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Autore: Ellie_x3    10/03/2019    9 recensioni
Aveva sperimentato un tipo ben diverso d'amore, lui, un sentimento crudele e meschino che non faceva altro che male.
Tagliava in profondità le membra di un uomo, recidendo i muscoli, non lasciando altro che languore, scavando nelle ossa fino a prosciugare qualsiasi ricordo dell'essere umano che era stato in passato. Il sentimento mostrato da Alain aveva in sé la dolce sfrontatezza dell'attrazione: inequivocabile, sì, ma di gran lunga meno disperato e violento di ciò che provava Rossignol.
Magari, si disse, non esistono tipo diversi d'amore, ma solo uomini che lo vivono diversamente.
Forse Rossignol stava mentendo e non era affatto amore quello che provava per Alain, ma una cosa era certa: Alain era innamorato di lui.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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III

 

 

"Quel giovane sarebbe un grazioso elemento nel nostro piccolo circolo di gioco, Votre Majesté, se mi permettete di suggerirvelo."
“Non potrei dirmi più d'accordo, Yolande, credetemi. Il ragazzo ha un innato savoir faire."
“Ed è divertente.”
“Indubbiamente, molto divertente.”
Rossignol strinse i pugni.
Nascosto dietro una tenda, intrappolato in un gioco che non si sarebbe mai aspettato potesse ritorcersi contro di lui, era costretto ad essere ignaro testimone dei pettegolezzi su di sé: com'era piccola Versailles, che pure sembrava tanto grande. In un modo o nell'altro si finiva sempre imprigionati nell'angolo sbagliato al momento sbagliato. Non poteva palesare la propria presenza, ma se si fosse tappato le orecchie la curiosità l’avrebbe divorato nonostante sentisse le risate e avrebbe desiderato esser sordo.
Per quanto fosse stato trattato da tutti con inaspettata indulgenza, Rossignol non riusciva ad ignorare la pesantezza di quei commenti, che lo facevano sembrare un idiota. Tali definizione mai gli aveva recato fastidio alcuno, prima, ma non poteva non chiedersi quando Marie Antoinette si sarebbe stancata del nuovo giullare — perché era così che lo faceva sembrare. Un folle.
Ora si divertivano alle sue spalle, ne chiacchieravano, ma cosa avrebbero detto dell'intercorso con un principe di loro conoscenza?
Ne avrebbero riso? Avrebbero provato disgusto?
Improvvisamente, con un brivido gelido lungo la schiena, Rossignol si trovò davanti all'immensità del rischio corso appena qualche sera prima; allora il gioco del Principe T. non era sembrato così folle, né pericoloso, solo offensivo. In quel momento, però, lo vide per quello che era: qualcosa la cui influenza, se si fosse saputo, non era certo di poter controllare.
“Comunque, Rossignol è molto piacevole; e ben educato, per mia grande sorpresa.”
"Yolande, voi parlate con un cuore di madre. Ha pressappoco l'età di vostra figlia, non è vero?"
La duchessa di Polignac diede in una risata argentina; non le si poteva dare più di vent'anni, con quella gioia di vivere e la voce sottile, ma sotto quell’aria da ragazzina languiva una donna che aveva superato già da molto la soglia della maturità.
"Credo di sì, anche se non saprei dire con certezza.” la donna si interruppe un istante, prima di continuare, “la verità è, credetemi, che lascerei a malincuore la mia Aglaé nelle sue mani."
"Perdonate la scortesia, madame, ma mi offro volentieri al posto di vostra figlia." commentò qualcuna, suscitando un moto d'ilarità generale che fece arrossire d'imbarazzo Rossignol, “dicono sia molto abile."
"Abile?"
"Oh, non fingetevi innocente, marchesa…"
"Ad ogni modo, bello lo è di certo."
"Senza dubbio,” concordò la regina.
