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Autore: MissAdler    06/03/2019    3 recensioni
One shot scritta per la Carnival Challenge del gruppo fb Hurt/Comfort Italia.
JIMCROFT / JOHNLOCK / MYSTRADE
Dal testo: Si avvicinò a James e gli sfiorò la guancia con il dorso della mano. Era gelido.
Probabilmente, se avesse potuto scegliere, lui avrebbe voluto essere resettato nuovamente, avrebbe dato il suo consenso per farsi estirpare quel parassita dal cervello, avrebbe acconsentito con la speranza di prendere un tè insieme a quel noioso uomo non più giovane, non attraente, non avvezzo agli affari di cuore, senza dubbio. Ma a Jim non sarebbe importato.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, Mycroft Holmes, Quasi tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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SQUILLINO LE TROMBE! ECCO A VOI LA MIA PRIMA (e ultima) MYRIARTY! XD

La coppia estratta per me è quella di Mycroft e Moriarty, la parola chiave è Matrimonio.

Alla fine, il buon vecchio Kubrik è giunto in mio aiuto ed ecco cosa è venuto fuori.

Johnlock e accenni di Mystrade ;)

 

 

 

Io voglio essere buono. Voglio essere, per il resto della mia vita, solamente un atto di bontà.

 

- E per il potere conferitomi dalla legge, vi dichiaro ufficialmente uniti in matrimonio.

Gli applausi scrosciarono attorno a loro, John si sollevò sulle punte dei piedi e baciò Sherlock delicatamente, dapprima sfiorandogli appena le labbra tiepide, poi trasformando quel contatto in un gesto più lento, reverenziale, quasi sensuale, così intimo da costringere molti invitati a distogliere lo sguardo.

Compreso Mycroft, che aveva appena ufficializzato quell'unione.

Improvvisamente il maggiore dei fratelli Holmes sentiva la testa pesante, le orecchie ovattate, i fischi e le grida di gioia gli giungevano da lontano, come un eco sommesso.

Era un giorno di festa, si era ripromesso di non pensarci, ma non poteva farne a meno.

Quel dolore si era risvegliato all'improvviso, così come il rimorso e il senso di colpa.

Erano passati quasi dieci anni eppure, certe notti, quegli occhi tornavano a fendere l'oscurità dei suoi sogni. E nel silenzio della sua stanza buia, poteva sentire distintamente la sua voce tremante, il suo respiro appena percettibile.

Anche da sveglio, a volte, gli sembrava di rivivere quei giorni tetri e infami, ritrovandosi macchiato a vita da un imperdonabile errore di valutazione.

Aver conosciuto quella parte di lui. E averla amata.

 

***

 

James Moriarty era sdraiato su una fredda lastra d'acciaio, i polsi e le caviglie legati, il resto del corpo accuratamente immobilizzato.

Era la terza seduta.

Le urla non erano state attutite completamente dalle mura insonorizzate della piccola stanza sterile e avevano raggiunto anche le orecchie di Mycroft Holmes, immobile al centro della cella dove fino a quaranta minuti prima si trovava il consulente criminale.

Le pareti erano tappezzate di scritte e disegni inquietanti. Il nome di Sherlock ricorreva almeno cinquanta volte su quelle superfici gelide e appannate.

Mycroft chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, cercando di scacciare i sensi di colpa dalla sua coscienza.

Era necessario.

La cura sperimentale “Ludovico”, una vera e propria rieducazione coercitiva, avrebbe neutralizzato quella mente pericolosissima una volta per tutte.

- Abbiamo terminato, Signore.

- Bene. Riportatelo qui.

Alcuni istanti più tardi James Moriarty faceva ritorno nella sua prigione, sorretto da due guardie corpulente e seguito da una donna sulla cinquantina in camice bianco.

- Il procedimento è andato a buon fine, - sentenziò la dottoressa - ma dovremo aspettare qualche giorno per capire se sarà un risultato definitivo o necessiterà ripetere il trattamento.

“Trattamento”, pensò Mycroft, “neanche fossero delle sedute di epilazione laser!”.

Era sarcastico perfino nei pensieri, Mister Governo Inglese, era il suo modo di non farsi coinvolgere, di tenersi al di sopra di qualunque emozione o turbamento.

