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Autore: VenoM_S    07/03/2019    0 recensioni
Asheli è una giovane ragazza con un passato nebuloso, di cui nessuno è a conoscenza, la cui abilità come ladra è però riconosciuta in molte città. Un giorno, spinta dal ritrovamento di alcune antiche mappe, decide di assoldare un Capitano ed il suo galeone per partire alla ricerca delle Case degli Dei, in cui sarebbero custoditi i più grandi tesori esistenti.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom
Settimana: quarta
Missione: M2
Prompt: Partire per un lungo viaggio
N° parole: 1836

Capitolo 1 - L'inizio del viaggio

 

Asheli quella mattina camminava lentamente sul ponte gremito della nave, come a misurarne la lunghezza avanti e indietro. Intorno a lei, la fibrillazione per la partenza era palpabile in ogni angolo: marinai e mozzi si affaccendavano da una parte all’altra controllando le cime, i nodi, caricando le provviste necessarie di cibo ed acqua, pulendo con cura le cabine, la stiva ed ogni più piccola superficie di quell’imponente galeone.
Sulla banchina le vele stavano finendo di essere riparate e rinforzate e presto sarebbero state pronte per essere issate sui tre enormi alberi di legno nero che svettavano sul ponte. Certo, non faceva che pensare Asheli, trovare una nave come quella disposta a salpare era stato davvero un colpo di fortuna. Non poteva desiderare di meglio, per un viaggio come il suo.
Riscuotendosi appena dai suoi pensieri, scorse con la coda dell’occhio il Capitano che le stava facendo cenno di raggiungerlo in piedi di fronte alla balconata della sua cabina rialzata sul ponte. Era giunta l’ora di discutere della rotta definitiva e degli ultimi dettagli. 
Entrando, non poté fare a meno di pensare come al solito che quella del Capitano di un galeone fosse una vita niente male. La cabina era ampia, arredata con pochi ma raffinati mobili in legno e decorata da molti oggetti di valore accumulati negli anni: mappe storiche, calici, brocche e coppe dorate che facevano capolino da una piccola vetrinetta, la lunga spada appartenente ad un prode guerriero che popolava alcune leggende locali – o almeno il Capitano affermava fosse la sua – appesa al muro dietro il grande tavolo di legno rotondo che occupava il lato sinistro della stanza e che serviva da tavolo di navigazione. E forse quello, per la ragazza, era il pezzo migliore esposto nella cabina: ampio, ricoperto da un’enorme rappresentazione della regione su cui erano segnate tutte le principali città e le piccole oasi, i corsi d’acqua ed i bacini naturali. Inoltre, su un angolo, erano ammassate altre carte tra cui quella dei venti principali da seguire in base alle stagioni e per spostarsi più agevolmente da un luogo all’altro. Insomma, era un angolo magnifico in cui sarebbe volentieri sprofondata per ore.
La ragazza tirò fuori dalla larga tasca dei suoi morbidi pantaloni di tela una cartina piccola e malconcia arrotolata su sé stessa, e srotolandola sopra il pesante tavolo inchiodato al pavimento si rese conto in un attimo di quanto fosse incredibile – o forse incredibilmente incosciente – quello che si accingevano a fare.

Osservò per alcuni secondi le due cartine, cercando di trasporre le indicazioni riportate sulla sua tracciata a mano e sbiadita dal tempo su quella estremamente dettagliata del capitano.
«Vedi, qui» disse Asheli poggiando un ciottolo liscio e nero sopra la città di Sēṣa «è dove siamo noi in questo momento ovviamente, mentre qui è dove questa mappa indica di arrivare» e dicendolo poggiò un secondo ciottolo, questa volta marrone chiaro, al centro di quello che nella grande mappa si sarebbe detto fosse il Nulla, dato che era indicato come un’immensa macchia bianca.
«Io ti sto dando fiducia, ragazza, soltanto perché so che la mia nave è perfettamente in grado di attraversare queste sabbie, e perché se ciò che sostieni è vero non basterà una sola vita per sfruttare la gloria e le ricchezze che otterremo al nostro ritorno» disse il Capitano con fare pensieroso accarezzandosi la barba lunga e nera, ma perfettamente curata, con la mano destra «ma sarà meglio che queste mete di cui parli esistano. E lo dico per te» concluse poi voltandosi verso Asheli con uno sguardo duro e vagamente inquietante.
Proprio in quel momento, dall’esterno della cabina iniziarono a provenire grida di eccitazione ed incoraggiamento, spingendo i due ad uscire. Le grandi vele erano finalmente pronte e stavano venendo issate sugli alberi, con il grande marchio nero del capitano ricamato su ognuna di esse che spiccava sul fondo più chiaro, muovendosi al vento che finalmente si stava alzando con forza sopra le loro teste.
Potevano partire.

