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Autore: Springtime clouds    10/03/2019    2 recensioni
Berlino, Germania - 1961/1989.
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C'era una barriera lunga centinaia di chilometri a dividerli.
Eppure, dopo anni, nessuno di loro aveva ancora gettato la spugna.
Un giorno avrebbero superato quel muro, tagliando il limite che li divideva.
Lo avevano giurato. E avrebbero mantenuto la parola.
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Dal testo:
A John era parso di capire che a Berlino le cose non andassero bene, che i cittadini fossero arrabbiati per qualcosa. C’era qualcosa che divideva Berlino Est da Berlino Ovest, ma lui non riusciva a capire il perché. Dopotutto, era Berlino. Berlino era una sola.
Aveva sentito che sempre più gente che abitava ad Est stesse migrando ad Ovest per la ricchezza di quest’ultima e per le sue comodità.
E allora?
Cos’aveva, Berlino Est, meno di Berlino Ovest? Cos’avevano Roger e Freddie, meno di loro?
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Mercury/Deacon - May/Taylor.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Liebe Freunde – Erstes kapitel

 
 
Westberlin, Deutschland – Novembre 1971
 
“Dieci anni dalla costruzione del muro di Berlino, divisore delle due Germanie. Nessun ripensamento da parte del governo.”
Brian lesse il titolo in prima pagina, sospirò dal naso e portò il cucchiaio con la zuppa calda alle labbra, bruciandosi la lingua quando il liquido gliela sfiorò. Gemette, sbuffò e appoggiò il giornale sul tavolo, bevendo un bicchiere d’acqua. Dieci anni. Erano dieci anni che non vedeva Roger e Freddie. Quasi non ci credeva, gli era praticamente impossibile anche solo pensarci e realizzare. Afferrò il giornale e si alzò dalla sedia, si diresse verso il cestino della spazzatura, gettò i fogli di carta sbuffando e, tornando a sedersi, si prese la testa tra le mani. Né lui né John sapevano come i loro amici fossero diventati. Non riuscivano neanche ad immaginare come potesse essere il loro aspetto fisico, né quello caratteriale.
Gli era impossibile pensare che Freddie avesse venticinque anni e Roger ventidue. Ogni giorno si ritrovava a chiedersi se i due ragazzi fossero ancora legati, se fossero innamorati, se avessero una ragazza, se stessero studiando. Ogni giorno si chiedeva se Freddie fosse sempre il ragazzo eccentrico e sicuro di sé (anche troppo) che era da bambino, se avesse realizzato il suo desiderio di incontrare Aretha Franklin. Ogni giorno si chiedeva se Roger avesse ancora quella luce nei grandi occhi azzurri, quell’entusiasmo da bambino e quell’energia. Si chiedeva se fosse diventato finalmente un batterista.
Roger gli mancava da togliergli il fiato. Soffriva terribilmente anche l’assenza di Freddie, ovviamente, ma lui aveva sempre saputo, da quando aveva appena dodici anni e se n’era accorto per la prima volta, che il rapporto che aveva con il ragazzo ariano fosse qualcosa di molto più forte. E si odiava, per tutto ciò. Solo che più riceveva lettere da parte di Roger, più i suoi dubbi aumentavano e più sentiva la sua mancanza.
Roger.
- Bri. – la voce di John gli giunse alle spalle e lui si voltò verso l’amico, che era in pigiama.
- Sì?