Era solo lavoro.

Era per la sicurezza dell'Inghilterra, anzi, forse del mondo intero.

 

***

 

- Zio Myc, ora possiamo lanciare il riso?

- Cosa?

Si era improvvisamente riscosso, i novelli sposi si stavano ancora baciando, come se non ci fosse quello stuolo di amici e parenti ad applaudire e fischiare. La piccola Rosie gli si era avvicinata e lo tirava per un lembo della giacca, mentre nell'altra manina stringeva un sacchetto in organza.

- Il riiisoooo! - cantilenò lei, alzando gli occhietti blu al cielo, - altrimenti daddy e papi non la finiranno più di sbaciucchiarsi!

Sbuffò sonoramente e lo zio Holmes annuì senza pensarci troppo, lanciando un'occhiata ai piccioncini.

- Direi che per ora possa bastare, dottore, altrimenti tra non molto sarà costretto a rianimarlo.

 

***

 

- Vuole finire in rianimazione? Deve nutrirsi. È debilitato dal trattamento e se si ostina a non mangiare temo che non si riprenderà tanto presto.

James Moriarty fissava la ciotola col riso bollito, mantenendo un'espressione impassibile.

Non aveva detto una parola per tutta la settimana, da quando le guardie l'avevano adagiato sulla branda attaccata alla parete opposta all'ingresso.

Mycroft si era recato a fargli visita ogni giorno insieme alla dottoressa che si era occupata del procedimento, eppure non era riuscito a cavargli una parola di bocca.

- Mi perdoni Mister Holmes, - la donna aveva appena frugato nella tasca del camice per tirarne fuori un cerca-persone, - mi vogliono al laboratorio, posso assentarmi o ha ancora bisogno di me?

- Vada pure Dottoressa Parker. In ogni caso suppongo che nemmeno oggi riusciremo ad ottenere qualcosa. Mi trattengo giusto altri cinque minuti.

Per tutta risposta lei fece spallucce e girò sui tacchi, lasciando Mycroft Holmes nella cella in compagnia di quell'uomo, talmente pallido, emaciato e silenzioso da sembrare un fantasma.

Gli si avvicinò con cautela e prese posto su una sedia accanto a lui.

- Signor Moriarty...

- James.

- Come?

- Mi chiami James, la prego. Sir.

Mycroft corrugò la fronte e restò in silenzio per parecchi secondi.

- James. Come si sente oggi?

Gli occhi scuri e stanchi si spostarono su quelli chiari e riflessivi poco distanti da lui.

- Ho freddo, Sir.

- Sa perché si trova qui James?

- Ho fatto...qualcosa di brutto...credo.

- Non ricorda?

- No, Sir. - abbassò di nuovo gli occhi sul piatto di riso, ormai freddo e colloso.

- Non ricorda di cosa si occupava prima di finire qui?

Un attimo di silenzio.

- No, Sir.

- Cosa ricorda?

- Io... - tornò a guardare il suo elegante interlocutore, - ricordo i miei genitori...la casa in cui abitavo...il mio gatto.

- Aveva un gatto?

Mycroft si pentì immediatamente d'essersi soffermato sul dettaglio più irrilevante, ma aveva parlato di getto, senza pensare. Cosa estremamente distante dalle sue abitudini.

Moriarty sollevò impercettibilmente gli angoli della bocca in quello che sembrava un piccolo e malinconico sorriso.

Le iridi nocciola tremarono appena e si fissarono in un punto imprecisato della stanza.

- Sì, Sir - socchiuse le palpebre come se stesse rincorrendo un ricordo lontano, - si chiamava Bucky. Era nero e gli mancava una zampa.

- E i suoi genitori? Se li ricorda chiaramente?

- Sì, Sir.

Tacque per un minuto che parve infinito, chinandosi in avanti e accartocciandosi su sé stesso.

- Io... - la voce gli tremò e Mycroft fu certo di scorgere una lacrima cadere silenziosa sul bordo del piatto, - io...penso di aver...fatto qualcosa di molto brutto.

Prese a tremare convulsamente, ansimando e digrignando i denti.

- D'accordo, James. Per oggi va bene così. Non si agiti, va tutto bene.

