presto a noia, inducendolo a dedicare la sua attenzione alla sua lunga chioma color argento. Prese a scrutarne le punte nelle ciocche più corte intorno al viso dalle linee eleganti, e lo sguardo dagli occhi di ghiaccio si rabbuiò.
«Crowley, secondo te sono doppie punte?»
L'uomo che era vicino a lui, dai capelli rosso scuro, lunghi e legati in una treccia che si andava a posare su una robusta schiena dalle spalle importanti, alzò gli occhi blu dando una fugace occhiata, troppo distratta per poter effettivamente notare un dettaglio così piccolo al buio. Tornò ad annodare una corda da scalatore a un rampino con un doppio nodo senza che la sua espressione cambiasse.
«Sono sicuro di no, i tuoi capelli sono sempre perfetti.»
«Ah, che adulatore.»
«Lo penso davvero.»
Prima che Ferid potesse fare qualsiasi altra cosa oltre a un sorriso lezioso l'orologio al suo polso diede un basso segnale acustico. Era finito il tempo di guardarsi in giro e pensare a cose di poco conto.
«Andiamo, abbiamo tre minuti prima che passi di nuovo la guardia.»
«Ecco, è pronto.»
Crowley gli porse la corda avvolta in molteplici giri intorno al braccio muscoloso e il raffio di metallo, ma Ferid lo guardò come se avesse chiesto un cono gelato e avesse ricevuto una chiave inglese. Spostò gli occhi chiari sul viso dell'uomo, dall'espressione insospettabilmente ingenua per un uomo grande e grosso qual era.
«Dico, sei impazzito?»
«...Perché?»
«E io dovrei scalare il muro con quell'affare? Per chi mi hai preso?»
«Per un ladro.» rispose lui, disarmante come ogni volta che rispondeva a una domanda retorica.
«Non voglio mica sudare. Su, fai il bravo, aiutami a salire.»
«E come?»
«Potresti lanciarmi al di là del muro.»
Nonostante fosse un'ovvia battuta di spirito, Crowley alzò gli occhi come a valutare l'altezza effettivamente non proibitiva della recinzione. Si grattò la testa.
«Ne sei sicuro, Ferid? Ti potresti far male.»
«...Ma tu sei davvero un idiota o ti diverti a irritarmi fingendoti tale?»
«Non lo so.» rispose lui, ma sorrise.
Ferid sospirò e si avvicinò, e come pensava quell'uomo fingeva soltanto di non capire che cosa volesse da lui, difatti si piegò sulle ginocchia e unì le mani per creargli un appoggio senza che fosse necessario spiegargli cosa fare. Mise il piede su quei grandi palmi e con il suo sostegno si ritrovò in un attimo all'altezza ideale per aggrapparsi al bordo superiore. Con una seconda spintarella sulla spalla dell'altro vi fu sopra e si sedette, con le gambe accavallate, come fosse su una comoda panchina in un meraviglioso giardino. Purtroppo la vista non era interessante a tal punto.
«Deliziosamente minimale questo giardino! Vieni a vederlo, Crowley.»
«Mh, non è che mi interessino le piante.»
«Due minuti, Crowley.»
Quel commento fu seguito dal rumore secco del rampino che si arpionava sul bordo del muro a mezzo metro di distanza dall'uomo che vi sedeva sopra. Ferid gli lanciò uno sguardo prima di osservare un bell'esemplare di acero rosso.
«È fissato bene?»
«Uh? Oh, chissà, sembrerebbe.» rispose l'uomo dai capelli chiari. «Prova.»
«Ferid, se il rampino si stacca e cado, vengo lassù e te lo ficco in corpo.»
«In corpo dove?»
«Esattamente dove pensi tu.»
«Oh, ogni tanto anche tu riesci a sembrare minaccioso quanto il tuo aspetto.»
«Grazie, mi sono impegnato.»
Crowley fece capolino sulla cima della cinta e diede un'occhiata al giardino con viva curiosità negli occhi, che non si spense nemmeno quando prese a scendere all'interno.
«Non è un giardino un po' spoglio?»
«Te l'ho detto che era minimale.»
Crowley toccò il prato e guardò in giro per il cortile, non ammirando le piante ma cercando avvisaglie della ronda delle guardie. Si stupì, quando si voltò, di trovare il complice ancora seduto sul muro. Questi guardò l'orologio al polso e vide che il loro tempo per entrare era quasi esaurito: mancavano quaranta secondi.