Veleggiare sulla sabbia non è certo una cosa semplice, come andare per mare. Prima di tutto, nel deserto le onde sono sostituite da dune semi solide, e questo porta le navi a doverle costeggiare senza poterle attraversare – a meno che non si voglia rischiare una pericolosa impennata – poi non sono presenti correnti o altre forze che possano sospingere la nave se non il vento, capriccioso ed imprevedibile, in grado di lasciar ferme le imbarcazioni quando si abbassa completamente all’improvviso. Infine, le enormi tempeste di sabbia non hanno niente a che vedere con i temporali in mare aperto, sono enormi cumuli di sabbia, polvere e detriti che volteggiano impazziti come per un uragano, in grado di sferzare il paesaggio circostante anche per un giorno intero, ed il solo avventurarsi sul ponte in quelle condizioni senza le protezioni adeguate può rivelarsi fatale. La sabbia in gola toglie il respiro, uccide.
I capricci dei venti desertici poi scompongono e ricompongono le dune a loro piacimento, creando paesaggi sempre nuovi ed incredibilmente mutevoli. Asheli si ritrovò più volte a scendere sotto coperta per bere un po’ d’acqua e godersi alcuni minuti all’ombra lasciandosi ad esempio una duna sulla sinistra, per poi risalire dopo poco non trovandola più.
L’ambiente intorno a loro, però, era davvero meraviglioso soprattutto di notte: diamine, stelle come quelle Asheli non le aveva davvero viste mai. Non erano sparuti puntolini lontani come quelli che si vedevano nella grande città di Sēṣa, invasa dall’inquinamento luminoso delle lampade lungo le strade e nelle case, ma miliardi di corpi scintillanti grandi e piccoli, solitari o raggruppati. Osservandole, poteva scorgere nel loro profilo enormi navi, due animali in lotta, spade luccicanti. Ed il sole, anche, non l’aveva mai visto illuminare così il terreno, né tantomeno dipingere il cielo con colori tanto vividi all’alba e al tramonto. Se fosse stato anch’esso una gemma, di certo avrebbe voluto rubarla.
«Se davvero riuscissi a derubare gli Dei, perché non il Sole?» si disse un pomeriggio ridacchiando, immersa nelle sue fantasie.

