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Autore: Atramentum    09/03/2019    0 recensioni
'Era la sua maledizione di sangue, il suo aspro destino. Il sangue la accompagnò fino al gelido pavimento, che accolse il suo corpo semi inerme. L'ultima cosa che vide, prima di svenire, fu Draco Malfoy che scappava da lei in preda al panico.
Non ci era riuscita. Il suo "cuore avvelenato" le aveva impedito di raggiungere la sua corazza.'
Il percorso che porterà due cuori avvelenati ad abbracciarsi, ad essere uno.
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy | Coppie: Draco/Astoria
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Il nuovo capofamiglia mesceva del vino dalle viti del Sangue Sgorgante a una pozione giallastra che la bambina aveva visto poc'anzi nelle mani tremanti della madre.
Il cadavere di suo nonno giaceva al centro del salone adiacente coperto da un telo scuro e attorniato da adulti ritti come statue di cera, non un solo gemito sfuggiva loro.
Astoria guardò suo padre, pallido in viso, mescolare il vino stregato alla pozione senza batter ciglio, lei aveva smesso di stringere il gufo di pezza da un bel pezzo, tanto che rischiava di cadere ai suoi piedi.
"Di cosa è morto il nonno?"
Udì il sibilo dalla sorella Daphne, che da più di un'ora era rimasta ferma accanto al camino, i bei boccoli dorati sembravano fondersi con il fuoco.
"Maleducata, non è il momento di fare certe domande!" ringhiò la loro madre.
Astoria tornò a guardare le ossute mani paterne che stringevano il mestolo convulsamente. Un ulteriore sibilo la distrasse, incuriosendola.
"Un vero peccato, ha resistito molti più anni di quanto la maledizione gli consentisse" era Malfoy Senior, coperto da un lungo mantello scuro che poneva in risalto i capelli biondissimi.
Senza alcun preavviso, gli occhi dell'uomo incontrarono i suoi, causandole disagio.
Il gufo le cadde definitivamente di mano, quando udì le aspre parole di Lucius Malfoy: "Ora tocca alla principessina".