Vide il ragazzo più giovane porgergli una busta da lettera che lo fece scattare in piedi e gli fece illuminare gli occhi. – Sono Fred e Roger?
- Sì. E’ arrivata ieri. Tu eri in laboratorio, non l’ho voluta aprire da solo. Perciò ti ho aspettato.
Brian sentì il cuore sciogliersi. Sorrise, grato all’amico. - Grazie, Deaks.
- Figurati. – il ragazzo si sedette accanto a lui. – Che aspetti ad aprirla?
Le mani di Brian tremavano. Non ricevevano lettere da parte loro da mesi e stavano iniziando a credere che avessero gettato la spugna, dopo nove anni passati a scriversi senza sentirsi né vedersi. Con il cuore che batteva forte il ragazzo strappò la busta, tirando fuori ciò che ne era all’interno.
Guardò John, che gli si era avvicinato e aveva preso la lettera tra le mani. La grafia di Freddie era impossibile da confondere, disordinata e tondeggiante.
“Liebe Freunde,
Ci perdonerete per il ritardo, spero! Chiediamo umilmente venia, ma quell’essere idiota chiamato Roger Taylor ha sempre qualche ragazza con cui farsela e non trova mai tempo per dei buoni e vecchi amici!”
A Brian venne da ridere e allo stesso tempo sentì una punta di amarezza fargli un po’ male.
“Ad ogni modo, vogliamo farvi sapere che siamo sempre qui. Mica spariamo, che pensate? Abbiamo ricevuto le vostre lettere sdolcinate e smielate, amori miei. Vi voglio bene, per questo!
Roger ha appena urlato: - Anche io voglio bene a loro, cretino! Non prenderti tutti i meriti!
Ho scritto la frase che mi ha detto e ha strillato di nuovo. Questa volta ha detto: - Non scrivere così, idiota! – insulti annessi.
Per raccontarvi cosa sia successo in questi due mesi, abbiamo avuto molto da fare! Roger è molto occupato con gli studi di biologia e con la sua band ed io sto mettendo su piccoli concerti con un gruppo Gospel qui e là per Berlino Est. Mi faccio chiamare Freddie Mercury, ora.
- Sei pieno di te! – mi ha gridato Roger.
- Stai zitto! – gli ho detto io.
Roger dice che vi vuole bene. E ve ne voglio anch’io!
- Fred e Roger.”
A John scappò un sorriso sincero. Quelle lettere gli erano mancate, sebbene non le avessero ricevute per poco tempo. Era un modo per ingannare la mancanza soffocante che li legava, che staccava tutti e quattro. Era incredibile come la loro amicizia fosse rimasta così unita nonostante quel muro che li separava e al più piccolo del gruppo ciò scaldava il cuore.
Solo che John avrebbe voluto sentire di nuovo Freddie cantare. Tempo prima, quando ancora Berlino era unita, senza divisioni di alcun tipo, lui ricordava che quando non riusciva a dormire Freddie gli cantava le ninna nanne, canzoni che sarebbero dovute essere Rock ‘n Roll assumevano una melodia dolce e rasserenante, che portava John al sonno e gli permetteva di riposare tranquillo.
La voce di Freddie era la più bella che avesse mai sentito, anche se ancora bambina e acerba. Avrebbe voluto sentire un concerto del ragazzo.
Vide Brian piegare la lettera e metterla nel cofanetto in cui tenevano tutte le altre. Lo vide tirare su col naso e scrollare le spalle. Gli accarezzò un braccio. – Tutto bene, Bri?
- Sì.
- Ti va se scriviamo qualcosa anche noi? – propose il minore. L’inglese arricciò le labbra e puntò lo sguardo sul muro. – Non credo sia tanto il momento.
- Perché no?
- Perché ho bisogno di riflettere.
 
 
Ostberlin.
 