- No! - Moriarty scattò in piedi rovesciando la sedia all'indietro, - no! No! Noooo!!!

- Va bene, d'accordo.

Holmes non si scompose, raggiunse la porta e premette il pulsante accanto allo stipite.

Cinque secondi più tardi una guardia gigantesca teneva fermo quell'uomo delirante e fuori controllo, mentre la dottoressa Parker gli iniettava qualcosa nel collo con una siringa.

 

***

 

- Tutto bene, Myc? Mi sembri un po' pallido...

La signora Holmes aveva avvicinato il maggiore dei suoi figli, seduto all'aperto, su un dondolo appartato, mentre il cielo si faceva lentamente più scuro.

- Ti ho già spiegato, madre carissima, che mi hai dato un nome ben preciso e meravigliosamente bislacco, perciò ti sarei grato se utilizzassi quello.

- Oh, andiamo. Sono tua madre, ti ho pulito il sedere centinaia di volte e posso chiamarti come voglio! - gli sorrise dolcemente, accarezzandogli una guancia con la mano guantata di seta.

- Sto bene. Stai tranquilla.

Le aveva sorriso di rimando.

- D'accordo. Ma vieni dentro o ti prenderai un malanno, comincia a fare freddo.

 

***

 

- Come si sente oggi, James?

- Ho freddo, Sir.

- Ha consumato il pasto?

- Tre cucchiai, Sir.

- Vuole raccontarmi qualcosa, questa sera, James?

Erano passati diciannove giorni dall'ultima seduta, Mycroft gli aveva fatto visita ogni giorno ed era riuscito a farlo parlare di diverse cose.

Moriarty si era trasformato, proprio come aveva previsto la dottoressa Parker.

Indifeso, timoroso, come un animale selvatico appena catturato e rinchiuso in una gabbia.

Non rivolgeva la parola a nessuno, rispondeva solamente a Mycroft Holmes.

E solamente a lui rivolgeva lo sguardo.

- Lei mi ricorda mio padre, Sir - gli aveva sussurrato una mattina, mentre se ne stava seduto a gambe incrociate sulla brandina.

- Mi scusi?

- Sì, - e l'aveva guardato dritto nelle iridi turchesi, - lei gli assomiglia moltissimo.

- Vuole parlarmene James?

- Non lo so. Vuole che gliene parli, Mycroft?

Aveva preso a chiamarlo per nome proprio quel giorno e Holmes non aveva sollevato obiezioni.

Gli aveva raccontato di Steven Moriarty, professore di filosofia, che aveva insegnato per tanti anni in una celebre università Inglese.

Quando Mycroft gli chiese come fosse deceduto, perché lui sapeva che era deceduto, era pur sempre Mister Governo Inglese, l'altro tacque e non ci fu verso di fargli pronunciare un'altra sillaba.

Si chiuse in un silenzio assoluto, che interruppe il giorno successivo come se niente fosse.

E fu a diciannove giorni dall'ultimo trattamento, che accadde.

- Vuole raccontarmi qualcosa, James?

- Chi è Sherlock?

- Chi?

- Sherlock. Il suo nome era sulle pareti di questa cella il giorno in cui mi avete portato qui mezzo morto. Ora avete rimosso tutto, ma sono certo che fosse proprio quel nome e che qualcuno vi abbia imbrattato l'intera stanza.

- Non la riguarda, James, si preoccupi piuttosto della sua salute e cerchi di mangiare qualcosa, quando le porteranno la cena. Per oggi abbiamo finito.

Holmes si alzò e fece per andarsene, quando sentì un dolore lancinante dietro la testa e realizzò d'essere stato colpito alle spalle.

Cadde a terra e Moriarty in un attimo gli fu addosso, a cavalcioni sopra di lui, le mani gelide dell'aggressore si strinsero attorno alla sua gola.

- Non ho fame maledizione!!! Ho freddo!!! Si gela in questa merdosa cella frigorifera!!!

La stretta diventava sempre più spietata, mentre le urla rimbalzavano da una parete all'altra, riecheggiando in modo grottesco e terribile.

