Capitolo
5
Come
temeva, quella mattina Midoriko ricevette una brutta
notizia, direttamente dalle pagine del giornale. Si era alzata di
buon’ora,
colpa la mancanza di sonno della sera precedente: non aveva trovato
pace,
rigirandosi continuamente prima su un fianco e poi
sull’altro, senza mai
provare per un attimo un accenno di sonnolenza o di stanchezza. Sentiva
dentro
di sé la rabbia crescere, soprattutto quando le tornavano in
mente le parole di
Sesshomaru No Taisho e la risata provocatrice di Naraku. Avrebbe voluto
avere
un’arma in quel momento, per poterli eliminare fisicamente
dalla faccia della
Terra.
Quello che interessava ai suoi avversari non era l’arte,
l’anima del libro scritto da suo marito anni prima, ma solo i
soldi che avrebbe
portato l’opera. Lo avrebbero adattato secondo quelli che per
loro erano i
“gusti del pubblico”, lacerandolo e mutilandolo
terribilmente, lei lo sapeva
bene, se lo sentiva, in più i diversi anni passati nel mondo
dello spettacolo
le avevano riservato delle lezioni difficili da dimenticare.
Quello che all’apparenza poteva sembrare solo un ammasso di
cellulosa tenuta insieme da una copertina colorata, per lei era un
tesoro dal
valore inestimabile: dentro vi era racchiusa l’essenza stessa
della sua vita,
del suo amore con Seiji, suo marito. Lei lo aveva promesso, aveva
promesso a
Seiji che avrebbe difeso quel piccolo tesoro a tutti i costi, non lo
avrebbe
snaturato. Se mai avesse ceduto alle lusinghe di Sesshomaru o Naraku,
si
sarebbe trovata davanti un’opera completamente diversa e lei
si sarebbe sentita
la diretta responsabile della “seconda morte” di
Seiji.
E
poi c’erano i suoi ragazzi. Da quando suo marito era morto
lei aveva perso interesse in qualsiasi cosa, le erano rimaste solo la
recitazione e la sua famiglia, ma ancora una volta il destino
l’aveva messa a
dura prova portandole via anche sua sorella prima del tempo. Era stato
in quel
momento che aveva deciso di ritirarsi dalle scene, troppo stanca per
poter
recitare una parte oltre il palcoscenico, troppo affaticata dai dolori
che
aveva dovuto sopportare, troppo esausta a causa del suo cuore. Le erano
rimaste
molti beni materiali e immobili, ma nonostante ciò lei si
sentiva sempre più
vuota, nemmeno le offerte che continuavano ad arrivarle dal mondo del
teatro
sembravano risvegliarla da quello stato di torpore perenne.
Poi un giorno, quasi come se fosse stata un’ispirazione
venuta dal nulla, si era chiesta se non potesse ricominciare da zero
partendo
dalle basi: una scuola di recitazione. L’idea le era venuta
mentre guardava un
film trasmesso in tv e lei non riusciva a capacitarsi di come la gente
potesse
guardare qualcosa di talmente squallido, recitato tra l’altro
da attori che
definire mediocri era un complimento. E poi ecco la soluzione:
perché non
istruire lei stessa degli attori validi?
Lei avrebbe insegnato loro come muoversi sul palcoscenico,
come studiare un personaggio, in che modo modulare la voce e quale
fosse il
metodo migliore per catalizzare su di sé
l’attenzione del pubblico. Nel corso
dei giorni successivi quella che sembrava una semplice fantasia si
trasformò in
un progetto concreto. Nonostante si fosse ritirata da tempo dalle
scene,
Midoriko aveva ancora un po’ di soldi a disposizione, in
parte dovuti alla sua
famiglia di origine e in parte per i diritti di autore che ancora
percepiva dal
libro di suo marito. I costi, purtroppo, si rivelarono più
elevati del
previsto, ma Midoriko era riuscita ancora una volta a cavarsela grazie
alle
conoscenze che possedeva, che le garantivano una sponsorizzazione che
lei
ripagava ogni anno.