Quando Roger tornò a casa verso l’una stringendo la chitarra acustica sulla spalla, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare sua madre, Clare e suo padre. Entrò quasi in punta di piedi, era stanchissimo e stava cercando in tutti i modi di restare in equilibrio per non collassare per terra dal sonno. Accese la luce nel corridoio per riuscire a vedere qualcosa, e quando si voltò verso la cucina, che era appena alla sua destra, per poco non gli venne un infarto.
- Alla buon’ora, Roger.
Freddie era seduto a braccia incrociate davanti al tavolo della stanza, aveva un occhio mezzo chiuso e lo fissava nella fioca luce risultando leggermente inquietante agli occhi del povero Roger.
- Fred, ma sei impazzito? – sussurrò, accendendo la luce in cucina e chiudendo la porta. – Che cazzo ci fai in casa mia, a quest’ora?
- Sono entrato dalla finestra.
- Tu sei fulminato.
- Io sono il tuo migliore amico, ti ho visto nascere. Entro ed esco quando mi pare. Non sai cosa ho dovuto fare per riuscire a entrare! – iniziò a gesticolare. – Prima mi sono svegliato, verso mezzanotte. Era tutto buio e sono caduto dal letto a castello, ho svegliato mio padre e Kash e ho battuto la schiena. Ho anche sbattuto l’occhio contro lo spigolo del comodino! Mio padre è venuto da me e mi ha detto “Farrokh, tu sei da ricovero!”, e come dargli torto! – fece una pausa per respirare. – Poi è tornato a letto e mi è parso di sentire mia sorella bestemmiare. Sta di fatto che quando si sono addormentati ho spalancato la finestra. Faceva un freddo! Menomale che abito a piano terra, altrimenti sarei morto. Mentre cercavo di salire da te sono caduto e mi sono slogato una caviglia.
Roger lo stava guardando come si guarda un cane che ha appena iniziato a parlare. – Come hai fatto ad entrare?
Il bruno alzò le spalle. – Mi ha aperto tua madre, alla fine. Dalla finestra, però mi ha aperto lei.
- Ma tu non stai bene. – il tono del tedesco era praticamente disperato.
- Cioè, vorresti dirmi che dopo che mi sono quasi ucciso per venire a farti una sorpresina, tu mi insulti anche?
- Non è una sorpresina se quando dopo un concerto entro in casa e ti vedo nella mia fottuta cucina!
- C’è chi darebbe oro per stare nella stessa stanza con Freddie Mercury.  
Roger respirò profondamente. – Punto primo: tu non ti chiami Mercury. Secondo, ricordami perché sono tuo amico.
- Perché mi vuoi bene.
- Ma non essere ridicolo. Mi dici perché sei qui?
- Perché so che tu hai la mia chitarra.
Il giovane Taylor spalancò gli occhi e nascose la chitarra il più possibile dietro alla schiena. – No, non è vero.
Freddie aggrottò la fronte. – Ma sei coglione? Guarda che ti ho visto entrare con quella cosa.
- Tu sei entrato in casa mia!
- E tu mi hai rubato la chitarra, tesoro.
- Non è colpa mia se hai la testa tra le nuvole.
- Dammi la chitarra.
- Non ti darò la chitarra.
- Bene, allora non mi lasci scelta. – Freddie si alzò, camminò fino ad uscire dalla cucina e filò nella stanza di Roger, che spalancò gli occhi quando lo vide sparire. – Farrokh! – l’urlo sussurrato nemmeno giunse alle orecchie del maggiore.
- Che cazzo fai?! – sussurrò di nuovo il povero Roger, seguendolo. Lo vide rannicchiato nel suo letto, sotto le coperte. Sospirò dal naso. – E questo che significherebbe?