Quando una ragazzina sognava, lo faceva in grande. In giovane età è naturale perdersi nelle proprie fantasie, sognare mondi che non esistono e persone che desidereremmo avere al nostro fianco.
Mentre le compagne di Astoria erano intente a respirare l'aria di quei mondi immaginari, sospirando ad ogni racconto, lei osservava il teschio che giaceva immobile sopra il camino, che sembrava abbracciare con le fosse lacrimali l'intera sala comune. Sua madre le aveva raccontato che, secondo una leggenda, di notte la scatola cranica prendeva vita per andare a caccia dei nati babbani lungo i bui corridoi. Ovviamente, non si era mai verificato un episodio simile, lo provava il fatto che Hermione Granger - che di notte preferiva lanciarsi in qualsivoglia tranello mortale con i due amichetti piuttosto che starsene nel suo letto a dormire - fosse integra, con estremo dispiacere della metà della scuola, o per lo meno del dormitorio di Serpeverde.
"A proposito della Mezzosangue zannuta!"
La giovane Greengrass si voltò di scatto, temendo che qualche Legilimens avesse frugato tra i suoi pensieri. Scorse due ragazzine del primo anno mentre confabulavano in un angolo, i riflessi dell'acqua dalle finestre sembrava muovessero i loro capelli.
"Gira voce che stasera avrà il coraggio di cacciare fuori la testa dai suoi noiosissimi libri in occasione del Ballo del Ceppo! Chissà chi sarà lo sfortunato.."
"Weasel-la-carota no di certo! Sai, hanno litigato.."
Neanche con una delle sue pasticche sarebbe riuscita a digerire quel tipo di discorsi. Si voltò indispettita nella direzione dell'entrata del dormitorio femminile, giusto in tempo per ammirare la sorella, che aveva appena varcato la soglia.
Daphne Greengrass era bellissima nel suo abito bianco, che abbelliva la sua innata bellezza, rendendola la ninfa di cui portava il nome.
La maggiore si incamminò verso la sorella con aria solenne, incurante delle occhiate colme d'invidia delle altre, che le rimbalzavano addosso senza scalfirla.
"Astoria, ti ho portato tutto quel che ti serve in camera, controlla che ci sia tutto, se hai bisogno di qualcosa vai in infermeria. Tutto chiaro?"
Si limitò ad annuire, colta dall'imbarazzo. Agli occhi di Daphne, sarebbe rimasta sempre una bambina malaticcia e bisognosa di cure. Forse era veramente rimasta tale, ciononostante questi discorsi la imbarazzavano e infastidivano, specie se proferiti davanti a terzi.
Prima dell'anno precedente non si era mai posta il problema. Fino a quando non si era seduta a quel tavolo in quella precisa ora di quella precisa giornata, fin quando non aveva visto un ragazzo gemere dal dolore di fronte a lei, attorniato da tanti compagni. Aveva visto il suo sguardo: fingeva di provare dolore per attirare l'attenzione. Aveva l'aria di chi prova veramente dolore, un dolore intimo, ben oltre quello fisico, talmente profondo da essere avvistato soltanto da chi prova lo stesso. Gli occhi dei suoi compagni non lo guardavano, non guardavano il suo dolore. L'aveva riconosciuto subito, Draco Malfoy: quel bambino che non usciva mai di casa, che era isolato dal mondo, che a Diagon Alley tentava di afferrare la mano della madre tra la folla, inutilmente. Quello era il ragazzo che aveva visto quel giorno, non quella maschera cui lui aveva prestato la voce quando Daphne le si era seduta accanto ricordandole dei medicinali. La maschera di Draco Malfoy aveva riso travolgendo gli altri e lei all'epoca si era rimangiata le sue considerazioni su di lui.
Pensandoci a distanza di un anno, quella risata le suonava come il pianto disperato di chi grida aiuto.
Daphne non perse tempo a raggiungere il suo accompagnatore, lasciandola seduta sulla poltrona del dormitorio, isolata dal resto. Le altre ragazze dei primi anni si erano radunate di fronte alla libreria a confabulare sui vestiti delle più grandi e a lei non rimaneva altro che guardarle con aria assente, almeno così pensava, fino a quando la sua attenzione fu catturata da Draco Malfoy, vestito e pettinato a festa, l'aria solenne di un signore pronto a varcare le porte di un palazzo delle fiabe.
Malfoy si accorse ben presto del suo sguardo e non mancò di sbeffeggiarla con un ghigno. Astoria sapeva che, se non fosse stata la sorella di Daphne, l'avrebbe presa in giro in pubblico, anche questo era Draco Malfoy.
"Sono pronta!" cinguettò Pansy Parkinson al seguito del ragazzo, arpionandosi al suo braccio.
Un inspiegabile moto di stizza imperversò nella mente di Astoria, che d'istinto guardò male la compagna di classe della sorella.
"Non che ne abbia voglia. Insomma, chi di voi ha davvero voglia di ammirare la scadente performance di San Potter?"
Eccolo, quello sguardo. Quella tristezza velata nei suoi occhi grigi.
Sapeva tramite la sorella che il padre non faceva altro che parlare di Potter, male, ma pur sempre parlava di lui quando il figlio aveva occasione di vederlo al di fuori della scuola, quando l'ombra di Harry Potter non avrebbe dovuto seguirlo.
Nitide risate riempirono la sala, tra esse quella di Malfoy. Una risata amara, disperata, di chi è costretto, per l'ennesima volta, a guardare il suo rivale da sotto il podio.
Doveva parlargli.
Sorpassò alcuni ragazzi con scatti veloci e subito gli fu davanti. Lo sguardo di Malfoy divenne sorpreso e interrogativo, del resto non gli era mai stata davanti con occhi ardenti.
"Malfoy, devo parlarti, in privato".
Un sorriso sornione gli si dipinse in volto. "Cos'è, una dichiarazione d'amore, piccola Green.."
Prima che il rossore riuscisse a stendersi sulle gote di Astoria, lui si fermò.
La ragazzina capì ben presto che Daphne doveva avergli lanciato uno sguardo ammonitore.
L'imbarazzo lasciò spazio alla stizza nei confronti della sorella, che proprio non riusciva a farsi gli affari suoi, e di Malfoy, che si lasciava intimidire da un semplice sguardo.
"Non ho tempo da perdere con le bambine, andiamo Pansy" la trascinò verso la porta come un sacco di patate, probabilmente per sfuggire a Daphne.
Astoria si sentì profondamente offesa per il trattamento subìto e non avrebbe di certo lasciato correre. Quando nessuno badò più a lei nascose i capelli nel cappuccio del mantello ed uscì facendo attenzione a non farsi vedere.
"Lumos"
Passò per i corridoi meno frequentati - che conosceva benissimo - facendo il giro di ben due piani e quando finalmente fu nei pressi della sala grande iniziò a prestare attenzione alle persone che passavano davanti a lei. Ci mise poco ad individuare Malfoy, appena fuori dalla sala grande al fianco della sua accompagnatrice.
Astoria agitò la bacchetta e fece sollevare il vestito di Pansy Parkinson. La ragazza corse via veloce, lasciando solo un Draco infastidito.
Era il suo momento.
Gli si parò davanti come aveva fatto in sala comune e liberò una cascata di boccoli castani dal cappuccio del mantello. "Io so chi sei realmente!" andò al dunque.
"Tu! I ragazzini del secondo anno non possono venire al ballo!" sbottò Malfoy.
Quei pochi studenti che si trovavano nei dintorni si avvicinarono tendendo le orecchie.
"Con me puoi sfogarti, Malfoy! Io ti capisco, vedo il vero te, questa corazza che ti sei costruito possiamo farla cedere, insieme!"
Si lasciò andare un po' troppo. Il respiro iniziò a mancarle e il corpo divenne improvvisamente pesante.
"Che stai dicendo? Sei ridicola, Greengrass, lo sei sempre stata, tu... sangue!" si bloccò, paralizzato dall'orrore.
Astoria riconobbe il fiotto rossastro che le fuoriusciva dalla bocca.
Era la sua maledizione di sangue, il suo aspro destino. Il sangue la accompagnò fino al gelido pavimento, che accolse il suo corpo semi inerme. L'ultima cosa che vide, prima di svenire, fu Draco Malfoy che scappava da lei in preda al panico.
Non ci era riuscita. Il suo "cuore avvelenato" le aveva impedito di raggiungere la sua corazza.