Aveva cercato in moltissime scuole di Tokyo per trovare
quelli che secondo lei potevano essere dei potenziali attori. Ci era
voluto un
po’ di tempo ma alla fine aveva trovato i ragazzi che
facevano per lei. Con il
tempo si era anche affezionata a loro: ad Ayame per la
spontaneità, a Sango per
il carattere volitivo, si divertiva a vedere i teatrini comici di
Miroku e
Jakotsu, le piaceva l’espressione schiva di Hakudoshi che gli
conferiva un’aura
di mistero, apprezzava Bankotsu per quella sicurezza che traspariva dal
suo
atteggiamento e lo stesso valeva per Koga, mentre adorava il sorriso
dolce e
timido di Kohaku e il lato giocherellone di Shippo, per poi arrivare
fino alla
delicatezza di Kanna e alla forza di Rin.
Ognuno
di quei ragazzi le era entrato nel cuore, come se
fosse un figlio. Grazie a loro aveva trovato la forza di alzarsi la
mattina ed
avere l’entusiasmo di portare a termine qualcosa. Erano
ragazzi spontanei,
senza malizia e che credevano ancora che il mondo si divideva tra buoni
e
cattivi, che il confine tra bene e male fosse netto e non esistessero
le
sfumature.
Metterli nelle mani di quei due sarebbe stato un tradimento.
Con questi pensieri Midoriko si era alzata ed era scesa giù
in salotto per fare colazione, mentre scendeva le scale si allacciava
in vita
la vestaglia di seta rossa. Quando si sedette al tavolo chiese
gentilmente a
Jinenji di portarle il suo solito tè verde ed il giornale
del mattino.
Non appena il giornale fu tra le sue mani, si trovò davanti
agli occhi la cruda verità: Sesshomaru non scherzava affatto
la sera prima.
Sulla pagina della sezione cultura campeggiava a lettere
capitali un articolo scritto da Tsubaki Tsukino che diceva:
“Il rischio di
vivere di successi passati”.
Nell’articolo la giornalista denigrava senza tanti
complimenti il duro lavoro di Midoriko come insegnante, riconoscendole
senza
dubbio i fasti della giovinezza, ma sottolineando come questi avessero
dato
alla testa della donna, la quale aveva messo su una compagnia di
adolescenti
inesperti ed ancora acerbi, dotati di una recitazione mediocre e a
livello
dilettantistico. L’articolo si chiudeva con un consiglio
caustico rivolto a
lei: “Cara signora Midoriko, pensi a godersi il suo meritato
riposo”.
Il sangue le salì al cervello con quell’ultima
frase. Sapeva
che Tsubaki era spietata, ma non si era mai spinta così
lontano come questa
volta. Era più che ovvio che dietro a tutto questo
c’era lo zampino di
Sesshomaru e Naraku.
Quando Jinenji arrivò con la tazza di tè fumante
Midoriko
non lo ringraziò come era solita fare, tanto era la furia
che sentiva crescere
dentro di lei. Non solo pensava alle cattiverie gratuite che i suoi
allievi
erano stati costretti a subire non di certo per colpa loro, e secondo
lei
nemmeno del tutto veritieri perché dal canto suo erano stati
impeccabili
considerando la poca esperienza, ma iniziarono a farsi strada nella sua
mente
pure tutte le complicazioni a livello pratico che avrebbe dovuto
affrontare:
quell’articolo significava cattiva pubblicità per
la sua scuola, che a sua
volta avrebbe portato con sé la retrocessione da parte dei
suoi sponsor.
Maledetti
Sesshomaru e Naraku, non stavano usando le maniere
dolci fin da ora.
I
suoi pensieri vennero interrotti dall’ingresso di Kagome
in sala, la quale arrancava verso il tavolo con passo incerto e gli
occhi
cisposi.
-Buongiorno…-
bofonchiò prendendo posto di fianco alla zia e
afferrando la tazza di tè che Midoriko aveva lasciato
intatta.
***
-Posso
domandarvi una cosa?- chiese la voce fanciullesca.
-Dimmi-
-Ecco,
l’altro giorno mi stavo chiedendo… quando
morirò, voi
vi dimenticherete di me?-
Un
attimo di esitazione, un momento sospeso nel nulla. Poi
la risposta.
-Non
dire stupidaggini-
Queste
furono le ultime parole che sia Rin che Sesshomaru
ricordavano del sogno fatto quella notte. Entrambi si erano svegliati
di
soprassalto, come se fossero stati strappati fisicamente da quel mondo
onirico
e ovattato. Per Rin non era la prima volta, già da bambina
ricordava sogni
simili, che le lasciavano addosso una sensazione di calore ma allo
stesso tempo
di perdita, come se le mancasse qualcosa e dovesse ritrovarla per forza.