- Significa che finché non mi ridarai la chitarra, io resterò qui.
- Ascolta, francamente non ho nessuna volta di picchiarti, al momento. Quindi vedi di levarti dai coglioni o sveglio mia madre.
Freddie alzò le spalle. – E quindi? Quel tesoro di Winnie mi ama.
- Non se ti infili in casa mia all’una di notte!
- Devo ricordarti chi mi ha fatto entrare?
A Roger venne da piangere. – Oh Signore. Tu e quella donna mi detestate.
- Secondo te, è arrivata la lettera?
Il tedesco sospirò dal naso e scrollò le spalle, si sedette accanto all’amico e si prese la testa tra le mani. – Considerando che l’abbiamo spedita praticamente un mese fa, spero di sì.
Freddie sorrise, fece spazio a Roger che s’infilò nel letto accanto a lui. – Ricordi quando giocavamo al fiume?
- Non tirare di nuovo fuori la storia della rana.
Al più grande scappò una risatina. Quando Roger aveva nove anni e lui dodici, erano andati con Brian e John a fare una passeggiata lungo la Spree, il fiume vicino al Reichstag. Ad un certo punto si erano fermati e si erano seduti con le gambe a ciondoloni per mangiare i panini che avevano portato. Brian aveva preso in mano una ranocchia che saltellava per il marciapiede, aveva sorriso e le aveva fatto una piccola carezza sulla testa con l’indice. Freddie aveva storto il labbro, disgustato, mentre John si allungava per guardare la rana. Sebbene a Freddie l’animaletto non stesse esattamente simpatico, si era contenuto al meglio. Roger, d’altra parte, era scattato in piedi e si era allontanato. E, ovviamente, Brian se n’era accorto. Il riccio aveva sorriso sornione, prima di alzarsi e avvicinarsi con il piccolo rettile tra le mani al povero ragazzino tedesco. Roger, dal canto suo, aveva iniziato ad urlare e indietreggiare. E poi era successo l’inevitabile.
La ranocchia aveva fatto un bel salto, gli era finita sul viso facendolo cadere in acqua. Il ragazzino era tornato a casa bagnato fradicio, non avendo altri vestiti e di conseguenza un modo per cambiarsi. Freddie e John se la ridevano di gusto mentre Brian si sentiva terribilmente in colpa.
- No, macché. Mica ti ricorderò di quell’esperienza imbarazzante successa tredici anni fa in cui sembrava ti fossi fatto una doccia coi vestiti e tutti ti guardavano male. – disse Freddie, facendo alzare a Roger gli occhi al cielo. – Sei così esilarante che mi verrebbe voglia di dar fuoco alle mie cellule nervose.
- Questa non l’avevo mai sentita.
- Brian era proprio una testa di cazzo quando era piccolo. – gli scappò un sorriso.
- Secondo me lo è tutt’ora.
Roger storse il labbro. – Ho i miei dubbi. In ogni lettera che spedisce non fa altro che parlare di quanto lui stia studiando.
- Non è vero.
- Sì, lo è.
- Perché mi contraddici solo per il gusto di farlo?
- Perché è divertente.
- Vedrai come riderai quando ti prenderò a sberle.
- Fred.
- Sì?
- Esci da casa mia.
Roger non ricevette risposta. Si girò verso l’amico e vide i suoi occhi chiusi. Sbuffò pesantemente. – Fred, e che cazzo!
- Zitto, non vedi che sto dormendo?
Il biondo strinse i denti e ringhiò, girandosi dall’altro lato e coprendosi fino alla fronte con la trapunta. – Me la pagherai.
- Buonanotte, Roggie caro.
 