I pensieri iniziarono a sfuggirle lontano, verso i giorni ed i mesi passati: era una ladra più o meno da sempre, o almeno da quando aveva imparato che gli ostacoli della vita possono essere più facilmente aggirati che combattuti, se si ha una certa dose di abilità e destrezza. Era conosciuta in lungo e in largo tra i bassifondi delle città a confine con il deserto, ed aveva lavorato per chiunque, dai ricchi mercanti in cerca di vendetta verso i colleghi troppo ben forniti, ai poveri in cerca di redenzione verso i signori che prendevano tutte le ricchezze del popolo per tenerle per sé. Ma più spesso aveva lavorato solo per sé stessa, per il mero gusto di porsi un obiettivo apparentemente impossibile e raggiungerlo, studiando le abitudini delle persone, entrando furtivamente nelle loro vite e poi nelle loro case. Si era costruita una discreta fortuna ed una grande reputazione, tanto che da molti era considerata la migliore in quello che faceva. Una sera in cui si era introdotta nello studio di un erudito per rubare alcune pergamene di valore, scorse tra le altre un piccolo stralcio di stoffa arrotolato e macchiato dal tempo, su cui sembrava che l’uomo avesse studiato a lungo. Lo raccolse per dargli una rapida occhiata, e ne rimase subito enormemente incuriosita. La pergamena risaliva a tempi molto antichi, ed era scritta in un linguaggio a lei completamente sconosciuto, ma a fianco dei geroglifici il vecchio studioso aveva annotato degli appunti cercando di dare una traduzione piuttosto accurata. Si parlava di sei strutture nascoste in luoghi impervi, delle torri solitarie che nell’antichità venivano adorate come le Case degli Dei in cui si diceva che le divinità stesse riposassero e vivessero durante le loro visite sulla terra. Al loro interno erano custoditi manufatti meravigliosi tra cui spiccavano sei gemme, una nascosta in ogni torre, i cui creatori erano le divinità stesse che vi avevano infuso una scintilla del loro potere. Asheli rimase affascinata da quella pergamena, chiedendosi perché non avesse mai sentito parlare di tesori così meravigliosi.
Per mesi non fece altro che raccogliere informazioni, rubare documenti, trovare chiunque le dovesse dei favori per sapere ciò che le interessava. Ma con il passare dei secoli e l’allontanamento delle divinità dal suolo mortale e dalle menti degli uomini, la leggenda sulle loro meravigliose Case era andata via via sbiadendo nella mente di tutti, conservata solo tra le scartoffie di vecchi eruditi. Dopo un tempo che le parve infinito, però, finalmente riuscì a scovare la prima mappa che l’avrebbe condotta alla Casa di Zalaam, il Dio della notte e dell’oscurità. Lo prese quasi come un segno, soprattutto perché sembrava trovarsi non troppo lontana da lei, e ne individuò la posizione approssimativa nel bel mezzo dell’Abirāma Bāli, il Deserto Infinito come veniva chiamato dagli abitanti delle città che vi confinavano.
Non sapeva se tutto questo fosse reale, né se all’interno di queste costruzioni mitologiche avrebbe trovato davvero qualcosa. Aveva sempre contemplato il fallimento nella sua missione, anche se si era imposta di relegare quel pensiero nell’angolo più remoto della sua mente.
Aveva scelto di credere, nonostante tutto, e non si sarebbe arresa.

Fermandosi sulla prua della nave, si accorse che stava stringendo con forza le mani, tirando la pelle dei guanti neri che indossava. Poteva crederci quanto le pareva, ma la realtà era che dopo due settimane di viaggio non avevano visto altro che sabbia in ogni direzione. Si erano allontanati da qualunque rotta conosciuta, addentrandosi al centro di un luogo enormemente inospitale, e dopo le prime due oasi incontrate il terzo ed il settimo giorno in cui avevano fatto rifornimento d’acqua, non avevano più incrociato forme di vita. Le provviste sarebbero bastate per un’altra settimana al massimo, e gli uomini a bordo erano sempre più spazientiti ed insofferenti, così come il Capitano, ed era difficile prevedere quanto ancora avrebbero retto la solitudine del deserto dietro le fantasie di una ragazza sconosciuta.
Fu in quel momento, però, che il marinaio di vedetta sulla cima dell’albero di mezzo iniziò a gridare senza sosta. Dapprima Asheli non riuscì a capire cosa stesse dicendo, ma dopo alcuni attimi lo udì distintamente.
«C’è qualcosa all’orizzonte, a dritta, sembra una torre!»

La ragazza fu raggiunta a prua dal Capitano, che tirò fuori il suo cannocchiale da una tasca della camicia per osservare nella direzione indicata. Dopo alcuni secondi sorrise, passando lo strumento ad Asheli ed invitandola a guardare.
Sporgendosi più del dovuto per cercare di vedere meglio, finalmente la vide. Un’oggetto alto e sottile, che assomigliava ad un lungo artiglio d’ebano puro, sorgeva dalla sabbia dorata allungandosi a spirale verso il cocente sole pomeridiano. Era lì, proprio davanti ai suoi occhi e a poco più di mezza giornata di navigazione, la prima Casa degli Dei. La speranza si riaccese nel cuore della giovane ladra, così come la curiosità e la bramosia di esplorare un luogo mistico e oscuro, per riuscire forse a mettere le mani sul primo de più grandi tesori esistenti al mondo.
Ce l’aveva fatta.
Il viaggio vero e proprio era appena cominciato. 
  
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