Al contrario, per Sesshomaru quella era la prima volta.
Solitamente lui dormiva molto poco e i suoi sogni erano solo delle
macchie nera
senza forma. Quando si alzò a sedere sul letto, si
sentì il fiato corto e
leggermente sudato, se ne accorse quando si passò una mano
sulla fronte fredda.
Si guardò il palmo della mano per qualche secondo,
meditabondo. Non era mai successo qualcosa del genere, sentiva nel
petto
qualcosa di sconosciuto. Rimase qualche secondi cercando di darsi una
spiegazione plausibile e poi si ricordò che la sera prima
aveva provato una
sensazione simile quando aveva visto quella ragazzina recitare a piedi
nudi: la
sensazione di familiarità si era risvegliata in quel momento.
“Ma quale familiarità” pensò
subito scettico tra sé e sé.
Non conosceva quella ragazzina se non perché
l’aveva incontrata qualche volta
in circostanze del tutto casuali.
Con la mano artigliata da demone, scostò le coperte e si
alzò. Per prima cosa decise di farsi una doccia, per lavare
via quella
sensazione così scomoda.
Dopo essersi vestito, scese al piano di sotto per fare
colazione con suo padre. Lo trovò comodamente seduto alla
sedia che troneggiava
a capotavola al centro della stanza, intento a leggere il giornale
mentre
mangiava la sua abituale colazione.
Sesshomaru non si disturbò nemmeno a dirgli buongiorno, si
sedette occupando il posto alla sua destra e si versò del
caffè nero bollente
nella tazza davanti a lui.
Inu No Taisho sollevò lo sguardo dai fogli di giornale,
guardò il figlio per qualche secondo e poi disse:-Devo
complimentarmi con te,
Sesshomaru. Stai adottando una tattica molto sottile ma efficacie-
Sesshomaru
lo guardò senza alcun slancio emotivo, si limitò
a dire:-Ti avevo detto che ci stavo lavorando- e buttò
giù un generoso sorso di
caffè.
Suo padre ora si complimentava con lui, ma non sapeva che in
realtà tutto quello che stava facendo non era assolutamente
per affezione nei
confronti del genitore, anzi, sarebbe stata anche la sua rivincita e la
prova
della sua superiorità. Ma era necessario che lui non facesse
trasparire tale
progetto: aveva bisogno del suo appoggio per poter agire in maniera
indisturbata.
-Sono
proprio curioso di vedere cosa farai la prossima
volta-continuò Inu No Taisho piegando il giornale e
mettendolo via.
Quella
mattina però aveva in serbo per Sesshomaru molte
più
sorprese di quante lui se ne aspettasse, infatti, in maniera non molto
delicata, fece il suo ingresso in salotto lui: Inu-Yasha.
Sesshomaru lo vide avanzare con atteggiamento spavaldo verso
di lui: aveva i capelli spettinati e indossava ancora il pigiama, le
pantofole
non erano minimamente contemplate nella sua mise.
Lo youkai sentì istintivamente salire un ringhio di rabbia e
fastidio, quel maledetto mezzo demone aveva la capacità di
irritarlo solamente
con la sua presenza, e lui che pensava che si sarebbe messo nei guai a
New York
per non vederlo mai più. Evidentemente era stato
più cauto di quanto non
sperasse.
-Beh,
non vieni a salutare il tuo fratellino?- sghignazzò
Inu-Yasha rivolto verso di lui mentre allargava le braccia pronte ad
accogliere
un abbraccio che sapevano non sarebbe mai arrivato.
Sesshomaru
non raccolse la provocazione e si girò in
direzione del padre, in cerca di risposte.
-Tuo
fratello è arrivato ieri sera, mentre eri a teatro. Era
stanco per il lungo viaggio ed è andato subito a dormire. Mi
sorprende che tu non
abbia sentito il suo odore al tuo rientro-
Anche
Sesshomaru si sorprese di quella sua falla: come era
possibile che il tanfo che suo fratello si portava dietro non fosse
arrivato
alle sue narici fin troppo sensibili?
