Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ellery    09/03/2019    2 recensioni
Raccolta di One-Shot sui veterani (o su quelli che sarebbero diventati veterani, se fossero sopravvissuti), riguardo a spaccati della loro vita (sempre siano ancora vivi) passata o futura che sia. La raccolta è divisa in capitoli, a seconda del personaggio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Amici ormai lontani


Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 4, Missione 2
* Prompt: Arrivare troppo tardi
* Parole: 647



Era arrivato troppo tardi.

Levi balzò da cavallo, pregando che il tempo si dilatasse e gli concedesse qualche attimo in più per poter salvare almeno Farlan. Vedeva il corpo dell’amico stretto tra le tozze dita di un gigante, a una trentina di passi di distanza; le gambe erano piegate in un angolo innaturale, entrambe spezzate, mentre sul viso – circondato dai capelli biondi ormai fradici di pioggia – poteva intravedere l’ombra di un sorriso tra i rivoli di sangue. Gli occhi chiari erano rivolti a lui, colmi di rassegnazione e rimpianto.

«Aspetta!» ringhiò, quando scorse la destra altrui rivolgergli un rapido cenno d’addio. «Farlan, aspetta!»

A che servivano quelle suppliche? A nulla. Il tempo non si sarebbe fermato soltanto perché era lui a chiederlo.

Percepì gli stivali scivolare sul terreno fangoso e, poco dopo, l’equilibrio venire a mancare. Slittò nel pantano, sbattendo le ginocchia contro i ciottoli seminascosti dall’erba umida. Le dita si chiusero immediatamente sulle impugnature delle spade, pronte a premere sui grilletti. Odiava quei mostri! Quegli orribili giganti rosa che avevano appena distrutto la sua famiglia. Gli avevano portato via tutto, in una misera manciata di minuti. Li avrebbe uccisi uno dopo l’altro senza mai fermarsi e poi…
Scosse il capo, incerto. Poi cosa avrebbe fatto? Non lo sapeva, ma forse non aveva neppure importanza. Non doveva fare altro che cedere, abbandonandosi alla rabbia cieca; permettendole di guidare le proprie lame e di tranciare con sicurezza le collottole dei titani che ancora gli sogghignavano davanti. Quanti erano? Ne contò cinque.
Premette a fondo i grilletti, lasciando il gas libero di sgorgare dal meccanismo tridimensionale. Si sentì sollevare poco dopo, quando l’arpione di sinistra si conficcò nella carne del primo nemico. Si mosse rapido, senza nemmeno pensare a ciò che faceva. Lasciò che fosse l’istinto a guidarlo, a permettergli di abbattere quei corpi mollicci e deformi in sequenza. Le lame fendevano perfettamente il retro dei colli, spaccando i tessuti e danzando nel vapore che le ferite generavano. I ringhi, le urla, il tonfo degli enormi piedi non lo scalfivano affatto; al contrario, si mescolavano alla pioggia ed alle sue grida di dolore come in una sinfonia perfetta.

Poco dopo, scivolò nuovamente al suolo. Atterrò in una pozzanghera, incurante degli schizzi bruni che macchiavano gli stivali confondendosi a quelli del sangue di gigante, ormai prossimo ad evaporare. Rinfoderò le spade, guardandosi attorno. Fu come destarsi da un lungo incubo: percepì la stessa leggerezza del risveglio, il sollievo che si prova nello scoprire che, in fondo, quanto affrontato non è altro che il frutto dell’immaginazione. Il cuore rallentò gradualmente i battiti, mentre l’adrenalina calava e l’attenzione passava dai corpi fumanti al terreno vicino.

Trasalì quando i suoi occhi chiari incontrarono quelli verdi di Isabel. Di lei non rimaneva più nulla, se non il cranio tranciato appena sotto il mento. Levi deglutì a vuoto, inginocchiandosi accanto alla testa, staccata di netto forse da un morso; del corpo, invece, non vi era traccia. Cercò di staccare le iridi dal viso familiare, atteggiato in una smorfia di terrore e dolore. Le labbra erano dischiuse, quasi a supplicare un’ultima volta, mentre lo sguardo – ormai vitreo – era rivolto al suo. Vi lesse accusa e delusione. Isabel lo riteneva davvero responsabile? Oppure quella era soltanto una sensazione sgradevole, il peso di una colpa che finiva per gravargli sulle spalle? Scosse il capo, sforzandosi di ignorare le urla della propria coscienza: era davvero colpa sua? Sì. Se soltanto li avesse ascoltati! Lo avevano avvertito di non andare, gli avevano chiesto di non lasciarli indietro e di portarli con lui. Non li aveva ascoltati. Si era limitato a rassicurarli ed a pretendere una fiducia che, in fin dei conti, non meritava affatto.

Le dita affusolate della mancina scesero ad abbassare le palpebre; la destra si chiuse a pugno e venne portata al cuore, in un ultimo e silenzioso saluto ai due amici ormai lontani.
  
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