Rossignol si morse le labbra, tremante nel suo nascondiglio dietro la porta ornata di specchi. Poter origliare i discorsi di quel gruppetto di donne che pensavano di essere in intimità non gli dava, per la primissima volta, alcun piacere. Si sentiva di troppo: un animale del serraglio regale, un nuovo cagnolino. Quando avrebbero cominciato a scegliere per lui collarini e gioielli, quando l'avrebbero nutrito da piattini sul pavimento e da ciotole di diamanti? Quando, prima che qualcuno spargesse voci su tendenze incresciose, che mai prima gli erano appartenute? Per quanto tempo sarebbe durata, prima di stancarsi inevitabilmente e scegliere un altro fanciullo o fanciulla con cui baloccarsi.
Sentirle parlare era un tormento. Come gli era venuto in mente di giocare con i bambini a nascondino? Forse era stata l'insistenza di Antoinette, esuberante nonostante l'età adulta, o forse era il potere degli occhi della giovane Maria Teresa, limpidi e vasti specchi color delle viole; nessun altro, in Francia, aveva occhi così magnetici. La principessa era d'una bellezza stupefacente ed il principe prometteva d'essere altrettanto grazioso -- fragile, sì, ma ciò non faceva altro che renderlo una creatura d'inaspettata purezza agli occhi degli adulti.
Come cristallo, vi si poteva guardare attraverso.
Il gioco del re e della principessa, che tanto piaceva ai bambini di corte, vedeva Rossignol come il fiero cavaliere che proteggeva la corona da tutti i mali. Con l'eccezione, e qui andava plaudita la fantasia della giovane Maria Teresa, che il cavaliere era un gran fifone che soleva nascondersi nei luoghi più improbabili lasciando alla bambina il gramo compito di scovarlo: solo allora il cavaliere tornava valoroso e andava a procacciare dolcetti, giocattoli e animali da cortile che facevano impazzire i domestici. La coppia reale guardava con magnanimità ai passatempi dei figli, sebbene Charles avesse formalmente il suo palazzo personale a cui badare, e non mancava di ammirare Rossignol per la sua pazienza.
Certo, in quei giorni il ragazzo detestava con tutto il cuore il ruolo di balia.
Poteva essere a rincorrere il principe T., con le sue sciocchezze e le sue prediche, fino a farlo impazzire; provava una sorta d’urgenza, quando pensava di poterlo vedere di nuovo, di discutere con lui di ciò che era successo.
Credeva che sarebbe stato facile seppellire l'onta subita, ma si era riscoperto a pensare a quella bizzarra confessione più spesso di quanto avrebbe voluto. Dopotutto, forse, non era davvero offeso come aveva creduto — e, non meno importante, come aveva voluto far credere. Insomma, avrebbe potuto confezionare torture su misura per l’animo del principe fino a farlo capitolare, in qualsiasi modo, perché sembrava un passatempo divertente e invece si trovava impegolato con una graziosa copia in miniatura della regina Antoinette ed il suo timido fratello.
Per sua sfortuna, Antoinette amava vedere Rossignol giocare con i figli: credeva, a dispetto delle voci che non mancavano mai di biasimarla (tra le quali Rossignol stesso), che il giovane avesse un ottimo influsso sui bambini. Ciò non bastava, tuttavia, a mettere un freno alle lingue delle madri
"Dicono che i suoi genitori lo detestino. Sapete, per via della reputazione."
"Ah, à la merde la reputazione." fu il sospiro di una, lasciato sfuggire con estrema naturalezza nonostante il linguaggio.
“Madame, contenetevi! Vi sembra forse di stare in una bettola?”
"Mon Dieu, no," la donna sembrava colpita dal rimbrotto, come se la stupisse, “majestè, sapete che non volevo offendervi. Dico solo che Rossignol è molto bello e che, con quel viso, sua madre farebbe più mostra d'intelligenza a tenerselo stretto."