 
Westberlin.
 
- Riflettere su cosa? – domandò John, appoggiandosi alla porta. Brian scosse la testa. – Nulla d’importante.
- Se non è nulla d’importante, allora sarai completamente capace di scrivere una lettera, giusto?
- Potremmo, solo, non parlarne? – sospirò il più grande. Il ragazzo dagli occhi verdi alzò le spalle. – Io mi preoccupo per te come tu lo fai per me, Bri. Siamo amici. Siamo quasi fratelli. Viviamo nella stessa casa e ci siamo sempre detti tutto.
- Ma io non ho nulla da dire.
- Sì, certo. Guarda che ti conosco, fai così solo quando qualcosa ti turba o quando qualcuno ti mette della carne sotto al naso.
- John, è solo che… Ho tanta paura. – Brian lasciò sfuggire quelle parole e buttò giù le spalle. Il più piccolo abbassò gli occhi ed espirò. Incrociò le braccia al petto. – Il motivo è lo stesso di sempre?
- Roger sarà il primo a gettare la spugna. Forse l’ha già fatto.
John aggrottò la fronte. – Ma che stai dicendo?
- E’ evidente, Deaky. – sospirò il maggiore. – Si nota anche dalle lettere.
- Quella lettera non aveva nulla di strano.
- Oh, ma andiamo. – Brian si passò una mano sulla fronte. – Avrà suggerito due parole.
- E’ sempre stato fatto così, Bri. Anche da bambino.
- Prima scriveva tante di quelle lettere.
- Sta frequentando l’Università.
- Anche io la sto frequentando. Anche tu, anche Freddie.
John sbuffò. – Vuoi piantarla di essere così paranoico, per una volta? Roger si starà facendo i cazzi suoi. La sua situazione non è delle migliori e lo sai meglio di me. Non è come noi ragazzetti viziati che vivono ad Ovest, che pensano che tutto sia dovuto. Si fa il culo ogni giorno per portare avanti la sua famiglia e se stesso.
Brian deglutì. John aveva ragione. Si sentiva un egoista, ma che poteva farci? Nulla. Forse voleva solo avere delle certezze, forse aveva semplicemente bisogno di sentire vicino Roger, almeno con la mente e col cuore. Sospirò. – Scusami, John.
- Perché ti stai scusando?
- Ti dimostro ogni giorno di più quanto io sia immaturo e stupido.
John non ce la faceva più. Il suo amico era solito ad autocommiserarsi e fare considerazioni su se stesso di quel tipo. E a lui la cosa dava abbastanza sui nervi.
- La vuoi finire o no? – sbuffò.
- Deaky, io penso mi piaccia.
- Chi?
- Roger.
- E la novità sarebbe…?
Brian batté un paio di volte le ciglia. Non glielo aveva mai detto, nemmeno minimamente accennato. Aveva sempre avuto paura di quella che sarebbe potuta essere la reazione del suo amico, si era fatto tante di quelle paranoie che non gli avevano permesso nemmeno di essere sincero con John. Quella risposta lo aveva spiazzato tanto da non fargli trovare le parole. – Lo sapevi?
John alzò le sopracciglia. – Tu ti rendi conto del fatto che parli in continuazione di Roger? E del fatto che quando lo fai ti mangi le unghie?
Brian si guardò le dita della mano. – Io... Non credevo che…
- L’unica cosa che mi chiedo. – lo interruppe John. – E’ perché tu non me lo abbia mai detto.
- Credevo mi avresti mandato via.
- Sì, e con chi è che divido l’affitto? Con il basso?
Brian trattenne il respiro. – Cosa?
John alzò gli occhi al cielo. – Bri, tu sei tanto intelligente, ma certe volte sei veramente lento di comprendonio. Stavo scherzando. E tu sei un cretino a pensare che ti avrei cacciato. Non siamo mica nell’ottocento.
- Sì, ma…
- Ho cercato più volte di farti capire che ti avrei accettato. – il ragazzo sospirò e chiuse una mano di Brian nella sua. – Solo che tu non hai mai capito. Forse non hai voluto capire.
- Sono davanti ad un muro. In ogni senso.
- Cosa intendi?
- In quale dei sensi vuoi saperlo?
John roteò gli occhi nelle orbite. – Non in quello letterale.
- Nel senso che… - sospirò. – Andiamo, John. E’ etero. E’ lontanissimo e non sento la sua voce da anni. Non l’ho visto crescere e non so come possa essere diventato, lo capisci?
Brian immaginava molto spesso l’aspetto del ragazzo biondo. Da bambino era bellissimo, con gli occhi grandi e azzurri, i capelli biondi. E probabilmente era ancora più bello, ora che era un giovane uomo.
Lo immaginava alto e forte, dai capelli biondi sistemati in un taglio corto e i lineamenti definiti e decisi.
Non poteva certo immaginarsi il ragazzo magrolino dagli occhi da bambino e i lunghi capelli che gli arrivavano alle spalle che era realmente diventato Roger.
Ma qualsiasi aspetto avesse avuto, Brian avrebbe continuato a provare emozioni talmente forti da fargli battere velocemente il cuore. Dopotutto, se quelle sensazioni le provava anche senza vederlo, sicuramente non sarebbero state da meno se avesse avuto l’occasione di guardarlo.
- Mi spiace per aver dubitato di te. – sospirò il più grande. John alzò le spalle. – Capisco le tue preoccupazioni. Però promettimi che appena avrai qualcosa per la testa me ne parlerai.
Brian sorrise. – Sicuro. 





Note dell'autrice:
Ciao a tutti! Voglio ringraziarvi per le recensioni che mi avete lasciato sotto al prologo, mi scuso se non sono riuscita a rispondere a tutti. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, se avete bisogno di chiarimenti chiedetemeli pure nelle recensioni. Lasciatemene qualcuna, se vi va!
Auf Wiedersehen,
- Springtime.


 
   
 
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