Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Mash    09/03/2019    0 recensioni
Un demone si risveglia dal suo sonno e come ogni 30 anni deve continuare la sua maledizione. Uccidere tutti coloro che professeranno il loro amore per lui per trovare finalmente colei o colui che sarà in grado con i suoi sentimenti di spezzare finalmente il maleficio che lo lega da più di un secolo.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I Capitolo – Strani omicidi
 

30 settembre 20XX ore 08.42 – centrale di polizia – Rivendell
“Cosa?!” l’uomo sbatté con violenza il cellulare e uscì fuori dal suo ufficio indossando la giacca che aveva abbandonato quella mattina sul divanetto.
“Signore, c’è qualche problema?” domandò Daniel guardando il proprio capo dirigersi velocemente verso l’ascensore e premere con nervosismo il pulsante di chiamata. Si avvicinò a lui con passi rapidi e notò l’espressione sul suo viso, che non prometteva nulla di buono.
“Un omicidio. La vittima è di sesso femminile, sulla trentina d’anni, la famiglia è già stata avvisata e pare che sarà una grande rogna per via del lignaggio della signora. Cosa più preoccupante è che è il nostro secondo caso simile in meno di un mese. Le è stato asportato il cuore e non ci sono segni di violenza né altre ferite apparenti. Siamo arrivati a quota due…”
Il comandante prese respiro e premette di nuovo il pulsante dell’ascensore, biascicando qualcosa che non sembrava troppo carino. “Inoltre il medico ha detto che il cuore è stato asportato a mani nude, non c’è alcun segno dell’utilizzo di qualche arma…” aggiunse, turbato.
Daniel guardò in volto il comandante, facendo combaciare tutti i pezzi del puzzle che aveva scoperto ormai anni prima e capì che avrebbe dovuto in tutti i modi cercare di entrare nel caso e farsi affidare anche un banalissimo compito per poter indagare sulla vicenda senza troppi vincoli.
“Signore, so che è solo un mese che sono stato affidato al dipartimento ma mi faccia venire con lei sulla scena del crimine; mi permetta di prendere parte all’indagine.” disse, determinato a non essere lasciato indietro.
L’uomo lo squadrò per qualche istante, l’indecisione dipinta sul suo volto. Poteva ben comprendere la voglia di mettersi in gioco di quel ragazzo, l’aveva avuta anche lui quand’era più giovane ma non era sicuro se affidargli la sua fiducia oppure no. Guardò la sua espressione e comprese che il volersi intromettere in quell’indagine erano delle ragioni personali che l’uomo ancora non capiva ma sapeva che la cosa non l’avrebbe portato da nessuna parte. Portarlo con lui non sarebbe stata la scelta migliore da prendere, però c’era qualcosa in quel suo sguardo che gli ispirava fiducia.
L’ascensore si aprì con un trillo e il comandante fece segno a Daniel di entrare, per poi schiacciare il piano terra incrociando le braccia sul petto, con uno sbuffo. Si era già pentito per quella decisione.
“Questo significa che posso venire, signore?” domandò il giovane, affrettandosi a entrare prima che l’ascensore partisse senza di lui o l’altro cambiasse idea.
“Verrai, ma non devi fare cazzate lì fuori. Non voglio intromissioni di sorta, azioni indipendenti o parole non necessarie. Sei ancora un maledetto novellino e per di più non hai niente che possa proteggerti a parte una pistola d’ordinanza.” ordinò il comandante. E dal suo sguardo Daniel capì che non avrebbe accettato obiezioni.
“D’accordo, signore. Resterò a portata di voce.” affermò il giovane cercando di trattenere un sorriso entusiasta.
“E ricordati che non stiamo andando a una gita scolastica. È appena morta una donna, mi aspetto che i miei detective non sorridano per cose del genere. Non essere contento di assistere a un’indagine per omicidio. Non essere contento se una persona muore. Non essere contento per le motivazioni che portano al tuo lavoro, sii contento solo se lo svolgi bene catturando i colpevoli.” puntualizzò l’uomo, uscendo subito dopo dall’ascensore che aveva raggiunto il piano terra. Il giovane non aggiunse nulla a quelle parole, in un certo senso capendo il messaggio che il comandante volesse dargli ma non credendo di meritarselo. Era contento che finalmente potesse dimostrare quanto valesse e che servissero anche tutti gli anni impiegati a studiare casi simili, non che ci fosse stata un’altra vittima.