"Cuore avvelenato" era come da piccola chiamava la sua maledizione.
La battaglia imperversava ad Hogwarts con violenza: anime strappate ai loro corpi danzavano sui loro carnefici con aria minacciosa e Astoria era stata una di quei carnefici. Sarebbe potuta essere autodifesa, se solo non avesse prima disarmato quel Mangiamorte e il terrore non avesse impedito di compiere il fatal gesto.
Oppressa dall'anima nera della sua vittima, stanca di dover schivare ogni sorta di incantesimo, la fanciulla dal "cuore avvelenato" si era nascosta in uno di quei corridoi secondari che solo in pochi conoscevano. Si appoggiò al muro e si lasciò scivolare a terra, stanca come non lo era mai stata prima.
Udì un singhiozzo verso la fine del corridoio e, pensando che sarebbe potuto essere un primino, si avvicinò con cautela. Invece era Draco Malfoy, accasciato al muro, coperto di cenere e ustioni.
Astoria in un primo momento rimase immobile a fissarlo come fosse un troll in un parco per bambini, poi si decise ad alzare la bacchetta, quando lui parlò: "Ferma. Non voglio che qualcuno curi le mie ferite".
Un moto di compassione percosse Astoria, che però si riprese subito al ricordo del modo in cui l'aveva trattata durante quegli anni.
"D'accordo, non curerò le tue ferite." Si avvicinò con cautela, poi si posizionò vicino a lui. "Tu hai solo aperto le mie".
Silenzio. Nessuno dei due fiatò per Astoria non seppe dire quanto tempo. Fu sorprendentemente Draco a rompere il ghiaccio: "Cosa vuoi da me? Vuoi attaccarmi? Compatirmi? Potter ha già fatto tutte e due le cose insieme, sei in ritardo".
"Non voglio compatirti, non del tutto" disse, "voglio solo rinfacciarti che avremmo potuto guarire le nostre ferite insieme, invece di aprirne di nuove. È stata una tua scelta. Addio, Malfoy".
Fu lei a scappare da lui, quella volta. Non voleva vederlo in faccia, non lo fece neanche quando si ritrovò, in cortile, a contemplare le schiere del Signore Oscuro. Aveva fatto la sua scelta.


Aveva fatto la sua scelta ed era diventata una spezzaincantesimi niente male. Chi la trattava male a scuola ora la guardava con occhi carichi d'invidia e chi l'aveva apprezzata ora lo faceva ancor di più. Era felice, nonostante una ferita nel suo "cuore avvelenato" fosse ancora aperta. Era la ferita lasciatale da Draco Malfoy. A distanza di anni, ancora era sanguinante, forse sgorgava più sangue da essa di quanto ne avesse versato la notte del ballo del Ceppo.
Ironia della sorte, mentre camminava pensando a ciò, vide proprio lui, intento a rimirare un albero spoglio dal suo manto di foglie.
Era diventato più alto, ma anche più magro. Il volto scavato non gli donava affatto, eppure Astoria pensò che fosse bello così com'era.
Draco intercettò il suo sguardo e si voltò. Quella volta la nostalgia sembrò prendere il sopravvento persino su di lui. "Sei cresciuta, piccola Greengrass. Non ci vediamo da molto tempo".
"Anche tu sei cresciuto, Malfoy, e sembra che un animale ti abbia mangiato parte della faccia"
Stranamente, incassò il colpo senza dire una parola. Sembrava stanco, come non lo aveva mai visto. Astoria sembrò volare indietro nel tempo, a quando erano due ragazzini e lei lo inseguiva ovunque. Ai tempi, avrebbe voluto condividere il suo dolore con lui e prenderne un pezzo del suo a sua volta. Era stata una ragazzina ingenua: nulla era riuscito a scalfire quella corazza.
Mentre si perdeva in questi pensieri, Malfoy si avvicinò con un fazzoletto e, senza alcun preavviso, con una punta di disgusto le fermò il sangue dalla bocca. Astoria si affrettò ad usare un incantesimo per fermarlo e prese la medicina, sotto lo sguardo attento di Draco.
"Sei davvero cresciuto" commentò, "non scappi a gambe levate di fronte al sangue".
"Stavo pensando" iniziò lui, "che ho riflettuto molto su quello che mi hai detto ad Hogwarts, sul curare le nostre ferite e beh, se per te non è troppo tardi, potremmo farlo".
"L'ho sempre detto io" sorrise impercettibilmente.
"Che cosa?"
Astoria non disse più nulla. Draco già sapeva. La guerra forse glielo aveva insegnato, era penetrata laddove lei non era mai riuscita. Aveva capito che entrambi avevano un "cuore avvelenato".


"Allora, per cominciare mi porti a cena stasera?"
   
 
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