«Crowley, devo scendere.»
L'uomo, che non aveva toccato la corda per permettere all'altro di usarla, non fece domande e si mise sotto di lui, spalancando le braccia appena in tempo per prendere al volo Ferid con estrema facilità, quasi fosse privo di peso. Lo depositò a terra e riprese velocemente il rampino.
«Ottimo, ora andiamo a metterci all'ombra del padiglione.»
Attraversarono il prato e si portarono nell'ombra proiettata dalla tettoia sporgente dell'ingresso laterale, dove erano parzialmente nascosti da siepi sempreverdi e attesero che la guardia passasse scorrendo la luce della torcia sul muro di cinta. Ferid osservò la stazza dell'uomo suo complice per diversi secondi e trovò buffo pensare che nel buio potesse essere scambiato per il fusto di un albero. Non aveva ancora smesso di sorridere a quel pensiero quando Crowley lo guardò.
«Che c'è di divertente?»
«Nulla, proseguiamo.»
Ferid uscì dal nascondiglio e si portò alla porta, in legno di quercia ma riadattata con un buon sistema digitale di apertura con un codice alfanumerico. Dal piccolo marsupio che portava sulla schiena l’uomo coi capelli chiari estrasse un tastierino simile a una elaborata calcolatrice scientifica, poi schioccò le dita.
«Lo sportello, per cortesia.»
Crowley si avvicinò già con il cacciavite in mano e svitò rapidamente lo sportello inferiore. Ferid vi collegò un cavo, premette alcuni tasti che produssero suoni sommessi e attese appena il tempo di spostare i capelli legati in una lunghissima coda alle sue spalle, poi con uno scatto la porta si spalancò.
«Ah, ma allora sei davvero un ladro, Ferid!»
«Un ladro di gran classe, mio diffidente amico.»
«Ora sono convinto.» disse lui, mentre rimontava lo sportello.
I due uomini entrarono nel museo di storia naturale e Ferid si mosse senza esitazione lungo il corridoio degli uffici. Quando attraversarono le sale ebbero una fugace visione di scheletri calcificati di bestie antiche, che Crowley osservò con genuino interesse, di alcune statue di cera e una teca di gioielli rituali nativi in turchese, poi presero l'ascensore privato degli addetti di alto profilo per salire al piano più alto. Per utilizzarlo Ferid si affidò nuovamente al suo piccolo computer.
«Devi insegnarmi come si usa quello, Ferid.» disse Crowley.
«Ah, chi lo sa... se il nostro sodalizio dovesse piacerci potrei esserti sempre vicino e usarlo per te.»
«Oh? Mi hai chiesto tu di accompagnarti, credevo di piacerti già.»
«Oh, è bello vedere che quel tuo corpo è gonfiato ad amor proprio, Crowley.»
Crowley sorrise ma non rispose. Quando le porte si aprirono seguì Ferid fino a una porta, che si aprì senza alcun problema con un passepartout. La vista della sala di deposito si spalancò davanti a loro e suscitò a Crowley una sincera emozione, come l'apertura dei regali per un bambino.
La sala aveva un pregiato motivo di lastre di marmo in colore grigio e marrone sul pavimento che si intonava al rivestimento di legno caldo lungo la parete. Ad essa erano accostate delle teche, una conteneva armatura e spade medievali, le altre due preziosi esemplari di mappe vecchie di secoli, ma i due uomini non erano lì per quei reperti per quanto preziosi e interessanti fossero.
«Eccolo!»
Ferid accelerò superando teche piazzate a intervalli regolari in mezzo alla stanza, ignorando gioielli egizi, libri riccamente decorati scritti nel medioevo da diligenti frati, statuette devozionali e la corona di un re tedesco. Puntò dritto sulla teca più grande che gli suscitò autentica meraviglia.
«Oh Crowley, guarda che magnificenza... è assurdamente grande e meravigliosamente incantevole, quasi quanto te.»
Crowley si lasciò sfuggire solo un soffio della risata che quel commento gli provocò, e si avvicinò alla teca che custodiva il rarissimo geode Andromeda, un insulso guscio di pietra che spaccato a metà aveva rivelato custodire uno splendido cuore di cristalli di tormalina. Le punte sotto il faretto della teca scintillavano come diamanti in toni che andavano dal rosso scuro al magenta fino a toni di rosa pallido. La dimensione, il colore, la cristallizzazione e la datazione del geode lo rendevano un pezzo molto prezioso, ma probabilmente al mercato nero dell'arte e dei pezzi storici sarebbe stato il meno quotato tra quelli nella stanza.