Era talmente sovrappensiero che non ci aveva fatto caso,
ancora sentiva un lieve odore di lavanda mischiato al profumo di un
mazzo di
garofani.
Inu-Yasha vide che il fratello non accennava a dargli una
risposta, quindi si sedette a tavola e si servì.
-Sarà
un Natale in famiglia con i fiocchi- disse poi
sarcastico, guardando suo padre e Sesshomaru. Il primo sperava fosse
così, il
secondo ne dubitava fortemente.
***
Rin
quella mattina si svegliò come le era capitato molte
volte: di soprassalto dopo il sogno così realistico che
aveva avuto. Ancora una
volta lo stesso scenario, gli stessi luoghi, le stesse sensazioni, la
stessa
figura alta e affusolata. Se chiudeva gli occhi riusciva a vedere
ancora
davanti a lei i capelli argentati della figura maschile. Argentati,
come quelli
di Sesshomaru. Rin ripesando a lui si diede della stupida: come aveva
potuto
credere che quell’uomo fosse una persona gentile?
Corrugò le sopracciglia, contrariata. Non aveva mai
immaginato che potesse dire qualcosa di così freddo e
spietato alla signora
Midoriko, senza avere alcuno scrupolo per tutte le altre persone
coinvolte, lei
per prima. Scosse la testa, dandosi ancora una volta della stupida, ma
questa
volta perché secondo lei gli stava dedicando più
attenzione del dovuto,
dopotutto era stato solo un estraneo gentile con lei, questo non voleva
dire
che dovesse esserlo per forza nell’animo.
Rin si voltò in direzione della finestra e vide la sagoma di
un vaso, modesto e piccolino, ma che conteneva il mazzo di fiori
più bello di
sempre, almeno secondo lei. I garofani bianchi troneggiavano
là, sul davanzale,
facendo mostra della loro semplicità e bellezza disarmante.
Rin non aveva idea
di chi potesse averglieli mandati, ma si sentiva pervasa da un
sentimento di
calore, gratitudine e gioia esplosiva.
Poi la ragazzina lentamente si alzò dal letto e
andò a
prepararsi per andare alla scuola di recitazione: era abitudine per
tutti i
giovani attori incontrarsi lì dopo uno spettacolo, come una
sorta di
prolungamento dei festeggiamenti.
Rin mentre finiva di acconciarsi i capelli decise di
prendere un garofano dal mazzo e di intrecciarlo nel codino laterale
che era
solita farsi da un po’ di anni. Anche se era dicembre, lei
avrebbe avuto un
pizzico di allegria addosso, e poi il colore era perfetto per quella
stagione.
Salutò velocemente sua nonna e corse a prendere
l’autobus.
Non appena fu sulla strada che l’avrebbe portata
all’edificio della compagnia
Sengoku, incontrò Ayame, Sango, Kohaku e anche Kagome, la
quale, sebbene non
fosse un’attrice, ormai faceva parte della compagnia a tutti
gli effetti.
-Rin,
aspettaci!- urlò Ayame, sbracciandosi da lontano.
Non
appena furono tutti insieme, Rin notò un’ombra
nelle
loro espressioni. Si chiese cosa potesse essere successo.
-Buongiorno,
ragazzi. Ma cosa sono quei musi lunghi? Non
siete contenti?- domandò candidamente.
Si
guardarono tutti in silenzio, interrogandosi quasi
mentalmente chi dovesse essere il designato a dare a Rin la brutta
notizia.
Alla fine fu Kohaku a farsi avanti.
-Rin,
vedi ieri sera Ayame non aveva tutti i torti ad essere
agitata. Non so se hai letto il giornale stamattina, ma a quanto pare
quella
giornalista, Tsubaki Tsukino, non è stata molto gentile nei
nostri confronti,
anzi direi il contrario- confessò il ragazzo guardando
l’asfalto sotto i suoi
piedi. Rin invece, a quelle parole, sentì
l’asfalto scomparire. Un vuoto allo
stomaco la prese di sorpresa.
-Ma
cosa dici?- chiese lei, ancora incredula.
-Ha
ragione lui, Rin. È come ha detto- confermò
Kagome.
Ayame
e Sango si limitarono ad annuire. Si guardarono tutti
e quattro con espressioni sconsolate sul viso, non riuscendo a trovare
le
parole giuste. Per Rin quella notizia era del tutto insensata: il
pubblico
aveva gradito, e anche tanto, gli applausi c’erano stati e
loro si erano
sentiti molto soddisfatti. Ma forse non bastava.