Mycroft stava perdendo anche la più tenue sfumatura di colore dalle guance, annaspava per riuscire ad inalare un po' d'aria ma era tutto inutile. Gli si chiusero le palpebre.

Sarebbe morto in quel momento, se le grida di quel folle non avessero raggiunto una guardia di passaggio.

Holmes non riuscì ad aprire gli occhi ma improvvisamente poté di nuovo incamerare ossigeno. Senti James gridare forte, ridere sguaiatamente e proferire minacce di morte ai presenti, con un timbro di voce che conosceva fin troppo bene e che non era quello usato negli ultimi diciannove giorni.

 

***

 

- Non hai intenzione di rientrare, giusto?

Si fissarono per qualche istante ma lui non rispose.

- Andiamo Mycroft, tuo fratello ci tiene più di quanto non voglia far credere agli altri.

- Oh, suvvia John, per l'amor del cielo! Sono certo che tenga molto di più a restare da solo con te in questo momento, - assottigliò lo sguardo e gli uscì un piccolo ghigno sarcastico, - vi ho visti dopo l'aperitivo, sgattaiolare nella stanza al piano di sopra...

- Cos?

- È questo che significa “Cammei Vaticani”?

- Vai al diavolo, Mycroft! Peggio per te, ti perderai la torta!

- John! - ma il cognato stava già tornando al ricevimento a passo svelto.

- Rientro tra un minuto, John!

- Come ti pare! - gli urlò senza voltarsi.

 

***

 

- Posso entrare adesso?

- Non è il caso, Signore. L'ultima seduta è stata molto aggressiva e... - la dottoressa Parker abbassò gli occhi sul pavimento, - non è un bello spettacolo, ecco.

- Non importa, voglio vederlo.

E così dicendo oltrepassò la donna e si infilò nella cella, chiudendo la porta dietro di lui.

Moriarty stava rannicchiato sul lettino, tremando e piangendo. Non poteva vederlo in faccia poiché era rivolto verso il muro.

- James?

Mycroft si avvicinò con cautela,

- James, si volti, la prego.

Prese una sedia e si sistemò accanto alla branda. Non si mosse per diversi minuti, fino a che non vide che l'uomo tentò goffamente di voltarsi, finendo supino.

- Per l'amor del cielo!

Holmes sbiancò letteralmente. Quello che si trovò dinnanzi lo colpì come una stilettata allo stomaco. James Moriarty era stato picchiato, probabilmente torturato, forse per diletto di quelle guardie idiote e sfaccendate, forse perché se l'era cercata, dopotutto per un attimo era tornato il consulente criminale che poteva mettere in ginocchio una nazione.

Eppure, di fronte a quel corpo martoriato, Mycroft non poté fare a meno di sentirsi indignato.

Un conto era interrogarlo utilizzando maniere forti, un altro era la violenza gratuita.

- Ho...ho freddo.

- Lasci fare a me, le vado a chiamare un'infermiera che si occuperà di lei...

- No! - aprì a fatica l'unico occhio non tumefatto e lo puntò in quelli glaciali di fronte a lui, - la prego, non se ne vada.

Mister Holmes posò lo sguardo sulle labbra spaccate, sugli zigomi escoriati e sui lividi sparsi ovunque, che quella leggera casacca di cotone liso non riusciva a nascondere del tutto.

- Va bene James, ma è necessario fare qualcosa per queste ferite, - esitò per una frazione di secondo, - va bene per lei se me ne occupo io?

Quell'unica iride nocciola era sorprendentemente limpida, sembrava appartenere ad un cerbiatto ferito, non aveva più le sfumature torbide che avevano fatto accapponare la pelle di Mycroft più d'una volta. Sembrava davvero un'altra persona, un uomo fragile ed impaurito che si fidava ciecamente di lui, solo di lui, e che si stava mettendo totalmente nelle sue mani.

- Va bene, James? - chiese di nuovo.

- Certamente.

Cinque minuti più tardi una bacinella con dell'acqua tiepida era poggiata sulle ginocchia di Mycroft che, con estrema delicatezza, tamponava le ferite di Jim con una pezza bagnata. Aveva tolto la giacca e si era tirato su le maniche della camicia, il panciotto umido per gli schizzi d'acqua e di disinfettante.