Insoddisfatto, si morse il labbro e uscì dall’ascensore.

30 settembre ore 9:05 – attico davanti al parco della città di Rivendell
Daniel seguì il suo capo sulla scena del crimine, inquieto per trovarsi così vicino a un vero cadavere e timoroso della reazione del suo corpo. Durante il periodo come agente semplice, non gli era mai capitato di vederne uno e una parte di lui avrebbe preferito non doverlo fare mai. Il comandante, non appena arrivati, iniziò a discutere con un membro della scientifica che stava cercando all’interno della stanza una possibile arma che avrebbe potuto esportare il cuore in una maniera tanto precisa, senza però aver individuato un possibile riscontro. Daniel invece si avvicinò al corpo, interessato a guardare la vittima per vedere se qualcosa corrispondesse ai vecchi fascicoli degli omicidi degli anni passati.
“Non sembra nemmeno sia morta.” si disse tra sé osservando la donna. Sembrava come addormentata, anche se il volto pallido e quasi bluastro mostrava inevitabilmente il decesso. La cosa che più attirava l’attenzione era che il cadavere era stato magistralmente sistemato ad arte dall’assassino. La donna era, infatti, vestita in maniera elegante e ordinata, come se stesse uscendo per andare a lavoro. I capelli vaporosi erano sistemati con cura sul cuscino del letto rifatto e il volto era quasi sereno, come se non si aspettasse di venire uccisa da un momento all’altro.
Questo poteva solo voler dire che l’assassino aveva avuto notevole tempo per poter sistemare la donna in quel modo e che sicuramente era stato invitato ad entrare o che possedesse la chiave essendo quell’appartamento a prova di poteri speciali. In qualche modo però c’era qualcosa che stonava in quel posto. Non sembrava un luogo del delitto. Era tutto troppo pulito e anche se l’assassino avesse sistemato e cancellato ogni segno del suo passaggio, qualcosa sarebbe dovuta rimanere. A meno che l’omicida non fosse così calmo da riuscire a gestire tutto quello che stava passando, pulendo con cura la scena. L’unica cosa che stonava con il corpo era una lieve macchia rossa sulla parte superiore del petto sinistro. Il sangue, infatti, aveva macchiato l’abito, segno che quando la donna era stata rivestita la ferita era ancora fresca. Daniel storse le labbra a quel pensiero.
“Ti ha dato fastidio, vero?” pensò nel notare la macchia, certo che quella piccola cosa toglieva tutta l’eleganza che l’altro aveva cercato di inscenare in quel luogo.
Nonostante fosse nascosta dalla camicetta, Daniel sapeva che al di sotto dovesse esserci una ferita che dimostrava la mancanza del cuore in quel corpo. Si portò una mano alla bocca trattenendo un conato di vomito. Ora il suo corpo iniziava a reagire alla vista del cadavere. Si girò dall’altra parte e cercò di scacciare la vivida immagine nella sua mente che ritraeva con abbondanza di particolari la donna e la sua mancanza di un cuore. Il buco all’altezza del petto era ancora sanguinante e i suoi occhi, invece di essere chiusi, erano spalancati e terrorizzati. Qualcuno gli mise un braccio attorno alla spalla, distogliendolo da quella visione e facendolo voltare nella sua direzione.
“I…Ivan!” esclamò, notando il suo collega che gli sorrideva come se l’avesse appena incontrato in mezzo a una normale strada. L’uomo ricambiò lo sguardo e i suoi occhi nocciola scintillarono incontrando quelli di Daniel.
“Ehi, Dan, che sorpresa. Come hai fatto a convincere il comandante a portarti con lui?” domandò.