«Non te l'avevo detto che valeva la pena di ammirarlo lontano da guardie e turisti?»
«L'avevi detto, Ferid. È molto bello.»
«E questo non è nulla... il mondo è pieno di pezzi splendidi e meravigliosi che aspettano di essere ammirati... che cosa ne dici, Crowley? Vuoi farlo insieme a me?» domandò Ferid, e gli tese la mano. «Ci aspettano notti mozzafiato... solo tu, io, e le più belle opere nate dall'uomo o dalla natura che il mondo abbia da offrirci. Il geode Andromeda sarà il più pallido dei ricordi che conserveremo... vuoi vedere tutto insieme a me?»
«Lo voglio.» disse Crowley, e gli prese la mano. «Ma solo se sarà divertente.»
Ferid sorrise, soddisfatto di averlo definitivamente persuaso. In verità il loro sodalizio era di utilità a entrambi, dopotutto che senso avrebbe avuto pianificare un mirabolante colpo per poi non poterlo dire a nessuno? La presenza di Crowley dava a Ferid l'ammirazione di cui aveva bisogno, e la possibilità di condividere la vista degli oggetti più belli del mondo intero... quanto a Crowley, divertirsi era un motivo sufficiente per fare quasi qualsiasi cosa e non poteva non essere felice, in quel mentre, di aver incontrato quel bizzarro uomo che gli aveva fatto una stranissima proposta mentre si annoiava a morte a una festa in abiti da cerimonia soffocanti.
«Su, dammi il biglietto.» disse Ferid, sollevando la teca.
«Ehi... non suonava l'allarme se si toccava la teca?»
«Certo, ma quando sono stato qui per installarla ho alterato i valori... non suonerebbe nemmeno se un energumeno come te la sfondasse con un martello.»
«Ooh, impressionante, Ferid... sono colpito.»
«Non smettere, i complimenti non mi imbarazzano mai... ma dammi il biglietto.»
«Senti, ma... come mai vuoi lasciare una firma, se alla fine lasceremo il geode qui?»
Crowley prese dal taschino interno del gilet nero il cartoncino che Ferid gli aveva chiesto di preparare e glielo porse. Lui lo prese senza guardarlo e scosse il dito indice dell'altra mano come a rimproverarlo.
«Non ruberemo proprio niente, Crowley! Sarebbe ingiusto per tutta la povera gente che può goderselo soltanto in tempo d'esposizione, no? Noi siamo dei privilegiati, ma non per questo saremo ingordi ed egoisti.»
Crowley non poté evitare di chiedersi se il complice fosse così seriamente interessato alla condivisione dei beni culturali con il resto dell’umanità o se semplicemente non sapesse come portarsi via quella roccia così pesante, ma non diede voce alle sue domande. Ferid sistemò il biglietto e per la prima volta lo guardò, e si accigliò all'istante.
«Ma che...»
Se lo portò più vicino agli occhi color ghiaccio, prima di infliggere a Crowley un'occhiata feroce. Lui non smise di sorridere.
«Qualcosa non va?»
«Perché c'è scritto "the Princess and the Wild"?»
«Non eravamo d'accordo su quel nome?»
«Era Prince, Crowley. The Prince, and the Wild, che sei tu.»
«Ehh...? Ma con quei capelli sei decisamente una principessa, Ferid.»
«Se proprio dev'essere allora tu fai la Bestia! Dammi il pennarello!»
«Non voglio la bestia, non sono poi così feroce, io.»
«Pensi davvero che Wild dia un'altra impressione?» domandò lui, e sfilò il pennarello dalla tasca interna del gilet di Crowley.
«Sei stato tu a dire che mi stava bene, e io penso che Princess ti stia benissimo.»
«Per cortesia, non dire altro.»
«Ah, però se io sono "the Beast" tu puoi fare "the Beauty"
«Perché vuoi affibbiarmi un nome da donna?»
«Non so, forse sono i tuoi capelli che mi ispirano.»