Jim aveva anche la febbre alta, normale conseguenza dell'invasività del trattamento.

Il poveretto teneva gli occhi chiusi, le rughe sulla fronte si stavano distendendo e il respiro andava regolarizzandosi.

Sembrava davvero un essere innocuo, un ragazzo come tanti, intelligente e incompreso.

Gli ricordava Sherlock.

Assurdo, considerando il fatto che in realtà lo volesse morto. Ne era la nemesi e al contempo gli somigliava.

Mycroft si sorprese a pensare a come potesse essere James da bambino, a cosa lo avesse spinto a diventare il Moriarty che tutti al momento conoscevano, a quale squilibrio mentale avesse potuto scatenargli la spropositata follia che l'aveva portato a causare la morte dei suoi genitori. Perché Mr Inghilterra di certo sapeva bene com'era andata.

- Posso farle una domanda?

Myc si riscosse da quelle elucubrazioni, continuando a passargli la pezza sulla fronte.

- Mi dica.

- So cosa mi avete fatto. La...dottoressa Parker la chiama “Cura Ludovico”. In effetti, credo di essere sempre stato molto intelligente, lo sa? Mycroft... - prese fiato e storse appena la bocca in una smorfia di dolore, - pensa che...potrò restare così? Intendo...senza tornare come prima.

Ebbe un tremito ma continuò a parlare.

- È come se quello che mi avete fatto qui...mi avesse liberato di qualcosa...di una specie di...parassita...una voce che avevo nella testa e che adesso non sento più.

Mycroft non rispose immediatamente. Del resto non poteva sapere quanto definitivo fosse il risultato di quel trattamento sperimentale.

- Mi piacerebbe vederla fuori da qui. Sono sicuro che si veste in questo modo anche nel tempo libero, non è vero?

Holmes non riuscì a trattenere un sorriso. Gli sarebbe piaciuto continuare a parlare con James in circostanze normali, portarlo in una sala da tè, a visitare una mostra d'arte bizantina...

Scosse il capo e si sentì un vero idiota. Davanti a lui c'era niente meno che James Moriarty, il consulente criminale più geniale e pericoloso al mondo, che aveva quasi fatto fuori suo fratello e che ancora desiderava farlo.

O forse no.

Forse davvero quell'uomo aveva un qualcosa nel cervello che lo rendeva sadico e spietato, forse veramente l'avevano estirpato, regalandogli una mente scevra di psicosi e manie distruttive.

Quegli occhi scuri, così innocenti da turbarlo, che imploravano solamente un po' di contatto umano, anzi, lo chiedevano a lui. Solo a lui. Per qualche motivo che non avrebbe saputo mai.

- Non ne siamo certi, James. Per ora stiamo ancora testando gli effetti. È un trattamento sperimentale e...

- Lei crede nel matrimonio, Myc?

Solamente sua madre lo chiamava così ma, per qualche ragione che non seppe spiegarsi, non gli diede fastidio.

- Matrimonio?

- Sì, beh, stavo pensando che lei deve essere uno scapolo incallito. Non porta la fede e passa tutto il suo tempo qui dentro, o lavorando altrove. Ha le occhiaie e la camicia sgualcita all'altezza del petto. Sta molto tempo seduto ad una scrivania, non è così? Quindi ho pensato che... - la pezza utilizzata da Mycroft si era spostata sulle labbra di James, tamponandole delicatamente.

- Non penso siano affari suoi – rispose stizzito.

- Ha ragione, mi scusi.

Jim richiuse gli occhi e non disse più nulla. Trascorsero una ventina di minuti di silenzio, spezzato alla fine dalla risposta inaspettata di Holmes.

- No. Non credo nell'istituzione del matrimonio, ma non è solo per questo che non sono sposato.

- Non mi dirà il perché, ho ragione?

- Lei è intelligente, James, sono certo che lo sa già. Nemmeno lei si sposerebbe mai.

Era davvero una situazione ridicola, Mycroft Holmes a discorrere di matrimonio con Jim Moriarty.

Se glielo avessero raccontato, non ci avrebbe creduto.

- Vorrebbe...uscire con me? - James lo sussurrò e la sua voce era appena percettibile.

- Prego?