Eppure ad un certo punto le venne in mente una cosa, più
precisamente una frase che aveva sentito ieri sera. Che fosse stato lui?
-Beh,
per sapere che ne pensa Midoriko dobbiamo solo andare
a scuola e sentire cosa ha da dire lei- disse poi Sango, cercando di
sbloccare
la situazione di disagio in cui tutti si trovavano. Fu così
che ripresero a
camminare, lentamente e silenziosamente.
Kohaku
stava vicino a Rin, cercando di tirarle su il morale.
Le altre ragazze si accorsero della situazione e risero tra di loro
sotto i
baffi: tutte avevano notato un certo feeling da parte di Kohaku nei
confronti
della loro amica.
-Ti
sta molto bene- disse il ragazzo.
Rin
si voltò di scatto, senza capire.
-Il
garofano. Ti dona molto- continuò Kohaku, leggermente
imbarazzato.
La
ragazza istintivamente si portò una mano
all’altezza del
codino e sfiorò con le dita sottili i petali del fiori.
Arrossì per il
complimento e biascicò un grazie.
Quando furono tutti davanti all’ingresso della scuola,
quello che videro li lasciò di sorpresa: a quanto pareva non
erano gli unici a
recarsi in quell’edificio di domenica mattina, ma anche
Sesshomaru No Taisho
aveva avuto la stessa idea.
Lo youkai se ne stava lì, in piedi, in attesa di qualcuno.
Per i ragazzi non era affatto difficile capire chi fosse quella persona
che
tanto desiderava incontrare.
-Se
cerca mia zia, arriverà a breve- disse subito Kagome
gentilmente.
Rin,
invece, sentì crescere dentro di lei un moto di rabbia
incontenibile: i tratti del viso si stravolsero all’istante,
facendo capire
quali fossero i suoi sentimenti in quel momento.
Sesshomaru ringraziò con il solito tono freddo. Poi il suo
occhio cadde subito sulla figura minuta di Rin. Sembrava completamente
un’altra
persona giù dal palcoscenico: così piccola da
sembrare una bambina, il viso
pulito e senza trucco.
Se ne stava lì a guardarlo con espressione truce, o almeno
così pensava lei perché lui non ne fu
impressionato nemmeno un po’, non
incuteva di certo timore. Notò poi una cosa,
un dettaglio molto piccolo ma che sui suoi capelli scuri spiccava come
la luna
piena in un cielo nero: aveva indossato uno dei fiori che lui le aveva
fatto
recapitare la sera prima. Le donava molto, non c’era dubbio.
Dopotutto le era
venuta in mente lei quando li aveva visti.
Sesshomaru decise di non pensarci troppo.
-Siete
stati bravi, ieri sera- disse con il suo solito tono
freddo.
A
quelle parole Rin si sentì, se possibile, ancora
più
arrabbiata di prima. Ma come si permetteva di prenderli in giro, quando
era più
che evidente nella sua mente che dietro quella critica così
aspra ci fosse lui.
Emise un respiro bello forte, per farsi sentire. Ma gli altri non
sembravano essersene
accorti, anzi sembravano prendere sul serio le parole di
quell’uomo, ma in fin
dei conti non avevano sentito cosa aveva detto ieri e Rin aveva
promesso a
Midoriko di non farne parola.
-Dice
davvero?- domandò Ayame piena di speranza.
-Sì-
rispose asciutto Sesshomaru, lanciando un’occhiata a
quella ragazzina che non accennava a nascondere la sua espressione di
disappunto. Doveva ammettere che era abbastanza divertente vederla
così
arrabbiata.
-Cosa
ci fa qui?- tuonò poi una voce alle loro spalle. I ragazzi
subito si voltarono e videro avvicinarsi la figura di Midoriko, la
quale
avanzava con passo nervoso.
Tutti,
tranne Rin, non capirono il motivo di tale rabbia.
Kagome quella mattina aveva notato la zia piuttosto nervosa e alterata,
ma non
aveva avuto il coraggio di chiederle cosa fosse successo, ma forse nei
prossimi
minuti avrebbe avuto la sua risposta.