Il più grosso dei punti deboli di Ferid Bathory era senza dubbio la vanità, e Crowley lo aveva scoperto subito nonostante non fosse un osservatore particolarmente attento. Tra tutti i complimenti che gradiva ricevere quelli ai suoi capelli erano i primi, prontamente seguiti da quelli che cantavano le lodi della sua grazia ed eleganza. A parere di Crowley, "Princess" era perfettamente calzante la sua personalità se non propriamente il suo corpo maschile.
Ferid non riuscì del tutto a nascondere il suo compiacimento e con un gesto quasi automatico fece ondeggiare la sua coda argentata, che normalmente con quel movimento catturava la luce in modo simile ai cristalli dell'Andromeda, ma la sirena lacerante che si accese lo congelò con il braccio ancora proteso e il sorriso sulle labbra.
«...Anche le sirene si risvegliano davanti alla mia bellezza.»
«Hai toccato quella teca con la coda, Ferid.»
Ferid si voltò e si accorse di trovarsi a pochi centimetri da una teca che conteneva un antico manoscritto dell'Europa medievale. Il suo sorriso era scomparso.
«Oh.»
«Su, andiamo via!»
Crowley gli afferrò il polso e lo trascinò via dalla sala di conservazione, verso la via d'uscita che avevano studiato. Imboccò la scala antincendio correndo e quando fece il primo tornante Ferid vide che stava sorridendo più di quanto l'avesse mai visto fare prima.
«Credevo che odiassi correre, Crowley.» commentò con il fiato leggermente corto.
«Sì, ma... questa volta mi sto divertendo da matti!» rispose lui, e gli lanciò un'occhiata con un insolito calore negli occhi blu. «Mi farai sempre divertire così?»
Ferid accennò un sorriso e finse di rimuginarci sopra.
«Mah... se ci tieni così tanto... ci proverò.»
 
 
Alle dieci e qualche minuto del mattino seguente davanti al museo c'erano poche auto appartenenti a dipendenti e responsabili, qualche vettura faceva presagire la presenza di qualche visitatore, l'unica cosa apparentemente fuori posto era un'auto della polizia con il lampeggiante blu acceso. I due uomini che ne erano scesi vennero scortati dal direttore fino alla sala di conservazione e l'ometto era in evidente imbarazzo.
«Io... onestamente, non sapevo se scomodarvi o no... in realtà sembra che non sia stato rubato nulla.»
«Come, prego?»
«Ecco... abbiamo trovato la teca aperta del Geode Andromeda, ma la pietra è ancora lì, e abbiamo controllato quel reperto in tre... non è una copia, è autentica.»
«Hanno aperto la teca senza prendere nulla?» domandò uno dei due poliziotti, quello con capelli chiari e occhi color ghiaccio. «L'allarme li ha messi in fuga?»
«Beh... quello che non capisco è che sembra che a scattare sia stato l'allarme della teca accanto... non so che cosa dire, sembra una specie di scherzo, ma il nostro responsabile ha detto che per gestire le cose con l'assicurazione era meglio chiamarvi.»
«Ah, ecco a chi devo questa stupida chiamata.» brontolò il poliziotto moro.
«Guren!» sussurrò l'altro.
Guren lanciò un’occhiata a Shinya, un amico e collega di vecchia data, ma la sua irritazione non calò di una sola tacca. Aveva passato una nottata infernale al telefono con un ragazzino che faceva ancora i conti con lo stress post traumatico di una brutta faccenda violenta coi genitori -perché mai era stato così di buon cuore da dargli il suo numero personale e invitarlo a chiamare in qualsiasi momento per qualsiasi bisogno, poi?- e all’ora di presentarsi per il turno di giorno Shinya aveva deciso di esibire tutta la goffaggine che non sapeva di avere rovesciando tre tazze di caffè sulla sua scrivania, costringendolo ad andare di volata a casa per cambiarsi e a ristampare una serie di incartamenti inzuppati, e come se questo non fosse bastato, quella chiamata al museo gli aveva impedito di godersi anche la più scarna razione di caffè freddo della stazione di polizia.
Il suo malumore era palpabile, nessuna sorpresa che quando raggiunsero la sala il direttore fosse se possibile ancora più in imbarazzo, ma indicò comunque la teca ai due poliziotti con il massimo sussiego. Guren studiò con attenzione quella, il geode Andromeda e la teca con il libro che aveva fatto scattare l'allarme, senza dire una parola. Controllò il basamento delle teche e quando si raddrizzò guardò l'ometto.