“Non sono affari che ti riguardano.” borbottò il giovane tornando a guardare il corpo della donna, cercando la minima cosa che non lo convincesse. Ivan non aveva proprio alcuna decenza a parlargli in quel modo di fronte a un cadavere. “E non chiamarmi Dan, sai che non lo sopporto mi si storpi il nome; soprattutto durante il lavoro.” aggiunse, continuando a osservare l’abbigliamento della vittima.
Vestiti di marca, capelli tenuti in maniera impeccabile, trucco perfetto, unghie curate, scarpe… Storse un po’ il naso. La vittima portava un paio di scarpe che non c’entravano per nulla con l’abito. Era certo che una persona che comprava simili capi avrebbe saputo come abbinare quei vestiti. Insospettito, con una mano si avvicinò al lembo del pantalone della vittima, ma una voce lo fece fermare: “La prego di indossare i guanti, agente.” comandò un uomo della scientifica, notando che stava per compiere uno dei più gravi errori nel suo mestiere.
Daniel, insultando mentalmente il fatto che avesse dimenticato una cosa così importante, afferrò i guanti che l’altro gli stava porgendo senza replicare, evitando di puntualizzare che lui non fosse più un agente, e dopo averli infilati sollevò il lembo di pantaloni che copriva le scarpe. Attaccato a esso, c’era un pelo o un capello veramente troppo corto e liscio per essere quello della donna. Finalmente la fortuna girava dalla loro parte. Prese una pinzetta, una busta e sigillò la prova trovata mettendola tra le altre. A prima vista, poteva non essere troppo importante per le indagini, la donna avrebbe potuto avere animali domestici o il capello sarebbe potuto essere stato raccolto mentre camminava, ma era pur sempre qualcosa e almeno si era reso utile.
Se il caso avesse combaciato con quelli precedenti il ritrovamento avrebbe potuto in qualche modo confermarlo. Daniel aveva qualche idea sul riscontro che avrebbe portato, anche se dentro di lui sperava di sbagliarsi. Quello che era certo e che tutti avevano capito era che la donna era stata rivestita di tutto punto. Il perché non era chiaro, ma anche questo aspetto era già comparso in casi precedenti. L’assassino sembrava essere qualcuno che progettava tutto nel minimo dettaglio, anche il ritrovamento. Sperava solo che non ci fossero altre vittime di cui ancora non sapevano nulla in giro e che quella donna fosse l’ultima di una ben più lunga serie. Si spostò dal corpo per andare a rovistare negli oggetti personali della donna. Sentì Ivan seguirlo e iniziare a parlare di un loro vecchio dissapore, ma lui non lo ascoltava, interessato più a scoprire qualcosa d’interessante per l’indagine che a risolvere vecchie battaglie di quando ancora facevano l’accademia.
Prese, sempre con i guanti, il portafoglio della vittima iniziando a guardarvi all’interno. Vi erano tre banconote di grosso taglio, due carte di credito, vari scontrini, schede e infine, un biglietto di colore viola. Poteva escludere la rapina solo guardando l’interno di quel portafoglio. La vittima conosceva il colpevole e l’aveva invitato a entrare, troppi elementi potevano dimostrarlo. C’era qualcosa dentro il portafoglio che attirò la sua attenzione. Il biglietto viola. Lo prese e lesse l’unica scritta che risaltava all’occhio su quel campo interamente monocolore, in bianco con un carattere che sembrava stranamente familiare.
“Horizon”
Quella parola e nient’altro. Girò il biglietto e vide che sull’altro lato era stampato un simbolo. Una chiave scura su sfondo bianco.
“Questo è interessante.” considerò, rivolto al biglietto.
“Non sembra nulla di che, solo un semplice biglietto.” disse Ivan facendolo tornare alla realtà. Si era completamente dimenticato che fosse ancora vicino a lui: “Sai quanti biglietti ho io nel mio portafogli?”