Ho fratelli più degni dell'amore di una madre, pensò con asprezza Rossignol, ed una sorella che sta per regalarle una nipote.

Questo non potevano saperlo quelle signore, naturalmente, dal momento che non si erano prese il disturbo di esplorare il suo retaggio. Non che i suoi fratelli lo tenessero in gran considerazione, dopotutto, e Josephine tornava a stento nella casa materna. Trophine, la sorella più giovane, a malapena aveva avuto un assaggio del mondo; avrebbe potuto essere bella quanto la principessa e altrettanto vivace, ma la malattia aveva stroncato quell'amicizia possibile prima ancora che Rossignol avesse avuto il tempo di pensarci.
"Trovato!" strillò Maria Teresa all'improvviso, sollevando la tenda dietro la quale si nascondeva il giovane. Aveva le gote arrossate e gli occhi che brillavano di gioia "Vi ho trovato, chevalier!"
Rossignol sorrise, chinandosi per accarezzarle i boccoli biondi.
"Siete stata bravissima, ma princesse" l'elogiò, ricambiato da gridolini di contentezza.
Finse di non udire i commenti dall'altra stanza (“Oh, cielo! E' stato qui tutto il tempo?”), tuttavia non poté non risentirsene e chiedersi se, dopotutto, quelle donne non avessero paura del danno che poteva arrecar loro.
Una fortuna, per loro, che avesse di meglio a cui pensare che agli intrighi da romanzo.
"Chevalier, dov'è il re?" lo apostrofò la bambina, in tono autoritario, e il ragazzo trattenne a stento una risata.
"Magari si trova con la regina madre. Volete andare a vedere?" propose, con quella voce che si usa solitamente per essere cospiratori ma che, con i bambini, acquisisce tutto un altro significato.
Maria Teresa ne fu entusiasta e con un minuscolo saltello prese la mano di Rossignol. Solitamente non le era permesso di saltare e correre, ma sotto la supervisione del giovane conte le erano concesse follie inimmaginabili per una principessa reale.
D'altra parte, lui ricordava con affetto i momenti in cui i suoi fratelli lo avevano trattato con la stessa dolcezza; c'erano stati giorni in cui Guy l'aveva lasciato giocare con i suoi figli più piccoli, che lo chiamavano “zio” e lo abbracciavano nel mezzo di un giardino dove nessuna offesa era ancora stata arrecata né immaginata. Quei giorni erano lontani, e molti di quei bambini dormivano in piccole bare di legno, stroncati come giovani rami. Guy era salpato oltre il mare, portandosi dietro chi era rimasto, per servire il re e le colonie.
Nulla era più come un tempo, se non la tenerezza di una mano di bambina che stringeva quella di Rossignol.
"Accompagnatemi da maman." gli ordinò la principessa, stringendosi al suo fianco.
Rossignol annuì, già pensando a come accomiatarsi dalla regina per pensare ad un piano riguardo T.
"Andiamo da vostra madre, altezza." acconsentì, con un profondo inchino.
Con questo, il giovane metteva fine ai giochi; sentiva di non poter sopportare oltre il peso delle parole che aveva ascoltato.

Una volta riconsegnati i principi in mani più esperte, compito quantomai difficile da portare a termine in breve tempo senza risultare poco socievole e mantenendo un comportamento dignitoso, spronò un cavallo alla volta di Parigi.

 

#

 

Rossignol andava disperatamente alla ricerca di respiro. Voleva tornare a vedere e sentire come un essere umano, mentre temeva d'essersi tramutato in pesce; galleggiava sotto il pelo dell'acqua ma non aveva alcunché per trovare sollievo. Né branchie per vivere, né pinne per salvarsi.
Madame Dorianne era la pescatrice cui si rivolgeva quando si sentiva snaturato.

Quando si presentò alla sua porta, gettando con disinvoltura un Luigi d'oro in mano ad una cameriera, Madame Dorianne lo accolse in nulla al di fuori di una veste da camera. A parte il delicatissimo lino che le sfiorava i fianchi floridi ed i seni a malapena coperti dal velo della stoffa, era armata solo del proprio fascino.
“Rossignol, mon petit,” lo salutò poggiandosi al corrimano in marmo del suo salone. Sembrava un fantasma mentre si sporgeva dall'alto, graziosamente ricurva sulla balaustra.
"Madame."
“Che piacevole sorpresa. Cosa vi porta in casa mia così presto? Non è neppure ora di cena.”
Lui lasciò che i domestici gli togliessero giacca e cappello. Respirava affannosamente e gli bruciava il petto, ma in qualche modo sentiva che lei poteva riportarlo sulla terraferma. Si fidava di lei come d'una madre; era una peccatrice che non gli nascondeva nulla, che lo aveva istruito al prezzo d'una notte, che l’aveva preso sotto la sua ala protettrice quando nessun altro avrebbe voluto. Senza di lei si sarebbe sentito perso.
“Non chiedetemi,” le ordinò, allentandosi il cravattino. Saltava i gradini a due a due, febbricitante e impaziente e fuori di sé -ma lei non ne era affatto spaventata. No, pareva compiaciuta. “Mostratemi la via per il vostro letto.”
La conosceva ormai a memoria, a dire il vero, ma essere invitato era sempre più piacevole che conquistare.
Madame Dorianne era davvero la panacea di tutti i mali.
Forse, pensò più tardi, forse è la risposta anche all'infatuazione del Principe T.