- Sì, beh, una volta che le mie condizioni saranno stabili...se lo saranno... - la voce tremò appena, - mi...mi piace parlare con te.

- Beh, - a Mycroft non sfuggì quel cambio di registro e si sentì stranamente a suo agio, - vedremo James.

- Per ora me lo farò bastare.

Sorrise con quelle labbra malridotte e fu un sorriso limpido, sincero. Il sorriso della speranza.

Mister Holmes sentì l'impulso di sfiorare quella bocca, non più con la pezza bagnata, bensì con la punta delle dita...e poi magari avrebbe potuto posarvi le labbra...

Ridicolo! Assurdo! L'impulso! Mycroft Holmes non aveva impulsi! E comunque, di certo non quello di baciare Jim Moriarty!

- Devo andare, James. Tornerò domani a farle visita.

Prese la bacinella con l'acqua ormai fredda, si alzò e fece per andarsene ma sulla porta sembrò esitare. Parlò senza voltarsi.

- Le faccio portare subito una coperta.

Poi uscì, turbato e incapace di pensare.

 

***

 

- Sigaretta?

- No, grazie fratellino, ho smesso e tu lo sai.

Sherlock esalò una piccola nube di fumo nell'aria notturna.

- Ti piace proprio stare qui fuori.

- Tu dovresti rientrare, sei lo sposo!

- Oh, andiamo, John sopravviverà cinque minuti senza di me! Forse...

- Non cambi mai, fratello caro.

- Tu invece sei cambiato. Anzi, sei particolarmente strano questa sera...

- Sherlock, va tutto bene, davvero, è che...tutto questo tripudio di sentimenti e felicità in stile Disney non fa per me.

Il fratello minore prese a fissarsi le scarpe senza rispondere.

- Andiamo, sai cosa intendo. Tu e John siete perfetti, sono felice per voi e questa è la vostra giornata. Non dovreste pensare al malumore di un cinico senza speranza che non riesce ad apprezzare una cosa così bella.

- Non sono d'accordo. Non penso che tu non l'apprezzi. Semplicemente è una circostanza che riapre vecchie ferite di cui non sono a conoscenza.

- Ti senti in vena di deduzioni?

- Ti stupisci? - Sherlock gli riservò un sorriso sghembo, - ti stiamo aspettando per il taglio della torta e sappi che non lo faremo senza di te, quindi hai solo altri cinque minuti per deprimerti.

Il maggiore degli Holmes sentì una stretta al cuore. Sherlock era ignaro di tutto. Era sempre stato convinto che l'avesse venduto a Moriarty per avere informazioni sui suoi progetti criminali. Ma ovviamente non era andata così. Lui aveva parlato a James del suo fratellino come ne avrebbe parlato ad un amico, gli aveva detto cose che avrebbe fatto bene a tenere per sé, rivelazioni che aveva rimpianto per tutti gli anni a venire.

 

***

 

Erano diventati intimi, lui e Jim. Non nel senso fisico del termine ma innegabilmente vi era un'intesa particolare tra loro. La rieducazione procedeva secondo i piani, non vi erano stati altri episodi di rabbia o violenza, James aveva ripreso a mangiare e le sue ferite stavano guarendo.

Fino a che, un giorno in cui Mycroft non era presente per ragioni di priorità lavorative, successe l'inevitabile.

- Chi parla?

- Signor Holmes, sono la dottoressa Parker, - aveva un tono trafelato e sembrava molto scossa, - un gruppetto di guardie ha aggredito il paziente nella sua cella...

- Cosa??

- La prego, deve venire subito qui!

E allora Mycroft si rese conto dell'assurdità della sua pretesa. Una velleità, quella di riprogrammare il cervello di un essere umano, condizionarlo con la forza a disprezzare la violenza al punto da non potervi ricorrere nemmeno se necessario. Pensava queste cose mentre a passo svelto percorreva i corridoi dell'edificio in cui era rinchiuso Jim, senza fiato, con il cuore in gola.

Lo trovò legato al lettino di ferro nel laboratorio dove eseguivano i trattamenti, la donna in camice bianco gli prendeva il polso.

- Dottoressa! Come sta?

- Non bene, ha diverse fratture ed ematomi. Una costola incrinata e un trauma cranico.

