La
squadra
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Non sono io a
essere una
pallavolista, siamo noi che siamo una squadra
Locali Ospiti
26 26
Set vinti
2 2
L'arbitro
fischia. Tocca a me battere. Faccio rimbalzare la
palla tre volte all'incrocio delle linee del campo da basket, quasi in
fondo
alla palestra, fuori dal mio, di campo. La faccio rimbalzare tre volte,
perché
mi porta fortuna e ora di fortuna ne ho bisogno come l'aria.
È
l'ultimo set. Il quinto. Finito questo è finita la partita.
Ultimi due punti. Mancano due punti e sarà una vittoria. O
per noi o per loro.
Ghigno. Per noi, deve essere per forza per noi.
Guardo le mie
avversarie con la divisa azzurra. La 11 ha una
coda di capelli verdi sulla sommità della testa.
È quella che ha sbagliato più
ricezioni. Ne abbiamo parlato durante l'ultimo intervallo, io e le
ragazze.
Cercherò di mirarla.
Ho il fiatone e
sento delle goccioline di sudore scendere
lungo la schiena. Faccio un respiro profondo, alzo la palla con la mano
sinistra e mi preparo a colpirla con il palmo della destra. Quando ci
tocchiamo, io e la palla, capisco che l'ho colpita male. Il tiro
è forte, ma
troppo basso. Dopo due ore di partita mi fa male la spalla e faccio
fatica a
controllare la palla del tutto. Cavolo, ho male dappertutto, non solo
alla
spalla.
Ho
già fatto uno dei passi che mi separano dal campo quando
la palla colpisce la rete e io impreco mentalmente. Se lo facessi ad
alta voce
e mi sentisse l'arbitro potrei venire ammonita, così ho
imparato a farlo
silenziosamente. Faccio un altro passo e mi affianco a Giulia, il
nostro
libero.
Anche lei sta
osservando la palla che, dopo aver colpito la
rete, si arcua velocemente e cambia direzione. Sento che sto
sorridendo. Quando
capita, la palla va dove vuole e di solito non dove sei tu. Vedo la 11,
che si
era spostata in avanti, sorprendersi e cercare di arretrare, senza
riuscirci.
La palla
cade nel loro campo. Sì!!!! Primo punto fatto!
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Ci raggruppiamo
a cerchio nel centro campo per esultare del
punto. Perfetto, ne manca solo uno e poi andremo a casa. O in pizzeria.
Sì,
potremmo andare in pizzeria effettivamente. In fin dei conti
è sabato e domani
non c'è scuola.
Aspetto che mi
lancino la palla e torno fuori dal campo per
la mia battuta. Prima che l'arbitro fischi, l'allenatore avversario
mette il
palmo di una mano sulle dita dell'altra e chiede un time out. Stavolta
non sono
sicura di imprecare solo mentalmente. L'ha fatto apposta. Coccio, il
nostro
allenatore, dice che qualcuno lo usa come tattica per distrarre i
giocatori.
Appoggio la
palla per terra e raggiungo le ragazze intorno a
Coccio. Almeno potrò bere. Rachele mi allunga la mia
bottiglia con un sorriso
stanco. Lei è un centrale ed è in panchina, in
attesa di cambiarsi di posto con
il libero. Bevo come se non lo facessi da una settimana e Rachele mi
riprende
la bottiglia. Non sono sicura di cosa abbia detto Coccio stavolta, ma
annuisco,
pensando solamente che devo tornare in campo e fare punto.
Dopo un minuto,
l'arbitro fischia di nuovo e ci permette di
tornare in campo. Hanno ragione, di concentrazione ce n'è
molto meno.
Torno verso la
palla, la prendo in mano per prepararmi a
battere e faccio qualche passo in più del solito. Voglio
partire da più
lontano. Voglio prendere una bella rincorsa. Mentre mi avvicino al muro
faccio
rimbalzare la palla tre volte nel punto giusto e volto le spalle
vicinissimo al
muro.
Faccio
rimbalzare ancora una volta la palla, mi carico,
guardo il campo, guardo la rete, guardo le mie ragazze.
Sotto
rete ci sono Nadia e Cristina. Nadia è la nostra
palleggiatrice, la mia miglior
amica, quando è lei che mi alza la palla siamo invincibili,
perché ci capiamo
sempre al volo e sa perfettamente di cosa ho bisogno in quel momento.
Cristina
invece è riservata e sta un po' sulle sue, fuori di qui ci
salutiamo a
malapena, ma quando siamo in campo, esiste solo la squadra.
Prendo la
rincorsa, due passi lunghi e salto colpendo la
palla proprio al centro della mano, con tutta la mia forza, tenendo il
palmo
rigido, come mi riesce meglio. La palla è velocissima e
potente, fila diritta
nell'altro campo e viene presa dalla biondina che ha il numero 14.
È il
mio alter ego. Io ho il numero 14. Fino a l'anno scorso
avevo il 4, il mio numero preferito, ce l'avevo da quando avevo dieci
anni. Poi
l'anno scorso ho promesso ad Angela, quando sono andata a trovarla in
ospedale
e averle accarezzato la testa rasata, che se fosse tornata a giocare le
avrei
lasciato il mio numero, che a lei è sempre piaciuto.
La biondina
riceve male, ma la loro palleggiatrice, tale
numero 6, è molto in gamba e riesce a salvarla in una
maniera fantastica. Tutte
noi seguiamo il gioco e ci disponiamo per ricevere la schiacciata.
Tutto
succede velocemente, come al solito. Cristina e Daria saltano facendo
muro
insieme alla 5 azzurrina, che esegue un pallonetto invece di una
schiacciata e
mi accorgo di Giulia che si fionda sotto la palla con uno dei suoi
migliori
bagher.
Nadia corre per
alzare la palla e Angela salta come non l'ho
mai vista: ha le gambe piegate indietro e una determinazione in volto
che le ho
visto poche volte, ma che so che funziona. Il 4 le dona proprio.
Le cinque
azzurrine più il libero con la maglietta rossa,
neanche la vedono arrivare: la palla colpisce il pavimento, rimbalza
con un
colpo sordo e vibra mentre vola verso le panchine.
Sento la tribuna
esultare. Sento la mia squadra esultare. Sto
esultando anch'io.
Abbiamo vinto!
Ci raduniamo al centro per festeggiare e si
uniscono a noi anche le riserve, Rachele e Coccio. Urliamo al cielo il
nostro
grido di battaglia e scoppiamo a ridere abbracciandoci in gruppo.
Ora possiamo
andare in pizzeria.
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