Sesshomaru rimase fermo a guardare la donna.
Midoriko avanzava il più velocemente possibile, aveva il
fiatone e le guance le si erano leggermente imporporate, nessuno
l’aveva mai
vista così in quello stato. Quando si trovò
davanti a Sesshomaru, si concesse
alcuni secondi per riprendere fiato, non lo avrebbe affrontato parlando
affannosamente.
-Mi
sembra che quello che mi ha detto ieri si sia avverato,
quindi non capisco la sua visita di questa mattina, tra
l’altro la scuola è
aperta solo per i miei allievi!-
Ayame,
Sango, Kagome e Kohaku divennero loro malgrado
spettatori involontari di quella litigata, Rin invece sentiva che
finalmente
qualcuno stava cantandogliene quattro a quell’uomo che lei
avrebbe finito per
odiare, se lo sentiva.
Sesshomaru non raccolse la provocazione, guardava Midoriko
con espressione annoiata. Nonostante ammirasse la forza con cui cercava
di
difendersi, per lui era tutta energia sprecata, perché
sarebbe stata solo
questione di tempo ed avrebbe ceduto.
-Non
so di cosa stia parlando- disse lui.
A
quelle parole Midoriko divenne ancora più paonazza, come
se la rabbia avesse preso il sopravvento e tutto il controllo del suo
corpo. Nessuno
l’aveva mai vista così.
-Non
faccia il finto tonto, so benissimo che si nasconde la
sua firma e quella di Naraku dietro a quella recensione-
tuonò lei,
avvicinandosi a lui e puntando gli occhi su di lui.
Gli
altri ragazzi, tranne Rin, rimasero scioccati nel
sentire quelle parole. Ayame guardava per terra la punta dei suoi
piedi, Sango
e Kagome rimasero a bocca aperta mentre Kohaku si girò verso
Rin, quasi a
cercare delle risposte da lei.
La ragazza, invece, se ne stava lì in piedi a guardare con
aria soddisfatta la sua insegnante inveire contro
quell’essere senza cuore,
finalmente qualcuno che gliele cantava.
-Ha
una fervida immaginazione- soffiò lui, quasi come se
fosse un’accusa- Ma non sono venuto qui per parlare della
recensione, a quanto
pare negativa che ha ricevuto da Tsubaki. Sono qui per ricordarle i
vantaggi
che potrà avere nel firmare un contratto con la
società di mio padre- continuò
Sesshomaru senz alcuna esitazione.
Rin rimase, se possibile, anche più sconvolta a sentire
quelle parole, dette come se niente fosse e ignorando completamente le
parole
di Midoriko. Ma come si permetteva?
Midoriko
esplose una volta per tutte:- Le ho già detto che
non lascerò mai che lei o chiunque altro possiate rovinare
un’opera come il “Sengoku
Monogatari” e…- ma la frase non ebbe un seguito.
Midoriko si portò subito una mano all’altezza del
cuore,
mentre le parole le morivano in bocca ed emetteva un verso di dolore,
serrando
le labbra e chiudendo gli
occhi. Sentì una
fitta al cuore forte, come se una freccia le avesse trapassato
quel’organo così
vitale. Si accasciò a terra, poggiandosi sulle ginocchia.
-Zia!-
urlò subito Kagome preoccupata, precipitandosi verso
di lei.
Anche
Rin, come Sango, corse in soccorso della sensei.
-Che
succede?- chiese ancora più spaventata Kagome. Non poteva
sopportare che anche sua zia potesse andarsene a causa di un malore.
Sesshomaru
rimase esattamente nella stessa posizione.
-Sensei-
disse Rin, mentre portava la mano sul braccio della
donna.
-Non
preoccupatevi, non è niente- disse Midoriko, con il
fiato corto a causa della fatica che stava facendo per far finta di
stare bene.
In realtà non stava affatto bene, quello non era
“niente”, ma non voleva
spaventare i suoi allievi e, più di tutti, non voleva
spaventare Kagome.
Rin, vedendola in quello stato, si sentì le lacrime salire,
provava una grande pena nel vedere ridotta così una donna
straordinaria come la
sua sensei. E tutto quello per colpa di un essere spietato come
Sesshomaru No
Taisho.
Sollevò lo sguardo arrabbiato verso il demone, il quale
continuava a starsene lì in piedi senza battere ciglio,
senza l’ombra di una
minima preoccupazione sul suo viso.