 

#

 

“Lasciate che vi dia un consiglio da amico. Da uomo assennato a uomo assennato, se volete.”
Alain rivolse al compagno un ghigno, incurante dell’ondeggiare della cavalcatura che arrancava sul sentiero assolato e del forte dolore alle anche che gli procurava. D’Artois, disinvolto sulla sua solita cavalla baia, sembrava nato per cavalcare per ore e parlava gesticolando, con solo una mano fissa sulle redini di pelle: non uno scossone lo faceva vacillare e si muoveva con grazia e forza. Alain, da parte sua, avrebbe voluto urlare dal dolore.
Se già il bruciore alle cosce non fosse stato insopportabile, si era aggiunto l'imbarazzante incontro con uno degli stallieri alla seconda scuderia: piuttosto che riconoscere il rossore sul viso del giovane ed i suoi boccoli ramati avrebbe preferito morire. Fortunatamente il ragazzo non si era compromesso, anche se certamente d'Artois non era così sciocco da ignorare il suo incedere goffo, anche se non si sentiva per niente in colpa. Con un tale inizio di giornata, non era affatto dell'umore di ascoltare prediche.
“Siete sempre stato generoso a dispensare consigli.” Rilanciò, invece, scoccando un’occhiata a d’Artois, “ma poco incline a seguirli voi stesso.”
“E' questo che ci rende uomini, se dite. Viviamo di consigli che diamo ad altri e che dovremmo rivolgere a noi stessi ma che siamo troppo ingenui per seguire. Crediamo di far sempre meglio degli altri, voi non trovate?”
Alain annuì, aggrottando la fronte.
Il conte d'Artois era un cocciuto, perciò il motivo per cui aveva accettato di cambiare discorso tanto facilmente non poteva che insospettirlo. Tuttavia parlava troppo bene per poter dissentire, e non c'era modo di scampare alla conversazione.
“Giusto.”
“Mentre in realtà pecchiamo quanto e più degli altri.”
“Giusto di nuovo, ma non capisco dove volete arrivare.”
Il bel viso del conte s'adombrò, ma non azzardò una risposta; tirò le redini verso di sé, in modo così leggero che la cavalla arretrò d'un passo e incespicò, non comprendendo l'ordine che le veniva imposto. Alain non potè far altro che seguire il suo esempio e rallentare, ma la domanda rimaneva valida.
“Rossignol.” rispose il conte, cupamente.
Ah.
Ad Alain, che tanto aveva voluto piangere dal dolore fino a quel momento, scappò una risata di cuore. Ecco che, senza volerlo, il cherubino si prendeva nuovamente gioco di lui; stava diventando un vizio del giovane Rossignol farsi beffe dell'onore altrui, che fosse presente in carne ed ossa o meno, e che vittima si stava rivelando Alain! Un vero martire. Naturalmente, d'Artois sapeva prendere quella reazione quantomai spontanea come quello che in realtà era, sotto la maschera dell'ilarità: una confessione bell'e buona.
Non che si fosse mai aspettato qualcosa di diverso: Rossignol ostentava la grazia e l'innocenza di Giulietta ma, sotto sotto, sapevano tutti che era solo scena. Una Elizabeth Barry qualsiasi sarebbe inorridita al confronto, dacché Rossignol era di gran lunga più fanciulla e più attrice di lei. Il mondo era il suo palco.
Allo stesso tempo, però, emergeva sempre oltre il ruolo che interpretava. Che fosse Charlotte la campagnola in visita o il giovane protetto di D'Artois, faceva capolino una personalità distinta, maliziosa, fugace eppure presente.
Per questo Alain non si prese il disturbo di negare: nessuno l'avrebbe mai fatto e sarebbe stato sciocco. Certe inclinazioni, soprattutto se condivise dall'intera corte, risultavano troppo evidenti per essere nascoste.
“Cosa posso fare, se dite?” replicò, invece, con una scrollata di spalle, “sono perso. Rossignol è il più bello fra gli angeli e voi ora mi mettete in guardia nei suoi confronti: avete fatto lo stesso discorso a vostra cognata? E alle sue dame? Via, conte, non sono certo solo in questa trappola.”
D'Artois inarcò un sopracciglio.
Cercare di mettere in guardia il palazzo intero dalla malia di Rossignol era un'impresa di cui non si sarebbe mai voluto sobbarcare la responsabilità, nonostante a volte si fosse pentito di aver avvicinato qualcuno che gioiva dell'ammirazione altrui senza immaginare di poter suscitare la più passionale dedizione. Raccoglieva un quarto di ciò che realmente seminava, già distratto da chissà che novità mondana, e D'Artois si sentiva quasi in dovere di arginare i molti danni del suo protetto.