«Forse sono riusciti ad aprire la teca del geode per poi passare ad altri, ma non sono riusciti ad aprire questa...»
«In effetti, se io fossi il ladro e sentissi la sirena, lascerei il geode qui... sembra un oggetto molto pesante. Mi rallenterebbe la fuga.» osservò Shinya.
«Classifichiamolo come tentato furto con scasso e vediamo se la scientifica trova impronte o qualcosa... questi ladri mi sembrano degli idioti.»
«Ehm, detective Guren... ci sarebbe anche questo...»
Il direttore gli passò un biglietto che teneva con un fazzoletto di stoffa; era evidente dal suo sguardo che si sentiva come se stesse porgendo una testa di tonno a uno squalo. Guren lo prese tentando inutilmente di esibire un’espressione rilassata, fece la massima attenzione a non toccare la carta e si accigliò guardando le scritte confuse, in brutta calligrafia e sovrapposte.
«Ma che accidenti è questa roba?»
«Era accanto al geode quando la guardia è arrivata... è stato lasciato da chi ha aperto la teca, presumo...»
«Fino a prova contraria sono io quello pagato per presumere.» sbottò Guren già dimentico dei suoi buoni propositi di calma, e tornò a guardare le scritte confuse. «The Pu... pu... pi... pru?»
Da sopra la sua spalla sinistra l'altro poliziotto, Shinya Hiragi, osservò la strana prova del reato e sorrise suo malgrado.
«Credo che dica "Princess".»
«Come riesci a leggere questa roba?»
«Oh, è simile ai tuoi rapporti di quando eri un agente di pattuglia.»
«Che ca... Shinya, chiudi quella bocca.» commentò lui. «Anzi, prima leggi cosa dice sotto.»
«Uhm... the Princess... and the... credo sia stata scritta un'altra parola sopra alla prima.»
Shinya prese il biglietto e lo portò vicino alla finestra, osservandolo in controluce per diverso tempo, poi sorrise di nuovo.
«Di certo la prima scritta era "The Princess and the Wild"... poi qualcuno con una diversa calligrafia e una forza diversa nella mano ha cercato di correggere, ma a occhio nudo è difficile distinguerlo.»
«Ma chi lascia un biglietto con correzioni e cancellature?»
«Direi un gruppo ancora indeciso sul nome d'arte...» commentò Shinya con aria divertita. «Chissà se dopo questo ci riproveranno.»
«Due idioti del genere? Se ci provano li arresto in un minuto.» ribatté Guren. «Prendi la deposizione della guardia che è arrivata per prima.»
Shinya si avvicinò al direttore che lo condusse nella stanza dove il guardiano era in attesa, e Guren rimase lì a osservare la scena del crimine in attesa della polizia scientifica. Il geode Andromeda non lo attirava granché così come il libro, e si ritrovò a riflettere su chi potesse avere interesse a commissionarne il furto o quanto quella grossa formazione minerale fosse smerciabile; com'era prassi per un poliziotto come lui. Chinandosi per cercare qualcosa di visibile sul pavimento -impronte, macchie, fibre o altro- frustrò solo se stesso, ma mentre si rialzava notò qualcosa di luccicante all'angolo della teca aperta, qualcosa che spalle alla luce non aveva potuto distinguere. Allungò la mano e l'afferrò con estrema delicatezza.
«Un... capello?»
Era sicuramente un capello, estremamente lungo, lucido, color argento. Controllò immediatamente le estremità, ma non c'era bulbo per il DNA, e ciò lo fece imprecare sonoramente. Sospirò per costringersi a calmarsi e riguardò il biglietto.
«Beh... questo dev'essere della Princess, probabilmente...»
Sospirò ancora guardando dalla finestra l'arrivo del giovane agente della scientifica e l'aspettò per consegnargli le prove, per quanto inutili fossero, e poi scese con l'ascensore ai piani inferiori.
«Mah... che perdita di tempo.» borbottò a se stesso. «Tanto casino per non rubare niente e lasciare una firma goffa... devono essere dei ragazzini in vena di goliardate.»
Le porte dell'ascensore si aprirono sulla sala preistorica del museo, lastricata di marmo e dominata da alcuni imponenti esemplari fossili di dinosauri. Una coppia di visitatori sostava davanti a uno scheletro di Spinosaurus aegyptiacus, alto circa cinque metri per una lunghezza di circa tredici, ma fu altro a catturare l'attenzione di Guren. Uno dei due visitatori aveva una coda di lunghissimi capelli argentei.