Ovviamente a Daniel non interessava minimamente il contenuto del portafoglio di Ivan, così lo ignorò, concentrandosi sull’oggetto: “Sembra un biglietto da visita. Dietro c’è disegnata una chiave. Potrebbe essere un posto che la vittima frequentava, magari una discoteca, oppure un bar… Potremmo dare un’occhiata e vedere se qualcuno sa qualcosa che avrebbe potuto attirare le antipatie verso questa donna. E quella chiave potrebbe darci qualche indizio in più.”
“È solo uno stupido disegno.” disse, alzando le spalle.  Prese il biglietto tra le mani e lo osservò attentamente. “Una chiave è una chiave, probabilmente si annoiava e ci ha disegnato sopra.”
“Una chiave può significare qualsiasi cosa. Inoltre, è l’unica pista utile che abbiamo. Un biglietto di un luogo chiamato “Horizon” e questo disegno dietro.” Daniel passò la mano su di esso. Era ruvido al tatto e guardandosi i palmi vide che sui polpastrelli si era depositata una leggera patina opalescente. In qualche modo gli piaceva, probabilmente era veramente una discoteca o simile.
Ivan sospirò pensando a quello che potesse essere quella chiave, ma non gli venne in mente nulla che non fosse più di una semplice chiave. Però lui non era tipo da ragionamenti deduttivi, la sua abilità con il computer avrebbe potuto risolvere ogni problema e ogni mistero, perché gli oggetti elettronici non avevano segreti per lui. Se c’era qualcosa di più di una semplice chiave in quel disegno, avrebbe scoperto tutto quello che c’era da scoprire interrogando il web.
“Farò delle ricerche per scoprire cos’è questo Horizon. Sicuramente è un locale o roba così. Vedrai che con il mio portatile ci metterò un attimo nello scoprire qualcosa.”
Ivan faceva parte della sezione informatica del dipartimento. I due si erano conosciuti in accademia, e poi si erano ritrovati a lavorare nello stesso distretto quando Daniel era stato assegnato come detective in quella città. I due giovani avevano stretto uno strano rapporto di amicizia, a Daniel Ivan non dispiaceva, ma trovava la sua esuberanza troppo fastidiosa in certi momenti, e alcune volte anche fuori luogo, inoltre, ogni volta che nominava sua sorella o lei lo chiamava al telefono, lui iniziava a fare dei commenti o insisteva per conoscerla.
Cosa che non sarebbe mai accaduta finché ci sarebbe stato lui.

30 settembre ore 15.35 – strada principale di Rivendell
“Un Night Club eh?” domandò Daniel.
“Sì. È parecchio famoso tra i signori e le signore di questa città. La clientela per la maggioranza è femminile ma ci sono un discreto numero di uomini che richiedono i loro servigi. Spesso sono ricchi figli di papà, o anziani con soldi da spendere in sesso e divertimenti. All’esterno è un semplice locale, ma nel web ho trovato informazioni interessanti sui servizi che offrono.”
Il detective sospirò portandosi una mano a scompigliare i capelli scuri, riflettendo su quanto appena appreso. Un night club con clientela sia maschile sia femminile. Non era una grande cosa su cui partire, ma almeno avevano ristretto il campo.
“Devo cercare di entrare lì dentro per indagare sui loro clienti e impiegati.” disse, prendendogli il fascicolo che gli aveva portato sul Night Club.
“Ehi, ehi, frena un attimo! La fai facile tu. Ci sono parecchie restrizioni per accedere in quel posto. Per scoprire qualcosa di più a parte l’indirizzo e di cosa si occupava ho dovuto faticare parecchio. Le informazioni non trapelano nemmeno tra le macchine… Pare che abbiano clienti parecchio importanti. Il capo non rischierà mai di mandarti lì dentro.” in realtà aveva tentato in vari modi di ottenere altre informazioni, ma niente si era sbottonato più di tanto, nemmeno il server principale lo aveva degnato di troppe attenzioni. Cosa che di solito invece non vedeva l’ora fare. Essere ignorato dalle macchine non gli piaceva neanche un po’, perché voleva dire che chi si occupava di gestirle era in grado di bloccare persino uno come lui.