“Nessuna trappola è mai stata programmata, duca,” disse, avendo cura di soppesare bene le parole, “il ragazzo è incosciente del proprio fascino, per quanto possa sembrare strano. Non immagina neanche di poter suscitare quel genere di attenzione, non da parte vostra.”
“L'avevo immaginato. Mi è parso troppo—”
“Disinvolto?
“Incosciente,” lo corresse Alain.
“Bene. Guardatevi da lui, Alain, e vi confesso che mi trovo in imbarazzo a dirlo a voi che reputo un uomo assennato. Ho la sensazione di averlo già detto a qualcuno...”
“Su, non cambiate discorso adesso.”
“Scusatemi, avete ragione. Parlare di questi affari non mi piace, ma sento di dovervelo dire: la tentazione, lo dico per esperienza, si combatte solo cedendovi. Rossignol può distruggere tutto ciò che siete senza accorgersene, ma solo se glielo permetterete. E, in fede, una notte per togliersi una fissa non ha mai ucciso un uomo.”
Alain sollevò un sopracciglio, incerto sull'esattezza delle proprie deduzioni. Il suo compagno parlava per indovinelli nonostante non fosse certo conosciuto per la timidezza, al contrario, ma in quel discorso c'era più che mai bisogno di chiarezza. Rischiava di offendere qualcuno e una tale eventualità poteva ricondurlo a Ort-sur-Mer senza tanti preamboli, tanto più che Rossignol era entrato da poco nella cerchia più intima della Regina: tutti sapevano che era lei a gestire le questioni di palazzo, dal momento che Louis Auguste amava per lo più l'isolamento nelle sue officine e fonderie.
Mostrarsi imprudente, o addirittura irrispettoso, nei confronti di Rossignol era un rischio inaccettabile: se la regina l'avesse scoperto o se il ragazzo si fosse deciso, nell'eventualità, a lagnarsene con lei...
Non desiderando ancora tornare a casa dalla madre, ad Alain si richiedeva la massima prudenza.
“Ditemi cosa devo fare, d'Artois.”
“Scrivetegli.” rispose il conte, con dolcezza, “liberate il vostro cuore e confessate i vostri sentimenti. Mia moglie vi direbbe di riporli nel cuore d'un buon chierico, ma che volete, è italiana. Io non sono d'accordo: Rossignol comprenderà i vostri motivi. Parlategli.”
Oh, sembrava una così bella idea.
“E poi?” mormorò, abbassando il capo.
Il tricorno gli calò sulla fronte a causa di quel gesto, ed una delle piume che lo ornavano scese a solleticargli il viso, tuttavia Alain non si disturbò a rimetterlo a posto: il cavallo conosceva perfettamente la via ed il sole iniziava a indebolirgli la vista. Sin da piccolo gli era stato detto che occhi come i suoi, dell'azzurro più pallido e deboli, erano nemici della luce del giorno: sua madre dosava con attenzione le candele e suo padre aveva fatto mettere pesanti tende alle finestre. In un castello oscuro della Bretagna era cresciuto preda del freddo e del vino, senza conoscere il calore delle coste sabbiose del sud o il fresco dei giardini di Versailles.
Terminato il Grand Tour, aveva disposto tutto per vivere una lunga vita a corte, illuminato finalmente da ciò che gli era stato sottratto da giovane; scopriva, però, che alcuni danni erano permanenti. Non poteva soffrire il calore dell'estate e il sole lo infastidiva.
Era diventato una figura dell'ombra, un fantasma alla furiosa ricerca di conforto. D'Artois, che lo sapeva, si compiaceva di farglielo notare di tanto in tanto con una punta di sarcasmo e, più spesso, con divertita bonarietà.
“Poi rimanete in attesa. Se conosco il nostro amico, potrebbe anche concedervi le attenzioni che desiderate. In ogni caso, il vostro animo sarà più leggero e smetterete di struggervi per lui.”
Alain, da sotto il bordo del cappello, studiò il proprio interlocutore: la sua schiena diritta, il testa alta, il portamento regale. Si sarebbe detto che i raggi del sole fossero stati creati per accarezzarne gli zigomi alti e la pelle bianca. Eppure c'era una pennellata scarlatta nell'armonia del conte D'Artois. Un particolare che lo smascherava come simile di Rossignol: anche lui attore nel teatro degli inganni, nascosto dietro saggi consigli e motteggi arguti.
“D'Artois?” lo richiamò Alain. Il conte lo guardò brevemente, incalzandolo con un cenno del mento. “Posso chiedervi perché mi aiutate? Conoscete i precetti della Chiesa. State incoraggiando un'unione esecrabile."
Gli rispose una risata; aspra, breve, ma sinceramente sentita. Se d'Artois avesse sputato sulla Bibbia sarebbe stato meno blasfemo.
“Non siate sciocco. Abbiamo tutti i nostri peccati da nascondere.”
“Ma-”
“Vedete, io credo in una cosa: se noi umani ci proteggiamo a vicenda, l'occhio di Dio mancherà di vederci.”