Folgorato da quella visione si avvicinò a grandi passi alle loro spalle.
«È enorme, Ferid, hai visto? Sarebbe impressionante trovarsi di fronte questa bestia viva, eh?»
«Ora che sai come mi sento quando mi compari davanti posso sperare che imparerai a bussare?»
Guren si fermò di botto, poi riprese a camminare più lentamente guardando i due mentre gli passava accanto. Nonostante quei lunghi capelli il visitatore era un uomo, e nonostante quel capello sulla teca fosse senza dubbio simile ponderò che nessun uomo si sarebbe firmato con un soprannome femminile. In anni di studio e lavoro in quel campo gli era successo più volte l'esatto opposto, di trovarsi a smascherare criminali in gonnella dal soprannome maschile, ma mai il contrario.
«Oh, e questo è un... Mosasauro.» lesse su una targhetta l'altro uomo, con i capelli rossi e un’aria rapita sul viso. «Fantastico, è enorme anche questo!»
«Crowley... se dedichi tanta attenzione a un mucchio di ossa fossilizzate inizierò a pensare di poterti interessare soltanto quando sarò morto da un pezzo.»
«Sarai estremamente interessante anche da fossile, ne sono certo.»
L'uomo dai lunghi capelli sospirò sonoramente.
«Che peccato non poter vedere il geode Andromeda, chissà quando lo esporranno di nuovo...»
«Mah, a me non interessa... è solo una roccia colorata.» rispose Crowley. «Non sono più interessanti le bestie della Terra?»
Guren smise di ascoltare il loro discorso e si rimise in marcia per uscire dal museo, nonostante un pensiero che continuava a stuzzicargli la mente senza farsi afferrare appieno. Lanciò loro un’occhiata prima di superare il portone. Il suo radar da poliziotto gli segnalava qualcosa, ma non aveva nessun motivo di mettere in arresto quei due, né pretesto per interrogarli... avere lunghi capelli tali e quali a quelli di un ladro non bastava per essere portati in commissariato.
Ferid si voltò a guardare l’ingresso e incrociò per un attimo lo sguardo tagliente di Guren mentre usciva. Lo guardò scendere i gradini e tese un sorriso.
«Sembra che abbiamo rischiato un pochino, ma missione compiuta... andiamocene a mangiare croissant alla mela in centro, prima che li finiscano tutti.»
«Aspetta, non ho ancora visto il tirannosauro.»
«Ti piacciono veramente gli animali mostruosi, eh, Crowley? Per questo Wild ti sta benissimo.»
Ferid si voltò, distratto dalle voci acute di alcuni bambini che stavano entrando con una coppia di genitori così arditi da procreare quattro creature e portarle in giro tutte insieme. Non si accorse dei passi solitamente pesanti di Crowley, ma non poté non sentire la sua grande mano che gli sfiorava la schiena e le sue dita che passavano in mezzo ai suoi capelli per un attimo.
«Ti piacciono veramente i capricci, eh, Ferid?» lo scimmiottò con un sorrisetto. «Per questo Princess ti sta benissimo.»
«Possiamo parlarne a colazione? Questo posto puzza di antico.»
Crowley non disse nulla ma lo seguì fuori dall'edificio. Scesero le scale mentre un'altra famigliola entrava in visita, raggiunsero l'automobile e salirono; Crowley ovviamente al posto di guida. Esitò un momento prima di avviare il motore, ma poi partì e fece manovra per uscire dal parcheggio.
«Ehi, Ferid, c'è una cosa che non riesco più a tenermi dentro.»
«Sarebbe?»
«Mi dici dove mi porti la prossima volta?» gli chiese. «Spero che sia un posto ancora più divertente di questo.»
Ferid sorrise senza rispondere. Aveva una lunghissima lista di meraviglie da mostrargli, tutte in grado di garantire a Crowley uno sfrenato divertimento... in realtà, di garantirlo a entrambi. Restava da decidere quale voce sarebbe stata la successiva... dopotutto sembrava che il mondo avrebbe avuto modo di conoscere il binomio the Princess and the Wild.
 


 

N.B. _ in futuro potrebbero esserci altri capitoli autoconclusivi di seguito a questo.

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