Rin sentì l’odio e l’astio travolgerla.
-La
prego, se ne vada!- ringhiò lei, cercando di trattenere
le lacrime.
Sesshomaru,
nonostante non avrebbe mai dato a vederlo, si
trovò sorpreso nel vedere quella ragazzina così
combattiva e incurante di chi
si trovasse di fronte a lei. Non guardava in faccia nessuno.
Ammirevole.
Nel
frattempo Midoriko si era alzata in piedi nuovamente,
aveva raccolto le poche forze che le rimanevano e aveva poggiato una
mano sulla
spalla di Rin, facendosi avanti come per proteggerla.
-Ha
sentito la mia allieva. Glielo chiedo cortesemente anche
io, questa giornata è dedicata ai miei allievi- disse con
una sorprendente
calma ritrovata Midoriko.
Sesshomaru
sollevò leggermente l’angolo destro della bocca,
in una sorta di sorriso beffardo.
-Vorrà
dire che ci vedremo presto- disse.
Midoriko
lo guardò, preoccupata. Quell’uomo diceva la
verità: si sarebbero visti presto, in che circostanze non lo
sapeva ancora.
Chiamò poi tutti gli allievi dentro la scuola, i quali la
seguirono senza battere ciglio, leggermente imbarazzati per la scena a
cui
avevano assistito.
Rin, che era l’ultima della fila, mentre si affrettava a
lasciarsi quell’individuo repellente alle spalle, perse il
garofano che aveva
tra i capelli. Si girò per poterlo riprendere ma
notò che qualcuno era stato
più veloce di lei: Sesshomaru si era preso la briga di
raccoglierlo al volo
poco prima dell’impatto con il suolo. Lo guardava con
espressione leggermente
curiosa. Dentro di sé si chiedeva perché lo
avesse indossato, forse solo per un
vezzo di natura puramente estetica.
Rin lo osservò mentre contemplava il suo fiore.
Si avvicinò un po’ timorosa, cosa che Sesshomaru
notò, e poi
disse:- Me lo ridia, per favore- farfugliò lei con le guance
rosse.
La ragazzina coraggiosa che gli aveva detto poco prima di
andarsene, ora si rivolgeva con espressione timorosa e timida nei suoi
confronti.
Che
razza di persona era?
Non
ottenendo quanto richiesto, Rin aggiunse:- Per me quel
fiore è molto importante-
Importante? Aveva detto così?
Sesshomaru si trovò a scoprirsi per la terza volta sorpreso
dalle parole di quella ragazzina.
-Importante?-
domandò lui senza darle il garofano.
Rin
si irritò e molto. La stava prendendo in giro?
-Quel
fiore mi è stato regalato da una persona
che, al contrario di lei, ha gradito il
nostro spettacolo e mi ha mandato un mazzo di garofani bianchi. Avrei
voluto
ringraziarlo, ma sul biglietto non c’era il nome…-
continuò lei.
-Capisco-
disse lui restituendole ciò che aveva perso. Poi si
girò e se ne andò senza nemmeno salutare.
Rin
rimase con il fiore in mano, guardando con aria
perplessa quella sagoma strana che si allontanava.
Ciao
a tutti voi, miei cari lettori. Spero che il capitolo
vi sia piaciuto. Ammetto che avrei voluto scrivere di più,
ma poi ho deciso di
dividere il capitolo in due parti: molte cose devono succedere e non
volevo
fare un grande minestrone. I nostri piccioncini si sono incontrati
ancora una
volta e, per ora, il sentimento di Rin non è dei migliori.
Bisognerà avere
pazienza, dopotutto Rin ha ancora tredici anni.
Ringrazio
come sempre le persone che mi seguono e quelle che
commentano, il vostro sostegno è molto importante per me. Se
il capitolo vi è
piaciuto lasciate pure un commento.
Vi
lascio qualche piccola anticipazione: nel prossimo capitolo
scopriremo qualcosa in più di questo “Sengoku
monogatari”; vedremo poi
Inu-Yasha entrare in scena e relazionarsi con Kagome e capiremo il
motivo per
cui quest’ultima non vuole parlare di sua sorella Kikyo. Per
i nostri due
piccioncini… beh, aspettate!
Sophie
Ondine