 

#

 

Rossignol, caro amico,

Sono molto addolorato di non avervi visto a Corte quest'oggi.
Speravo, in realtà, di avere l'onore di incontrarvi tanto presto da immaginare di non avervi mai lasciato. Il nostro comune amico, il duca D'Artois, mi informa che siete tornato a Parigi per una faccenda che non ha specificato e non sapete quanto me ne dolga.
Sono uno dei vostri sfacciati ammiratori, come avrete ben compreso.
Non della dolce Charlotte che avete impersonato, seppure ammetto d'aver scorto in lei una grazia non comune anche tra le creature che nascono fanciulle, ma di voi come Rossignol. In mia difesa posso dire che non sono uno di quei folli a voi tanto vicini che, adorando la Commedia dell'Arte, si innamorano dell'Andreini.
Sono oltremodo affezionato a voi, in quanto Rossignol, è a nessun altro.
Temo che queste confessioni possano offendervi o spaventarvi, ma vi assicuro fin d'ora della discrezione dei sentimenti che provo per voi. M'avete incantato, Dio solo sa come, ma sono certo che il fascino che esercitate su di me sia di quelli che accadono per un volere superiore.
Voi dite: ci siamo visti due volte se è tanto! Io ribatto: avete ragione, ma non saprei come altro dichiarare i miei sentimenti. Non possiedo più l'intrinseca abilità dell'uomo nel conferire senso alle cose, me l’avete rubata e ve ne sono grato, perché senza quell’inutile propensione al ragionamento oggettivo vedo più chiaro che mai.
Accordatemi la grazia d'un solo incontro, così che possa parlarvi come il più caro fra gli amici e il più adorante fra gli ammiratori. Se non vorrete vedermi in alcuna delle due vesti, spero che quantomeno mi vorrete incontrare come un conoscente che spera di esservi amico: niente di ciò che vi chiedo vuole in alcun modo spingervi ad agire contro il vostro sincero e libero volere.
Ci incontreremo da amici e, forse, se vorrete, ci lasceremo da amici.
Spero con tutto il mio cuore che sia così. Vi rivedrò, dunque, diciamo alle cinque della mattina di domani nella sala da ballo scoperta?
Ritengo sia un luogo delizioso alla luce delle stelle; l'unico, forse, che possa rendervi giustizia.
Vi prego, venite.

Con affetto,

Alain, duca di Ovigny.

 

 