“Non permetterò che qualcun altro s’intrometta in questo caso, e tu non sei un detective, ma più un tecnico, quindi non mi sembra il caso di affidare a qualcun altro la nostra scoperta, non credi?” chiese, girando tra le mani il fascicolo: “Voglio fare una semplice ricognizione. Entrare, guardare cosa combinano al loro interno, incontrare uno dei dipendenti e chiedergli qualcosa senza espormi troppo.”
Ivan sospirò, passando una mano tra i capelli: “Non ti ci vedo in un Night Club, a intrattenerti con un uomo e carpire informazioni…”
“Invece potrei sorprenderti.”
Ivan rise a quelle sue parole, non credendogli minimamente e Daniel arrossì appena, offeso per quella mancanza di fiducia da parte del collega.
“Per il pelo invece la scientifica ha già scoperto qualcosa?” domandò Ivan, cambiando discorso, cercando di far riprendere l’altro.
“No. Ci stanno lavorando, ma non sembra essere della vittima. Potrebbe essere del nostro colpevole o un qualche animale che ha incontrato in strada o da qualche amica. Fatto sta, che finché non avremo rintracciato qualcosa a riguardo, non possiamo escludere niente.”
“Ci potrebbero volere mesi… inoltre, sai meglio di me che se è un pelo di animale è una cosa del tutto inutile. Stupida tecnologia che non avanza di un singolo passo. Sembriamo ancora bloccati agli anni dell’anteguerra.” non c’era nemmeno bisogno di dirlo, Daniel capiva perfettamente quella sensazione di impotenza.
“Altro nella stanza?” aggiunse Ivan.
Daniel scosse la testa e abbassò lo sguardo sul fascicolo: “La stanza era pulita. Si sospetta che la morte della donna sia avvenuta in un altro luogo. Il capo è irritato al massimo. Da quando siamo tornati, ha bevuto cinque tazze di caffè.”
“Quindi la nostra unica pista è quel dannato posto.”
Daniel annuì e strinse la presa sul fascicolo. Non piaceva nemmeno a lui non avere niente in mano, ma quello era comunque un inizio. Probabilmente non sarebbe riuscito a convincere il suo superiore a mandarlo a indagare, ma era pur sempre qualcosa.

30 settembre ore 15.50 – strada principale di Rivendell
Un paio di occhi dorati si fissarono sul ragazzo dai capelli scuri e sul suo accompagnatore. C’era un odore strano che arrivava da loro, inoltre, qualcuno gli aveva detto che doveva guardarsi da entrambi ma l’odore di uno dei due era più pungente dell’altro e sentiva come se avesse dovuto tenerlo particolarmente d’occhio. La cosa gli sembrava strana, non l’aveva mai visto prima di allora ma sembrava a tratti familiare, come se qualcun altro che conosceva l’avesse già visto. L’odore che emanava era buono per essere un comune umano. L’olezzo che sentiva inoltre era quello di un mutante. Sputò a terra disgustato. Odiava quella razza creata dal governo; era contro natura.
Annusò l’aria cercando di tenere nelle narici solo l’odore dell’umano e sorrise continuando a osservarlo camminare, mantenendosi a una distanza che gli permetteva di seguirlo con gli occhi acuti ma purtroppo di non sentire cosa si stesse dicendo con l’altro giovane. Sembrava arrabbiato, o forse frustrato per qualcosa che non l’aveva soddisfatto.
“Puoi andare, adesso ci penso io.” al suono di quella voce, mentre si girava verso chi aveva appena parlato, la vista gli si appannò e gli sembrò perdere i sensi per un attimo.
Si svegliò nella sua stanza, accorgendosi che era passata più di un’ora. Fissò la sveglia sul comodino e sospirò, rimettendosi a sedere. Quello che era successo dopo che aveva visto il giovane era tutto confuso, come se un tir lo avesse investito. Riusciva però a ricordare la sensazione di pericolo e l’odore dei due giovani, qualcosa che sapeva di menta e un altro odore estraneo, tipo di qualche altro fiore di cui non sapeva il nome.
La porta della sua stanza si aprì e la confusione dentro di lui tornò di nuovo con un lampo argenteo.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Mash