- Maledizione! Voglio i responsabili fuori di qui in meno di cinque minuti!

- C'è un'altra cosa, Signore.

- E sarebbe?

- Sprazzi di rabbia, vaneggiamenti, insania. In breve sta...

- Si sta ribellando al condizionamento.

- Ora è in coma farmacologico. Appena si sarà rimesso effettueremo un'altra seduta, ora è troppo debole.

- No.

- Scusi?

- Basta così, dottoressa.

- Non capisco...

- Non possiamo più farlo. Lo tenga in coma finché non recupera le forze e poi lo lasci andare.

- Signor Holmes...

- Sono stato chiaro, dottoressa? O vuole lasciare l'edificio insieme alle guardie che ho appena licenziato?

- Come desidera, Signore.

- Bene.

Mycroft rimase solo nel laboratorio, le luci al neon gli faceva bruciare gli occhi.

Pensò che forse era il caso di ristrutturare quel laboratorio fatiscente, in primo luogo sostituendo le luci.

Si avvicinò a James e gli sfiorò la guancia con il dorso della mano. Era gelido.

Probabilmente, se avesse potuto scegliere, lui avrebbe voluto essere resettato nuovamente, avrebbe dato il suo consenso per farsi estirpare quel parassita dal cervello, avrebbe acconsentito con la speranza di prendere un tè insieme a quel noioso uomo non più giovane, non attraente, non avvezzo agli affari di cuore, senza dubbio. Ma a Jim non sarebbe importato.

Glielo avevano rivelato quegli occhi nocciola, così trasparenti e puri da sembrare quelli di un bambino. Gliel'aveva rivelato il fatto che avesse scelto lui, Mycroft Holmes, per affidarglisi in tutto e per tutto, senza condizioni né riserve. Sarebbe potuto restare così?

Forse. Ma quella cura era un'arma a doppio taglio. Lo rendeva vulnerabile, incapace di difendersi, facile preda di tutti coloro che lo disprezzavano, ed era certo che fossero in tanti.

Non sarebbe durato là fuori. E sebbene a lui non sarebbe dovuto importare, la verità era che non riusciva a disinteressarsene.

Gli sfiorò le labbra con la punta delle dita. Erano violacee e screpolate, in contrasto con il pallore del viso.

- Mi dispiace, James.

Si chinò e posò un bacio leggero sulla sua bocca sottile.

- Mi dispiace tanto, davvero.

Per il mondo questo James non sarebbe mai esistito, ma Mycroft si sarebbe ricordato di lui. Lo giurò a se stesso mentre si allontanava da quel lettino di ferro, pronunciando a mente il primo e ultimo voto della sua vita.

O almeno così credeva.

 

***

 

- Myc!

Greg Lestrade fu il primo a vederlo entrare nella sala da pranzo finemente addobbata.

Gli venne incontro sorridendo con quei suoi denti bianchissimi e perfetti.

- Mi stavo preoccupando, - gli sussurrò all'orecchio, - è tutto ok?

- C'è la torta ai mirtilli?

- S-sì, ma...

- Allora è tutto a posto.

Greg lo trafisse con lo sguardo, quegli occhi scuri caldi e profondi che forse, in fondo, aveva già visto da qualche parte...

- Non me la bevo, Holmes. Una volta a casa mi racconterai che cosa ti passa per la testa!

- Non serve, Gregory. Già la conosci quella storia.

- Pensavi a Moriarty?

Mycroft prese un profondo respiro e chiuse gli occhi, mentre gli arrivava alle orecchie il frastuono di vettovaglie dei camerieri, che allestivano il tavolo con la torta ai mirtilli.

- No, Gregory. Pensavo a James.

- Myc...

- Ma adesso è passato. Tu fai passare ogni cosa.

Greg lo prese sottobraccio.

- Andiamo allora, i nostri amici ci aspettano.

 

 

Note

Sono presenti diverse citazioni del film ARANCIA MECCANICA, come il fatto che Jim chiami Myc “Sir” e il nome del trattamento. Oltre al concetto base della storia che ricalca proprio quello del film di Kubrik. 

Se vi va, fatemi sapere che ne pensate! ^^

   
 
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