“Non è possibile!” urlò Rossignol, scagliando a terra la lettera. Madame Dorianne, pur nascondendo il proprio sorriso dietro le coperte, non riuscì a non mostrarsi più divertita che preoccupata.
“Oh, cielo,” sussurrò, “quale disastro avete combinato stavolta, mon coeur?”
“Non è possibile. Due in pochi giorni!” ripetè lui, con ancora più foga. Doveva essere stato maledetto, non c'era altra spiegazione plausibile a tanta sfortuna. Prima di potersi contenere, ribaltò lo scrittoio al quale era seduto— era stato un suo regalo comunque, avrebbe restituito alla Duchessa il maltolto con gli interessi.
“Prima... E ora... Oh, gli imbecilli fanno la fila fuori dalla mia porta!”
Se non altro, ora la donna si dava pena di mostrarsi quantomeno preoccupata. Lo fissava con le sopracciglia aggrottate, due ali color carbone che interrompevano l'avorio della fronte, con il nasino all'insù arricciato. Aveva le braccia conserte sul petto nudo ma appariva, nonostante l’aspetto grazioso e i capelli scombinati, estremamente seria.
“Rossignol...”
“Madame, è tempo che vada.”
“Senza spiegare!"
“Non c'è tempo per spiegare, non c'è tempo per vestirsi e salutarvi! Mi perdonerete.”
La donna diede in uno sbuffo infastidito, precipitandosi giù dal grande letto a baldacchino per fermare il ragazzo che già, di buon passo e senza vestiti, stava guadagnando la porta.
“No,” strillò, prendendolo per le braccia e trattenendolo meglio che poteva. Rossignol era un uomo, ma per fortuna della duchessa non era particolarmente vigoroso come certi suoi coetanei. Sfortuna voleva che fosse anche un grande idiota, quando si lasciava trasportare dagli eventi, “non fate lo sciocco, ora. Siete nudo e, come se non bastasse, chiaramente fuori di voi. Via, calmatevi. Spiegatemi.”
“Non c'è tempo, madame. Si tratta di un complotto ai miei danni”
Pur protestando, Rossignol si lasciò guidare di nuovo dentro la stanza. Compiacendosi di aver impiegato così poco sforzo nel riportarlo alla ragione, ora a Dorianne non mancava che farsi raccontare l'accaduto: credeva nella forza della ragione, come alcuni del suo circolo più intimo andavano professando.
“Di chi? Riguardo cosa?”
“Ah, vedo la mano di quel dannato D'Artois dietro tutto questo!”
Allora, si disse lei, non può essere tanto grave.
Si concesse un sospiro di sollievo, dal momento che aveva immaginato chissà che scandalo, e approfittò di un momento di quiete per strappare la lettera dalle mani di Rossignol. Non ne rimase, in realtà, affatto colpita.
“Mon coeur, è solo una lettera d'amore.”
“Lo so bene, madame. Credetemi, l'ho letta con attenzione. Ma avete compreso chi è l'emissario?”
Madame Dorianne annuì, mordicchiandosi l'orlo del nastro azzurro che le cingeva il collo; l'unica cosa, insieme alla giarrettiera, che era rimasta a coprirla.
“Un uomo che vi ama,” dichiarò, con un'alzata di spalle, “e allora? Non vi facevo così schizzinoso da adirarvi per una piccolezza simile.”
“Voi non capite,” dichiarò Rossignol, alzandosi in piedi.
Lei lo seguì con lo sguardo, lanciando di tanto in tanto occhiate alla missiva che li aveva interrotti.
Questa volta, dal modo in cui raggiunse a grandi passi il cumulo dei propri vestiti e iniziò ad indossarli, la donna comprese che le sue intenzioni d'andarsene erano serie.
E lei, si chiese? Lasciata così, ancora insoddisfatta, interrotta da quel bussare infelice che mai aveva avuto peggior tempismo. Rossignol non aveva pietà — né occhio per gli interessi altrui, ma, d'altra parte, non era lui quello abbandonato prima del tempo.
Dorianne odiava essere una donna proprio in occasioni come quelle.
“Andrò immediatamente a cercare risposta. Vi manderò un amico, nel frattempo: confido che vi tratterà bene e, se non sarà così, mandatemi a chiamare.”
“Un altro dei vostri amanti?”
Rossignol le scoccò un’occhiata cupa.
“Io non ho amanti,” sbottò, “solo persone con cui mi trovo, mio malgrado, a dover avere a che fare.”
“Beh, se lo dite voi. Ma non vi vedevo così agitato da un po’.”
“Lo sareste anche voi, se il mondo stesse complottando per farvi uscire di senno; tenetemi aggiornato sull’amico che vi manderò, mi raccomando, ci tengo molto. Vi amo, ma chérie.”
Madame Dorianne aggrottò nuovamente la fronte, accoccolandosi in un angolo del letto e stringendosi le ginocchia al petto. Non era più tanto giovane da credere alle bugie del primo monello biondo che le entrava in camera, ma le menzogne di Rossignol avevano sempre un sapore particolare; amaro.
Non lo salutò, dal momento che era molto offesa, ma non gli disse nemmeno di non tornare.
In un attimo il ragazzo fu fuori dalla sua stanza e lei, di nuovo, rimase sola.

   
 
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